Su Caffè Letterario è stata appena pubblicata la quarta parte del racconto Konnie, che potete leggere anche qui
Sono passati altri dieci anni e Konnie ha tutti i capelli bianchi. La voce si è arrochita anche se si sforza di parlare e registrarsi per riascoltare le sue parole. È l’unico modo per ascoltare una voce umana anche se è la sua.
Tiene un diario dove appunta gli avvenimenti e i suoi pensieri. Gli serve per non impazzire per la solitudine e lasciare un segno tangibile della sua presenza. «Non so se vedrò un altro essere umano prima di morire» borbotta con gli occhi acquosi, mentre chiude la pagina. «Questa segregazione sta diventando insopportabile. Però non posso uscire se non voglio morire».
Konnie osserva sconsolato il diario. Le pagine bianche rimaste sono poche. Non osa contarle per non deprimersi ancora di più. L’inchiostro è terminato da tempo o si è seccato. Le matite sono agli sgoccioli e le usa con parsimonia. Tra poco anche questo diversivo che gli tiene impegnata la mente non sarà più usufruibile. «Non oso pensare quando non potrò più tenere il resoconto delle mie giornate». Anche nella giornata odierna i valori della radioattività sono rimasti alti. Decrescono con molta lentezza. Troppo secondo lui ma non dipende dalla sua volontà.Va nella dispensa a controllare le scorte del cibo. Deve tenersi impegnato in attività che gli facciano dimenticare il suo stato di recluso forzato. «Non ho capito perché i miei genitori hanno pensato a tutto fuorché a protezioni per poter uscire in sicurezza». In realtà ricorda vagamente qualcosa che il padre gli ha spiegato quando era ancora un bambino. Gli ha parlato di una stanza di decontaminazione non prevista nella costruzione del bunker. L’ha cercata su un vecchio Treccani del 2020 ma non ha capito molto. “L’operazione, il processo di decontaminare; l’essere decontaminato: stazione di d., locale o edificio in cui si effettua la decontaminazione di oggetti o di persone. Nella tecnica nucleare, fattore di d ., il rapporto tra le percentuali iniziale e finale di una sostanza radioattiva…”. In un altro dizionario rimasto senza copertina legge. “Riduzione o eliminazione, da una miscela di sostanze radioattive, dei componenti che maggiormente contribuiscono alla sua radioattività: decontaminazione nucleare | estens., eliminazione di sostanze radioattive o inquinanti da materiali, locali, oggetti o persone contaminati.”.
Konnie è conscio delle sue lacune linguistiche e tecniche. Quello che conosce gli è stato insegnato prima da Kurt e poi da Marie. Poi video e letture hanno completato la sua preparazione ma sono rimasti molti buchi che non è riuscito a colmare. I video sono per lo più film o descrizioni di viaggi. Quelli tecnici sono pochi e scarsamente utili. Trattano di macchinari o elettrodomestici che sono fuori uso da molti anni perché mancano i pezzi di ricambio. I numerosi libri sono romanzi, racconti di vario genere a parte un paio di dizionari. Ci sono diversi smartphone e tablet e un paio di pc spenti, morti perché senza una connessione internet sono muti. Li usa solo per fare dei podcast per ascoltare la propria voce e sentire quella dei genitori. «Devo fare economia nel mangiare. Le scorte si stanno riducendo in modo preoccupante» borbotta con tono sconsolato dopo la ricognizione nella dispensa. Kurt aveva accumulato scorte per resistere ottanta o novant’anni ma la nascita di Konnie aveva scombussolato i piani. Secondo lui era un lasso di tempo ragionevole, perché la loro vita si sarebbe estinta prima come in effetti è avvenuta. Però Konnie deve fare economie anche se è rimasto da solo. «Non voglio morire d’inedia» afferma con tono deciso chiudendo la porta della dispensa. Controlla l’orologio atomico che per fortuna continua a segnare l’orario. Konnie ride e scuote la testa. «Ignoro se l’ora sia esatta!» Però per le lancette sono le sedici. È l’unico di tipo analogico, mentre i restanti sono digitali. Si avvia verso la palestra per l’ora di esercizio fisico. Si deve mantenere in buona forma se vuole vivere a lungo. Indossa una maglietta di cotone ormai sbiadita e un po’ lisa per i numerosi lavaggi. Calza delle scarpette che un tempo sono state di suo padre e infila dei calzoncini che un tempo erano neri.
Si chiede se per caso dovesse morire all’interno del bunker cosa succederebbe. «Credo nulla. Sarà difficile che qualcuno possa ritrovare il mio cadavere. Diventerò polvere e basta». Questo pensiero gli suscita un sorriso storto pieno di amarezza.
La palestra è ben attrezzata. In un angolo si può esercitare coi pesi e bilancieri. Nella zona centrale ci sono un tapis roulant e due cyclette. Un tatami verde lo utilizza per gli esercizi a corpo libero. Funi e una squadra svedese completano l’attrezzatura. Però Konnie non li ha mai usati perché teme di cadere e per lui sarebbe un guaio grosso. Fa qualche esercizio coi pesi di malavoglia. Si sente depresso. Sono quarant’anni che è da solo. Gli viene la voglia di farla finita. Depone i pesi nella rastrelliera e sorride storto. «Prima di morire vorrei osservare il mondo esterno».
L’organo obietta occasionalmente all’obolo occultato nel obbrobrio odierno.
Occhi come ofidi operano con odio.
L’opinione oggettiva obbliga l’obbediente oligarca a organizzare un obiettivo oneroso. Occidente e oriente occupano ognuno un oneroso obbiettivo con un’organizzazione ospedaliera. Ohi! Che odore olezzante all’olfatto!
Il 5 giugno uscirà in formato ebook e cartaceo il mio ultimo romanzo, che potete prenotare qui.
Mondi paralleli
Per chi è curioso e convincersi a prenotarsi qui trova un primo spicchio con quattro dei personaggi del libro. Di seguito troverete la presentazione del secondo protagonista principale oltre a Laura che avete già conosciuto.
…Era una serena mattina di fine aprile quando Marco decise di mettere ordine nella sua scrivania, avendo ritenuto giunto il momento di farlo. Tra qualche giorno avrebbe iniziato il nuovo lavoro e sarebbe mancato il tempo.
Doveva sistemare libri e oggetti, che erano accatastati in maniera disordinata. In realtà era una scusa, perché cercava un oggetto. Era un vecchio ricordo del liceo: un quaderno di poesie, scritto a mano in quegli anni. L’aveva abbandonato, quando aveva iniziato l’università a Milano. Vuotò sul piano del tavolo il contenuto del cassetto.
Marco era un ragazzo alto, dal corpo muscoloso, forgiato dalla pallacanestro, che aveva praticato con discreto successo durante il liceo, sfruttando il fisico robusto e una tecnica più che pregevole. La statura non gli aveva garantito di giocare a livelli professionali. Quindi conseguita la maturità, aveva abbandonato questa pratica sportiva, che in compenso aveva fatto sbocciare alcuni tratti del suo carattere. La prontezza nel prendere le decisioni, la lucida calma per fronteggiare i frangenti più concitati, una visione d’insieme a tutto tondo nell’affrontare i problemi.
Superata la maturità con una più che discreta votazione, si era iscritto all’università a Milano, dove si era trasferito da Ferrara. Qui aveva fatto sognare diverse ragazze con il suo viso da bravo ragazzo pulito. Tuttavia la scelta era finita su Laura, con la quale aveva fatto coppia fissa per tutta la durata degli anni universitari. Dopo la laurea non aveva voluto rimanere in una città, che non percepiva come sua. Aveva avuto la sensazione di essere rinchiuso in gabbia. Lui amava gli spazi aperti della campagna, il ritmo lento della vita. Nonostante gli sforzi profusi non era riuscito a superare la percezione negativa. Aveva preferito tornare a Ferrara.
In apparenza la decisione agli occhi di amici e conoscenti sembrava assurda per le prospettive future che Milano gli poteva offrire. Qualcuno azzardò l’ipotesi che lui fosse un perdente, perché non era stato in grado di vincere nostalgia e paure. Dopo il suo ritorno più volte aveva riflettuto se la scelta di abbandonare Milano fosse stata quella vincente. Però non aveva avuto esitazioni pensando al suo futuro. Era stato un passo doloroso, perché aveva avuto come effetto la rinuncia a Laura, che amava e che avrebbe voluto come compagna nella vita. “Non avrei potuto costringerla a finire in una città, come Ferrara, piccola e provinciale, sonnacchiosa e chiusa alle novità” si era ripetuto una volta di più. Sapeva che lei non concepiva un posto diverso da Milano, dove vivere e lavorare. Qui era nata e cresciuta, seguendo i suoi ritmi frenetici e stressanti. “Quali prospettive di lavoro può offrirle Ferrara?” Chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi pensieri. La risposta non cambiava: avrebbero avuto molte difficoltà nel trovare un’occupazione che le avrebbe dato soddisfazioni professionali. Questo sarebbe risultato insopportabile per lui, perché era sicuro che avrebbe minato i loro rapporti….
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Il cameriere appoggiò sul tavolo due spritz, un bicchiere di succo di frutta, tutto inghirlandato da bandierine e fette di arancio, e un calice di spumante. Minuscole tartine, salatini sfiziosi, arachidi, patatine, noccioline e anacardi erano invitanti per l’occhio e la gola. La Caffetteria del Corso era famosa per i suoi aperitivi.
«Siamo un bel colpo d’occhio» constatò Sofia, sorseggiando lo spritz con gli occhi che brillavano per la contentezza. «Quattro bei giovani. Sì, senza ombra di dubbio!» Con lo sguardo passò in rassegna la sala gremita per trovare conferma alle sue affermazioni. Si notava che molte persone erano vestite o meglio infagottate in abiti costosi ma inadeguati al loro fisico. Lei osservò Laura. I pantaloni di Armani neri le modellavano le gambe. La camicetta azzurra era un felice contrasto col nero dei calzoni. Le scarpe di Rossi nere di morbida pelle spuntavano dal fondo dei pantaloni. Abiti dalle linee semplici in contrasto con quelli pacchiani delle altre donne.
Matteo la guardava con ammirazione. Tutta la sua attenzione era rivolta verso Sofia. Gli altri non esistevano. Sembrava pendere dalle sue labbra, mentre prendeva una nocciolina dal piatto. «Lavori?» Spostò leggermente il busto in avanti per rendere più intima la domanda.
«Al termine della laurea triennale in matematica» fece Sofia, mettendosi in bocca una quiche lorraine al formaggio, «ho preferito trovarmi un lavoro. Volevo rendermi indipendente. Vivere in una casa tutta mia».
«E ci sei riuscita?» Ribatté Matteo sempre più vicino a Sofia, finendo lo spritz.
«Sì!» Affermò con voce squillante. Gli occhi sprizzavano allegria. «Alla grande! Ho una casa tutta mia. Beh! Sì, insomma… quasi… quando avrò finito di pagare il mutuo tra vent’anni!»
Matteo sorrise e annuì col capo in segno di approvazione. Non aveva smesso di fissarla per un secondo.
Si sentivano solo le voci di Sofia e Matteo, mentre Laura e Paolo restavano ai margini, come se fossero due persone di passaggio.
Come Sofia era scatenata e sembrava un fiume in piena, così Laura pareva l’acqua immota dello stagno, agitata ogni tanto da qualche sassata maliziosa.
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Il 5 giugno verrà rilasciato in contemporanea su Amazon sia l’ebook sia il cartaceo. Tra poco sarà possibile assicurarseli in preordine risparmiando sul loro acquisto. L’ebook a 0,99€ e il cartaceo a 6,99€ Dal giorno 2 giugno il prezzo lievitarà a 3,99€ e 8,49 rispettivamente.
Sarà in romanzo diverso dal solito. Scritto e pensato nel lontano 2008, rielaborato nel 2011 e ripreso nella versione definitiva quest’anno.
… Laura stava leggendo l’inizio della fiaba, che aveva scritto tanti anni prima, quando era sedicenne. In realtà in quella fredda mattina serena di aprile era salita nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso, dismesso da tempo. In apparenza si diceva d’ignorare, perché aveva intrapreso quella ricerca. In realtà voleva ingannare se stessa, perché ne conosceva benissimo il motivo.
Il giorno precedente aveva trovato una fotografia, che era scivolata fuori in maniera subdola da una scatola piena di ricordi. Subito il cuore aveva preso a pulsare come un metronomo impazzito.
«Accidenti!» esclamò eccitata, mentre la raccoglieva da terra «Come ero bella! Ero la più bella del gruppo».
Aveva osservato quella vecchia istantanea a colori, che la ritraeva con uno splendido vestito rosso, abbracciata a Marco. Non era riuscita a calmare il senso di ansia per il groppo alla gola, che le impediva di respirare. …
Su Caffè letterario è stato pubblicato la terza parte di Konnie. La potete leggere anche qui.
Alba e Matteo sono gli unici che hanno scelto di uscire di nuovo dalla Città del Sole. Col consenso di tutti decidono di fare un’escursione per esplorare un’area più vasta rispetto a quella visitata circa un mese prima. Durerà almeno tre o quattro settimane con l’obiettivo di arrivare a Bozen. Secondo la vecchia cartografia dovrebbe distare qualche centinaia di chilometri ma dall’esperienza della precedente uscita non c’è da fidarsi. Strade inghiottite dalla natura, che si è presa la rivincita sugli umani, oppure franate a valle per l’erosione delle acque dei torrenti potrebbero rendere difficile raggiungere la meta.
Le altre coppie che avevano esplorato alcune aree adiacenti all’ingresso della Città del Sole hanno deciso di non ripetere l’esperienza senza fornire spiegazioni. «Forse si sono spaventati nel osservare un mondo esterno così ostile e pericoloso» ridacchia Matteo mentre prepara con Alba la nuova sortita senza trascurare nessun dettaglio.
Loro hanno il piglio e la curiosità degli esploratori che vogliono conoscere di persona quella realtà che hanno solo intravvisto tramite vecchi video, fotografie ingiallite oppure hanno letto su vetusti libri. Il tutto però è datato cent’anni prima.
Fanno tesoro della precedente esperienza e preparano in maniera meticolosa la spedizione. Ricordano il dolore che hanno provato i loro occhi, quando la luce naturale più intensa di quella artificiale, a cui erano abituati, li ha colpiti. Questi hanno iniziato a lacrimare, perché avevano la sensazione che fosse entrata della polvere sotto le palpebre. Stavano quasi per rinunciare, quando Alba aveva scoperto casualmente che schermandosi con delle foglie piuttosto ampie sopportavano meglio la luce solare. Così hanno pregato Arturo, un vero mago con le mani e con la testa, di preparare un casco modificato, dove premendo un tasto fosse possibile schermare la parte trasparente. Hanno scoperto pure che il loro viso dapprima è diventato rosso per poi virare allo scuro. Al loro rientro gli abitanti della Città del Sole osservando i loro visi scuriti avevano tratto la conclusione che avessero contratto una malattia pericolosa per tutta la comunità. Sono rimasti in quarantena per una settimana prima di convincerli che è stato l’effetto della luce solare.
Durante l’uscita hanno perso il senso del tempo come era programmato nella Città del Sole. Qui non ci sono albe o tramonti ma si passa dal buio alla luce senza passaggi intermedi. La giornata è divisa in due spezzoni fissi e immutabili. La luce dura sedici ore, il buio otto. Le ore dell’oscurità sono dedicate al riposo, le altre alle attività lavorative o ricreative. I loro ritmi circadiani si sono adeguati da sempre a questo alternarsi del giorno e della notte. Durante l’escursione hanno compreso che non era vero. Luce e buio si alternano in modo irregolare. Tutto questo ha sconvolto il loro orologio biologico mettendoli in crisi. Matteo ricordava con vaghezza che spostandosi sulla terra si subiva un fenomeno chiamato jet lag. Al loro rientro tutto si è sistemato nel giro di pochi giorni. Però adesso erano preoccupati perché l’uscita durava due o tre volte la precedente. Tuttavia sanno come combattere quella sensazione di stanchezza e sonnolenza che li ha colpiti. Si sono preparati nei giorni precedenti con un ciclo di veglia-sonno paragonabile a quello esterno.
Una delle esperienze peggiori è stato trascorrere la notte senza riparo, perché non sempre è stato possibile trovare rifugio in anfratti naturali. Arturo seguendo i loro suggerimenti aveva ricavato da teli impermeabili una mini tenda. Nella precedente escursione hanno incontrato più volte degli animali sconosciuti che sono fuggiti vedendoli. «Non sempre sarà così» ha affermato Alba rimasta impressionata da questi incontri. Hanno scelto di portarsi appresso un coltellaccio in un fodero di cuoio. Non manca il mini contatore geiger per misurare l’intensità della radioattività.
Caricati sulle spalle di Matteo due zaini colmi di vettovaglie, appende alla cintura il fodero col coltellaccio. Alba in uno zaino più leggero mette la tenda, ricambi di indumenti, due tablet, un altro mini geiger, una ricetrasmittente e una webcam per la registrazione del viaggio.
Studiando la cartina hanno deciso di raggiungere Bozen attraverso la val di Fassa e il Karersee. A Matteo e Alba sembra più corta e praticabile della val Gardena. L’escursione precedente ha dato un responso positivo per entrambi. La condizione fisica è eccellente e la gamba pure. Quindi possono affrontare un percorso più lungo senza temere la stanchezza. I primi due giorni resteranno nei dintorni della Città del Sole per abituare il loro orologio biologico ai nuovi ritmi veglia-sonno, a verificare che le attrezzature funzionino, a orientarsi nel mondo esterno.
Konnie si avvia a passo lento con un moto di rabbia verso la postazione accanto alla porta d’acciaio che lo separa dal mondo esterno. Apre lo sportello inox con un colpo secco dell’indice destro. Una minuscola tastiera scivola silenziosa fuori e uno schermo al plasma si illumina. Tocca il tasto in alto a sinistra, ESC. Fa una smorfia di disappunto corrugando la fronte. Il contatore geiger posto all’esterno della struttura manda il suo responso. “4,5 Sievert” compare sul display. Le labbra si muovono nervose per far uscire un’imprecazione: «Merda!»
Gli verrebbe voglia di sferrare un pugno sullo schermo ma si limita a chiudere la tastiera con un colpo secco della mano sinistra.
Ripercorre il breve corridoio nudo che lo porta nella stanza centrale arredata con un tavolo di legno scolorito dal tempo e quattro sedie di acciaio una volta lucide cromate. Il neon sul soffitto sfrigola esausto. «Devo sostituirlo» impreca con tono stizzito, andando verso la cucina.
La sua vita da cinquant’anni è monotona. Alle otto sveglia e colazione. Mezz’ora di esercizi nella palestra di fianco alla sua stanza da letto. Poi una doccia idromassaggio per rilassare i muscoli. A metà mattina, da quando sua madre Marie è morta, si deve occupare del pranzo e della cena. La sua salma è da trent’anni nella cella freezer insieme a suo padre Kurt, deceduto dieci anni prima di sua moglie. È rimasto solo da quando ha vent’anni e vive da recluso nel bunker antiatomico sotto la villa di famiglia all’imbocco di Sarntal alla periferia di Bozen. Come gli ha spiegato sua madre, finché il contatore geiger non scende sotto due Sievert, uscire dal bunker vuol dire morte quasi certa nel giro di poche ore.
Konnie è nato sottoterra cinquant’anni prima. Era il 21 luglio 2064. La sua nascita è stata casuale, perché Marie pensava di essere entrata in menopausa precoce a quarantacinque anni. Invece era incinta. Lui non ha mai visto il sole o la luna con un’osservazione diretta ma solo attraverso i filmati di TouberMeg, che conosce a memoria. Per lui l’alternanza del giorno con la notte è un fenomeno ignoto, come l’alba o il tramonto. Non ha mai visto la villa dei genitori e non sa se sia ancora in piedi oppure crollata. La telecamera esterna ha smesso di funzionare da oltre vent’anni. L’unico contatto col mondo di fuori è il contatore geiger che consulta tutti i giorni.
Correva l’anno 2024 e soffiavano venti di guerra, quando Marko, il padre di Kurt, decise di costruire un bunker atomico sotto la villa e attrezzarla per resistere almeno ottant’anni. Kurt all’epoca era un ragazzino. Aveva solo quindici anni. C’erano due accessi: uno all’esterno qualora la costruzione sotto cui era posto fosse collassata e l’altro all’interno della villa attraverso una scala a chiocciola. Kurt e Marie si sono sposati nella cappella di famiglia all’interno del parco che circondava la casa nel 2039. Marko non ha avuto la possibilità di sfruttare il suo bunker perché un paio d’anni dopo la costruzione è deceduto in seguito a una breve malattia. Nel marzo del 2044 la situazione è precipitata in maniera irreversibile. Solo chi è stato previdente si è salvato. I pochi bunker pubblici sono collassati subito. Il disastro ha preteso il suo tributo di morti. I genitori di Konnie si sono rintanati nel loro privato e hanno iniziato la vita da reclusi. Tutto questo Konnie l’ha ascoltato innumerevoli volte dalla voce di Kurt prima e Marie dopo. Lo conosce a memoria.
Apre un registro appeso in cucina e segna il valore letto della radioattività esterna. È un valore eccessivo per tentare una sortita all’esterno. Scuote i riccioli biondi striati di bianco deluso, mentre ripone nello scaffale il registro. «Potrò un giorno uscire all’aria aperta prima che la morte mi colga qui?» Borbotta sedendosi sulla sedia. È sfiduciato. I genitori sono deceduti relativamente giovani. Avevano poco più di sessant’anni.
Si guarda intorno. Lo spazio nel bunker non manca. Oltre alla cucina, la sua camera, la palestra e il bagno ci sono altre tre stanze. La stanza matrimoniale molto più ampia della sua, il deposito dei cibi e la cella freezer dove in un angolo riposano i suoi genitori. Oltre a queste c’è un’area di servizi da cui dipende la sua vita. Il generatore di corrente, che assicura l’elettricità a tutto il bunker, è un mini reattore atomico. Suo padre gli ha assicurato che fornirà energia per almeno trecento anni. Il suo unico cruccio sono le scorte di cibo che dovrebbero esaurirsi all’incirca nel 2124. Con qualche economia potrebbero durare per una dozzina di anni o forse più ma poi dovrebbe uscire all’aria aperta se non è morto prima.
Konnie si annoia e la solitudine gli pesa. I libri, i filmati, i contenuti televisivi li conosce a memoria avendoli visti oppure letti innumerevoli volte. Gli manca il contatto umano con altre persone. I suoi genitori sono scomparsi troppo presto.
Parla da solo per non impazzire e per ascoltare una voce umana. Cammina, fa piegamenti. Si ferma davanti a uno specchio. «Chissà se gli altri uomini mi assomigliano!» Esclama con tono asciutto, socchiudendo gli occhi, mentre si avvia verso la palestra. Fare esercizio fisico gli serve per mantenere tonico il corpo.
Un’altra giornata da recluso è iniziata.
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