
Luisa propone per il gioco linguistico di scrivere una storia completa in sei parole.
[Vacanze]
Dovendo partire per Braies, chiudo casa.
Fantasie e realtà
Luisa propone per il gioco linguistico di scrivere una storia completa in sei parole.
[Vacanze]
Dovendo partire per Braies, chiudo casa.
Per Luisa che ci propone il gioco linguistico in assenza di Eletta in pausa vacanze ho composto questo lipogramma il l come luglio.
Una generosa sosta ci concediamo tra vigne e peri con un vento vigoroso che mitiga un’arsura tremenda.
Seduti sotto un’ombra fresca scriviamo su questo quaderno aforismi e poesie. Una gioia immensa pervade mente e spirito e ci trasporta in un mondo fantastico dove vivono estro e immaginazione.
Siamo d’estate.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
17 agosto 2144
Si sono sistemati in una piazzola più a valle accanto a un rudere ricoperto di muschio ed edera. Accendono un piccolo fuoco con i legnetti raccolti intorno per scaldarsi e mangiare qualcosa di caldo. Si è alzato un vento freddo e il cielo si è coperto. Cucciolo si sistema tra loro.
L’alba non è rosata ma grigia e umida. Una fastidiosa pioggia li sveglia. Un pessimo buon giorno. Piegata la tenda gocciolante si mettono in cammino per raggiungere il fondo valle seguendo la vecchia strada costruita per la Città del Sole.
Un ostacolo si para dinnanzi a loro: un torrente incassato tra le due alte sponde. «È il Cordevole» spiega Alba dopo aver consultato la carta. Il vecchio ponte che lo scavalca non sembra molto sicuro. Provare a guadarlo è ancor più rischioso. Gocciolanti per la pioggia che sta infittendo restano in silenzio mentre Cucciolo si scrolla per liberare il pelo dall’acqua.
«Cosa facciamo?» Il tono di Alba è tutt’altro che rassicurante. «Rinunciamo?»
«No!» replica secco Matteo che sta valutando di rischiare il passaggio sul ponte che presenta vistose crepe sia sul manto stradale sia sulla fiancata. Questa appare sgretolata in più punti mettendo a nudo l’armatura corrosa dalla ruggine.
«Sistemiamoci al riparo di quell’abetaia. Facciamo una sosta e mangiamo qualcosa» propone Matteo, riflettendo sul da farsi.
Fissati i teli della tenda tra due alberi, si mettono al riparo per rifocillarsi. Accendere un fuoco è proibitivo, quindi si accontentano di mangiare pane e formaggio. Cucciolo trema per il freddo e la pioggia che ha infradiciato il suo pelo. Ai ragazzi va meglio perché la tuta protettiva li tiene all’asciutto.
Il tuono brontola e un violento scroscio si abbatte su di loro. Il torrente fa sentire la sua voce cupa e minacciosa. Un ruggito feroce.
«Ci conviene trovarci un’altra sistemazione meno pericolosa, se si scatenano i fulmini» suggerisce Alba con voce preoccupata, mentre osserva la radura che si sta ricoprendo con le nuvole basse. «Mi pare di scorgere un rudere alla nostra sinistra. Non è molto ma possiamo sistemarci là».
Matteo annuisce e raccolte le loro cose e liberato il telo si avvia verso quelle pietre che un tempo era un’abitazione o un riparo per custodire delle attrezzature. Cucciolo soffia e abbaia deciso verso un cumulo, finché non si calma. “Deve aver scorto o avvertito un rischio per noi, liberando l’area” pensa il ragazzo, accarezzandogli la testa.
«Non capisco perché Cucciolo si sia innervosito» chiede Alba con tono interrogativo.
«Noi non vediamo o sentiamo i pericoli ma lui sì e quindi ha fatto sgomberare il posto da intrusi sgraditi».
Matteo raccoglie un grosso ramo caduto da un abete e con quello batte le pietre a terra e quel poco che è rimasto in piedi per avere la certezza che non ci siano altre insidie. Inoltre controlla che le due pareti rimaste siano sufficientemente statiche e non crollino sotto l’effetto del vento.
Sistema la tenda addossata ai muri che la proteggono su due lati. Steso sotto un telo per proteggersi dall’umidità del terreno, Matteo va alla ricerca di rami e piccoli legnetti per improvvisare un fuoco. Sa che sarà difficile accenderlo e tenerlo acceso ma sono in quota e la temperatura scende di parecchio. Con le pietre meno umide prepara un focolare approssimativo proteggendolo dalla pioggia.
Non è molto ma almeno possono mangiare qualcosa di caldo e creare un po’ di tepore che asciugherà i loro zaini e il pelo di Cucciolo.
Il picchiettare della pioggia ora leggero, ora violento è una specie di litania musicale per le loro orecchie. Hanno visto qualche video ma è la prima volta che ne prendono coscienza. Un’esperienza nuova che si aggiunge alla scoperta del sorgere e del tramontare del sole e a tante altre sperimentate durante l’uscita nel mondo esterno.
«Torniamo indietro?» Alba ha dismesso il sorriso e i lineamenti del suo viso sono tesi. Osserva con apprensione la violenza della pioggia che sembra travolgere la loro tenda.
«No. Non dobbiamo lasciarci prendere dal panico». Matteo nota che rivoli di acqua mista a fango scendono dall’abetaia e lambiscono il loro rifugio improvvisato. “Devo deviare questo flusso. Come?” Ci sono altre pietre di discrete dimensioni rotolate più a valle. “Se le sistemo sul quel lato impedisco al fango di penetrare nella tenda”. Sotto gli occhi curiosi di Alba comincia il lavoro. Quando ha finito, è un solido argine alla pioggia e alla fanghiglia.
Il rumoroso picchiettare della pioggia e la stanchezza compiono il prodigio di farli addormentare subito.
Cucciolo dorme come i gatti con un occhio chiuso e l’altro aperto.
le altre puntate le trovate qui
parte una, parte due, parte tre parte quattro parte cinque parte sei parte sette
Per Luisa che oggi propone un acrostico per luglio ho composto questo
Leggo
ubicazione:
grande
luogo
incantato
osvaldo
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la settima puntata di Konnie che potete leggere anche qui.
Buona lettura
Le cime delle montagne intorno si tingono di rosa e le ultime stelle si confondono col cielo.
Alba si muove grugnendo. Avverte dolori alle spalle e formicolio alle mani. Si drizza eretta, guardandosi stupita intorno. Non si trova nella sua cameretta nella Città del Sole ma sulla nuda terra, dura e scomoda. Poi scoppia in una risata liberatoria. Ricorda che con Matteo sono usciti dalla calda cuccia della Città del Sole per esplorare quello che c’è tra loro e Bozen.
Il ragazzo si sveglia per le risate di Alba. Distende le articolazioni che sono intorpidite per la postura sconnessa assunta durante il sonno.
«Sveglia, dormiglione!» Urla la ragazza trattenendo la risata. «La giornata è splendida e la vista è mozzafiato».
Fatta la colazione col caffè liofilizzato e qualche galletta abbrustolita si rimettono in viaggio dopo avere ripiegato la tenda. Continuano a segnare il loro passaggio mentre scendono verso valle. Sono alla ricerca della strada che secondo la carta porta al Passo Pordoi e da lì a Canazei.
«Eppure per costruire il nostro rifugio» borbotta Matteo, «di certo c’era una strada o un sentiero che serviva per il trasporto del materiale e delle persone. Questo mi ha raccontato Michele qualche anno fa».
Alba scuote il capo. «Ci dovrebbe essere ma la natura in assenza degli umani ha ripreso possesso di tutto il suo regno e cancellando tracce e ricordi».
Il ragazzo scuote la testa perché non è d’accordo. “Almeno una traccia ci dovrebbe essere rimasta ma sembra tutto bosco e basta”.
Quando il sole, leggermente velato da nubi bianche frastagliate che si muovono veloci nel cielo azzurro, è alto, i due ragazzi decidono per una breve sosta. Sono affaticati perché gli zaini pesano e devono prestare attenzione a non mettere i piedi su pietre o rocce per evitare passi falsi. Trovano una piccola radura ricoperta da enormi felci e fiori sconosciuti. La filmano a memoria futura. Fa caldo, un caldo afoso che potrebbe presagire un violento temporale. Il contatore geiger segnala un livello di radioattività di circa due sievert o poco più, ancora alto e pericoloso.
Sentono muovere qualcosa tra le felci come una specie di guaito. Matteo impugna quel coltellaccio che dondola sul suo fianco. Spunta un muso con la lingua rossa a penzoloni. Gli occhi implorano cibo e il corpo si muove sofferente come se fosse ferito. Il ragazzo rinfodera l’arma. Ha capito che non è una minaccia.
«Un cane oppure un lupetto?» Chiede Alba, gettandogli la galletta che stava mangiando.
L’animale si sdraia poco distante e afferra con le zampe anteriori il cibo che sgranocchia in fretta.
«Ha fame il cucciolo!» ridacchia Matteo dando un colpetto sulla spalla della ragazza.
Ridono vedendolo mangiare con avidità quel pezzo di pane. Alba gli lancia un cubetto di carne secca, che l’animale prende al volo masticandolo con vigore. La lingua a penzoloni fa intuire che oltre la fame abbia pure sete. Matteo si guarda intorno alla ricerca di qualcosa dove possa versare l’acqua. L’unico oggetto è una foglia verde che recide con un colpo del coltellaccio. La gira e dalla borraccia fa cadere delle gocce. Il cucciolo si frappone con la lingua per bagnarsi la gola.
Alba gli accarezza la testa. Un gesto che gradisce. «Ciao Cucciolo! Noi andiamo». I due ragazzi riprendono a scendere a zig zag ma si fermano subito. Qualche passo dietro loro c’è il lupetto intenzionato a seguirli.
«Bene, abbiamo la scorta» ridacchia la ragazza, che riprende la discesa. Il cucciolo sia pure a fatica si è accodato a qualche metro di distanza. Zoppica come se avesse una ferita alla zampa anteriore destra. Si fermano per vedere cosa non funziona. Il lupetto si lascia visitare e con la lingua lecca la mano di Matteo.
«Ha una brutta ferita infetta ma non solo» spiega il ragazzo con tono serio, mentre prende del disinfettante dalla sacca che porta a tracolla. «La zampa è più corta delle altre. Ecco perché il branco l’ha abbandonato».
Finita la medicazione riprendono la discesa col lupetto che si è sistemato tra loro. La sua andatura è meno zoppicante ma comunque fatica a tenere il loro passo.
«Finalmente!» esclama Matteo scorgendo sulla loro destra il segno di una vecchia strada tutta sconnessa e ricoperta da arbusti ed erba. La pavimentazione in macadam è quasi sparita ma camminare è più agevole rispetto al bosco.
Fatti tre tornanti sentono il rumore dell’acqua che scorre tra i massi, mentre Cucciolo sparisce attratto da quel suono.
«Andiamo a vedere. Possiamo riempire le tanichette con acqua fresca» suggerisce Matteo infilando un groviglio di rovi.
È una piccola cascatella che forma una pozza, prima di fluire a valle. I due ragazzi ridono vedendo Cucciolo che beve con abbondanza. Riempiono le tanichette di tessuto appese alla cintola e pensano di fermarsi per la notte nella piccola radura adiacente al minuscolo laghetto formato dal piccolo salto d’acqua tra le rocce. Però capiscono che il posto non è salubre vedendo il lupetto che si allontana dopo essersi dissetato.
Eletta Senso ha messo in vacanza il suo gioco linguistico ma Luisa ha pensato bene – molto bene aggiungo io – di tenerci in allenamento.
Antiche
chimere
cerchiamo
tra
tramonti,
albe
trasmettendo
orgoglio.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la sesta parte del racconto Konnie, che potete leggere anche qui.
Konnie ha quasi ottant’anni. Gli mancano poco più di sei mesi al compleanno. Si sente stanco con le forze che giorno dopo giorno tendono a scemare. Con lentezza strascicando i piedi va a controllare la radioattività esterna. Sa che è un proforma perché decresce con molta lentezza. «Due sievert» scuote la testa pronunciando queste due parole. Però sente il richiamo di uscire, di vedere cosa c’è là fuori, di scoprire un mondo ignoto.
«Non importa se morirò!» Ammette con se stesso con tono fatalistico. «Tanto dovrò morire. Se non oggi, domani. Finora ho visto solo queste pareti grigie. Anzi quasi nere!» Ridacchia socchiudendo gli occhi. «Fuori ci saranno altri colori oltre al bianco, il grigio e il nero di questo bunker?»
Mette una polo nera stinta, calza delle scarpe che gli stringono i piedi, indossa un paio di jeans che stanno dritti da soli. Prende le chiavi che gli permetteranno di rientrare dopo la passeggiata all’esterno.
Con passo strascicato e col cuore che batte a mille apre la porta che gli consente di risalire in superficie.
Accende la torcia per illuminare i gradini. È la prima volta che li percorre. Prova una sensazione strana, quasi sconosciuta: brividi di freddo. Un acre odore di muffa, di aria stagnante assale le sue narici. Fa una smorfia. Rimpiange l’aria asettica del bunker. Mette il piede sul gradino che sembra scivoloso. Lo illumina: è ricoperta da una patina di verde che imbratta la scarpa. Quando prova a caricare il peso sulla gamba, questa tende a scivolare verso il basso. Si afferra al corrimano che avverte ruvido e si issa sul gradino superiore e così con gli altri. Ne avrà fatti una dozzina e ha il fiatone. La tentazione di invertire la marcia è forte ma la curiosità vince sulla stanchezza che gli attanaglia i polpacci.
Rifiata, sta sudando e quella sensazione di freddo è sparita. Passo dopo passo, gradino dopo gradino arriva in cima. Le scale sono finite. Illumina una porta d’acciaio dalle cui fessure filtra una lama di luce.
«Ci dovrebbero essere delle chiavi appese per aprirla» mormora mentre dirige il fascio luminoso in modo circolare. «Eccole!»
Le afferra, mentre sfiora la tasca per sentire le altre. Apre e fa due passi fuori. Rimane accecato. Per lunghi istanti i suoi occhi percepiscono solo una luce troppa intensa che gli impedisce di vedere cosa lo circonda. Ha un brivido di freddo, sente la pelle accapponarsi, la bocca comincia a tremare senza che lui riesca a fermarla. Strizza gli occhi, riducendoli a una fessura, in modo istintivo porta la mano sinistra sulla fronte. Quello che vede lo terrorizza: è tutto bianco che riluce sotto i raggi del sole. Sulla sua sinistra osserva dei ruderi, sulla destra una distesa candida. «È questo il mondo esterno?» Si gira e rientra nella cavità che ospita il suo mondo.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quinta parte del racconto Konnie. Di seguito qui la potete leggere.
15 agosto 2144
Il gran momento è arrivato Alba e Matteo curvi sotto il peso degli zaini salutano tutti. «Arrivederci! Tra quattro settimane torniamo con la speranza che possiamo uscire da questa Città del Sole senza problemi!»
È tutto un abbraccio e un arrivederci condito da qualche lacrima e tanti consigli. Poi dopo le ultime pacche sulle spalle entrano senza timori nella stanza che li separa dal mondo esterno. Un clack sonoro suggella la chiusura. Si tratta di aspettare che l’altra porta si apra per uscire e cominciare la nuova esplorazione.
«Alba, a destra o sinistra?»
La ragazza consulta la bussola, un retaggio del mondo antico che è sparito per l’insania di qualche potente. La pone sulla carta che servirà per raggiungere Bozen. «A sinistra. Dovremo trovare un paese o meglio un gruppo di paesi che prendono il nome di Livinallongo o quello che resta di loro».
Scendono attraverso un’abetaia non senza qualche difficoltà. Abeti crollati a terra e un sottobosco irto di spine e di rovi che coprono forre e altre insidie. Devono fare attenzione perché non esistono sentieri e sentono il rumore sordo dell’acqua che scorre senza vederla o individuare dov’è. Mettere un piede in fallo può rappresentare la fine della loro vita, perché nessuno li verrà a cercare.
Nell’uscita precedente si sono limitati a girare nelle vicinanze e non è stato facile ritrovare la strada del ritorno verso l’ingresso della Città del Sole. Si sono persi più volte perché è sembrato a loro di essere passati di lì mentre non era vero. Quindi l’esplorazione è stata piuttosto un girare confuso, a volte in tondo. Questa volta segnano con dei segnali il tragitto che fanno per raggiungere la strada, ammesso che esista ancora.
La protezione contro le radiazioni e il peso degli zaini non consente di muoversi con agilità mentre scendono con prudenza verso il fondovalle. La luce incerta del bosco non aiuta i due ragazzi che si fermano per calmare l’agitazione interna. La discesa è ripida più di quello che ricordano quando un mese fa hanno fatto la prima uscita.
«Mat, sei sicuro che stiamo scendendo nel modo giusto?» mormora con tono affranto Alba che sta sudando copiosamente dentro la tuta, mentre il casco si appanna. Si ferma, aspetta che la visibilità torni accettabile.
Matteo ritorna sui suoi passi e affianca la ragazza. «Premi questo bottone» e le indica un pulsante verde all’altezza delle orecchie. «Serve per togliere l’umidità all’interno del casco».
«Grazie, Mat! Non ricordavo questo dettaglio che Arturo ha aggiunto per evitare situazioni come questa».
Come la prima volta hanno perso il senso del tempo. Non hanno strumenti per misurarlo. Si basano sul sole. Il cielo è sereno privo di nuvole, mentre il sole declina dietro le montagne di fianco. Però non sarà sempre così, perché una giornata nuvolosa o grigia per la pioggia li trarrà in inganno.
«Alba, cosa ne pensi se cerchiamo un posto per la notte? Le ombre si fanno lunghe e il buio infittisce» propone Matteo che ha notato le sue difficoltà a muoversi con scioltezza. La stanchezza può diventare pericolosa in montagna, specialmente in un ambiente di sicuro ostile.
La ragazza annuisce, perché stava per proporlo. Avrebbero sperimentato il riparo costruito da Arturo. Scendono ancora più a valle finché un trovano una radura circondata da alberi molti alti che non sono abeti o larici. L’erba è giallastra, secca come se fosse da tempo che non piovesse. Decidono di sistemarsi sotto una folta chioma di albero. Qui dal terreno affiorano robuste radici e l’erba è rada e bassa.
Hanno da poco posizionato la tenda, quando di colpo si passa dal chiarore del giorno al crepuscolo della sera. Il cielo è ancora chiaro ma nel bosco l’oscurità diventa notte. Accendono una torcia alimentata da combustibile nucleare che illumina l’area dove sono accampati.
La stanchezza e lo stress compiono il miracolo di farli addormentare subito. Un sonno senza immagini.
[continua]