Una storia così anonima – parte cinquantatresima

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Tende, 10 marzo 2015, ore sette

Luca cammina sul marciapiede tra cumuli di neve sporca, che lasciano rivoli di ghiaccio ancora più neri. Aspetta che la vita nella cittadina riprenda a pulsare. Sono quasi le sette e il profumo del pane appena sfornato sollecita il suo appetito. Entra nel forno per acquistare una baguette. Se la fa tagliare in tre parti e riempire con formaggio e salumi. Prende da un dispensatore una bottiglia di Evian e caccia il tutto nello zaino che porta a tracolla.

Cammina di nuovo sotto le finestre de Le Miramonti, mentre Pierre apre la finestra. Si ferma. Luca l’ha riconosciuto. Si sposta rasente al muro, abbassando la testa nel tentativo di sfuggire allo sguardo di Henri. Non vuol farsi scoprire. ‘Dunque ho intuito giusto’ pensa Luca, andando alla ricerca del garage dell’albergo, che trova poco oltre. Gongola e sorride. Sa che sarà un cane da caccia implacabile nell’inseguire la preda.

Poco più in là sta sollevando la saracinesca un bistrot. ‘Ottimo’ si dice, pregustando un caffè e una brioche calda. Si sistema in un tavolo vicino alla vetrata, da dove può tenere sotto controllo la porta del garage.

Un caffè forte e due croissant alla marmellata” ordina al gestore ancora assonnato.

Sorseggia il caffè nero caldo bollente, mentre sbocconcella i croissant, leccandosi le labbra. Controlla l’ora. Sono ormai quasi le otto e tra non molto vedrà sbucare la Mini blu. Si fa incartare una mezza dozzina di croissant, ancora caldi. ‘Ne prendo qualcuno per te, Van’ si dice Luca con lo sguardo sorridente, mentre paga il conto. Poi scoppia in una risata alla sua battuta sotto lo sguardo incredulo del barista. ‘Mi prende per matto’ pensa Luca, mentre finisce il caffè.

Sente un pulsare nella tasca del giubbotto pesante. ‘Si è messo in moto’ pensa, avviandosi con calma verso la porta. Ha mosso qualche passo verso la sua macchina, quando intravvede uscire dal portone del garage la Mini blu. Sussulta, perché vede Vanessa muovere il maniera strana la testa, come svenuta. ‘Se hai torto un capello a Van’ urla in silenzio Luca arrabbiato con una smorfia del viso, ‘ ti levo i peli a uno a uno e ti scortico vivo. Il supplizio di Bragadin è nulla in confronto’.

Sale in macchina, posiziona gli smartphone ed estrae il computer dallo zaino. Mette la bottiglia di Evian nella console sotto il cruscotto. Poi si mette in moto per seguire il segnale.

Riprendono la strada verso la costa. ‘Non ho capito il senso d’infilarsi a Tende’ pensa Luca, mentre segue a debita distanza la Mini blu. ‘Se l’intenzione era di passare in Italia, quello era il posto giusto. Ma se doveva puntare altrove, era quello sbagliato’. Prova a ragionare sul comportamento di Henri. Non lo trova logico a meno che non abbia ricevuto ordini di puntare verso una località francese successivamente al suo arrivo a Tende. Solo questa ipotesi avrebbe giustificato il dietrofront di Henri. ‘Quale?’ si domanda curioso, mentre la mappa lo informa che, superato Sospell, stanno viaggiando verso Nice. Si preoccupa, perché questo potrebbe complicare la liberazione di Vanessa. Deve intuire dove si sta dirigendo. ‘Nizza’ riflette Luca, aggrottando la fronte e arricciando le labbra, ‘ha un porto e un aeroporto. E sarei fregato, se usasse uno dei due posti’.

La Mini blu è avanti sempre di circa trecento metri, mentre il segnale è chiaro e stabile. Arrivati in prossimità di Nice, entra nella A8 a Nice Est verso l’aeroporto. A Luca vengono i sudori freddi. ‘Sono fregato’ si dice, osservando la mappa sul computer. Però dopo l’uscita di St. Isodore prende il Boulevard du Mercantour in direzione Grenoble. ‘Grazie, Henri’ gli dice Luca con le rughe che spariscono dal viso, tirando un sospiro di sollievo. Né porto, né aeroporto. Tuttavia non è tranquillo. Stanno costeggiando il Var e non è improbabile che possa fare una deviazione. Si tiene fuori del campo visivo della Mini. Il segnale lo sta guidando.

Luca allunga una mano per prendere un croissant e beve un sorso d’acqua. Adesso è più sereno stanno puntando verso Grenoble, costeggiando le Alpi ormai da un paio d’ore. Fa una ricerca sugli aeroporti della zona, pubblici oppure privati. Ce ne sono diversi nell’aerea ma potrebbero essercene altri non censiti. È il suo terrore. Se imbarcano Vanessa su un aereo, lui è fregato. ‘D’accordo che il telefono di Van’ si dice Luca, facendo attenzione allo smartphone e alla strada, ‘continua a segnalare la posizione. Ma che me ne faccio?’ La riflessione è amara, mentre tallona la Mini blu.

Sono stato un asino’ pensa Luca, quando vede rallentare il segnale. ‘Non ho capito che Henri era alle nostre costole nel viaggio verso Mentone. Non ho fatto attenzione alle macchine che ci seguivano. Ha avuto buon gioco nel cogliere Van con le braghe in mano’. Sorride, perché mai metafora è stata così reale. Ha compreso il motivo del rallentamento. Sta entrando a Digne-les-Bains. Accelera un po’ per portarsi più vicino. ‘Henri’ riflette Luca, ‘non fa una sosta. Povera Van! Chissà come si lamenterà!’ Ridacchia, pensando a quando era di fianco a lui.

Ringrazia mentalmente Manetta, l’amico hacker per questa app, che permette di essere in collegamento con Vanessa. Senza sarebbe stato in grossa difficoltà. È veramente furba, si dice, facendo attenzione al segnale. Gli ha spiegato che riesce a mantenere in vita la comunicazione per oltre cento ore e anche di più, se la batteria è in buono stato. “Sia Android che IOS sono dei fottuti bastardi” gli ha detto, mentre la installava. “Lavorano solo per Google e Apple e consumano un sacco di energia semplicemente per spiarti. Quando la batteria scende sotto un livello di sicurezza. Diciamo il 25%, l’app iberna il sistema, tenendo in vita solo il kernel, che usa poco o nulla della potenza della batteria. Anche il programma è parco di energia. In questo modo con un livello basso il segnale è vivo per almeno cento ore. Se qualcuno tenta di riattivare il telefono, lo fa solo se è in carica. Altrimenti niet!”

Luca sorride, perché per almeno quattro giorni può inseguire la sua preda. ‘Posso chiedere il tempo residuo’ pensa, mentre addenta un altro croissant, ‘ma non voglio correre rischi’. Si allarma, perché il segnale indica un rallentamento in un’area senza abitazioni. Accelera per avvicinarsi, perché ha lasciato la N85, dirigendosi verso una località sconosciuta. Luca è in fibrillazione, dopo che si era rilassato per il viaggio che procedeva tranquillo. La mappa non dà indicazioni precise. La velocità della Mini è prossima a fermarsi. Segue le indicazioni e si trova pochi minuti dopo di fronte a un viottolo di campagna, che si perde in un bosco. La Mini è ferma adesso.

Che faccio?” dice Luca indeciso se infilare lo stradello in terra battuta oppure spostarsi più avanti e attendere che Henri e Vanessa ripartono. “E se questa fosse la destinazione finale?”

Le Miramonti, 10 marzo 2015 ore otto

Pierre trasporta Vanessa nel garage sulla Mini, prima di passare dalla reception a saldare il conto.

Niente colazione?” chiede il receptionist.

No” risponde secco Pierre. “Abbiamo fretta e siamo in ritardo”.

L’addetto lo guarda strano. Vede solo lui ma ha parlato al plurale. Guarda il registro. È segnato Pierre Martini e signora. ‘Dunque sono in due’ pensa e sta per chiedere dov’è la signora, quando viene preceduto.

È già in macchina che mi aspetta” dice Pierre, che ha intuito le perplessità del receptionist. Non vuole domande scomode e si allontana senza salutare.

Uscito dal garage, punta il navigatore della Mini su Annency con alcuni aggiustamenti.

Pierre, quando ha infilato i pantaloni a Vanessa, ha tastato le tasche alla ricerca del telefono senza trovarlo. Non ha pensato che la ragazza lo tenesse in una custodia di cotone colorata sotto la maglietta poco visibile dall’esterno. Non l’ha perquisita, perché non voleva correre rischi. I suoi capelli rossi le conferiscono una sensualità che colpisce. Pierre non avrebbe resistito dal palpeggiarla, se l’avesse fatto. Una regola del Oak’s Priorate impedisce violenze sessuali. Infrangerla costerebbe caro.

Uno sguardo sommario gli ha detto che non teneva oggetti nascosti. Questo l’aveva tranquillizzato. Aveva abbassato la guardia per fortuna di Vanessa.

Fatto il pieno si è messo sulla strada, seguendo le indicazioni del navigatore col rispetto dei limiti di velocità e con una guida prudente.

La ragazza sembra dormire tranquilla. Pierre ha bloccato i polso di Vanessa al sedile per evitare che faccia gesti inconsulti al momento del risveglio. Stanno viaggiando da oltre due ore, quando lei dà segni di risveglio. ‘Forse ho abbondato con lo spray’ si dice Pierre con un sorriso cattivo. ‘Meglio! Almeno sono stato tranquillo’.

Vanessa ha gli occhi chiusi. La mente pare riemergere da un buco nero, da un sogno in una notte oscura senza stelle né luna. Non riesce a coordinare i pensieri né a comandare i sensi e i muscoli. Avverte in bocca una sensazione di secco come se la lingua fosse disidratata. Le labbra sono riarse, spaccate. Non riesce a comandare l’apertura degli occhi che rimangono incollati alle palpebre. Non è sdraiata come si aspetterebbe ma avverte delle strane oscillazioni, dei sobbalzi. E ripiomba nel limbo di un sogno senza colori e senza immagini.

Poi riprende coscienza. Sbatte le palpebre ferite da una luce improvvisa. Sente una voce. ‘Non è quella di Luca’ riesce a pensare. Prova a muoversi ma qualcosa impedisce alle mani di obbedire ai suoi comandi. Anche il corpo pare imprigionato da qualcosa che la tiene appoggiata a uno schienale. Non realizza dove si trova. Cautamente riapre le palpebre. Una spira di sole le colpiscono, mentre le richiude. Cerca di portare la destra davanti agli occhi ma avverte dolore sul polso. Qualcosa la blocca. Sospira, mentre un piccola fessura consente agli occhi di osservare dove si trova.

Buon giorno, signorina” dice una voce sconosciuta. “Dormito bene?”

Vanessa ruota con lentezza il capo verso quel suono. Inquadra un viso che non è quello di Luca. ‘Quando ho bisogno di lui’ si dice con uno sforzo, che le provoca un dolore alla testa, ‘non c’è mai’.

Richiude gli occhi e cerca di rilassarsi. Intuisce che la situazione non è piacevole. Deve riacquistare un minimo di lucidità, che al momento le manca.

Avverte una strana sensazione tra le cosce. Uno sfregamento che produce dolore. Non comprende il motivo. In compenso avverte la necessità di svuotare la vescica, che pulsa dolorosamente. A causa dei sobbalzi qualche goccia di urina inumidiscono la stoffa. Sono tutte sensazioni strane che non riesce a catalogare. Ha un vuoto nella memoria. Un buco nero che non riesce a riempire. Si affloscia in semi incoscienza. ‘Mi devo rilassare’ pensa Vanessa, riaprendo con cautela le palpebre. ‘Devo riacquistare lucidità’.

Il tatto le indica che le mani appoggiano su un tessuto che assomiglia alla pelle. L’udito percepisce un rumore sordo. Quello di un motore di una macchina. L’olfatto le porta l’odore di una persona profumata. ‘Non è quello di Luca’ si dice, avendo la conferma di avere accanto una persona sconosciuta. L’unico senso che funziona male è il gusto. Ha in bocca un sapore orribile e una sete incredibile. La vista le mostra immagini insolite. Si trova su una macchina nuova, molto meglio del catorcio di Luca. Il paesaggio non lo conosce. Alla sua destra ci sono montagne, alla sua sinistra un fiume. Tuttavia il vero terrore è il profilo dell’uomo che guida. ‘Henri’ pensa, dopo averlo riconosciuto. ‘Come diavolo sono finito con lui?’

Siamo svegli?”

Di nuovo ascolta quella voce mai sentita prima. Finge di non aver sentito. Si lamenta come se stesse sognando. Deve ritrovare il pieno possesso delle sue facoltà. È ancora torpida nella mente. Vorrebbe bere ma l’impellente bisogno di urinare la induce a mentire. Poi comincia a focalizzare i motivi delle sensazioni tra le cosce. ‘Ho i jeans ma non gli slip’ si dice, senza capire il perché. Poi qualche scampolo di memoria la riporta a Mentone, all’albergo. ‘Mi ero tolta jeans e mutandine’ ricorda Vanessa, ‘perché come ora avevo necessità del bagno’. Adesso deve ricucire i ricordi per ricostruire cosa è avvenuto a Mentone.

La mente di Vanessa non è ancora lucida e ripiomba in quel limbo che sta tra la veglia e l’incoscienza. Ancora sogni senza colori, senza immagini senza suoni. Poi riemerge nello stato vigile senza mostrarlo apertamente. ‘Ora ricordo’ si dice Vanessa, tenendo gli occhi chiusi e respirando come se dormisse. ‘Ero in bagno con jeans e slip in mano, quando ho avvertito dei rumori dalla porta della camera. Poi solo buio profondo. Henri mi ha colta di sorpresa e mi ha narcotizzata. Ma dove sono? Dove stiamo andando? Perché Luca non è intervenuto?’ Mentre riflette e ricostruisce gli ultimi momenti prima del grande sonno, avverte nell’incavo del seno il morbido tessuto che tiene il suo Iphone.

Siamo svegli?” dice quella voce, che suona odiosa alle sue orecchie.

Non risponde ma presto dovrà farlo. La necessità di minzione diventa sempre più urgente, mentre avverte nel basso ventre i dolori causati dalla ritenzione dell’urina nella vescica. Sente che sono sempre più labili i comandi di trattenersi. Qualche goccia torna a bagnare i jeans.

Apre gli occhi, che rimangono accecati dalla luce per qualche istante e articola debolmente poche parole.

Dovete fermarvi” implora Vanessa. “Devo fare pipì con grande urgenza”.

Pierre ride. “E se non lo facessi?” dice, rallentando la velocità.

La farei qui dentro. Su questo sedile” replica dura la ragazza.

Pierre scorge a trecento metri un viottolo sulla loro sinistra. Mette fuori la freccia per infilarlo. Si addentra in un bosco abbastanza fitto. Percorre qualche centinaia di metri per occultarsi alla vista dalla N85, prima di fermarsi.

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Non passava giorno – cap. 35

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Eccoci con l’appuntamento con la storia di Laura, Marco, Agnese, Matteo, Sofia e Paolo. Tre ragazzi e tre ragazze che in un modo e nell’altro stanno intrecciando le loro esistenze. Per chi fosse curioso, può leggere la nuova puntata qui su Nuovoorsobianco.
Buon lettura

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Una storia così anonima – parte cinquantaduesima

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Bologna, 1 marzo 1308, ora terza – terzo anno di Clemente V

Pietro è in Strada Maggiore ma non osa avvicinarsi al portone, che pare presidiato da guardie armate. Potrebbe entrare dal cunicolo segreto che dalla magione porta alla cerchia muraria più esterna, la terza. ‘Ma non posso abbandonare il mio fedele bardo’ si dice, allontanandosi senza fretta.

Ha un motivo in più per sfuggire alle guardie: la cassetta che trasporta da Rhedae. ‘Devo custodirla con cura per quando qualcuno non la reclamerà’ si dice Pietro, memore della raccomandazione del cardinale Caetani. Deve trovare un posto sicuro per il bardo e per la cassetta. Ritorna sui suoi passi, verso porta Sant’Isaia che da sul contado.

Riflette, dopo essere uscito dalla palizzata esterna che forma la terza cerchia, verso quale località dirigersi. ‘I possedimenti della magione’, pensa Pietro, mettendo al piccolo trotto il bardo, ‘di certo saranno sotto controllo. Quindi è meglio evitarli. Monte Acuto o Lizzano in Belvedere sono lontani ma sicuri’.

La giornata è fresca e il cielo è pulito. Le montagne sembrano vicine, quasi a portata di mano. Senza fretta Pietro si mette in marcia seguendo il corso del Reno verso la sorgente.

È l’ora nona con la giornata che va verso il tramonto, quando decide di fermarsi a Kainua nella locanda al Marzabòt, che conosce bene. Dopo aver sistemato il bardo, si reca nella piccola chiesa del paese per le funzioni serali. La quiete e il silenzio della cappella lo inducono a restare seduto negli ultimi banchi a riflettere. Si domanda se la sua vita da templare sia stata esemplare oppure no. Ricorda quando nel 1282 il precettore della Lombardia, Guglielmo de Novis lo ha ammesso nell’ordine. Era un giovane di diciannove anni e pieno di speranze per il futuro. Bologna gli è apparsa una metropoli rispetto al paese dove aveva vissuto fino a quel momento, tra Lizzano e Monte Acuto. La frequentazione dello Studio bolognese, dove ha conosciuto Bertrand de Got, il suo attuale papa, Rinaldo da Concoregio, l’arcivescovo di Ravenna e tanti altri, è stata proficua. ‘È stata un’esperienza incredibile’ si dice, osservando il tremolio delle candele. ‘Mi ha permesso d’intrecciare relazioni e rapporti con tutti i potenti fino a diventare il procuratore generale dell’ordine. Per questo sono finito a Paris e lì ho rischiato di rimanere imprigionato’. Il resto è storia recente. Si segna devotamente prima di uscire per tornare alla locanda.

Il mattino successivo al primo albore, consumato un modesto pasto, riprende il cammino verso Lizzano. Quando il torrente Silla si getta nel fiume Reno, Pietro segue questo corso d’acqua, salendo verso la montagna. All’ora nona avvista una costruzione in sasso, una modesta casa di cui conosce il proprietario, Giacomo, da quando era adolescente. ‘Era già anziano allora’ si dice Pietro, bussando alla porta. ‘Sarà ancora in vita?’

Niente è cambiato dai suoi ricordi. Muri a secco, tipici della zona. Piccole finestre chiuse da imposte di legno. Il tetto, ricoperto di ardesia grigia, ricavata dalle cave della zona, è spiovente per far scivolare verso terra la neve, che d’inverno cade copiosa. Un curioso camino tondeggiante. La piccola stalla dove stanno le capre durante il periodo invernale. L’orto, adesso spoglio, nel tratto pianeggiante del prato che circonda la casa.

Dalla porta di ciliegio, inscurita dal tempo, emerge una ragazza. ‘Avrà vent’anni’ pensa Pietro, temendo che il vecchio amico sia morto. Lo sguardo della giovane è stupito. Non si aspetta visite. La persona, che ha bussato, le è sconosciuta. Rimane incerta se chiedere chi è o tornare dentro, serrando la porta.

Sono Pietro Roda, da Monte Acuto” dice il frate, distendendo i lineamenti del viso nel tentativo di apparire amichevole. “Cerco messer Giacomo. Giacomo Ferri”.

Il viso di quel monaco le ispira fiducia ma non si muove dall’ingresso. Non decide cosa rispondere, quando una voce anziana ma ancora forte chiede ‘Chi ha bussato, Lucia?’.

La ragazza si volge verso l’interno. “Nonno, cercano voi. Un frate. Pietro Roda da Monte Acuto” dice senza spostare il corpo dall’uscio.

Fatelo entrare” esclama quella voce possente. “Un vecchio amico che non vedo da oltre vent’anni”.

Muta, Lucia si leva dalla stretta apertura per consentire l’ingresso di Pietro.

Posso legare il mio bardo alla staccionata?” chiede il frate, prima di entrare.

La giovane annuisce. Sembra che abbia perso il dono della parola. Lo guarda affascinata dall’aura che trasmette.

Accendete quel lume” ordina Giacomo alla fanciulla. “Voglio vedere in viso questo amico ritrovato”.

Pietro si avvicina a una sedia, accanto al focolare, che manda gli ultimi bagliori. Osserva il vecchio che nonostante l’età avanzata appare ancora energico. Il viso è lo stesso di tanti anni prima. Rugoso e secco, i capelli bianchi si sono diradati, il corpo pare più minuto. Una coperta di pelli di capra gli copre le gambe.

Commosso Pietro lo abbraccia in silenzio. “Non invecchiate mai” esclama il frate, staccandosi da Giacomo.

Magari” fa l’anziano, il cui occhio si è inumidito. “Lo spirito c’è ma il corpo no. Gli anni mi costringono su questa sedia, quando non sono nel mio giaciglio”.

Lucia taciturna sta in piedi accanto a una tavola rustica, coperta da una tovaglia di canapa. Conoscendo il nonno, trova che la presenza dell’ospite abbia avuto il potere di addolcire la ruvidezza del carattere. ‘Non mi pare che sia così vecchio da frequentarsi in gioventù’ pensa la fanciulla. ‘Potrebbe essere coetaneo di mio padre piuttosto che del nonno’.

Muovetevi” le dice Giacomo con tono ruvido. “Portate una brocca di vino buono, due boccali e qualche fetta di pane di segale. Dobbiamo salutare Pietro”.

Lucia a quell’ordine si muove silenziosa verso la dispensa.

Messer Giacomo” inizia Pietro in modo circospetto, una volta rimasti soli, “ho bisogno del vostro aiuto. Vi affiderei il mio bardo e devo nascondere una cassetta”.

Ne parliamo dopo con calma. Ora raccontiamoci qualcosa” dice Giacomo, scuotendo il capo. “Vi fermate con noi stasera?”

Se voi lo volete” fa Pietro, guardando in viso l’anziano, “sarà un onore per me stare alla vostra tavola”.

Giacomo allunga una mano per stringere il braccio del frate. Sembra ringiovanito di colpo, lasciando sorpresa la nipote che pone la brocca di vino sul tavolo.

Nonno, ecco il vino. È quello delle occasioni speciali” dice la ragazza. “Oltre al pane ho portato del formaggio di capra stagionato”.

Il camino è più alto del pavimento di una fila di mattoni a costituire una pedana. Un’apertura al livello di terra raccoglie le ceneri della legna bruciata. Serviranno per la notte a riscaldare le coperte.

Pietro si siede di fianco al camino con le spalle al fuoco, vicino a Giacomo, mentre Lucia si apposta sull’altro lato. La ragazza ascolta le chiacchiere dei due amici. La giovane è stupita, perché ricorda il nonno come una persona di poche parole. ‘Non ho mai sentito il nonno parlare così fittamente come stasera’ pensa Lucia, senza perdere una parola dei loro discorsi.

Al vespro, col rientro dei genitori, l’atmosfera diventa ancor più calda e nella stanza risuonano voci e risate. Lucia ascolta senza poter intervenire nelle loro conversazioni. Parlano di argomenti sconosciuti, quando lei non era ancora nata.

Lucia” fa il nonno, traendola accanto a lui, “se abbiamo questa solida casa, è tutto merito di Pietro, che ha perorato la nostra causa presso i suoi genitori”.

Lucia è affascinata dal frate, che ha un viso franco e che ispira fiducia. Potrebbe essere suo padre ma giacerebbe volentieri con lui. Lo osserva, lo scruta con attenzione e sente dentro di lei crescere un sentimento. ‘È solo una fantasia di fanciulla’ si dice Lucia, abbassando gli occhi. ‘Però ha trasformato l’atmosfera della casa. Allegra, serena. Sembra che sia entrato un raggio di sole a fugare le nuvole’.

Dopo la frugale cena si radunano intorno al focolare, dove ardono ciocchi di quercia. La stanza è calda, mentre fuori la temperatura è rigida. Il vino caldo riscalda il viso e il cuore di tutti. Solo Lucia e sua madre non bevono, come è usanza da quelle parti.

Lucia, prepara la stanza vicina alla mia, al piano terra” ordina Giacomo, che vuole avere vicino Pietro per la notte.

Subito, nonno” dice la ragazza, avviandosi verso la camera.

Elisa, la madre, la segue per aiutarla. Prende con sé un grosso cero per fare luce. La stanza è polverosa e umida, un ripostiglio dove sono ammassati mobili dismessi e suppellettili vecchie. Un locale di fortuna, usato quando il nonno sta male. Le due donne preparano il letto, tolgono un po’ di ragnatele e mettono nel centro un grosso braciere per riscaldare l’ambiente e togliere umidità. Recuperano un pagliericcio da un armadio e mettono lo scaldino di terracotta nel prete per riscaldare le lenzuola.

È pronta la stanza, nonno” gli annuncia Lucia, sedendosi ancora con la schiena al focolare.

Venite” dice Giacomo, facendosi aiutare dal figlio a camminare. Pietro si mette di fianco al vecchio, che si appoggia sulla sua spalla.

Sistemato Giacomo nel suo letto, il frate si siede di fianco, mentre un grosso cero illumina la camera. Il vecchio mette un dito sulla bocca per suggerire a Pietro di non parlare della sua richiesta.

Ditemi” fa Giacomo, volgendosi verso il frate. “Cosa mi raccontate. Sono passati tanti anni da quando siete partito da queste montagne per la pianura”.

Pietro gli prende la mano rugosa e parla a lungo di quello che ha visto e sentito in tutti quegli anni. I rumori nella casa diventano sempre più flebili, finché non regna il silenzio.

Ora potete dirmi” dice Giacomo in un sussurro, “quello che mi avete chiesto”.

Messere” inizia Pietro, avvicinandosi al volto del vecchio, “devo nascondere una cassetta, di cui ignoro il contenuto. Ma dev’essere prezioso, visto che ho dovuto scansare molti agguati”.

Giacomo annuisce, per suggerire di proseguire.

Poi non so dove mettere il mio bardo” fa Pietro. “La magione è inaccessibile normalmente e perderlo mi dà dispiacere. Spero tra qualche tempo di tornare per recuperare entrambi”.

Giacomo ha il viso ancora più rugoso e pensa alla cassetta. Per il cavallo non c’è problema. La stalla può contenere sia il bardo che le capre. Poi distende il viso. Fa segno a Pietro di avvicinarsi.

Vedete quell’angolo?” dice il vecchio, mentre il frate annuisce. “La quarta pietra dal basso è solo appoggiata. Dietro c’è una cavità. Se la cassetta passa, è il nascondiglio ideale”.

Pietro si avvicina. Tocca la pietra, che estrae dal suo posto. Valuta l’apertura. Gli appare idonea a far passare l’oggetto che tiene sotto la tonaca.

Mentre i due uomini parlottano, Lucia, che fatica a dormire, scende dal letto. Il frate l’ha stregata. Non ha mai visto una persona così affascinante. Apre con cautela la porta, che cigola sinistramente. Si ferma. Ascolta il russare di suo padre e il sonno pesante della madre. Esce dalla sua stanza e scende i gradini di legno che portano al piano terra. Le sembra che facciano un rumore infernale ma forse è solo una sensazione. Col cuore in gola per il timore di essere scoperta sosta in un angolo buio. Intravede la schiena del frate senza comprendere cosa stia facendo. Ascolta dei rumori sordi che il silenzio ingigantisce. Vorrebbe avvicinarsi di più ma il timore di essere vista la paralizza. ‘Cosa sta facendo il templare?’ si chiede immobile, trattenendo il respiro.

Pietro abbraccia Giacomo e si ritira nella sua stanza. Il buio è praticamente totale. Lucia trema sia per la paura che per il freddo. I piedi scalzi sono gelidi. Abitua gli occhi all’oscurità e a tentoni raggiunge la scala, cercando di evitare gli ostacoli. Con la punta del piede nudo urta il gradino. Si morde la lingua per non gridare. Poi col cuore in gola Raggiunge il suo letto, dove si rannicchia sotto le coperte. Trema per il freddo, mentre scivola nel dormiveglia.

La mattina seguente, al primo albore, Pietro è già in piedi. Si inginocchia verso levante per le orazioni del mattino. È in questa posizione, quando Lucia sbircia nella stanza. Rimane a bocca aperta. Non ha mai visto un frate pregare. Ascolta parole che non conosce. Il prevosto parla la loro lingua.

Che fate, Lucia?” dice una voce familiare alle sue spalle. È Elisa, sua madre, che sta andando a preparare la colazione del mattino per tutti.

Ascolto delle preghiere che non conosco” risponde la ragazza, sussultando per lo spavento.

Ma è il Pater Noster” fa la madre, sorridente. “Venite”.

Lucia la segue malvolentieri. Avrebbe voluto rimanere in adorazione del frate. Anche Giacomo viene alzato. Sono tutti riuniti nella grande cucina col fuoco del camino che riscalda la stanza. I genitori di Lucia si preparano per portare le capre nel pascolo, il nonno a trascorrere la giornata in compagnia della nipote nella monotonia di poche parole. La presenza di Pietro ha vivacizzato l’ambiente ma sanno che presto prenderà la strada verso la pianura.

Il frate ringrazia Elisa e suo marito per l’ospitalità ricevuta e li abbraccia con calore.

Non preoccupatevi per il vostro bardo” dice l’uomo. “Sarà trattato come un principe”.

Grazie” replica Pietro, allungando un sacchetto dove risuonano dei bolognini d’argento.

Non li voglio” fa l’uomo, mettendo le mani dietro la schiena.

Tenete” dice il frate, infilando il sacchetto nella cintura del padre di Lucia. “Vi serviranno. Non so quando potrò tornare a riprenderlo”.

Marito e moglie si avviano con le capre. Pietro li osserva, mentre entrano nel bosco, prima di rientrare nella casa.

Partite?” chiede Lucia con l’occhio lucido.

Sì” risponde il frate. “Il tempo di salutare Giacomo e poi mi aspetta un lungo tragitto a piedi”.

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Non passava giorno – cap. 34

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Laura avrebbe voluto prepararsi per la notte lontano dagli sguardi di Marco. Li avvertiva su di sé feroci e determinati, mentre lui muto l’incitava a spogliarsi. Questa sensazione le dava un senso di capogiro, di vergogna. Doveva togliersi gli indumenti con la luce accesa davanti a un uomo. Doveva vedere riflessa la sua immagine nuda nelle ante a specchio del suo armadio. Si fermò, smise e incrociò le braccia. Era rimasta con mutandine e reggiseno.

Mentre Marco con gli occhi la invitava con decisione a proseguire, a Laura venne in mente quel bacio saffico e quelle carezze scambiate con Sofia. Un cambio di prospettiva, che le fece dimenticare il suo stato, la sua ferma intenzione di non togliersi anche quegli ultimi indumenti. ‘Pensavo a un semplice bacio’ si disse Laura, che tornava con la memoria a quegli istanti. ‘Invece ho ricevuto una scarica di ormoni che mi ha indotto a cercare la sua lingua, il suo corpo’. Laura percepì disorientamento, perché amava e desiderava Marco. Ma si scopriva bisex. Si era resa conto che baciare e toccare un’altra donna le dava sensazioni mai provate prima. Aveva sentito il battito del cuore accelerare a ogni carezza, aveva provato un caldo intenso nel viso e corpo. Aveva sperimentato in misura maggiore le stesse emozioni che le donava Marco, quando la baciava, quando la toccava. ‘Non era lui a baciarmi’ pensò, mentre sfilava gli slip meccanicamente. ‘Non era lui a toccarmi ma una donna’. Questo le stava dando disorientamento, una percezione da capogiro ma allo stesso tempo di consapevolezza della propria femminilità.

Marco si era accorto di questo trasporto e l’aveva detto con chiarezza. Non era riuscita tuttavia a distogliere i suoi pensieri da Sofia. Si domandò come avrebbe reagito a queste sensazioni nuove e inaspettate, qualora fossero state loro due sole. Sembrava di rivedere ‘Ho voglia di te‘ con lei al posto di Caterina Vertova ma non era in una fiction televisiva, perché era tutto vero.

A cosa stai pensando?” le chiese Marco, che la stava osservando da qualche minuto, mentre con delicatezza sganciava il reggiseno.

Laura impallidì, rimanendo in silenzio. Si sentì perduta con l’angoscia nel cuore, perché Marco aveva letto una volta di più nel suo pensiero. ‘Non è possibile’ si disse. ‘Non è possibile che lui riesca scoprire quello che nascondo dentro di me’. Doveva operare una scelta. Fingere di non aver capito la domanda o decidere di affrontare con lui questo aspetto inaspettato e sconosciuto della sua sessualità.

Stavo riflettendo sulla serata” esordì Laura. “Ammetto di avere fatto una scenata di gelosia, che a mente fredda giudico sproporzionata alla reale importanza del vostro bacio”.

Marco le prese la mano e la condusse verso il letto, annuendo alle sue parole.

In effetti è probabile che Sofia non si sarebbe trattenuta, se tardavo ad arrivare” disse Laura, arrossendo. Aveva visto riflessi nello specchio i loro corpi nudi. “Adesso la valutazione è più serena e pacata”.

No” la interruppe Marco, mentre con la mano le sfiorava l’incavo del collo. “La colpa non è di Sofia ma mia. Sono stato io la causa di tutto il trambusto. Tu hai avuto tutte le ragioni di questa terra nel fare la scenata. Il mio comportamento è stato indecoroso e inopportuno. Ne sono mortificato. Mi auguro che tu mi abbia perdonato”.

Laura non intendeva riaprire la questione che considerava risolta e sepolta sotto dieci metri di terra. Sorrise e gli diede un bacio a suggello delle sue ultime parole. Aveva deciso di affrontare l’altro episodio, quello tra lei e Sofia. Doveva e voleva far chiarezza dentro di sé per completare l’opera iniziata nel pomeriggio prima dell’arrivo di Sofia.

Non questo episodio, che giudico risolto” disse Laura alla ricerca del tono giusto per affrontare la questione. “È il bacio dato a Sofia, che voglio discutere con te. Mi ha stimolato eroticamente. Ho provato desiderio di lei”.

Marco la guardò, sorridendo. ‘Non c’è necessità che tu lo ribadisca’ pensò, mentre con le labbra le sfiorava il collo.

Ho notato tutto” disse Marco con calma. “Lo stimolo sessuale galleggiava nell’aria in maniera talmente percettibile che avrei potuto afferrarlo con questa mano”.

Fece scattare la mano, come dovesse acchiappare qualcosa d’inesistente nell’aria. Voleva smorzare i toni che stavano salendo d’intensità. Desiderava consentire a Laura di fare outing senza ansie o condizionamenti. Ricordò che il primo pensiero in quegli sitanti fu di sconcerto, perché l’aveva interpretato come un atto di ritorsione nei suoi confronti. Adesso Laura affermava di essere bisex, di avere provato una forte sensazione di stimolo sessuale. La teoria della ripicca non poteva reggere. Quel bacio aveva un’altra spiegazione.

Sia tu che Sofia eravate eccitate e nervose per opposte ragioni” fece Marco dopo una breve pausa. “Le vostre emozioni erano giustificabili per l’atmosfera ambigua che si era generata per causa mia”.

Laura sorrise.

Non capisco” disse la ragazza, “perché a tutti i costi vuoi affermare che è stata colpa tua”.

Marco la baciò con dolcezza dietro la nuca.

Cosa provi?” le chiese.

Laura non rispose ma i suoi occhi brillavano per le sensazioni ricevute. Si strinse a lui, perché aveva compreso che forniva la giustificazione alla sua confessione. ‘Forse’ pensò, ‘ha ragione. È stato solo un momento di sbandamento’.

Marco intuì che le sue parole erano state convincenti.

Allora” scandì Marco, “questo sarà il secondo argomento che affronteremo sotto le lenzuola”.

Si” rispose Laura. “Lo desidero con tutta la forza dell’amore che provo per te”.

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Non passava giorno – cap. 33

Pane casereccio - Foto personale
Pane casereccio – Foto personale

Matteo irritato e nervoso attendeva la telefonata di Sofia, che non arrivava mai. Questo ritardo lo destabilizzava. Con lei si era sintonizzato subito nel rispetto degli orari, perché Sofia era la puntualità in persona. Stasera, no, pensò Matteo, aggrottando la fronte. Aveva congedato Paolo in modo frettoloso per essere libero da impegni ma adesso stava aspettando da troppo tempo. Quando l’orologio segnò mezzanotte e mezza, arrivò la sospirata chiamata.

Ciao” esordì Sofia con naturalezza, senza scusarsi per il ritardo. “Tra quindici minuti sotto casa”.

Sofia non gli diede il tempo di formulare un qualsiasi pensiero, perché aveva già chiuso la conversazione.

Matteo, in fibrillazione per l’attesa prolungata, si innervosì ulteriormente per il comportamento dispotico di Sofia. ‘Se crede che sia il suo zerbino’ si disse furibondo, ‘si sbaglia di grosso. Se non fosse stato per Paolo, a quest’ora sarei nel mio letto a dormire’.

Meditò di mandare all’aria l’incontro programmato. Una sfuriata, una fiammata d’orgoglio l’assalì. ‘Avrei anche potuto accettare la telefonata oltre l’orario concordato’ pensò. ‘Quello, che non ho gradito, è stato il tono sbrigativo e arrogante della conversazione’. Poi prevalse l’idea di trascorrere con lei la notte e lasciò cadere l’idea di tornare a casa. Era seccato, perché da tempo Sofia non assomigliava a quella conosciuta inizialmente. Questa sera era il momento adatto per chiarire, perché la relazione stava prendendo una piega che non gli piaceva.

Sofia intravide tra luci fugaci e precarie ombre il viso di Matteo che parcheggiava. Col tono di comando l’obbligò a salire sulla sua macchina. Sarebbero entrati in casa direttamente dal box. Matteo continuò a ribollire come mosto nel tino, mentre Sofia rifletteva sulla serata appena trascorsa. Sembrava essersi dimenticata della presenza di Matteo che aspettava l’apertura della portiera.

‘Non so che cosa mi ha preso stasera’ si disse Sofia assorta, dimenticandosi di Matteo fuori dell’auto. ‘Prima quel bacio appassionato con Marco, poi quello con Laura’. Avvertiva ancora il sapore delle labbra di Marco. Senza l’arrivo provvidenziale di Laura si sarebbe spogliata e avrebbe fatto all’amore con lui. Ridendo, pensò che non c’era molto da togliere, perché sarebbe stata sufficiente alzare la mini e i giochi sarebbero stati fatti. L’aspetto più inquietante e inaspettato era stato il bacio con Laura e le relative carezze intime. Per la prima volta le capitava di baciare una donna sulle labbra ma la sensazione provata era stata fortissima. La vampata di calore, che aveva avvolto il suo corpo, era stata del tutto incontrollata, percependo la necessità di ricambiare le attenzioni.

L’insistente e impaziente picchiettare di Matteo, sempre più stizzito, sul vetro della portiera interruppe il flusso dei pensieri.

Sofia si riscosse, scacciò dalla mente quanto stava pensando. Si concentrò su Matteo. Doveva farsi perdonare il comportamento tenuto. In questo ultimo periodo si identificava troppo con le sue idee e le sue opinioni. Inoltre era incline alla lite. Un parere contrario al suo diventava un affronto personale. Era tenere sotto controllo questo aspetto della sua personalità, che aveva manifestato più volte con Matteo in precedenza e anche stasera.

Sapeva che non sarebbe stato facile rabbonirlo, perché era stata prepotente, sfrontata e poco disponibile al dialogo. Percepiva di essere stata indisponente oltre misura. Questo lato della sua personalità aveva sopraffatto quello che la vedeva innamorata e affettuosa. In preda all’ansia una sensazione di turbamento la prese all’improvviso in modo incontrollato.

Doveva tenere sotto controllo le sue emozioni, senza reprimerle, perché sarebbero come tappare un vulcano pronto all’esplosione. Doveva avere uno sguardo più equilibrato e realistico sulla sua vita di relazione.

Al di là del vetro il viso contratto di un Matteo mostrava irritazione, mentre chiedeva di salire in macchina. Con un sorriso, per nulla forzato, lo fece accomodare nell’auto. Matteo non ricambiò e si sistemò sul sedile senza dire una parola. Il suo umore peggiorava e non era disponibile a ulteriori sgarbi.

I due amanti erano finalmente vicini, mentre la notte prometteva scintille, come una barra di ferro fresata.

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Non passava giorno – Cap. 34

Adesso è il turno di Laura e di Marco a parlare. Se siete curiosi di leggere, la nuova puntata la trovate qui su Nuovoorsobianco
Buona lettura

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Una storia così anonima – parte cinquantaunesima

foto personale
foto personale

Mentone, 10 marzo 2015, ore due

Il Samsung S5, acquistato poche ore prima, emette un suono lacerante che sveglia Luca. Il ragazzo si è disteso sul divano vestito e si alza intorpidito e alquanto infreddolito. Blocca la suoneria, si stiracchia pigramente, mentre sbadiglia senza mettere la mano davanti alla bocca, da bravo maleducato. Controlla il vecchio smartphone. Il segnale è sempre fermo a Tende, indicando un hotel: Le Miramonti. Un segnale forte e preciso, che lampeggia dalle undici e quaranta.

Buon segno’ pensa Luca. ‘Se la mia ipotesi è giusta, Henri non si è preso nemmeno la preoccupazione di controllare Vanessa. Adesso viene la parte più delicata’.

Deve uscire dall’albergo, fingendo di essere in due. ‘Ci riuscirò?’ pensa il ragazzo, che si sta rinfrescando il viso. Dà una sistemata ai jeans e alla polo per rendersi presentabile.

Scende nella hall e si fa aprire la porta di uscita.

Partiamo” dice al receptionist di notte, un uomo di colore. “Prendo la macchina e carico il bagaglio. La mia compagna scende tra un poco. Sa come sono le donne… sempre in ritardo”.

Ridacchia, mentre si avvia verso la porta a vetri. Dopo una decina di minuti è di ritorno, parcheggiando la vettura davanti all’ingresso. Sale a recuperare il bagaglio. ‘Adesso viene la parte più complicata’ si dice Luca.

Van” fa il ragazzo, parlando a un’immaginaria persona non visibile dalla reception. “Tu sali in macchina, mentre chiedo alcune informazioni al signore”.

Il receptionist allunga il collo, perché non vede nessuno e non sente risposta. Luca si mette in una posizione per occultare parte della porta.

Mi potrebbe indicare la strada più breve per Sospell?” dice Luca, dispiegando sul bancone una carta stradale dettagliata.

L’uomo col dito indica la via da intraprendere. “Prendete la Porte de France fino al Casino Barrière Menton. Qui inizia la Route de Sospell” fa l’uomo. “Non potete sbagliarvi”.

Dunque” dice Luca per distrarlo ulteriormente. “Se ho capito bene. Devo girare la macchina verso il mare. Prendere quella larghissima strada che incrocia questo corso verso Montecarlo. Percorrerla tutta fino al Casino e da lì infilare la via per Sospell’.

Sì,” annuisce il receptionist, “ha capito perfettamente. Ma non avete il navigatore in macchina?”

No” risponde Luca abbassando gli occhi, come a vergognarsi di non possedere questo strumento. “L’auto è vecchia”.

Ma ne vendono anche di portatili” suggerisce il receptionist.

Sì, ha ragione” replica Luca, “ma spendere dei soldi per un rottame come quello non vale la pena”.

“Bon voyage, messieursdice l’uomo. “Volete un caffè, prima di partire?”

Luca scuote il capo per diniego.

Lei è già in macchina. Siamo in ritardo sulla tabella di marcia” fa Luca con un vago cenno verso la vettura parcheggiata in modo da essere poco visibile dall’interno. “Dovevamo essere in viaggio alle due. Le donne non sono mai pronte all’ora giusta”.

Già” conferma il receptionist, salutando con la mano.

Velocemente Luca si allontana, uscendo in strada per salire sulla vettura. Infila i bagagli sul sedile posteriore. Si muove con calma per non suscitare la curiosità del portiere di notte. Sarebbe un guaio se uscisse in strada. Senza fretta inverte la direzione di marcia e sparisce alla vista dell’uomo.

Bravo, vecchio” dice Luca, battendosi con la mano sulla spalla. “Hai sbagliato mestiere. Dovevi fare l’attore”. Ride, mentre cerca un posto per fare una sosta. Deve prendere dalla sua borsa il nuovo smartphone e il computer con relativa chiavetta.

Trova una piazzola e compie l’operazione. Sistema su due supporti gli smartphone e mette il computer sul sedile del passeggero. Punta il navigatore su Sospell, mentre dall’altro ha la traccia del percorso dell’Iphone di Vanessa. Sul computer controlla che tipo di albergo è Le Miramonti. Adesso è pronto per iniziare la caccia.

Non devo avere fretta’ si dice Luca, ‘perché non so bene come è la situazione. Tende non dista molti chilometri. In un paio d’ore sono lì’.

Infilata la via per Sospell, il ragazzo guida con prudenza. Non conosce le strade e inoltre c’è buio.

Alle quattro e mezza è a Tende. Il segnale è sempre forte e fisso. Luca posteggia poco oltre l’albergo. Infila un giubbotto pesante e scende alla ricerca della Mini. I numeri della targa sono nitidi nella mente. Nei dintorni non c’è traccia. ‘Forse l’ha messa nel garage dell’hotel’ riflette, mentre ritorna in macchina a controllare sul computer. ‘E se per caso avesse messo il telefono di Van su un’altra auto?’

Adesso il dubbio c’è. Torna fuori a ispezionare le auto in sosta. Tutte targhe francesi. ‘No’ si dice Luca, scuotendo il capo. ‘L’unica ipotesi è che abbia messo la macchina nel garage dell’hotel’. Controlla l’ora. Sono già le cinque. Tra non molto dovrebbe albeggiare.

Le Miramonti, chambre six, 10 marzo 2015, ore tre

Vanessa apre gli occhi senza vedere nulla. La mente è intorpidita. I riflessi spenti. Prova a girarsi su un lato senza riuscirci. Non ci fa caso, perché ha un vuoto dentro di sé. Non capisce dove si trova senza allarmarsi. Naviga in un mondo che non riconosce, né conosce. Tenta di dire “Luca” ma non ode nessun suono. Poi lentamente sprofonda di nuovo in un sonno buio e oscuro. Non ci sono immagini, solo la percezione di estraneità dal presente.

Pierre russa e fatica a respirare. È stanco. Da troppo tempo la tensione dell’incarico prevale sul riposo.

Si ritrova a Oak Island, un’isola canadese della Nova Scotia nella baia di Mahone. Un isola di un centinaio di acri, ricoperta di querce e prati. Nessuno vi può accedere senza il permesso del Gran Maestro. Porta con lui la ragazza. Sogghigna. “Parla, stronzetta” le dice Pierre. Lei scuote il capo in segno di diniego. “Beh!” fa con un sorriso ironico. “Parlerai comunque”. E la strattona verso un edificio in mattoni, che si erge sul punto più alto dell’isola. Appena undici metri sul livello del mare. Una costruzione singolare che assomiglia al Tempio di Parigi. Quattro torrioni ai quattro angoli, tutti di altezza differente. Sembra un castello visto dall’esterno. Un prato verde smeraldo circonda il tutto. Niente alberi ma solo erba ben curata.

Vanessa si guarda intorno. “È inutile” le dice Pierre con un sorriso storto e antipatico. “Il tuo ragazzo non potrà salvarti questa volta. Parla e finirai in fretta le tue sofferenze”.

Varcano un portone di legno di quercia. L’androne è illuminato da torce a petrolio, che gettano ombre sinistre sul pavimento. “Cammina” le intima Pierre, stringendole il braccio. È ansioso di ripagarla per i profondi graffi sulla guancia, che ancora adesso bruciano per il dolore.

Percorrono un largo corridoio abbastanza oscuro e poi scendono verso il basso. Si sente il rumore della risacca, mentre le pareti gocciolano per l’umidità. Vanessa ha un brivido. È vestita leggera, come d’estate. Lo sguardo vaga ora a destra, ora a sinistra, mentre Pierre continua a trascinarla di malagrazia per un braccio.

Sei in trappola!” le dice l’uomo, mentre apre una porta di noce scuro.

La stanza è ampia e male illuminata. Sembra un museo della tortura medioevale. Strumenti, che hanno riempito le fantasie crudeli di quell’epoca, sono appesi alle pareti. Nel centro Vanessa osserva oggetti del tutto sconosciuti. Rabbrividisce ma stringe le labbra.

Parla. Sei ancora in tempo” le sussurra maligno in un orecchio.

La ragazza fa un cenno di diniego. Non sa perché si trovi lì.

Dunque vuoi fare la smorfiosa?” insiste Pierre, che si sta eccitando. Osserva in giro. Sono tutti strumenti terribili. Stende Vanessa su un tavolaccio, pieno di macchie scure. Lega braccia e gambe, prima di andare alla ricerca di un arnese per incuterle paura. Dalla parete stacca un oggetto metallico.

Vedi questo?” le dice Pierre, mostrandolo allo sguardo terrorizzato di Vanessa. “Si chiama pera”.

Ride in modo isterico, mentre le mostra il funzionamento del meccanismo. Quattro ali si allargano man mano che ruota una chiave.

Hai visto?” fa Pierre, mentre stacca dalla parete qualcos’altro, una specie di pinza con degli aculei. Ritorna da Vanessa, mostrando una dentatura non perfetta. “La pera te la infilo nella vagina e poi…”. Una nuova risata stridula risuona nello stanzone buio.

Vanessa vorrebbe muoversi ma le corde glielo impediscono.

Ti agiti! Ma non puoi fare nulla. Solo parlare” le dice Pierre, mettendole davanti al viso una specie di attizzatoio con quattro punte acuminate. “No, questo non serve. Hai due perine acerbe al posto del seno”.

Pierre continua la sua macabra danza, finché non sente del trambusto. Si volta verso la porta e vede il Gran Maestro.

Che fate?” gli dice l’uomo.

La faccio parlare” risponde Pierre.

Ha parlato?”

No, fino a questo momento” replica Pierre, facendo cadere con fragore gli strumenti che tiene in mano.

E non parlerà” fa il Gran Maestro. “Liberatela e conducetela nel mio studio”.

Pierre ha una smorfia di disappunto. Gli sta togliendo il gusto della vendetta. Obbedisce e porta Vanessa nelle stanze del Gran Maestro.

Sente una porta sbattere e si sveglia. Si alza col busto per osservare Vanessa, che pare ancora sotto l’effetto dello spray. Controlla l’ora con lo smartphone. ‘Sono quasi le sette’ si dice, sollevandosi in piedi. ‘Tra poco farò colazione e poi riprenderemo il viaggio’.

Il Gran Maestro si è infuriato’ sussurra appena Pierre, ripensando alla telefonata della sera precedente, ‘quando ha conosciuto dove mi sono fermato’.

Felice di avere catturato la ragazza l’ha chiamato per comunicargli la notizia.

Da lì, puoi andare solo in Italia” ha urlato, quando ha conosciuto il luogo della sosta. “Se il ragazzo ha fatto denuncia, ti prendono subito”.

Ma non esiste più la dogana” ha protestato flebilmente Pierre.

Non importa” ha replicato il Gran Maestro. “Raggiungi Annency, rimanendo in Francia. Lì un jet privato vi porterà a Oak Island”.

Apre le imposte per osservare il tempo. Nuvole basse coprono le vette circostanti. Non minaccia neve ma avrebbe preferito una giornata limpida. Non riconosce Luca, che sta camminando sul marciapiede opposto.

Chiama la reception per la colazione in camera. Quando la cameriera vedrà la ragazza ancora a letto, darà maggior forza alla bugia che dovrà dire per forza. Deve giustificare la non presenza nella hall del suo ostaggio, perché la porterà direttamente in macchina.

Sente Vanessa lamentarsi e muoversi come se si stesse risvegliando dopo un’anestesia totale. Lei si umetta le labbra secche, borbotta parole intellegibili, apre gli occhi e li richiude subito come se la luce la ferisca. Pierre è tranquillo. Le ha tolto il bavaglio e le manette. Le spruzza un altro po’ di spray. ‘Non troppo’ si dice Pierre. Apre le finestre per areare la stanza e togliere quel sapore dolciastro dell’anestetico dall’aria. Il respiro della ragazza è tornato regolare come se dormisse profondamente.

Tra un’ora si sveglierà’ pensa Pierre, ‘ma sarà in macchina e non si saranno problemi’. Prima di partire farà il pieno alla Mini, una tappa in un negozio di alimentari e poi un’unica tirata fino ad Annency.

Sono seicento chilometri circa per otto ore di viaggio’ gli suggerisce il navigatore. ‘Una bella maratona’.

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Non passava giorno – cap. 33

Questa volta è il turno di Sofia e Matteo. Se volete leggere cosa fanno passate su Nuovoorsobianco.
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Zipepecchia, caos Liberty o altro ancora?

Tramonto - Foto personale
Tramonto – Foto personale

Zipepecchia col suo Caos Liberty ha avuto la sventurata o meravigliosa idea di pensare a me per qualcosa che ho compreso poco. ma visto che era simpatico ho pensato bene – o male a vostra discrezione – di proseguire il giochino.
Vediamo in soldoni cosa si tratta. Innanzitutto si partecipa e non si vince nulla. Ottimo e abbondante, così non devo nemmeno imprecare contro la malasorte. Poi hai il libero arbitrio di poter scegliere. Meraviglioso. Ma procediamo con ordine.
Vi sono due liste di regole da eseguire per chi partecipa, ognuno è libero di scegliere quali delle due effettuare, io ho optato per la prima:) Tanto la seconda non mi piaceva per niente. E poi se qualcuno legge il post il commento non lo lascia di certo.
La prima regola

  • Ringraziare le persone che ci hanno nominato;
  • Rispondere alle 10 domande da loro proposte;
  • Scrivere 10 nuove domande;
  • Nominare altri 10 blog;
  • Comunicare ai blog scelti la nomina con un commento sotto un loro post

La seconda regola

  • Lasciare un commento a questo post;
  • Seguire il blog di Bamboo Road e quello di Neogrigio;
  • Rispondete alle 11 domande da me formulate per voi e taggatemi in modo da leggere le vostre risposte;
  • Formulate 11 ulteriori domande a vostra scelta a cui dovranno rispondere i vostri nominati;
  • Nominate 11 blog e avvisateli;
  • Inserire nel post il distintivo del Liebster Award.

Uffa! Cominciamo la solita trafila.
I ringraziamenti  a Zipepecchia a modo mio glieli ho gia fatti. Però se non fosse chiaro scrivo

GRAZIE

Più chiaro di così…

Vediamo le 10 domande, che in realtà sono undici – Ma nella regola 1 era indicato 10. Evidentemente Zipepecchia è cresciuta –

Comunque bando alle polemiche, ecco le dieci, pardon undici, bubbole a cui devo rispondere.

  1. Se hai visto il film “La grande bellezza”, dimmi ciò che ti ha trasmesso, ciò che hai captato all’interno del film e le sensazioni che hai provato guardandolo.

Non l’ho visto. Mi riservo il diritto di non rispondere.

  1. Preferisci il dolce o il salato?

Dolce o salto, per me pari sono.

  1. Ti è mai capitato/capita di addormentarmi mentre dici una preghiera?

Come no! Tutte le sere!

  1. Quali sono i ricordi più stretti che hai con tuo nonno/a?

Bella domanda. Ero talmente piccolo che non ricordo nulla. Va bene?

  1. Vorresti essere sepolto o cremato? Se cremato, dove vorresti che fossero “gettate” le tue ceneri?

Cremato, cremato. Così sto in poco spazio. Gettare? Giammai! Non vedo il motivo di sprecare tre o quattrocento euro nell’urna e poi gettarla nel rusco. Sono venale?

  1. Perché scrivi?

Oh, bella! Sai che non ci avevo pensato. Fammi pensare? La maestra mi ha imposto di scrivere. Prima le aste, poi le lettere, infine i temi. Ho provato a dire che preferivo far di conto ma vi è andata male. Ho continuato a scrivere.

  1. Hai un sogno o un qualcosa o una persona che saresti voluta/o diventare e per vari motivi non hai potuto realizzarlo/ti?

Sogni? Ho un cassetto pieno. Domani al mercato ne provo smerciare qualcuno. Sarà dura. Una persona? No. nessuna invidia. Mi basta e avanza quello che sono. Qualcosa? Mica sono un dipinto o una statua!

  1. Cosa significano per te spensieratezza, libertà, felicità?

Chi mi conosce ha capito tutto. Comunque per il popolino spiego essere in pace con la propria coscienza.

  1. Se vincessi €500.000 ne daresti la metà o addirittura tutti a chi ne ha più bisogno di te?

Meglio di no! Perderei il sonno. Tutti che vorrebbero piluccare qualcosa. Se anche li donossi a chi ne ha bisogno più di me, avrei comunque la fila alla porta. Dunque, grazie ma non vinco nulla – tanto non ho mai vinto nemmeno al Gratta e Vinci-

  1. Se potessi essere un animale, quale vorresti essere?

Please? Un animale? Non basto io?

  1. Perché mi stai dando retta e se mi segui sul mio blog, perché lo fai? Rispondete senza peli sulla lingua.

Peli sulla lingua non ne ho. La barba, quella sì, che non mi faccio da una vita. primo cara Zipepecchia non ti dò retta. Ci mancherebbe altro! Non sapevo nemmeno che tu esistessi. Seguo il tuo blog? Non mi pare. Vedi la frase precedente. Se ripassi tra qualche tempo, forse posso rispondere all’undicesima domanda.
Stremato, mi fermo qui. E le dieci domande? Un’altra volta. Per i dieci blog da nominare farei un torto al resto del mondo. Dunque non mi sforzo nemmeno.
PS la foto non è nuova ma il tramonto delle idee ci sta tutto.

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Non passava giorno – cap. 32

Mangiarono senza troppe chiacchiere come se avessero paura di ripescare i fantasmi che con tanta difficoltà avevano confinato altrove.

Liberata la tavola, si sistemarono comodamente sul divano pronti ad affrontare argomenti e racconti, domande e risposte, quesiti e interrogativi in un clima pacificato.

Marco, sistemato in mezzo a Laura e Sofia, le teneva abbracciate. Aveva percepito che il bacio di conciliazione era stato qualcosa di più. Come se avessero trasmesso l’un l’altra un messaggio saffico. Era rimasto imbarazzato, perché non avrebbe immaginato di vivere una simile situazione. Nel contempo si era stupito. Non tanto per il gesto che visti i tempi potrebbe apparire normale ma perché non aveva mai ravvisato queste tendenze nelle due ragazze.

Mentre lui era impegnato a decifrare il loro comportamento, Sofia chiese senza troppe perifrasi a Marco le motivazioni per le quali aveva lasciato Laura.

Non capisco” disse la ragazza, guardandolo in viso, “i motivi per i quali hai rotto con Laura. Percepisco che esiste tuttora un grande e sincero amore tra voi”.

Laura conosceva le risposte, perché ne avevano parlato a lungo nel pomeriggio. Non diede segnali d’irritazione, mentre si preparava ad ascoltare le spiegazioni. Il suo viso era disteso, senza una ruga.

Marco rimase in silenzio, mentre osservò prima Sofia, poi Laura. Voleva essere chiaro nell’esposizione per non creare dei nuovi equivoci.

Ho vissuto fino a venti anni a Ferrara, una piccola città di provincia, dove i piedi e la bicicletta sono il mezzo di trasporto più usato” scandì con lentezza Marco. “È una città sonnolenta e pigra dai ritmi lenti. Qui ci si muove senza frenesia”.

Il ragazzo fece una pausa. Laura non mutò espressione. Nessuna ruga le increspò la fronte.

Di sicuro’ riconobbe Sofia, ‘questo ha modellato il tuo carattere, come un vestito cucito su misura’.

Marco sorrise alla battuta della ragazza. In effetti era proprio vero che questi ritmi di vita erano nel suo patrimonio genetico.

Giunto a Milano, mi sono sentito fuori posto. Ma allo stesso tempo stimolato dalle novità dell’ambiente” proseguì Marco. “Ero proiettato in un’altra dimensione esistenziale. Un mondo differente che si muoveva frenetico, di corsa. Nei primi momenti la curiosità di esplorare un ambito diverso dall’abituale, la ricchezza di offerte e di svaghi mi hanno colpito e in qualche misura attratto. I cambiamenti mi hanno fornito la spinta ad analizzare con attenzione un ambiente differente rispetto ai primi vent’anni della mia vita. La crescita e la maturazione del mio carattere avrebbe potuto essere, nel bene e nel male, positiva”.

Le due ragazze lo ascoltavano con attenzione, annuendo ai vari passaggi. Marco si fermò per qualche secondo. Doveva cercare di formulare il proprio pensiero con maggiore precisione.

Superato il primo impatto, tutto sommato stimolante, mi si è presentato un problema. La difficoltà di accettare i cambiamenti” disse Marco, riprendendo il filo del discorso. ”Sono entrato in crisi. Sono mancati quelle piccole certezze alle quali ero abituato. I punti di riferimento, ai quali ero avvezzo. Mi sentivo fuori posto, incapace di seguire ritmi così incalzanti e frenetici. Sarei sicuramente tornato a casa, se non avessi incontrato Laura e quel gruppo di persone eccezionali, che la frequentavano. Per me avrebbe rappresentato una sconfitta, se non ci fosse stato lo stimolo della laurea da conseguire in fretta”.

Si interruppe per osservare Laura, che si sistemava più vicino, mentre percepiva chiaramente il calore che trasmetteva.

Laura è stata in cima alla piramide per il sostegno, per l’amore che mi ha dato con sincerità” aggiunse, volgendo lo sguardo verso di lei. “Un gradino immediatamente più in basso è stato il gruppo, che mi ha aiutato e sostenuto a vincere la malinconia delle radici”.

Ricordava con piacere quanto fosse stata disinteressata la loro amicizia.

Senza di loro” concluse Marco, “non ho un’idea di cosa sarebbe successo”.

Nella stanza si udivano solo i loro respiri. La voce di Marco era incrinata dall’emozione nel ripercorrere quegli anni.

Si, Laura è stata la mia scialuppa di salvataggio, il mio faro di riferimento” disse Marco, abbracciandola. “Non so come ringraziarla. L’ho amata allora, l’amo tuttora e l’amerò domani, anche se saremo lontani”.

Percepì che le doveva molto di più di quanto non riusciva a trasmettere con le parole.

Però di una cosa sono conscio. I miei interessi e i miei desideri possono essere in contrasto coi suoi” affermò Marco. “Questo condurrà al disaccordo tra noi”.

Laura sussultò a queste parole, mentre Sofia sgranò gli occhi per la sorpresa.

Avrei dovuto mantenere distacco senza coinvolgerla. Ma non ci sono riuscito” proseguì. “La verità è che sono incapace di adattarmi a una vita diversa da quella immaginata. Nessuna intenzione d’imporre a Laura la mia volontà ma mi sarei opposto, se ella avesse tentato di fermarmi in ciò che desideravo fare. Dopo la laurea avevo tre possibili scenari: Laura si trasferiva a Ferrara, io restavo a Milano oppure tornavo a Ferrara, rinunciando a lei”.

Marco si fermò in attesa di obiezioni che non arrivarono.

Nessuna delle tre opzioni presenta dei pro che bilancino i contro. La prima non è percorribile, perché significa per Laura seppellirsi in un ambiente lontano anni luce da quello nel quale ha vissuto da sempre. Con in più altre problematiche, come la difficoltà di trovare un lavoro soddisfacente. Con grande fatica ho trovato un posto dopo otto mesi di ricerche a Bologna. Quale futuro avrei potuto riservarle, a parte il mio amore? La seconda mi avrebbe consentito di starle accanto, come la prima. Non avremmo avuto difficoltà a trovare ottimi posti di lavoro per entrambi”.

Marco, per rimarcare l’ultima affermazione, accennò al posto sicuro e interessante, che era disponibile il giorno seguente la laurea.

Ma aspiravo a quello che ho sempre desiderato” disse. “Tornare a Ferrara. Vivere a Milano per me sarebbe stato un inferno, un supplizio, al quale sarei sopravvissuto solo qualche mese. Rimaneva percorribile solo la terza soluzione, che avrebbe causato dolore a entrambi. Il tempo, le attività quotidiane sarebbero state in grado di lenire prima e guarire poi le ferite. Non avevo altra scelta” disse a conclusione del lungo monologo. “Quella dell’addio”.

Sofia, rimasta silenziosa durante il suo racconto, l’osservò stupita, vedendolo accanto a Laura.

Hai forse cambiato idea?” gli chiese.

Marco la guardò sorpreso e infastidito.

Se non l’amassi, ora sarei con Agnese anziché con Laura”.

Agnese?” esclamò Sofia basita, sentendo un nome sconosciuto della cui esistenza ignorava tutto. “Chi è?”

Marco riassunse in breve la storia di Agnese. “Ora sono qui a godere della vostra compagnia. Domani sarà un altro giorno. Al momento vivo alla giornata”.

Sofia stava replicando ma lui la interruppe.

Ho sentito di un audace domatore” disse Marco con un sorriso ironico. “A lui è riuscita l’impresa di domare la tigre. E’ vero?”

Veramente la tigre ha ingabbiato il domatore” affermò Sofia, ridendo di gusto. “Appeso alle mie labbra, lo faccio saltare attraverso il cerchio di fuoco allo schiocco delle dita”.

L’atmosfera era mutata. Le due ragazze non mostravano più segni d’interesse tra loro. Guardavano Marco, che polarizzava la loro attenzione. La conversazione proseguì su altri argomenti, finché Sofia non lesse l’ora. Si alzò di scatto dal divano.

Accidenti!” esclamò contrita ma allegra. “Ho promesso a Matteo di vederci alle undici. E’ mezzanotte passata. Non l’ho ancora chiamato! Sarà furibondo, perché non ama aspettare, come me. Ciao!”

Si” disse Laura con un tono algido, “è meglio che tu divida il tuo letto con Matteo, mentre io mi occuperò di Marco”.

Salutata Sofia, le augurarono una felice nottata.

Finalmente erano soli. Si abbracciarono teneramente.

Iniziarono i preparativi per la notte che li aspettava.

Marco pretese che la preparazione venisse eseguita insieme, nonostante le proteste di Laura.

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