E così Tararabundidee …

foto personale
foto personale

Ringrazio Tararabundidee perché ha avuto la grande sensibilità di farmi partecipe a Tag Quote Challenge.

Le regole per partecipare sono :

tre giorni

tre blog candidati al giorno

tre citazioni

Però io sono sempre un po’ birichino, quando mi taggano. Tre giorni sono troppi chiedo lo sconto. Tre citazioni… e dove le pesco? Ma i tre blog candidati, quelli no. Ve li risparmio.

Quindi oggi sarebbe il giorno 1- one per gli english –

Ho spremuto le meningi con scarsi risultati. Si sa che le rape non danno sangue. E io sono una rapa.

Come citazione funziona? No. Peccato, perché mi era venuta bene.

Allora murble, murble…e se rimando a domani, quello che dovevo fare stasera?

Nemmeno questa? Uffa, che pignoli che siete.

E mo’ vediamo. Cosa? Non lo so ma intanto vediamo poi vi dirò. Mi sa che ci vuole la gatta col suo zampino. Sì, sì! Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. E sissignori, provate a mettere un dito mentre taglio delle fette di lardo di Colonnata e poi mi raccontate i risultati al Pronto Soccorso.

Vedo una mana alzata. Che vuole?… Non funziona? Ebbene per stasera ho finito le munizioni. Quella signora ripassi domani. Forse ha maggior fortuna di leggere tre citazioni.

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Una storia così anonima – parte cinquantanovesima

Cauneo, 10 marzo 2015 – ore 18

Affrontano la lunga salita del Col de Larche tra due imponenti ali di neve. Il valico è stato riaperto da poche settimane. Rivoli di acqua come minuscoli torrentelli attraversano la strada. Il tempo pare che voglia volgere al brutto. Il sole è coperto da una nuvolaglia grigia.

“Dove siamo?” chiede Vanessa, che è rimasta in silenzio, impegnata a umettarsi le labbra.

“In Francia” replica secco Luca, senza muovere un muscolo della faccia.

“Grazie per informazione” fa Vanessa, stirando le labbra in un sorriso amaro.

“Se il navigatore non sbaglia” dice Luca, indicando il vecchio Galaxy inserito nel suo supporto, “tra una decina di chilometri siamo in Italia”.

“Ma questi tornanti non finiscono mai?” domanda Vanessa con lo sguardo opaco e lo stomaco sotto sopra.

Luca sorride, perché immagina che nello stato, in cui si trova, non deve essere semplice resistere ai conati di vomito. ‘Purtroppo fino al valico è in pratica impossibile fermarsi’ pensa. Guida con dolcezza, cercando di non accentuare le curve. Stanno correndo tra due muri di neve alti un paio di metri, mentre grossi TIR scendono a valle. ‘Molto spettacolare in altre condizioni’ si dice, ‘ma Van non può apprezzare la bellezza dei luoghi’. Sa che in pochi minuti sarebbero in cima al valico ma tiene un’andatura moderata per mitigare il senso di mal d’auto della ragazza.

Si ferma al termine della salita per far rifiatare Vanessa, che è terrea in volto. Gli occhi sono spenti, acquosi e il rosso dei capelli opaco. L’aria fresca dei quasi duemila metri le dà un po’ di ristoro. Camminano tra cumuli di neve sporca, mentre due camion di passaggio lasciano dietro di loro una puzza di nafta che stimola il vomito della ragazza. Provano a entrare nel locale, anche se Luca immagina che l’odore di chiuso non avrà effetti migliori per lei.

Come previsto la ragazza esce di corsa. ‘Meglio fuori e sentire il puzzo dei motori surriscaldati’ si dice, ‘che l’odore di stantio, di sudore e di mangiare del locale’. Cammina un po’ goffamente, perché la mancanza delle mutandine si fa sentire. Aveva sperato di mettersele nei servizi della baita ma sarebbe una missione impossibile resistere al chiuso.

Luca vede di fianco al bancone una bottiglia d’acqua minerale italiana, Sant’Anna, e la compra. ‘Lo so che Van proprio non sopporta la Evian’ pensa, mentre paga, ‘ma in Francia c’è solo quella in pratica’.

“Ripartiamo oppure preferisci restare all’aria aperta ancora un po’?” fa Luca, prendendola sotto braccio.

Vanessa mugola qualcosa d’indefinito ma punta verso la macchina. Sono quasi le diciassette e la luce tende ad affievolirsi. “Meglio mettersi in moto” dice la ragazza col volto bianco per il malessere.

“D’accordo” fa Luca, aprendo le portiere. È preoccupato nel vederla ridotta a uno straccio. La fronte è corrugata e le labbra sono serrate.

Luca guida con prudenza nell’affrontare la discesa per nulla agevole, neppure migliore della salita. Prende le curve con dolcezza. Usa i freni solo quando è strettamente necessario o incrocia quegli articolati che salgono verso il valico emettendo pennacchi di fumo nero a ogni sgasata. Vanessa lo guarda in silenzio, perché ha capito che Luca sta usando tutte le precauzioni per non farla sentire peggio. Ha aperto la nuova bottiglia e continua a umettarsi le labbra. Scendono a valle. Alle diciotto entrano in Cuneo.

“Dove alloggiamo?” chiede Vanessa, che sta sognando un bagno e un letto.

“Credevo che lo sapessi tu” fa Luca ironico per strapparle un sorriso.

“Non cambi mai” dice la ragazza, scuotendo i riccioli rossi.

“E perché dovrei cambiare?” replica il ragazzo con una smorfia che dovrebbe mostrare gioia. “Cerca un Hotel. Purché sia in centro”.

Vanessa ride con gli occhi. “Per caso è una metropoli?”

“No” dice col viso serio delle grandi occasioni Luca. “Ma in centro è meglio”.

La ragazza scuote la testa. Cerca qualcosa. Le piace un palazzo storico. “Favoloso!” esclama.

“Favoloso?” chiede spalancando gli occhi Luca.

“Stavo leggendo” replica Vanessa, che pare avere ritrovato un po’ di buon umore.

“Bene. Prenota. Tra pochi minuti ci siamo” conclude Luca.

Si fermano davanti a una vecchia costruzione dove campeggia una insegna luminosa. Luca storce il naso. L’esterno non promette nulla di buono. Parcheggia nelle vicinanze. Nessun segnale di divieto di sosta. Dunque è buono.

“I signori Felici” dice Luca alla receptionist, una bionda ossigenata. “Abbiamo appena prenotato”.

La ragazza controlla ma scuote il capo. “È sicuro?” chiede con gentilezza.

“Ma certamente” afferma Luca, mentre Vanessa è distratta a osservare gli interni in stile classico. “Ha telefonato cinque minuti fa”.

“Ho solo una signora Vanessa Medici” replica la receptionist.

“Proprio quella” esclama Luca con un largo sorriso sulla bocca. “Si diverte a dare il nome da ragazza”.

“Ah!” è l’unico suono che esce. Prende una chiave e l’allunga a Luca. “Secondo piano. L’ascensore è vicino alle scale”.

“Grazie” fa Luca, mentre recupera Vanessa.

Saliti in camera, Vanessa si spoglia completamente e si fa una doccia.

“Mangi o saltiamo la cena?” dice Luca, che saggia il letto. La notte precedente ha dormito su un divano e per poche ore. Non ha molto appetito ma aspetta una risposta da Vanessa.

“Dici che mi farà male?” chiede la ragazza con l’asciugamano a mo’ di turbante sulla testa e nient’altro.

“Sei deliziosa” dice Luca, che la osserva con occhio lascivo.

“Non mi incanti” risponde Vanessa, che è alla ricerca di un intimo pulito. “Non farti cattive idee e rispondi alla mia domanda”.

“D’accordo” fa il ragazzo, che riflette. ‘Un riso bollito e qualche verdura cotta non dovrebbe procurare sconquassi’ riflette prima di rispondere.

“Direi di no. Penso che qualcosa di leggero possa andare bene” dice Luca. “Mi faccio una doccia anch’io. Puzzo come un caprone. Poi cerchiamo una trattoria vicina”.

“Ma ho visto che c’è il ristorante interno” obietta Vanessa.

“Okay” concorda Luca, senza nessuna voglia di discutere. La stanchezza sta scendendo implacabile.

Consumato un pasto leggero, tornano in camera. Sono distrutti e desiderano solo dormire.

Decidono di fermarsi anche il giorno successivo per riprendersi. Ripartiranno dopo avere smaltito stress e adrenalina. Allegri si mettono sulla via di casa. Dopo tre settimane di pellegrinaggi in giro per la Francia avvertono la nostalgia delle loro case.

“Ti accompagno a casa” dice Luca, entrando in Bologna. Sono quasi le diciotto.

“Non ti fermi a mangiare una pizza con me?” gli chiede Vanessa con gli occhi che dicono ‘e poi stai a dormire da me’.

Dopo aver condiviso il letto con Luca durante viaggio nella terra dei Franchi, stasera preferisce averlo accanto. Le dà sicurezza. La paura di Henri non è ancora svanita. ‘Tutto sommato’ si dice sospirando, ‘è stato come compagno di letto molto meglio di tanti altri’.

“Mi fa piacere” risponde Luca, che anche lui non ha voglia di passare la serata da solo. “Allora parcheggio bene e ti aiuto col bagaglio”.

“Vuoi lasciare il tuo in macchina?” fa Vanessa con gli occhi dolci.

Luca sorride. Ha capito al volo l’affermazione. “No, di certo. Non si sa mai che lo rubino” dice col viso disteso da angioletto.

Abbracciati come due amanti, salgono in casa di Vanessa senza tanta voglia di uscire. Una pizza express può andare bene.

Entrati, Luca controlla con minuziosa attenzione l’appartamento. Non vuole avere sorprese. Per il momento tace.

“Ma il tesoro dei templari?” fa Vanessa, che è accasciata sul divano, mentre Luca arieggia la casa.

“Cosa?” replica il ragazzo, fingendo di non aver capito. “Il tesoro? Chissà dov’è finito! Però sarei curioso di conoscere il contenuto della famosa cassetta di Pietro”.

“Domani andiamo a Lizzano a controllare” dice Vanessa con gli occhi chiusi.

“Domani?” esclama Luca, spalancando le palpebre per la sorpresa. ‘Ha ancora voglia di avventure?’ si dice il ragazzo, scuotendo la testa. ‘Non le sono bastate tre settimane?’

“Domani dormirò tutto il giorno” conclude Luca. “E poi prima ci dobbiamo sbarazzare di Henri”.

Vanessa si alza in piedi, mentre con lo sguardo percorre la stanza.

“Tranqui, Van” fa Luca con un sorriso maligno. “Tra un po’ sloggia”.

Dignes-le-bains, 10 marzo 2015 ore quindici

Pierre ha telefonato al Gran Maestro e ha ancora le orecchie assordate per le urla che ha sentito. ‘Così infuriato’ pensa, mentre assiste al montaggio delle due ruote posteriori della Mini, ‘non l’ho mai percepito. Di solito non alza la voce. Parla pacato, anche quando è arrabbiato. Ma prima era fuori sé. Se avesse potuto mi avrebbe strangolato. Poi quella chiusa al tuo arrivo a Oak Island facciamo i conti, mi ha messo i brividi’.

L’unico modo è recuperare la cassetta di Pietro e portargli i due ragazzi. ‘Mica impresa da poco’ conviene, mentre riparte verso Nizza. ‘Due personaggi da prendere con le pinze. Pieni di risorse e d’inventiva. Li aspetterò sotto casa a Bologna’.

Guida fino a notte inoltrata e si apposta nelle vicinanze. Dopo due giorni di attesa paziente li vede arrivare. ‘Finalmente’ sospira Pierre. ‘Aspetterò il buio per entrare in azione’.

Sta mangiando un panino e bevendo una birra, quando sente picchiettare sul vetro. Sono due carabinieri. Uno armato di mitraglietta. Abbassa il finestrino. “Dite” afferma Pierre cortese in un italiano da straniero.

“Scenda” dice uno dei due. “Con le mani bene in vista”.

Pierre è sorpreso. Non capisce il motivo ma fa come gli hanno ordinato. Si guarda intorno smarrito e alza gli occhi verso una finestra. Un viso beffardo lo saluta, mentre viene caricato sull’Alfa blu dei carabinieri.

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17lastella mi ha giocato un bello scherzo.

l'immagine non è mia :D
l’immagine non è mia 😀

17lastella ha avuto una brillante idea: taggarmi per farsi un sol boccone di me. Vedrò di rendergli la vita difficile. Ho una pelle coriacea, anche se mi mette in pentola a bollire per un giorno intero.

Ma procediamo con ordine.

Le Regole – quelle non possono mancare:

  • Usare l’immagine del Tag

  • citare l’inventore del Tag (bloody ivy)e ringraziare chi vi ha nominato.

  • Trovare e illustrare brevemente:
    Una cosa che si legge (un libro, con la copertina o con un disegno in copertina dove quel colore prevalga)
    Una cosa che si indossa (capi di abbigliamento, collane, borsa, giacca, trucco…),
    Una cosa che si mangia/beve

  • Chi non riesce a trovare le 3 cose di quel colore verrà acchiappato dalla Strega!!!
    I Blogger nominati acquistano il ruolo della Strega
    (o dello Stregone) e, con la frase STREGA COMANDA COLORE, scelgono il colore a chi linkano nel Tag.

Dal sito bloodyivy.it

Quella l’ho fatto. Copiata l’immagine e inserita nel post.
Citare l’inventore. Presto fatto. È bloodyivy la prima strega. L’ultima è 17lastella, che ringrazio per la gentilezza che mi ha riservato.
Fin qui me la sono cavata bene. Ma adesso viene il difficile. Il lilla non è il mio colore. Fosse stato il giallo, il rosso, l’azzurro, il verde ma il lilla proprio no. proprio non ci siamo.

Una cosa che si legge (un libro, con la copertina o con un disegno in copertina dove quel colore prevalga)

Cosa sto leggendo? Questo ma la copertina è di tutti altri colori.

I tre cunicoli - carteaceo
I tre cunicoli – carteaceo

Cominciamo male. Il viola non va bene? No? Peccato ma non ho nessuna copertina viola. Un fiore? Nemmeno quello? Uffa che hai proprio con me! Eureka! Nella copertina de La rivoluzione dei templari di Simonetta Cerrini c’è una traccia di lilla. Non ci credette? Provate a vedere qui. Fra l’altro è anche in lettura.
La rivoluzione dei templari - Simonetta Cerrini
La rivoluzione dei templari – Simonetta Cerrini

particolare della copertina col lilla
particolare della copertina col lilla

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Primo bucato asciugato con fatica – il sole manca e in casa il riscaldamento è spento.

Una cosa che si indossa (capi di abbigliamento, collane, borsa, giacca, trucco…),

Mi volete proprio morto! Non porto collane, né borse e nemmeno mi trucco – basto al naturale e rendo anche piuttosto male -. Una giacca lilla? Ma per chi mi avete preso? E va bene, se proprio ci tenete… indosso dei calzoni che una volta erano viola ma sudore e lavaggi li hanno sbiaditi e tendono al lilla. Non va bene? Il convento passa solo quello. O accettate oppure va bene lo stesso. Mi sa che mi sono giocata la testa. Nessuna fotografia per pura decenza 😀

Una cosa che si mangia/beve

Beh qui getto la spugna. Mangiare o bere qualcosa di lilla…puah! Giammai! Va bene anche un’etichetta? No? Ma quanto siete pignoli! Dite che l’etichetta non si mangia o non si beve? E lo so ma nel contenitore ci sta qualcosa di commestibile. Lilla, lilla… delle mie brame chi è il più grosso salame? Io, naturalmente! E così finisce ingloriosamente la mia avventura.

Visto che sarà pappato dalla strega, è inutile taggare qualche altro incauto.

Per il colore lascio a voi la scelta.

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Una storia così anonima – parte cinquantottesima

foto personale
foto personale

Fiume Reno, 31 gennaio 1310 – ora sesta anno quinto di Clemente V

Pietro sta camminando da diverse ore sotto una copiosa nevicata. Non sa con precisione se è sulla strada giusta per l’appuntamento con Domenico ma la fede lo spinge a proseguire nel suo cammino. Le indicazioni sono state vaghe. ‘Troverete un capanno non molto grande andando verso la sorgente. È posta su un’ansa del fiume. Non potete sbagliarvi’. Aveva detto Tonio, l’unico servitore rimasto nella magione. Il frate ripensa a quelle parole ma non è detto che la direzione sia quella corretta.

‘Ma il fiume è il Reno?’ si chiede, riparandosi gli occhi dagli aghi pungenti dei fiocchi nevosi con una mano. Il cappuccio lo ripara ma il viso è esposto al vento e alla neve. Pietro si domanda con quale mezzo andrà verso Lizzano. Il tempo inclemente non favorisce gli spostamenti ma ha fiducia nella sua guida, che conoscerà presto. Almeno questa è la sua speranza. Mentre prosegue la marcia, ripensa agli avvenimenti degli ultimi due anni.

‘È stato un periodo burrascoso quello trascorso’ si dice Pietro, liberando con la mano il viso dalla neve. ‘Quel frate domenicano…’ e si interrompe un attimo. Non vuole pronunciare il suo nome, perché avverte crescere la collera dentro di sé. ‘Ci ha reso la vita dura. Non abbiamo potuto contare sulle nostre proprietà. Ha ostacolato i rifornimenti. Di fatto ci ha messo in prigione’. Pietro si ferma e dice qualche orazione. I pensieri lo hanno fatto peccare e si deve mondare, se vuole godere dell’appoggio di Gesù e di Maria Maddalena.

Riprende a camminare. La neve ha quasi smesso di scendere ma il cielo è latteo e il frate affonda per circa un piede nella coltre bianca. Ci sono solo le sue impronte sul terreno dietro di sé, mentre davanti il manto nevoso è intatto.

‘Fino a settembre dell’anno appena trascorso siamo stati sotto il giogo dell’inquisitore’ ricorda Pietro. ‘Poi la situazione è cambiata. Rinaldo da Concoregio, il nostro arcivescovo, ha assunto il comando, consentendo un miglioramento del nostro status’.

Mentre sta riflettendo su questo, gli pare di scorgere in lontananza tra gli sterpi imbiancati una costruzione scura. ‘È il capanno?’ si chiede, fermandosi un attimo per mettere a fuoco quell’immagine. Si inginocchia verso levante per ringraziare Gesù e Maria Maddalena per l’aiuto ricevuto. Riprende il cammino con maggiore lena, dopo essersi scrollato mantello dalla neve.

Un nuovo dubbio lo assale ma lo scaccia subito. ‘Devo avere fede’ si dice, accelerando il passo. Non ha un’idea da quanto tempo è in marcia. ‘Potrebbe essere l’ora terza come la sesta’ pensa Pietro. Il capanno appare come un miraggio. Pare essere lì a portata di mano ma non si avvicina mai. Il fiume sembra un serpente in preda alle convulsioni.

Il cielo si schiarisce e non nevica più. Bussa alla porta per annunciarsi.

“Avanti” dice una voce dall’interno.

Pietro non riesce a quantificare l’età della persona. Entra in un ambiente gelido, appena mitigato da un misero braciere.

“Pensavo” fa un uomo dalla barba folta, avvolto in una pelle di agnello, “che avesse rinunciato, visto le condizioni del tempo. Stavo per andarmene”.

“Sono desolato” esordisce Pietro. “Ho pensato più volte di essermi perso. Il cielo coperto e la tempesta di neve mi hanno impedito di arrivare più in fretta”.

Domenico spegne il fuoco, immergendolo nella neve.

“Andiamo” dice, avviandosi verso la campagna.

“Dove?” chiede il frate, che non ha compreso dove si stanno dirigendo.

“A casa mia” fa Domenico, scendendo con prudenza dall’argine. “Stasera stiamo al coperto. Domani di buon ora si parte”.

Pietro segue in silenzio la sua guida. Attraversato un boschetto spoglio ma carico di neve, vede una costruzione bassa in muratura dal comignolo della quale esce un filo di fumo bianco. Tutto intorno un bianco candore immacolato.

“Bianca” urla Domenico, entrando in androne buio. Si toglie la neve dalle calzature, battendole contro un supporto di ferro. “Siamo arrivati. Prepara qualcosa di caldo. Siamo infreddoliti”.

Pietro lo segue ma prima si toglie il mantello incrostato di ghiaccio. La cucina è accogliente con il suo tepore. Sul focolare sta una pignatta. L’ambiente è ordinato. Un tavolo rustico, qualche sedia di legno, un canterano semplice in ciliegio, dove si conserva la legna, una madia in un angolo. Una donna sfiorita mescola il contenuto della pentola.

Domenico si siede vicino al tavolo e fa cenno a Pietro di fare altrettanto. Da una brocca sbeccata si versa in un boccale di terracotta del vino, che tracanna tutto d’un fiato. Poi taglia da una forma al centro del tavolo un pezzo di pane nero di segale, che mette intero in bocca, masticando rumorosamente.

“Ho fame, Bianca” dice Domenico con la bocca piena, mentre qualche frammento di pane scivola sul petto.

Pietro lo guarda allibito. In un attimo ha bevuto un boccale di vino. Ha ingurgitato un pezzo di pane enorme e adesso chiede a gran voce qualcosa d’altro da mangiare. Lui aspetta una scodella di zuppa di verdure, che sta bollendo sul fuoco.

La donna si affretta a portare in tavola del formaggio di capra stagionato e una caraffa di vino caldo, due ciotole lucide e due boccali di stagno. Pietro prende un pezzo di formaggio e si versa due dita di vino caldo, che profuma di spezie.

Domenico ride vedendo il frate che non mangia nulla e beve pochissimo. Lui non si fa pregare per finire tutto. Fuori è calato in fretta il buio. Il freddo fa gelare la neve caduta.

Al primo albore Domenico e Pietro si mettono in viaggio su un carro coperto da un telo di canapa, trainato da un bue. Procede lento e fatica a salire, perché il freddo della notte ha trasformato la neve in ghiaccio e le zampe dell’animale tendono a scivolare.

“Ci metteremo diversi giorni” esordisce Domenico, sollecitando la bestia, che fuma per freddo, “e non sarà una passeggiata”.

“Non ho fretta” mente Pietro che avrebbe voluto essere già tra i suoi monti ad abbracciare Giacomo e Lucia. “Ci metteremo tutto il tempo che serve”.

La lenta andatura, il silenzio della natura ricoperta dalla neve invogliano il frate a riflettere sugli ultimi avvenimenti. Rinaldo da Concoregio è stato ospite della magione per due mesi. Il tempo per svolgere il concilio bolognese su di loro. La tensione si è allentata in quel periodo, perché l’inquisitore è stato meno asfissiante. Le vettovaglie erano più abbondanti, i controlli meno pignoli. Loro potevano muoversi con maggiore libertà. Così quando un messo papale gli ha portato la notizia che avrebbe dovuto mettersi in cammino per raggiungere Paris e difendere i confratelli imprigionati, ha potuto organizzare il viaggio con maggior tranquillità.

Il vescovo nel lasciare la commenda ha dato ordine che venga fornito per tutti, compreso Tonio, il domestico, beni e denaro, affinché possano avere una vita dignitosa. L’inquisitore si era opposto ma ha dovuto cedere. Pietro aveva conosciuto Rinaldo ai tempi dello Studio bolognese. Il ricordo dell’antica amicizia gli aveva permesso di parlare liberamente durante il soggiorno presso la loro domus. Pietro è convinto che anche senza questa conoscenza Rinaldo si sarebbe dimostrato umano e comprensivo verso di loro. Durante le lunghe sere di veglia avevano discusso di quello che era successo in Francia e di riflesso in Lombardia. Erano giunti alla conclusione che Filippo IV, il Bello, aveva commesso un sopruso ma Bertrand de Got, il loro papa, si era dimostrato troppo arrendevole. Loro si sentivano impotenti di fronte a questi avvenimenti. Tuttavia Rinaldo non ha voluto calcare la mano come Tascherio, l’inquisitore, aveva preteso.

Il viaggio dura una settimana, perché la neve e il ghiaccio impediscono una marcia più spedita.

Il sette febbraio Pietro bussa alla porta della casa di Giacomo. Anche questa volta Lucia viene ad aprire il portone. È vestita di scuro, coi capelli raccolti a crocchia. Non ha il viso allegro di quando era partito due anni prima. Pietro intuisce che Giacomo non c’è più.

“Frate Pietro!” esclama la ragazza che sorride alla sua vista. “Attendevo con impazienza il vostro arrivo”.

Li fa entrare, mentre chiama i genitore. “È arrivato Pietro!”

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Non passava giorno – cap. 40

I tre cunicoli - su swashwords
I tre cunicoli – su swashwords

Agnese era stremata, quando riemerse dal sonno agitato, pieno d’incubi sgradevoli e di sogni piacevoli.

Apri gli occhi impastati dal lungo dormire, chiedendosi se il sole fosse già sorto o stesse sorgendo, poiché dalle imposte filtrava una timida lama di luce che fendeva le pareti.

Sperava che una bella giornata le avrebbe consentito di fare un giro in bicicletta col vento fresco in faccia. Ne avvertiva la necessità, dopo avere trascorso il giorno precedente in tensione per quello che le avrebbe riservato il futuro.

Lo stress per la lunga contesa con Giulio, risolta positivamente da poco, le faceva percepire tutta la stanchezza accumulata negli ultimi mesi. Poi c’era il timore di udire la voce di Marco, che le annunciava che rinunciava a uscire con lei. Sarebbe stato il colpo di grazia.

Questi pensieri la deprimeva ma riascoltando con la mente la telefonata del giorno prima, l’intuito femminile le suggeriva che Marco avrebbe mantenuto la promessa. Tuttavia non si sentiva tranquilla, perché aleggiava dentro di lei la paura di essere stata ingannata dall’intuizione.

I pensieri discordanti avrebbero potuto produrre effetti opposti, ai quali avrebbe dovuto prestare attenzione. Da un lato incoraggiavano un comportamento prudente e negativo, dall’altro le emozioni acquistavano un impeto al quale sarebbe stato difficile resistere col rischio di cocenti delusioni.

È meglio alzarsi e pensare ad altro’ si disse, mentre lo stomaco reclamava qualcosa per saziare la fame, ‘piuttosto che rimanere nel letto a rimuginare su timori e speranze’.

Si affacciò sulla finestra della cucina, osservando come il sole illuminava il giardino di sbieco. Sottili ombre, quasi fossero modelle in sfilata sulla passerella, si allungavano sul prato e sul muro. Respirò rumorosamente, mentre si stiracchiò e pensò: ‘Mi devo sbrigare, se voglio essere di ritorno per mezzogiorno, pronta per un pomeriggio di shopping’.

Aveva intenzione andare in città per un acquisto rimandato più volte ma diventato urgente come il desiderio d’incontrare Marco.

Lasciata la finestra aperta, preparò il caffè, che l’avrebbe svegliata completamente e poi via di corsa in bicicletta.

Paolo aprì gli occhi con le mani intorpidite e si domandò perché fosse sulla scrivania a dormire anziché nel letto. Era turbato, vedendo le luci accese e lo screensaver attivo. Non ricordava nulla della notte o meglio di come l’aveva passata. Osservava le immagini scorrere, dissolversi, salire e discendere in un caleidoscopio di forme che apparivano e sparivano.

La notte stellata’ gli comparve innanzi gli occhi ancora gonfi di sonno. Era il quadro di Van Gogh che gli piaceva di più in assoluto. Gli suscitava inquietudine e commozione vedere quelle pennellate di nero e di blu notte interrotte da macchie di colore giallo, che sembravano muoversi, animarsi sotto la spinta della fantasia. Ogni volta si ripeteva la magia: si fermava incantato a guardare.

Aveva dimenticato nel sonno mattutino le inquietudini della sera, Laura e i tormenti dell’amore.

Cosa faccio di fronte al computer?’ si disse, aggrottando la fronte. ‘Perché non sono a letto?’ Era simile al viandante che, dopo aver camminato tutta la notte, rimaneva abbagliato dal sorgere del sole.

Non ricordava quali attività avesse svolto prima di addormentarsi davanti al computer. Forse aveva letto la posta oppure no. Forse aveva navigato alla ricerca di qualcosa che non rammentava. Poi riemerse dalle nebbie del non ricordo, mentre uno alla volta gli tornarono alla mente tutti i pensieri che l’avevano accompagnato dal giorno precedente. Capì che doveva mantenere in equilibrio sogno e realtà. Il sogno era conquistare l’amore di Laura, la realtà era che lei si negava. Non reputava facile conciliare questi aspetti che erano in antitesi tra loro.

Guardò l’orologio e decise che era giunta l’ora di dare la sveglia a Matteo.

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Non passava giorno – cap. 39

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Sofia e Matteo stanchi ma appagati intuirono che tra loro c’era qualcosa che andava ben oltre il rapporto fisico.

Sofia, dicevi che da Laura hai provato qualcosa d’inaspettato. Cosa è stato?” chiese Matteo con la voce leggermente in affanno.

Non so da dove cominciare,” rispose stringendosi ancora di più a lui “mi sento confusa. Proverò a raccontare”.

Sofia iniziò il racconto della serata a casa di Laura. Marco, il suo ex, era comparso all’improvviso e inaspettatamente e l’aveva salutata con un bacio sulle labbra, che le aveva fatto perdere la testa.

A dire il vero, non è stato il primo da quando l’ho conosciuto. Sei anni fa. Ma quello ha avuto il potere di scatenare dentro di me una libido del tutto imprevedibile e incontrollabile”.

Sofia cercò di spiegare il messaggio erotico, che aveva percepito. Una sensazione, che non riusciva a descrivere compiutamente.

Non essere geloso, Matteo!” aggiunse seria, perché aveva notato che i suoi muscoli si erano contratti all’improvviso.

Non essere geloso!” ripeté Sofia con vigore, prima di riprendere il discorso.

Non aveva mai provato nulla per Marco ma nemmeno lui aveva dimostrato interessamento nei suoi confronti.

Per me è stata una reazione puramente ormonale” disse Sofia, mentre si stringeva a Matteo. “Che avessi gli ormoni in subbuglio, questo era pacifico. Infatti, quando Laura dopo una violenta scenata di gelosia mi ha dato un bacio pacificatore, ho percepito la necessità di toccarla, di baciarla. Ma quello che mi ha messo in apprensione, è stato il piacere intenso che ho provato nel fare questo”.

Sofia rivide la scena del contatto con Laura.

Ho percepito” continuò la ragazza, avvertendo un brivido lungo la schiena, “che la presenza di Marco non aveva nessuna importanza. L’istante, durante il quale ho messo la mano sul suo sesso, è un ricordo nitido. Ancora adesso provo un piacere inaspettato e mai provato prima”.

Matteo si distaccò da Sofia nell’ascoltare le sue parole.

In quel momento ho sentito la necessità di avere il contatto fisico con un’altra donna” proseguì Sofia nel rievocare quelle sensazioni, ignorando le reazioni di Matteo. “Marco ha intuito che l’atmosfera era diventata torbida ma è stato in grado con molta abilità di spezzarla”.

Ma poi?” chiese Matteo, che si era rilassato dopo l’istintivo irrigidimento iniziale.

Nulla” rispose Sofia. “Il resto della serata è filato liscio senza altri incidenti sessuali, in allegria. Ora ho un peso nella mente. Posso amare un’altra donna o desiderare avere con lei un rapporto?”

Matteo rimase in silenzio, come se non avesse argomenti da illustrare, mentre a Sofia il dubbio era rimasto. In una qualche misura gli avvenimenti della serata avevano lasciato un segno tangibile dentro di lei, anche se provava un senso di sollievo per essere riuscita a parlarne con Matteo.

Dopo un primo accenno di gelosia, Matteo si era rilassato nell’ascoltare quella confessione appassionata e sincera.

L’ex di Laura è da lei?” domandò Matteo incredulo ma interessato. “Avevo capito che fosse scappato al suo paesello. Forse ci ha ripensato?”

No” replicò Sofia, “nessun ripensamento. Glielo ho chiesto esplicitamente. Ti posso assicurare che oggi tornerà a Ferrara. Difficilmente lo vedremmo a Milano”.

Dopo una breve pausa per baciare Matteo, Sofia riprese il suo racconto.

Marco” proseguì Sofia, “ama troppo il suo mondo provinciale e ristretto per adattarsi ai ritmi di Milano. Non riuscirebbe a reggere lo stress”.

Ma Laura potrebbe trasferirsi a Ferrara” argomentò Matteo, che era deciso a conoscere a fondo tutta la situazione.

Non ti preoccupare” replicò Sofia, che aveva intuito il motivo del suo interessamento. “Laura non si trasferirà mai a Ferrara. Per lei significherebbe una regressione sia professionale che personale. Non credo che Marco farà nulla per convincerla, perché ha troppo rispetto e affetto per insistere”.

Pensi” le chiese Matteo, “che Laura dimenticherà Marco?”

Non saprei” rispose Sofia. “Personalmente dubito che Laura riuscirà in futuro a sostituirlo con un altro uomo. Salvo che non abbia le stesse attenzioni e la sensibilità di Marco”.

Matteo stava per chiedere ancora qualcosa, quando Sofia lo gelò con lo sguardo.

Ti ho posto una domanda inerente a me” disse un po’ scocciata Sofia da quella lunga divagazione fuori programma. “Non intendevo discutere su Laura e Marco”.

Matteo, che non aveva nessuna spiegazione psicologica sul comportamento di Sofia, liquidò in fretta l’argomento.

Forse sei stata colta alla sprovvista da quel bacio, quando le tue difese erano più vulnerabili” le disse Matteo, soddisfatto per le informazioni ricevute. “Hai provato un piacere effimero, passeggero, visto il fuoco che hai!”

L’abbracciò ridendo.

Sofia non ritenne sufficiente la risposta ma preferì non insistere. Aveva compreso che con Matteo non sarebbe stato in grado di portare avanti la riflessione sul suo comportamento da Laura.

Si abbandonò tra le sue braccia

Ne parlerò con Laura o con Marco, se lo rivedo prima della partenza’ pensò Sofia, abbracciando con passione Matteo.

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Una storia così anonima – parte cinquantasettesima

Crostata di fichi del mio giardino con fiori - Foto personale
Crostata di fichi del mio giardino con fiori – Foto personale

Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici

Pierre si muove con furia ma si ritrova col viso nella polvere e la pelle graffiata dal roveto. Qualcosa è finito tra le sue gambe. Un ramo? Un arbusto? Non riesce a decifrarlo subito, né gli importa in questo momento. Sente strappare i pantaloni mentre le spine gli graffiano il polpaccio. Avverte dolore e impedimento. Bestemmia, appoggia le mani sul terreno che avverte umido e maleodorante.

“Porca miseria” esterna Pierre, che ha capito di essere finito sull’urina di Vanessa.

Nuove esternazioni poco educate contro la ragazza. L’ira gli fa perdere il controllo dei nervi. Schifato si alza in piedi e si pulisce nei pantaloni. Non ha tempo da perdere, se vuole riacciuffare la fuggitiva.

“Dove pensa di andare, quella puttana?” sbotta irato, mentre riprende la corsa.

Sente il rumore di un auto. Gli viene il dubbio che sia corsa verso la Mini e l’abbia messa in moto. ‘La chiave è rimasta inserita’ pensa Pierre, preso dall’affanno. ‘Se fosse vero, sarebbe un bel guaio’. Si ferma per guardare in direzione della Mini, che intravvede tra gli alberi. Tira un sospiro di sollievo, subito represso.

“Ma è il rumore di un motore!” esclama Pierre, che intuisce che non si tratta della sua auto. Un dubbio lo assale. “Il suo compagno?”

Scuote la testa, correndo verso la sua auto. Non riesce a comprendere come quel diavolo possa essere arrivato fino lì. ‘Non può avermi seguito’ pensa, colto dal dubbio che la ragazza avesse un dispositivo per segnalare la sua presenza. ‘Non poteva di certo immaginare dove fossi e dove ero diretto’. Rinuncia a proseguire l’inseguimento e si fionda verso la Mini. Con un calcio chiude la portiera lato passeggero e inizia la retromarcia per mettersi all’inseguimento.

Avverte qualcosa di strano nel retrotreno. La macchina sbanda vistosamente. Accelera ma è costretto a correggere bruscamente col volante la direzione di marcia.

“Che cazzo ha!” esclama inviperito, mentre procede a zig zag, rischiando più volte di finire contro un albero. Un altro colpo di gas e una nuova sbandata. L’occhio cade sullo sterrato, perché sente degli strani tonfi sotto la macchina. Nota dei pezzi di copertone tra la polvere sollevata dalle ruote.

Nuova bestemmia e nuova imprecazione da scaricatore di porto. Si ferma e scende per controllare. Il battistrada non esiste più ma è disseminato alle sue spalle. Il cerchione posteriore destro è deformato. Fine della corsa. È impossibile proseguire in quello stato. Imprecando contro Dio, i Santi e la Madonna, cambia la ruota. Ormai sa che i due fuggitivi sono imprendibili.

“Non solo” esclama Pierre col volto rosso, congestionato dall’ira. “Ma non ho neppure un’idea della direzione che hanno preso”.

La logica gli suggerisce che hanno puntato verso la costa, dove comode e scorrevoli strade li porteranno in Italia. Tuttavia il vantaggio è incolmabile, salvo che non voglia rischiare multe e sequestro dell’auto. Sa dove abitano e questo gli è sufficiente.

Adesso ha un altro pensiero. Deve avvertire il Gran Maestro che la preda è fuggita. L’appuntamento ad Annency è saltato. Inutile andarci. Gli vengono i brividi al solo pensare che dovrà spiegare che è stata colpa sua, perché non l’ha perquisita, non ha preso nessuna precauzione. Ha dimenticato le più elementari regole sulle sicurezza. Si è comportato da grosso ingenuo, convinto che nessuno avrebbe saputo mettere un po’ di sale sulla sua coda. Una tragica sottovalutazione delle loro capacità d’interagire e di soccorrersi.

“Ma che cazzo poteva avere indosso?” dice Pierre, avviandosi verso la N85. Non riesce proprio a immaginarlo.

Si dirige verso Nizza, rifacendo il percorso all’incontrario rispetto alla mattina. ‘Punto verso Bologna’ pensa Pierre, tenendo un’andatura regolare e prudente. Alla prima città importante si deve procurare una nuova ruota di scorta. ‘Sarebbe imprudente affrontare questo lungo viaggio senza’.

Dopo una decina di minuti decide di chiamare il Gran Maestro per informarlo della situazione. Ha già commesso troppi sbagli nel passato. Un nuovo passo falso è da evitare. ‘Alla prima piazzola o spiazzo mi fermo’ si dice, mentre ne avvista una a circa trecento metri.

Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici

Vanessa corre a perdifiato verso il punto indicato con gli occhi da Luca. Il suo arrivo è stato provvidenziale, togliendola dagli impicci. Se l’era vista brutta e ormai disperava del suo arrivo. ‘Al suo amico’ pensa con un largo sorriso sul viso, ‘dovrei fare un monumento per ringraziarlo. Senza la sua app sarei stata senza speranze’. Vede la sua auto col muso diretto verso la strada nazionale. ‘Luca sembra tontolone’ si dice Vanessa con gli occhi che luccicano per la contentezza, ‘ma è previdente e assennato. Non sbaglia un colpo’. Mentalmente gli manda un bacio.

Si infila nel lato passeggero, mentre avverte un notevole bruciore tra le cosce. La mancanza delle mutandine, il senso di sporco e di umidiccio contribuiscono a questa sensazione dolorosa. La corsa, l’adrenalina, che l’ha spinta in questi frangenti, le hanno fatto dimenticare questo tormento, che non la ha abbandonata da quando ha ripreso conoscenza.

Sente il fiatone di Luca, che s’infila nell’abitacolo senza degnarla di uno sguardo. Accende il motore e parte a razzo per immettersi sulla N85. Rallenta solo un po’ per vedere chi arriva dalla sua sinistra, prima di accelerare con violenza.

“Poi andare piano adesso” dice Vanessa, aggrappata alla maniglia col viso bianco per il terrore. “Potevi arrivare prima”.

“Allaccia le cinture” risponde Luca, mentre anche lui sta compiendo questa manovra. “I francesi sono pignoli su questo versante”.

La ragazza annuisce, mentre completa l’operazione. Lui, nel frattempo modera l’andatura per rispettare i limiti. Gli hanno detto che la gendarmeria francese è inflessibile, quando ne beccano uno. ‘Meglio non rischiare’ pensa Luca.

“Dove sei stato?” lo rimbecca Vanessa di nuovo aggressiva.

“A comprarti brioche e acqua” replica Luca sereno come un cherubino, stringendole un occhio. “Nel vano portaoggetti c’è una bottiglia di Evian…”.

“Lo sai che non mi piace” fa Vanessa, storcendo il naso.

“Non sei obbligata a bere” risponde per le rime Luca. “Se cambi idea, la bottiglia è sempre lì”.

“Ma io ho una sete bestiale” dice Vanessa, umettandosi le labbra.

“Il convento passa solo questo” fa Luca, ridendo. ‘Né ho intenzione di fermarmi per comprarti qualcosa di differente. Se hai sete, anche l’Evian va bene”.

La ragazza vorrebbe replicare ma le labbra secche, la bocca che sembra carta vetrata la convincono che è meglio adattarsi per il momento. Per protestare e pretendere un altro genere di bevanda, ci sarà tempo. Brioche e cibarie posso aspettare ma l’acqua no. Si impone di bere a piccoli sorsi. Ricorda che dissetarsi troppo velocemente potrebbe darle il senso di vomito. In pratica è come se Henri le avesse praticato un’anestesia totale. Dopo la prima sorsata i succhi gastrici arrivano velocemente in gola. Li ricaccia giù con decisione. Lo stomaco vorrebbe ribellarsi. Quello che temeva, si è verificato.

“Ci sono anche dei bicchieri plastica” dice Luca, indicando col capo lo zaino alle sue spalle. “Con un fazzoletto di cotone ti umetti le labbra. Bere non è igienico. Non vorrei fermarmi per farti scendere. Mi rugherebbe molto sentire l’odore del tuo vomito in macchina”.

Vanessa annuisce. La voglia di espellere quello, che non c’è, è in agguato e il suggerimento di Luca è intelligente. ‘Non mi toglie la sete’ si dice, ‘ma almeno non corro il rischio di rigettare l’anima’. Si volta e prende dallo zaino un bicchiere ma qualcosa di cotone forse ce l’ha nel suo bagaglio.

Luca con la coda dell’occhio la vede in difficoltà. “Nello zaino c’è un mio fazzoletto”. “Pulito” fa puntualizzando.

“Grazie” risponde Vanessa, le cui priorità in questo momento è ammorbidire le labbra screpolate e la lingua ruvida.

Versa un po’ d’acqua nel bicchiere, inumidisce il fazzoletto e se lo passa sulle labbra. Un piccolo sollievo c’è ma la sete resta intensa. Si deve fare forza per non bere.

Luca guida, dirigendosi a Dignes-les-bains. Lì deve decidere se puntare verso la costa oppure inerpicarsi tra le montagne dell’Alta Provenza. Mentre sta facendo queste riflessioni, Vanessa sospende di umettarsi le labbra.

“Perché non sei arrivato la sera stessa del mio rapimento?” lo aggredisce verbalmente la ragazza.

“Perché?” chiede Luca con la faccia seria delle grandi occasioni.

“Sì, perché?” ribadisce Vanessa con lo sguardo incattivito. Deve sfogare la rabbia, repressa per quasi una giornata.

“Avevo fame e sonno” risponde col viso da angioletto il ragazzo.

Vanessa emette un urlo. Si trattiene dal piantargli le unghie sulla faccia, solo perché sta guidando.

“Stai male?” le domanda Luca.

“No!” esclama infuriata Vanessa. “Se non guidassi, ti caverei gli occhi! Io in balia di un bruto. Io, che rischiavo di essere stuprata. E tu? Hai pensato a mangiare e dormire. Tanto…”.

Luca a stento si trattiene dal replicare subito. Sapeva in anticipo quale sarebbe stata la sua reazione ma è sempre uno spasso vederla infuriata.

“Perché dovevo partire subito?” dice con un sorrisino ironico il ragazzo, mentre sta entrando in Dignes-les-bains. “Sapevo dove rintracciarti. L’app mi teneva informato”.

Vanessa bolle, si agita. Il problema sete è per il momento accantonato. Questo ingrato merita una lezione, dimenticando che l’ingrata è lei.

“E se Henri avesse gettato il mio Iphone in un cestino?” domanda la ragazza col viso rosso congestionato dalla rabbia.

“Henri sarebbe stato doppiamente coglione” dice Luca, che ha deciso di affrontare le montagne. Più lento il viaggio ma meno rischi di essere intercettato da Henri.

“E perché?” fa Vanessa, sgranando gli occhi per la risposta, che le appare singolare.

“Perché? E te lo domandi?” replica Luca. “In primis non si butta nel cesso uno smartphone da settecento euro. Al massimo avrebbe tolto la sim e buttata questa. A questo punto doveva fermarsi, aprire l’Iphone e buttare la scheda. Io me ne sarei accorto subito e sarei arrivato come un fulmine”.

Vanessa ammette che il ragionamento di Luca non fa una grinza. Ricorda più o meno vagamente che l’app è molto intelligente, in grado di segnalare anche il minimo spostamento o rallentamento della velocità. Tuttavia non gli può dare per vinto la spiegazione.

“Capito perché ho mangiato e dormito con tranquillità?” fa Luca, che sa invece di essere rimasto sulle spine, finché non si è fermato a Tende.

“Dove stiamo andando?” gli chiede Vanessa, accantonando per un attimo le schermaglie sul mancato soccorso immediato.

“Verso i monti” dice Luca, fischiettando. ‘Un momento di tregua’ pensa, ‘per distrarmi. Ma poi torna alla carica’.

“Come verso i monti?” esclama sorpresa Vanessa, che si aspettava di arrivare sulla costa.

“Quando Henri si metterà alla nostra caccia” fa Luca, mentre affronta con prudenza la strada, “penserà che andiamo verso Nizza e da lì a Mentone. Non immagina che invece affrontiamo un percorso alpino”.

Luca le chiede di verificare lo stato delle strade. L’inverno è stato nevoso e potrebbe trovare qualche strada chiusa.

“Tutte le strade sono aperte con l’uso di pneumatici da neve” sentenzia Vanessa. “Ma tu li hai?”

“Ma certamente” risponde Luca, ridendo. “Continental TS. Nuovi di zecca… o quasi”.

Le cime sono ancora innevate. Il punto peggiore è il Col de Larche, al confine con l’Italia. Un valico tosto e piuttosto alto.

“Però potevi muovere il culo” riprende Vanessa decisa a portare l’affondo. “Mi potevi risparmiare l’umiliazione della pisciata nel bosco”.

Luca ride, mentre Vanessa freme per la rabbia. Sembra che lui si voglia divertire con lei col suo atteggiamento ironico. ‘Ma…’ comincia a pensare Vanessa, ‘in effetti l’unico modo per bloccare Henri sarebbe stato far intervenire la gendarmerie. Ma forse senza costrutto’. Però non poteva ammettere pubblicamente il suo pensiero.

“Però l’ho mosso, quando è stato necessario” fa Luca sorridente.

“E va bene” ammette sconfitta Vanessa, “ma almeno hai controllato se è alle nostre calcagna?”

Luca fischietta allegro. Questa volta è tranquillo. Henri non è alle loro spalle.

“Credo che in questo momento” dice Luca con tono piatto, “abbia altre priorità rispetto a inseguirci”.

Vanessa spalanca gli occhi verdi per lo stupore. L’affermazione è troppo forte per non incuriosirla.

“Quali altre priorità, di grazia?” chiede la ragazza, volgendosi verso di lui.

“Ha una gomma squarciata” dice Luca col sorriso sulle labbra. “Ma forse dovevo tagliargli anche una seconda ruota. Per stare sul sicuro”.

Vanessa si allunga per dargli un bacio sulla guancia, prima di avvertire nuovamente il doloroso sfregamento dei jeans tra le cosce.

“Ora riprendi a umettarti le labbra” fa Luca, mentre affronta un tornante. “Non ci si ferma finché non siamo a Cuneo”.

“A Cuneo? Sarai impazzito” sbotta Vanessa che vorrebbe infilarsi mutande e collant. “Ma è lontanissimo”.

“No” replica Luca. “Perfettamente sano. Sopporterai un pochino ma voglio lasciarmi alle spalle queste montagne. E poi in un paio d’ore ci siamo”.

In effetti non ha un’idea del tempo ma gli basta per calmarla.

Mugugnando, Vanessa riprende a bagnarsi le labbra. Sa che Luca non cederà di un millimetro dalle sue decisione.

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