Un viaggio, un incubo – ventiduesima puntata

Simona è prigioniera. Ce la farà a uscirne fuori? Leggete questa puntata e le prossime e lo scoprirete. Qui trovate le puntate arretrate.

Foto di Quintin Gellar da Pexels

Dick mostra a Todd gli esiti delle sue ricerche.

«Secondo me il cognome è Flannagan, un broker che ha seguito e firmato gli allegati tecnici alla proposta della polizza assicurativa per i nostri residence. Abbiamo qualche fotogramma ricavato dai monitor. Non sappiamo null’altro di lui».

Il detective si collega all’archivio per investigare sul potenziale rapitore. Non trova nulla d’interessante. Sta per abbandonare le ricerche, quando s’imbatte in una foto della patente per un’infrazione stradale di alcuni anni prima.

La stampano e la confrontano con i fotogrammi.

«Sembra proprio lui!» esclama Dick. «Se fosse vero, sappiamo come si chiama. Sulla patente quale indirizzo è registrato?»

Sul viso stanco di Dick compare un sorriso di soddisfazione. Sono ore che stanno scandagliando archivi e documenti e nonostante i numerosi caffè la stanchezza affiora.

Dick si appoggia allo schienale della poltrona e vorrebbe partire subito alla caccia dell’uomo.

«Forse riusciamo a beccarlo prima che sparisca o possa fare del male a miss Ferrari» afferma con la voce impastata di caffè e stanchezza. «Il tempo gioca a nostro favore, perché lui si sente tranquillo. Non immagina che lo abbiamo individuato. Per me è un elemento pericoloso».

Irene pare risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta e chiede: «Allora possiamo liberare Simona? Quando?»

Todd mugugna qualche parola poco intellegibile mentre ricerca l’ultimo indirizzo di Mark. Sembra infastidito dalle pieghe che ha preso il caso. Non era sua intenzione trovarsi coinvolto.

È incerto se aprire ufficialmente una pratica oppure procedere in autonomia senza nessuna ufficialità. Qualunque decisione possa prendere, è conscio di avere violato il regolamento. Ritiene inutile sfidare la fortuna e decide di avvertire il capo di quello che sta accadendo.

«Phil ho una questione non proprio chiara per le mani» esordisce con l’ispettore capo, prima di descrivergli tutti gli avvenimenti.

«All’inizio ero perplesso, ma poi leggendo un messaggio, che un certo Mark Flannagan ha scritto, non ho avuto dubbi. L’intuito mi dice che lei non se ne è andata via di sua spontanea volontà» spiega Todd usando un tono rassicurante. «A sentire Dick Smith, il responsabile della security dei residence Inn Patriot, miss Ferrari avrebbe taciuto particolari importanti su come ha trascorso il pomeriggio di due giorni fa. Forse dettagli che sarebbero decisivi nello stabilire se è stata rapita oppure no. L’amica italiana, arrivata oggi, dice che l’ha percepita reticente su Mark, come se volesse nascondere qualche segreto inconfessabile. Insomma a tutti è apparsa impaurita, ma decisa a occultare qualcosa come se volesse risolvere da sola la grana che aveva per le mani».

Todd rimane in silenzio mentre l’ispettore capo parla.

«Dick avrebbe individuato con relativa certezza chi sarebbe il presunto sequestratore» risponde a una domanda del superiore. «Io ho l’ultimo indirizzo ufficiale di questa persona. Mi autorizzi a fare una visita a Mark Flannagan per sincerarmi di avere preso una cantonata.. Però se avessi il supporto della mia squadra, John e Ricky, sarebbe l’ideale e sarei più tranquillo».

Phil rimase muto per qualche istante prima di dare il suo okay all’operazione e allertare i poliziotti richiesti da Todd.

«Mi raccomando niente colpi di testa, né azioni pericolose per l’ostaggio» afferma Phil come ultima raccomandazione. «Tenetemi informato sugli sviluppi. Kick butt

A Dick sembra sparita tutta la stanchezza al pensiero di cominciare la grande caccia. Todd rimane una sfinge, mentre prende accordi con la sua squadra.

Spediscono a letto Irene, incapace di tenere gli occhi aperti, nonostante le vigorose rimostranze di essere sveglia e per nulla stanca. Sono irremovibili su questa decisione, perché reputano che sarebbe d’impiccio e basta. Irene prima di sparire fornisce loro il numero di telefono di Simona.

Pensano che possa tornare utile per individuare con precisione dove si trova. «Non credo che abbia avuto il buon senso di spegnerlo. Lui si sente tranquillo» conclude Dick mentre prepara con Todd il piano. Si accordano con John e Ricky per dare loro le ultime raccomandazioni.

«Mi raccomando. Prudenza e niente sirene. Lui non deve sospettare di essere stato individuato. Se notate qualcosa di sospetto avvertitemi subito» ribadisce con autorità Todd.

Il piano prevede che si spostino nel quartiere dove Mark presumibilmente ha l’appartamento. Nessuna certezza ma fanno assegnamento sulla buona stella. L’indirizzo segnato sulla patente è un casermone con centinaia di appartamenti. Non è certo che questo sia ancora valido ma confidano nella buona sorte. Pertanto devono ispezionare il caseggiato per individuare le possibili vie di fuga. Solo in un secondo tempo verificheranno se abita ancora lì. Qualora Mark risieda in quell’edificio, decideranno al momento come provare a liberare l’ostaggio. Sono convinti che abbia portata Simona dove abita.

Il caseggiato è posto all’incrocio tra Lydig Ave e Williamsbrigde Rd, un po’ fatiscente e con una decina di piani e diverse centinaia di appartamenti. Troppi da passare in rassegna tutti, riflette Dick la cui fiducia sembra incrinata.

Todd si accosta alla macchina dei suoi uomini dando le ultime istruzioni, prima d’immergersi in una serie di telefonate.

«È al sesto piano. L’appartamento 617» dice con tono piatto avviandosi verso l’ingresso.

Senza troppa fatica entrano nell’edificio e si dirigono verso gli ascensori. Dick è perplesso per la facilità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Gli sembra una passeggiata ma intuisce che presto arriveranno le difficoltà. Preso dal facile entusiasmo di avere individuato la persona, dalla semplicità con la quale hanno scovato l’indirizzo tuttavia intuitivamente pensa che siano incappati in una cantonata. Dentro di sé spera che le sensazioni negative siano errate.

Davanti alla porta contrassegnata dal numero 617 sono incerti se entrare senza preavvisi oppure farsi aprire dall’inquilino.

«Cosa dici?» chiede Todd sottovoce «Entriamo forzando la serratura o suoniamo alla porta?»

Dick sente crescere dentro sensazioni negative e preferisce una soluzione più legale.

Guardano l’ora: è mezzanotte.

«Certo se non è il nostro Mark Flannagan, si prende un bello spavento l’inquilino del 617» chiosa Dick per nulla allegro.

Todd ridacchia alle parole di Dick e ribatte con la sicurezza di chi non commette errori. «Se invece lo è, il coccolone se lo piglia lui!»

Suonano e bussano con vigore. Percepiscono dei suoni strascicati che si avvicinano alla porta.

«Chi è?» chiede una voce femminile assonnata non giovanile.

«Polizia» risponde Todd agitando il distintivo davanti all’occhio magico.

Sentono trafficare con la catenella e poi due scrocchi per aprire una fessura. Allunga una mano col distintivo nel pertugio e osserva la persona che in camicia da notte s’intravvede. Scuote il capo, perché sembra che i dubbi di Dick siano realizzati.

«Cerco un certo Mark Flannagan» dice Todd usando un tono di comando. «Il suo ultimo indirizzo ufficiale è questo».

La donna dai capelli bianchi e arruffati scuote il capo in segno di diniego. «Mi spiace, ma vivo col mio vecchio, che sta su una carrozzina come un vegetale. Non conosco nessun Mark Flannagan».

Todd capisce che sta dicendo il vero ma insiste con le domande.

«Da quanto tempo abitate qui?»

«Da sei mesi. Ignoro chi abitasse prima di noi. Dovrebbe chiederlo all’amministratore. Se vuole vado a prendere l’indirizzo e il telefono».

Todd fa segno col capo di no e la ringrazia. «Andiamo di fretta. Mi spiace averti svegliata. Notte» e ritira la mano, mentre sentono richiudere la porta con due mandate.

«Oh! shit!» impreca Todd mentre si avviano a raggiungere la strada.

Intuisce di essere nella merda, perché la persona cercata è diventata un ufo mescolata a milioni di persone. Rischiano di perderci la faccia, quando un’idea balena nella testa di Todd.

«Il nostro Mark come ha fatto a scoprire l’indirizzo di Miss Ferrari?» domanda Todd scuro in volto.

«Tramite i tabulato delle chiamate! Poiché di sicuro ha chiamato per conoscere a chi corrisponde un certo numero chiamante. Miss Ferrari deve aver usato il telefono del residence per essere individuata da Mark. Possiamo usare lo stesso trucco con lui. Torniamo in ufficio ed esaminiamo i tabulati» esclama trionfante Dick.

Todd annuisce perché l’idea è giusta. Poi sarà lui a convincere la compagnia telefonica a localizzare la cellula del telefono di Mark.

La Chevrolet verde di Todd si dirige verso il residence dove esaminano i tabulati con le chiamate uscenti ed entranti. Non ci mettono molto a isolare il numero chiamato da Simona, che compare sia in uscita sia in entrata.

«Ottima mossa, Dick!» si congratula Todd soddisfatto. «Ora è il mio turno con Verizon».

Scoprono con grande sorpresa che il telefono è localizzato proprio in quel caseggiato dove si sono recati due ore prima.

«Quella vecchia megera ci ha infinocchiati!» sbraita Todd.

«Non credo. Il numero dell’appartamento forse non è 617. Ricontrolla» suggerisce Dick.

«Okay. Torniamo là. Verizon mi avverte se si sposta. Ha confermato che intorno alla dieci era nei pressi del Bryant Park, poi si è spostato in Lydig Ave dove è rimasto per circa un’ora. A mezzanotte era nel West Village, spostandosi nel Midtown West, rientrando alle due, pochi minuti fa. Lo possiamo beccare in fallo».

Sono tesi ma soddisfatti di come procede la caccia.

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assaggio

copertina di carta
Un giallo Puzzone

e

Copertina un caso per tre

Su Caffè Letterario propongo un assaggio del terzo racconto che vede protagonisti Puzzone e Walter nell’attesa che trovi la via della pubblicazione. Il titolo? Forse Puzzone e il sottomura ma non ho ancora deciso.

Buona lettura

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Un viaggio, un incubo – ventesima puntata

Che fine avrà fatto Simona? Rapita? Andata via? Per chi fosse interessato qui trova le precedenti puntate.

Foto di Juliana Stein da Pexels

La telefonata inquietante distoglie Dick dall’euforia di avere intercettato il presunto cognome di Mark e quindi dare un volto a questa persona.

«Dick, qui c’è l’amica di Miss Ferrari. È in preda al panico e afferma che è sparita. Balbetta ed è terrorizzata» dice la voce concitata del portiere di notte.

Un’imprecazione gli sfugge mentre vede materializzarsi le sue paure.

Scende nella hall e trova una donna dalla corporatura non proprio snella che continua a berciare a ruota libera in maniera confusa.

«Sono Dick» le dice afferrandola per un braccio. «Vieni con me e parliamo con calma. Grazie Martin» e si appartano in un salottino.

Telefona per avere un po’ d’acqua fresca, mentre cerca di mettere a suo agio Irene visibilmente frastornata e in confusione.

Lei continua a parlare in maniera frenetica, saltando da un particolare all’altro senza seguire un filo logico, impedendo di comprendere come si sono svolti gli eventi.

Dick fatica a seguirla e riflette: “Devo calmarla. Altrimenti non si comprende nulla e si perde tempo prezioso per niente. Se è quello che penso, ogni secondo diventa importante e vitale”.

«Chi sei?» chiede secco per mettere ordine alla loquacità incontrollata della donna.

Come se avessero staccata la spina, Irene zittisce e guarda il viso severo dell’uomo che le sta di fronte. Si accorge di essere finita nel panico. Stringe le labbra e corruga la fronte. Osserva il viso di Dick: ha la fronte spaziosa e lo sguardo franco sia pure tendente al severo. Si chiede chi è e perché è in quel salotto.

«Irene» risponde come un automa.

«Bene, Irene» fa Dick addolcendo il tono della voce. «Quando sei arrivata?»

«Oggi pomeriggio alle tre e trequarti. Simona mi è venuta a prendere al JFK…».

«Simona è miss Ferrari?» chiede con calma e gentilezza Dick, interrompendola.

«Si» ammette sistemandosi meglio sulla poltroncina. «Siamo arrivati al residence per depositare i bagagli».

Irene fa una breve pausa ma Dick col capo le fa cenno di proseguire il resoconto.

«Non avevo intenzione di restare chiusa nella suite» prosegue. «Abbiamo deciso di raggiungere New York Public Library, ma ci siamo fermate al Bryant Park. Faceva troppo caldo e abbiamo cercato refrigerio nel parco».

Dick annuisce e interrompe il racconto con qualche domanda.

Irene spiega che il parco stava chiudendo, quando hanno deciso di tornare al residence.

«Mi sono fermata un istante alla giostra dei cavalli. Che meraviglia!» esclama entusiasta prima di riprendere il racconto. «Lì ho perso i contatti con Simona. Poiché diceva di essere stanca ho pensato che fosse rientrata da sola. Ma mi sono sbagliata. È scomparsa… Non so dove sia finita!» e scoppia in un pianto convulso.

Dick l’abbraccia e le accarezza i capelli.

«Ok. Ora ho il quadro completo della serata» afferma Dick alzandosi dalla sua poltrona. «Andiamo al Bryant Park. Forse miss Ferrari è là ad aspettarti».

Escono in silenzio dal salottino e si dirigono verso Bryant Park ma ha brutti presentimenti. Deve fare questo sopralluogo per avere la certezza che sia sparita. Ritiene inutile questo giro ma per innescare una caccia all’uomo si è sempre in tempo senza rimetterci la faccia.

Percorrono il mezzo miglio, arrivando prima della chiusura dei cancelli. Incontrano gli ultimi ritardatari, ma di Simona non trovano traccia né dentro né in prossimità del cancello. Si allungano alla NYPL ma trovano solo qualcuno seduto sui gradini tra i due leoni. Fanno qualche domanda senza ottenere la risposta che sperano di sentire.

Dunque è certo che la donna sia stata rapita. Dick sa chi è stato e ne parla con Irene che rimane stupita. Ignorava questi dettagli ma pensandoci ricorda la reticenza di Simona sull’argomento. Adesso comprende il segreto che le ha tenuto nascosto.

Rientrano nell’ufficio di Dick per organizzare le ricerche. Telefona all’ispettore Todd, che conosce di persona e opera a Park Row, One Police Plaza, la sede principale del NYPD.

«Todd, sono Dick, Come stai?» inizia con i convenevoli ma sente dei grugniti non proprio amichevoli in risposta. Sa che è un orso ruvido ma nasconde una grande umanità. «Ho un problema e vorrei confrontarmi con te».

Nuovi grugniti lo invitano a proseguire.

«La questione è delicata. Solo tu mi puoi consigliare la strada giusta» ribatte con pacatezza, ignorando i borbottii e inizia il racconto degli avvenimenti.

Durante lo snodarsi del resoconto l’ispettore non emette più grugniti d’insofferenza ma senza fare commenti acidi presta attenzione alle parole di Dick che espone con chiarezza gli eventi.

«Mi libero delle quattro rogne che sto trattando e arrivo da voi» afferma tutto d’un fiato Todd. «Non fate nulla e non dite nulla».

Dick osserva Irene che ha lo sguardo perso nel vuoto come se la colpa della scomparsa di Simona fosse sua.

«Todd, oltre a essere un amico, è il migliore detective del NYPD. Vedrai che recuperiamo in fretta miss Ferrari» spiega Dick per rassicurarla anche se pensa che non sarà una passeggiata.

Irene lo guarda e annuisce, ma è assente con la testa. Il capo si muove per riflesso condizionato piuttosto che per la sua volontà.

Nell’attesa Dick fa ricerche su Mark Flannagan, partendo dalla scarna scheda presente nel loro database. Consulta l’elenco telefonico on line di New York, rintracciando una mezza dozzina di omonimi. Si annota indirizzo e telefono.

“Se ho fortuna, bastano un paio di telefonate e lo becco di sicuro” riflette mentre annota qualche altro dato ricavato da Google. “Viceversa è il classico ago nel pagliaio da cercare. In questo caso mi serve l’aiuto di Todd”.

Dopo una mezz’ora abbondante entra un uomo dalla corporatura massiccia e dai modi bruschi, che si piazza sulla poltrona dinnanzi a Dick senza salutare nessuno né presentarsi a Irene.

Senza tanti preamboli chiede volgendo lo sguardo verso Irene: «È questa l’italiana?» Poi la invita a esporre il resoconto della serata. Ascolta paziente lo snocciolare degli avvenimenti senza interromperlo per porre delle domande.

Aggrotta la fronte e stringe la labbra, capisce che è un caso da prendere con le molle. Sa solo che miss Ferrari è scomparsa e non è tornata al residence. Potrebbe esserne andata via di sua volontà, senza coercizioni come possono fare le persone adulte, ma sarebbe possibile il contrario.

Afferma pacato che gli episodi della notte precedente sono inquietanti, ma associare quel Mark col tizio che ha tentato di penetrare nella camera di Simona con l’eventuale rapitore sono solo supposizioni senza certezze. Non si conosce il cognome, mancano fotografie a parte alcuni fotogrammi sgranati delle registrazioni video. Si ignora cosa abbia combinato durante la giornata quella donna. Insomma sono più i punti di domanda che quelli esclamativi.

Inarca una sopracciglia e sbotta: «Quali sono gli elementi che vi spingono a credere che sia stata rapita?»

Irene ha un sussulto di vitalità. Mi mette eretta e guarda negli occhi il detective prima di rispondere: «Simona era strana quando le ho telefonato ieri sera. Sembrava reticente, incerta, assente, come se avesse subito un trauma. Non era la Simona che ricordavo. Allegra, spigliata, dinamica…».

Dick l’interrompe, ricordando un dettaglio sfuggito nel racconto. Lo ritiene importante.

«Todd, ieri sera miss Ferrari ha ricevuto un messaggio recapitato da un ragazzino di colore» spiega catturando l’attenzione del poliziotto. «Presumo che sia nella suite. Potrebbe rivelare particolari decisivi per comprendere cosa è successo stasera».

Entrati nella suite dopo una breve ricerca ritrovano la busta con dentro un foglio. Decidono di leggerlo con calma nell’ufficio di Dick. Il contenuto scioglie ogni dubbio residuo. Però inizia la parte più complessa della ricerca: individuare dove è stata nascosta.

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Un viaggio, un incubo – diciannovesima puntata

La storia di Simona entra nel vivo e si avvia verso la conclusione. Qui potete leggere le puntate precedenti.

 

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Mark rientra nelle prime ore del pomeriggio nell’appartamento accaldato e soddisfatto, perché è riuscito a piazzare una mezza dozzina di polizze vita, che gli frutteranno ricche provvigioni.

Si fa una lunga doccia, mentre mette a punto il piano per Simona.

«La devo pescare da sola. Caricata sull’auto, poi sarà un gioco da ragazzi! Non può impunemente prendersi gioco del vecchio Mark!» esclama mentre una risata roca illumina la bocca.

Si concentra sul posto ideale dove tendere l’agguato e alla fine lo trova. “Devo avere solo un pizzico di fortuna e poi sarà mia”. Un sorriso gli illumina gli occhi. Ha trovato il punto: l’aspetterà nei pressi del residence. È soddisfatto del piano.

Cambia vestito. Indossa dei vecchi jeans e una polo bianca. Si spruzza un po’ di profumo e poi si dirige con l’auto verso il residence, parcheggiando defilato ma con la visuale dell’ingresso.

Dopo un po’ la vede scendere dalla limousine con un’altra ragazza e inarca le sopracciglia. “Chi è la donna con lei?” si chiede perplesso. Questo potrebbe complicare le cose, ma forse gli agevola il piano, perché sarà più facile intercettarla.

Aspetta paziente che escano dall’Inn Patriot. Non tardano molto per vederle uscire e dirigersi verso il Bryant Park. “Ottima scelta, cara Simona. Ora so dove caricarti in macchina” si dice soddisfatto. Il piano prende forma.

Parcheggia l’auto e le segue a piedi nel parco senza farsi notare. Fischietta allegro, notando che come al solito è stracolmo di persone in cerca di refrigerio sotto gli alberi o sdraiati sul prato. Non c’è una panchina libera, tutte le postazioni sono piene di uomini e donne, che di sicuro non presteranno attenzione a una ragazza appoggiata in modo scomposto a un uomo.

Le osserva mentre si dirigono ai tavoli del Bryant Park Cafè, mentre lui si apposta non visto al limitare del prato.

Ormai è quasi buio e quando le vede spostarsi dal Café al Grill sente un buco nello stomaco.

«Sluts!» dice acido. «Voi mangiate e io qui a pancia vuota! Sluts

Mark pazienta perché sa che la preda è vicina e la vuole catturare.

«Sii paziente e avrai in premio questa donna! Sarà un divertimento assicurato. She will have that deserves it, the slut» ripete più di una volta a voce bassa, mentre reprime i morsi della fame. Per quella ci penserà più tardi.

È buio e la confusione è sovrana nel parco, dove sciamano sul prato moltissime persone. Neppure una panchina libera o un tavolino vuoto. Tutti sono alla caccia disperata di un posto e aspettano che se ne liberi uno.

Il momento si avvicina mentre le segue. Irene si attarda a osservare la giostra dei cavalli e lui colpisce con un colpo secco alla nuca Simona che crolla tra le sue braccia. La trascina verso l’auto senza che faccia un gemito.

Dick ha cupi presentimenti, mentre prosegue il lavoro che sembra non finire mai. La testa piena di pensieri gli impedisce di concentrarsi su quanto sta facendo. Alle dieci p.m. finisce e trasmette il rapporto alla direzione con un ritardo di qualche ora.

Adesso può dedicarsi alla ricerca del Mark di Miss Ferrari. Apre il fascicolo AIX, scarta le polizze piene di codicilli legali e passa a esaminare gli allegati tecnici. Uno di questi, vecchio di sette anni, porta la firma di un certo Mark Flannagan, che spara a zero sull’inefficienza delle serrature elettroniche e sulla disorganizzazione della security. Secondo il report l’assicurazione nello stipulare le polizze per coprire i rischi sulla sicurezza deve tenere conto di queste due gravi deficienze che la potrebbero esporre a probabili risarcimenti. Mark Flannagan suggerisce un contratto con premi maggiorati per coprire i rischi sulla sicurezza.

Un certo Anthony Davis in un allegato, datato tre anni dopo quello di Flannagan, consiglia il cambio delle serrature elettroniche e la riorganizzazione della security. Attraverso tabelle tecniche asserisce che nell’arco di un biennio l’investimento sarebbe riassorbito dai minori costi della polizza assicurativa. La direzione l’anno successivo ha deliberato la spesa e rinegoziato l’importo.

«Dunque è questo Mark Flannagan il Mark di Miss Ferrari!» esclama soddisfatto. «Un broker indipendente che lavorava per conto di AIX. Ecco il motivo di tanta sicurezza nei primi tentativi di entrare nel residence e poi quello notturno ben più pericoloso! Domani mi metto in contatto con l’assicurazione per conoscere l’indirizzo di questo Mark».

Dick sorride per i risultati dell’indagine e per l’intuizione avuta. Il sorriso si smorza in fretta perché la reception l’informa che Miss Ferrari è sparita nel nulla e che l’amica italiana arrivata oggi è in preda al panico.

La notizia riaccende i cupi presentimenti del primo pomeriggio, mentre si avvia alla reception per conoscere i dettagli.

 

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Cosa penso di questo libro

I migliori anni

Citazione da “I migliori anni” di Cinzia Giorgio.

Comprendeva tuttavia i sentimenti di sua cognata: essere amati era meraviglioso, ma non riuscire a ricambiare era una tragedia, che per Irene si era perpetuata nei mesi e negli anni, e che a lungo andare l’aveva logorata.

Di Cinzia Giorgio avevo letto in precedenza ‘La collezionista di libri proibiti’, ‘La piccola libreria di Venezia’ e il romanzo storico ‘Maria Maddalena’.

Niente di straordinario ma libri molto godibili. Fra i loro pregi c’era uno stile impeccabile e testi privi di errori o refusi  – evento insolito per la casa editrice Newton Compton famosa per le castronerie che lascia nei libri che pubblica.

Fiducioso ho comprato l’ultimo romanzo di Cinzia Giorgio e sono rimasto deluso non da come scrive ma dalla storia. Senza spoilerare il testo in pratica tratta di due storie con la stessa protagonista, Matilde, che al presente narra le sue angosce nel diventare nonna e scorre nel passato le sue vicende dal 1943 al 1948. Se i flashback hanno una forza espressiva che tiene avvinto il lettore, l’altra parte è di una noia senza fine, perché ripete con monotonia la sua ansia di diventare nonna.

Secondo me sarebbe stato sufficiente un paio di capitoli iniziali – massimo due – dove narra i suoi deliri esistenziale e un capitolo finale dove l’incontro con un vecchio amore la risveglia dal torpore. In mezzo senza interruzioni il lungo flashback che narra le sue vicende durante la guerra e nell’immediato dopoguerra.

Comunque io sono io, lei è l’autrice. Rimane il rammarico di una storia ben scritta a singhiozzo, interrotta qua e là da quel rimuginare e rimasticare la medesima cosa.

Quello che non ho capito se si tratta di un romanzo autobiografico che riguarda la nonna della scrittrice. Però non cambia molto il mio giudizio complessivo.

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Un viaggio, un incubo – diciottesima puntata

Eccoci all’appuntamento del venerdì con la diciottesima puntata dell’avventura di Simona. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

Buona lettura.

Simona è incerta se deve raccontare l’episodio del giorno precedente oppure tacere. È un grosso dilemma che non riesce a districare. Alla fine decide di omettere il brutto episodio.

Irene vuole sapere tutto di Mark: com’è, cosa fa, quali impressioni ha ricavato senza incontrare grandi entusiasmi. Poche parole appena sussurrate escono dalla sua bocca, impedendo che il discorso si ampli e si approfondisca. Mostra scarso interesse a parlarne.

L’amica è piena di brio. Sembra aver smaltito in fretta la differenza di fuso orario, è un fiume in piena, mentre Simona nicchia, vorrebbe starsene tranquilla nella nuova suite, discorrere di questioni futili, poco impegnative.

«È presto per chiudersi qui. Il sole è ancora alto sull’orizzonte. Usciamo. Ho voglia di vedere delle novità» chiosa garrula come un merlo. «Ho letto di Holly. Non ti ricordi?»

«Holly?» ribatte Simona sgranando gli occhi. «Chi sarebbe?»

Irene sbotta in una fragorosa risata di fronte la candida ignoranza di Simona.

«Non ha mai visto il mitico George Peppard e Audrey Hepburn in ‘Breakfast at Tiffany’s’?» chiede con un sorrisino ironico, amicando con un occhio. «Non dire che ignori sia il libro che il film! Ha fatto sognare milioni di donne! Ho letto di un possibile itinerario in giro per Manhattan sulle tracce di Holly. Potemmo cominciare dalla New York Public Library, che è qui vicino, accanto al Bryant Park. Mi piacerebbe una foto sui leoni che stanno in cima alla scalinata. Quattro passi a piedi per sgranchire le gambe dopo essere stata molte ore seduta sono salutari».

Irene non smette di parlare, di estrarre nuove idee, di proporre itinerari e ristoranti come se fosse la guida, l’angelo salvatore dei turisti della grande mela.

Simona si trova in difficoltà, non sa come spiegare all’amica che Mark la sta braccando e ci ha provato più volte. Rimpiange di avere taciuto per prendere tempo. Giudica inadatto il momento per raccontare la brutta avventura con Mark. Si ripromette di farlo al rientro nella suite.

«Va bene» accondiscende rassegnata, mentre mentalmente spera che Dio gliela mandi buona. Ha cattive sensazioni e l’umore è basso.

Di passo lesto si avviano verso il Bryant Park ma rallentano perché il caldo afoso le avvolge in una nube di vapore acqueo che le costringe a riparare nel grande prato sotto gli alberi.

«È una favola!» esclama stupita Irene «E tu volevi costringermi a stare chiusa nella suite? È stracolmo di gente ed è immenso!»

Come una bambina incantata davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli si ferma a leggere l’elenco degli spettacoli della sera. I gridolini di gioia si sprecano. Le guide di New York citano di sfuggita questo polmone verde vicino a Times Square nel cuore di Manhattan. È una mancanza grave, annotandosi mentalmente di segnalare questo nel forum di viaggi che frequenta sul web.

Si rifugiano nel Shady Side, il lato all’ombra, che presenta la più alta densità di corpi umani del globo. Apre la bocca per lo stupore. Lo spettacolo offerto dalle persone sotto il sole di luglio sedute su una singolare sedia con un piccolo tavolino incorporato per appoggiarvi sopra qualcosa e una specie d’incavo per carte o bicchieri.

Osserva ogni dettaglio: il grande giardino con le enorme begonie che colorano di rosso lo sfondo verde, i numerosi alberi che fanno da corona al prato curato in modo impeccabile.

«Sono assettata» esclama dopo avere parlato a macchinetta. «Ho letto che c’è un Café nell’edificio in fondo». E si avvia con decisione.

Simona viaggia a rimorchio dell’amica, annuisce, trotterella a fatica dietro di lei, che con tre falcate divora il prato.

È l’ora dell’aperitivo e tutti i tavoli all’aperto sono impegnati. Per Simona non è una novità il bar American Style: tutti in piedi attorno a un tavolino rotondo alto. Per Irene sì: osserva lo spettacolo, lo commenta, cerca l’approvazione dell’amica che si limita a pochi monosillabi.

Il sole sta calando dietro i grandi edifici e non inonda più il prato.

Simona è inquieta, si sente a disagio fra tutto quel vociare confuso e quel via vai tra tavolino e bancone con nuovi Martini e salatini. La testa le gira, forse è un po’ brilla, ma è lo stress accumulato che pretende il ticket. Si mostra serena, ascoltando Irene e rispondendo alle sue domande ma dentro non cessano le sensazioni negative attenuate dalla presenza dell’amica e dal fatto di essere circondata da molte persone.

A Simona si chiudono gli occhi per la stanchezza. È stremata e vorrebbe essere nella suite. La notte precedente quasi insonne e popolata da incubi terrificanti bussa nella sua testa senza fare sconti.

Irene ha fame e ritiene che sia ancora presto per rinchiudersi nel residence e passano nel locale accanto, Bryant Park Grill, per mangiare qualcosa.

Simona ordina prosciutto di Parma, melone, fichi neri, mascarpone importato e vino rosso, con un contorno di patatine fritte. Irene si fa dei ravioli al formaggio di capra conditi da qualcosa che vagamente assomiglia a un intruglio, dove si mescolano diversi ingredienti non ben identificati, e un filetto di salmone grigliato con salse varie.

«Non è male» afferma Irene con la bocca piena, mentre Simona osserva con disgusto quei piatti male assortiti.

Tra non molto Bryant Park chiude. Le due ragazze si avviano verso l’Avenue of Americas per ritornare al residence. Irene si ferma incantata al Carrusel, la giostra dei cavalli, che la fanno ritornare bambina quando moriva dalla voglia di fare un giro su quei cavalli dondolanti di cartapesta che girano in tondo.

Quando gira gli occhi non trova più la sago Carrusel ma di Simona e si inquieta. Si avvia nervosa all’uscita senza trovarla.

«Dove cazzo è andata?» dice in italiano mentre percorre di corsa le poche centinaia di yarde che la dividono dal residence.

Si ferma alla reception e chiede se Simona sia già rientrata, ottenendo una risposta negativa. Adesso in preda al terrore rifà la strada inversa sperando d’incontrarla. Incontra solo dei nottambuli semi sbronzi. Un senso di angoscia le chiude la gola perché Simona sembra essersi volatilizzata. Pare svanita nel nulla.

«Mi sono fermata un breve istante alla giostra dei cavalli e lei, puff! Si è smaterializzata» esclama con voce angosciata senza calmare l’intimo subbuglio.

Non le resta che tornare al residence per denunciare la sua scomparsa.

Riflette che non riuscirà a dormire, mentre la stanchezza cala su di lei.

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Parliamo di …

Di norma no pubblico qualcosa relativo all’attualità ma questa volte faccio un’eccezione.

WHO Officially Names Novel Coronavirus 'Covid-19', No More ...

Parliamo di … è l’argomento del giorno e ci credo 😀 !

Però non voglio parlare di come difenderci, cosa fare, chi è l’untore. Tutti argomenti che lascio al chiacchiericcio di esperti o presunti tali, di guru che scoprono l’acqua calda.

Preferisco soffermarmi su alcune considerazioni e proporre qualche riflessione.

Innanzitutto parliamo di Cina, immenso paese popolato da 1 miliardo e mezzo di persone e grande quanto l’Europa.

Se leggiamo i dati relativi al coronavirus c’è da rimanere strabiliati. Poco più di 80.000 persone hanno contratto il virus. Questo numero rapportato alla popolazione totale è zero, zero zero… Beh! Diciamo che è insignificante. Se consideriamo la città di Wuhan, paesone di quasi sette milioni di persone non è che il rapporto sia molto significativo. Facciamo anche la tara per difetto la considerazione non cambia. Come sono riusciti in questo miracolo i cinesi? Molto semplice hanno messo in quarantena tutta la provincia di Hubei e in particolare il suo capoluogo, Wuhan. Nessuno poteva entrare o uscire. In questo modo hanno evitato che la Cina diventasse un immenso lazzaretto.

Se analizziamo i nostri numeri, c’è da rimanere sbigottiti. Un numero infinitamente minore di popolazione rischia di mettere in ginocchio tutta l’Italia. Evidentemente qualcosa non ha funzionato nel contenere l’epidemia. Vuol dire che l’area a rischio non è stata sigillata a dovere, presumo, o in modo tardivo. Poi qualcuno suggerisce che il virus circolava da tempo. Può darsi ma credo cambi poco. Non siamo stati colti di sorpresa visto che in Cina c’era da oltre un mese. Quindi dovevamo sapere come agire per evitare la sua diffusione.

Infine riflettiamo sulle regole per contenere la diffusione del virus. Il famoso decalogo è un insieme di punti che tutti, indipendentemente dal momento, dovrebbero attuare. Lo dice il buon senso e una corretta pratica dell’igiene personale.

Le nuove regole sono inefficaci perché anziché consigliare le persone a restarsene per qualche settimana a casa si consente di visitare mostre – è ridicolo il discorso del contingentamento degli ingressi -, di fare viaggi in Italia e all’estero, dove siamo presi per appestati. A proposito di entrate contingentate o di distanza minima di un metro, chi controlla? Devo girare col metro e prendere a pedate il mio prossimo che si avvicina a novanta centimetri? Cerchiamo di essere seri.

Visto che i morti sono tutti, o quasi, over 65 anni, li si vuole obbligare a stare tappati in casa, come se questa fosse una fortezza dove il virus non arriva. Si dimentica che il 25% della popolazione supera questa soglia e che molti vivono da soli oppure non dispongono di una stanza e bagno personale. Ergo si dovrebbe attivare un servizio di assistenza che non esiste o sistemarli in strutture protette inesistenti. Per contro tutti i giovani possono infettarsi come vogliono. Tanto loro sono forti e robusti. Hai la febbre? Resta a casa! Tanto i tuoi familiari sono vaccinati!

E qui mi fermo.

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un viaggio, un incubo – diciassettesima puntata.

E così siamo arrivati alla diciassette. La storia ha un momento di relax. Arriva Irene. Per le altre puntate le trovate sempre qui.


Foto di VisionPic .net da Pexels

Simona terminato il pranzo si accinge a raggiungere il JFK Airport. Potrebbe prendere il bus o la sotterranea che con un costo modesto le permettono di arrivare in orario, ma ricorda le avvertenze di Dick. «Evita di prendere metropolitana o autobus, se puoi, usa il taxi, più costoso ma sicuro».

All’uscita da ESPN vede un Yellow Cab e lo ferma: «JFK Airport. Non ho fretta».

Nell’area degli arrivi aspetta di vedere sbucare il viso sorridente dell’amica. È in anticipo ma pazienta vedendo i viaggiatori di altri voli.

Irene è l’amica del cuore, che conosce da una vita. Sono cresciute in pratica in simbiosi: dove c’era una, c’era anche l’altra.

Lei supera Simona in altezza di una buona spanna. Col suo metro e ottanta è decisamente alta per essere una donna. Ha capelli biondi, rigorosamente artificiali, che lasciano intravvedere la crescita naturale, castano scuri. La stranezza sta nel colore degli occhi: un grigio azzurro perfettamente allineato con biondo dei capelli, invece del nocciola che accompagna di solito le castano scure. Simona è rimasta sempre incantata da quegli occhi e dalle lunghe ciglia che avrebbe voluto avere anche lei. Si deve accontentare di capelli vagamente rossi e occhi grigio verdi.

Arrivata a quarant’anni il corpo di Irene si è appesantito. Questo handicap la assilla perché fatica ad attirare qualcuno. È single come Simona, ma non demorde nella ricerca del grande amore, che sembra sfuggirle dalle mani ogni volta che crede di averlo trovato.

Irene avrebbe voluto fare il viaggio con lei, ma Simona è stata irremovibile: «Vado da sola». Così a malincuore ha rinunciato in un primo tempo, poi ha deciso di partire lo stesso a costo di rompere l’amicizia con Simona.

Atterra dopo un viaggio di undici ore e non vede l’ora di riabbracciarla. Percorso il lungo tunnel del terminal One intravvede dalle vetrate l’amica che la sta aspettando. Vorrebbe correre e stringerla. Però ha due incombenze da espletare. Passare al vaglio dell’addetto alla immigrazione, US Public Health, Immigration and Naturalization, con la minuziosa verifica di passaporto e documenti per l’ingresso negli States e ritirare il bagaglio. L’attesa alla dogana sembra interminabile, snervante, ma deve avere pazienza, perché è quello che ha letto sulle varie guide sugli arrivi negli USA: “Devi pazientare. Ci sono sempre code”.

Alla fine l’abbraccio liberatorio e i baci calorosi con Simona diventano realtà.

«Prendiamo una limousine con autista? Mi hanno detto che è un’esperienza scioccante!» chiede con l’entusiasmo di una ragazzina.

«Ma è carissima! Costa una follia! E poi siamo solo in due!» risponde imbarazzata Simona al pensiero dell’esborso per pagarla.

«Non ti preoccupare. Pago io! Poi… mi hanno detto che si trovano con facilità altri coi quali condividere la spesa».

Simona la guarda come se fosse spuntata da un mondo alieno: al solo pensiero di dividere l’auto con altri cinque o sei sconosciuti le mette ansia. Il ricordo di Mark è troppo fresco per rischiare.

«Va bene la limousine, ma niente estranei. Solo noi due!» afferma, dettando le condizioni per il viaggio all’interno di auto che sembra un transatlantico.

Per nulla convinta Irene acconsente alle limitazioni poste, anche se rimarca che ci sarebbero state altre tre ragazze pronte a salire con loro.

«No. Non desidero estranei!» ribadisce Simona con fermezza. «Uomini o donne non ha importanza. Sono sempre persone sconosciute».

La Cadillac Escalade è veramente enorme per ospitare solo le due ragazze, che parlano fitto degli ultimi avvenimenti durante il tragitto verso il residence.

Dick le osserva dalla finestra dell’ufficio quando scendono dal SUV e fanno il loro ingresso.

«Chi è quella ragazza che accompagna Miss Ferrari? Un nuovo arrivo? Un’altra sciocca alla ricerca di emozioni forti?» esclama scuotendo la testa.

Adesso sono due le donne da proteggere, mentre gli torna in mente la ricerca del mattino interrotta che deve essere ripresa. “Stasera con calma completo l’esame della documentazione”.

E torna a immergersi nella pratica che ha assorbito le sue forze e che deve completare senza ritardi prima delle sette.

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Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato – seconda parte

Elena delle volpi  ha detto che la storia che potete leggere qui, non nha finale e mi ha chiesto di completarla. In effetti era mia intenzione di lasciare il finale aperto così che ognuno di voi poteva completarlo come meglio credeva.

Alla fine ho ceduto e presento la seconda parte ovvero come penso che sia andata a finire la storia.

Buona lettura.

https://i2.wp.com/www.elenaferro.it/wp-content/uploads/2020/02/Andrea-Pazienza.jpg?w=800&ssl=1

Fumetto di Andrea Pazienza

 

A Venusia di solito l’ingresso è aperto o socchiuso. Nessuno ha intenzione di andare a rubare in casa d’altri. Così Bruno può mettere la testa dentro senza suonare.

Amelia sbianca, mentre Dario sta per sbottare. “Che fare?” si domanda la donna, che si siede sulla sedia in cucina. È in ambasce. Non sa cosa fare. Guarda Dario sperando di trovare la giusta ispirazione per rispondere a Bruno che continua a urlare: «Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre».

Il figlio è nell’ingresso e si muove cauto. Non capisce perché i genitori non rispondano. Eppure li ha intravvisti attraverso i vetri della cucina.

«Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre» ripete come un disco rotto, avanzando di qualche passo verso la cucina.

L’ingresso è separato dalla cucina da un corridoio che termina con la porta sull’orto. Tutte le stanze della casa ruotano attorno a questo. Sulla destra c’è sala da pranzo e salotto. Sulla sinistra cucina, un servizio e le scale che portano alla zona notte.

Amelia si alza. Sa che deve affrontare Bruno prima che Dario lo investa come un uragano. Ne hanno parlato giusto ieri sera, mentre in salotto lei sferruzzava in modo svogliato e lui leggeva un libro.

«Che facciamo se Bruno si presenta alla porta?» ha chiesto Amelia alzando gli occhi verso il marito.

Dario ha emesso un ruggito prima di rispondere. «Lo prendo a calci nel sedere finché non torna da dove è venuto».

Amelia ha sospirato, pensando che il marito ha ragione. Quel figlio, finché è rimasto a Venusia, ha dato solo grattacapi. Fannullone, indolente e arrogante erano gli aggettivi che le sono tornati in mente. E forse non bastano per descrivere la loro esasperazione.

Però è sempre figlio loro. Sa in anticipo che a parte i buoni propositi sbandierati nella lettera sarà difficile che cambi personalità Era così già all’età di quindici anni. Adesso che ne ha dieci in più sarà improbabile che possa diventare quello che ha appena urlato.

Amelia esce dalla cucina seguita da Dario che mormora parole di fuoco da “l’ammazzo” a “lo prendo a calci nel culo”. Si volta, mentre ascolta i passi cauti di Bruno nel corridoio, mette un dito sulle labbra del marito. «Sss» fa per mettere fine a quel turpiloquio.

«Bruno perché sei tornato?»

Il ragazzo posa per terra la sacca che tiene sulla spalla. Strabuzza gli occhi perché la domanda non gli sembra pertinente. “Perché sono tornato? Mi pare evidente. Rivoglio il mio posto in questa casa”. Però resta in silenzio. La domanda l’ha mandato in cortocircuito. Balbetta qualcosa, mentre Amelia trattiene Dario.

«Lascialo rispondere» sussurra in un orecchio, abbracciandolo.

Bruno si ferma incerto se proseguire o tornare fuori. «Sono tornato perché sono pentito» bela in un sussurro, che le orecchie di Amelia appena percepiscono.

Il naso è ancora più affilato sull’ovale del viso bianco e smagrito con gli occhi infossati. I capelli sembrano un cespuglio di more tanto sono aggrovigliati e sporchi. I vestiti cascano addosso come sacchi troppo ampi per quello che devono coprire, sempre che si possano chiamare così. Sono talmente luridi e cenciosi che non sarebbero adatti nemmeno per strofinare per terra. Nei piedi porta dei sandali sformati che non assomigliano per nulla agli originali.

È talmente messo male che se fosse posto tra i filari della vigna paterna farebbe scappare tutti i predatori del cielo e della terra per lo spavento.

Bruno ha ai suoi piedi per terra la sacca di juta che ha tenuto sulla spalla destra e con gli occhi implora perdono.

Amelia lo guarda. Le fa pena vederlo ridotto in quello stato. Di slancio lo abbraccia per dargli il ben tornato, sapendo perfettamente che quel figlio inquieto andrà via di nuovo dopo averli fatti dannare con le sue intemperanze.

Dario osserva muto e gira i tacchi fuggendo nel salotto.

 

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Un viaggio, un incubo – sedicesima puntata

Pazientate e leggete la nuova puntata. Per chi ha perso le precedenti le può trovare qui.

Buona lettura.

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Mark rientra nel suo appartamento e si getta vestito sul letto fantasticando con quali sevizie vorrà sottoporre a Simona, quando sarà sua prigioniera. Sono sogni confusi e incerti che durano fino al risveglio del mattino.

«Slut!» è il primo commento quando riapre gli occhi.

«Slut!» ripete più volte, mettendosi in posizione eretta. «Ci vorrebbe una canna, ma non fumo per fortuna! Il residence è off. Dovrò trovare un’altra soluzione e sarà definitiva».

Si sente sporco e accaldato, ma ha bisogno di qualcosa di forte prima. Si prepara un caffè per riprendere vigore.

La giornata è piena d’impegni già scadenzati e la pratica Simona viene accantonata.

«Devo lavorare se voglio vivere» chiosa sorseggiando rumorosamente il caffè.

Una doccia veloce elimina umori e sudore che si sono incrostati sulla pelle tra il giorno precedente e la notte agitata. Indossa il vestito buono per fare colpo sui potenziali acquirenti delle polizze vita che sta piazzando con discreto successo.

È un bravo broker e molte assicurazioni gli offrono opportunità di lavoro, perché è convincente nel proporre le polizze, anche le più difficili da piazzare.

«Simona, aspettami. Tra non molto arrivo» afferma allegro, chiudendo la porta alle spalle.

Dick è inquieto. L’episodio notturno gli ha messo agitazione.

“Non è la prima volta che capita. Però stavolta ho sensazioni cattive. Quella giovane italiana” fa una breve pausa respirando rumorosamente. “Sarà giovane come sembra? Quella donna italiana ha un discreto fascino e sembra una calamita nell’attirare guai. Pare ingenua, ma secondo me non lo è. Poi quale malsana idea ha avuto di trasformare una conoscenza virtuale in una reale? Per di più si sciroppa un bel viaggetto per conoscere un tizio ambiguo. Il racconto è monco, anche se in apparenza sembra ben coordinato. Quale mistero inconfessabile mi ha nascosto? Ci sarà tempo e modo per conoscerlo. Ora concentriamoci su questo misterioso Mark”.

Secondo le sue ipotesi l’uomo deve essere qualcuno che conosce a fondo il mondo dei residence Inn Patriot, perché si è comportato con troppa sicurezza in ogni frangente.

Conosceva i punti deboli che ha cercato di sfruttare a suo vantaggio e in particolare sulle procedure operative della security. Ignorava il cambio delle serrature elettroniche e le nuove e più severe disposizioni sui controlli di chi entra nelle strutture. Queste lo hanno fregato. Essendo avvenute negli ultimi due anni, la ricerca si deve concentrare su fornitori o consulenti della security prima delle modifiche sulla sicurezza.

Dick deve farsi autorizzare per procedere nelle indagini e accedere alla documentazione.

Forte dell’autorizzazione ottenuta con qualche difficoltà, inizia a scorrere i documenti, che non sono moltissimi ma che devono essere esaminati con attenzione.

Esclude i fornitori, che non trattano nello specifico le due tematiche. Accantona in modo provvisorio altri che si interfacciano o con le serrature elettroniche o con la riorganizzazione della security. “Li riprendo in un secondo momento, se non trovo nulla d’interessante”.

Rimangono in evidenza una decina di documenti e una ventina di persone. “Dovrei farcela in poco tempo a esaminarli tutti”.

Scarta un paio di consulenti, perché nessuno di loro si chiama Mark, prima di passare al malloppo più consistente: le polizze assicurative e relativi allegati tecnici.

Sta per aprire la documentazione AIX, quando una chiamata lo distoglie e lo porta lontano dall’ufficio.

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