Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte sedicesima di Konnie, il mio romanzo distopico. Lo potete leggere anche qui.
12 agosto 2144 Bozen
Konnie si sveglia, perché una lama di luce lo colpisce sugli occhi. Raggi di sole illuminano l’interno passando attraverso i buchi del soffitto.
Ha ancora davanti agli occhi quella visione che lo ha perseguitato durante la notte. Due persone imprigionate in uno scafandro argentato come l’alluminio e un cucciolo di cane dal pelo tutto arruffato. Camminano su strade a lui sconosciute, stanno scendendo dalla montagna. Si sforza a ricordare altri dettagli. La testa gli duole, pare scoppiare per la forte emicrania.
Si mette ritto e si bagna la bocca con la borraccia. Altri spezzoni del sogno ritornano a galla. Sono diretti a Bozen. «Sono degli umani oppure degli extraterrestri?» Si sfrega gli occhi e prova ad alzarsi. Traballa e ha la vista appannata. Prova a mangiare qualcosa ma lo stomaco è chiuso. Rinuncia. Mette lo zaino sulle spalle ed esce all’aria aperta. La temperatura è fresca e l’aria gli accarezza il viso svegliandolo.
Cammina non troppo saldo sulle gambe ma deve fare un po’ di moto per riattivare la circolazione. Ricorda che sua madre gli aveva parlato di una piazza con un monumento al centro dove alla sera si radunavano tutti i giovani. «Forse è questa» borbotta ruotando lo sguardo circolarmente. Però adesso è una desolazione. Palazzi crollati, la pavimentazione spaccata in più punti che hanno fatto emergere alberi ed erbacce.
Cammina con lentezza e raggiunge la stazione di cui è rimasto solo uno scheletro annerito. Ritorna indietro ma avventurasi in quel dedalo di strade anguste alle spalle della piazza non ci pensa nemmeno: troppo pericoloso. Il porticato è semi crollato e quello che resta sembra più un miracolo di equilibrio precario piuttosto che la sicurezza di non rimanere sotto un crollo.
Torna verso quello che un tempo era una chiesa. La osserva dallo spiazzo antistante. A parte la facciata che per miracolo è rimasta integra il tetto è franato in più punti. Ci gira intorno e in più punti i muri laterali lasciano intravvedere altari e quadri ridotti in pessime condizioni. L’abside sembra miracolosamente integra ma Konnie scuote il capo. «Non credo che l’interno sia messo in buone condizioni».
Si allontana vagando per le vie più ampie. Evita quelle più strette ingombre di rottami. Ogni tanto ascolta il rumore sordo di calcinacci che rovinano a terra.
Arrivato vicino a un corso d’acqua, la cui portata lascia intravvedere rocce e sassi, decide di ritornare al suo rifugio. Avverte stanchezza e il sole sta declinando dietro ai monti illuminando la pianura.
«Forse domani provo ad attraversare il ponte e spingermi verso le montagne».
Su Caffè letterario è stata da poco pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
25 agosto 2144
Il tempo è rimasto stabile con una temperatura gradevole. Questo ha favorito la marcia dei due ragazzi.
«Fino a questo momento non abbiamo fatto cattivi incontri» afferma Matteo, mentre prepara la colazione dove un tempo era l’abitato di Vigo di Fassa che adesso è ridotto a un ammasso di pietre sgretolate.
«Forse la presenza di Cucciolo li ha tenuti lontani» replica Alba con tono sicuro, mentre il lupetto alza la testa, sentendosi chiamato in causa. «Dobbiamo decidere quale strada prendere per arrivare al Karersee. Quella più diretta e corta o quella più facile ma lunga?»
Matteo sembra riflettere ma dentro di lui punterebbe a quella più corta. Vuole arrivare in fretta a Bozen e prendere la via del ritorno il prima possibile. L’esperienza del maltempo al Passo Pordoi ha lasciato il segno in negativo.
«Se sei d’accordo, prenderei il Karerpass, cercando di fare tappa sul lago prima di scendere su Bozen. Un paio di giorni di riposo prima di intraprendere il percorso di ritorno. Da una settimana non riusciamo a contattare Città del Sole».
Alba annuisce perché il crono programma è lo stesso che ha pensato lei. «Sì, in effetti non abbiamo dato notizia di noi. Pensi che ci sia una ragione per cui non riusciamo a contattarli?»
Il ragazzo scuote la testa in segno di diniego. «No. D’altra parte non abbiamo mai testato le comunicazioni a lunga distanza».
Stanno raccogliendo tutte le loro attrezzature per sistemarle negli zaini, quando sentono ringhiare Cucciolo in posizione di difesa. Mostra i denti minaccioso puntando verso un gruppo di alberi alla loro destra.
Alba sbianca e si sistema al riparo di un muretto miracolosamente ancora in piedi. Matteo si gira per osservare quale pericolo incombe su di loro.
Dal boschetto vede spuntare una sagoma imponente: un orso, anzi un’orsa seguita dei due piccoli.
«Buono Cucciolo. Se non li minacciamo, se ne vanno per la loro strada» sussurra Matteo, accarezzando la testa del lupetto, che sembra aver compreso il suggerimento del ragazzo. Il ringhio si smorza ma la postura rimane quella di prima: pronto ad attaccare se l’orsa si avvicina troppo con intenzioni bellicose.
Con calma Matteo raccoglie le ultime cose senza perdere di vista l’orsa. I due orsacchiotti giocano fra loro sotto lo sguardo vigile della madre che in apparenza pare disinteressarsi dei due ragazzi e del lupetto.
«Vieni Cucciolo» ordina Matteo avviandosi con Alba verso l’imbocco della strada che li dovrà condurre a Karersee.
«Ho avuto paura» ammette Alba arrancando su una strada alquanto dissestata. «Ho letto che le orse sono particolarmente aggressive quando sono con i loro cuccioli. Poi il ringhiare feroce di Cucciolo mi ha fatto pensare male».
Il lupetto sentendo il suo nome solleva la testa con la lingua rossa a penzoloni per la salita e la sete. Negli ultimi giorni ha integrato la sua dieta andando a caccia di piccole prede nei boschi lungo la strada. Però nella giornata odierna preferisce rimanere vicino ai due ragazzi. Non gli sembra un luogo adatto per allontanarsi. Ci sono solo roccia e dirupi e la vegetazione è scarsa.
Arrivati in cima al passo, lo spettacolo è desolante: non c’è nulla che sia rimasto in piedi. Il bosco ha ricoperto quasi tutto quello che un tempo era il paese. Il lago s’intravvede a malapena e si confonde con l’abetaia. Vanno alla ricerca di uno spiazzo dove piantare la tenda. Lo trovano dove un tempo era un’area di ristoro attrezzata, di cui non ne è rimasta traccia, sommersa da erba secca e rovi di more. Matteo col coltellaccio crea una zona libera, dove sistemano la tenda.
La sera è stellata e fredda. Accendono un piccolo fuoco usando rami e arbusti secchi. Non li riscalda ma possono tenere lontano dei predatori notturni in collaborazione del fine udito di Cucciolo.
«Proviamo a stilare un bilancio dei nostri dieci giorni» suggerisce Matteo, mentre mastica un pezzo di formaggio.
«Pensavo meglio ma anche peggio» replica Alba distendendo le gambe. «L’inizio è stato duro con tutto il maltempo che abbiamo subito ma poi il tempo stabile ci ha consentito di procedere più spediti».
Il ragazzo annuisce ma il suo pensiero è su come hanno trovato il mondo esterno. «Credo, se un giorno l’aria sarà respirabile senza protezioni, la situazione richiederà molti lavori. Le vie di comunicazione sono in pessimo stato e non rimane nulla dei paesi. La natura si è ripreso tutto quello che era suo».
«Ma non siamo arrivati a Bozen. Potrebbe esserci lì una situazione migliore…».
Matteo ride. «Sei una ottimista inguaribile» la interrompe. «Dubito che la situazione sia migliore. In questi dieci giorni non abbiamo incontrato nessun essere umano. Temo che siamo rimasti solo noi». Osserva il minigeiger che segnala valori ancora elevati e pericolosi per l’uomo. Scuote la testa al pensiero dell’ottimismo della compagna.
Alba non si dà per vinta. «Dobbiamo esplorare la pianura prima di trarre delle conclusioni negative».
Matteo sorride per non smorzare i pensieri positivi della ragazza. Le prende la mano e gliela stringe con vigore. «Ora pensiamo a riposarci per essere in forma domani mattina. Se siamo fortunati, possiamo raggiungere in serata Bozen».
Poi si distendono dentro la tenda mentre il fuoco divampa allegro con l’ultima legna che lo alimenta. Cucciolo tra di loro sembra già nel mondo dei sogni perché le zampe tremano. Tuttavia sanno che un minimo rumore lo svegliare all’istante.
Le ombre rossastre guizzano attraverso il telo a formare immagini fantastiche.
Da ‘Il signor giardiniere’ di Frédéric Richaud traggo questa citazione che esce dalla bocca di un personaggio di questo libro.
Siamo nel 1674 l’Europa è scossa da diversi conflitti con alleanze ballerine. Un personaggio scomodo che ha preso le difese dei contadini vittime di soprusi e uccisioni scrive questo all’amico giardiniere.
“…Si marchiano gli uomini col ferro rovente; loro si difendono per un momento, ma il tempo passa in fretta e sembra che ben pochi serbino il ricordo della loro ferita. Che sia l’amnesia a governare il mondo?…”
Sono passati quasi quattrocento anni eppure questo è molto veritiero. La gente scorda in fretta i soprusi patiti.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quattordicesima parte del romanzo Konnie.
La potete leggere anche qui. Buona lettura
11 agosto 2144 Bozen
Dopo un peregrinare lento con le gambe, che faticano a obbedire ai suoi comandi, prova a centellinare in qualche modo le forze per cercare qualcosa che possa offrire riparo per la notte. Gli edifici ancora in piedi sembrano sbriciolarsi da un momento all’altro e hanno i tetti collassati all’interno. Il selciato è esploso in più punti sotto la spinta di alberi ed erbacce. Una statua corrosa dalle intemperie svetta tra tanto sfacelo. Solo un qualcosa assomigliante a un chioschetto, che mostra segni evidenti di ruggine, sembra offrire un solido riparo. I vetri sono ridotti in polvere, le parti di legno al tocco si disgregano. Le uniche parti che resistono sono quelle in ferro, intaccate e ricoperte da uno strato di polvere rugginosa. Il tetto, pur presentando qualche buco riesce a garantire un buon riparo. Il pavimento è ricoperto da un po’ di tutto. Cent’anni alle intemperie e all’abbandono mostrano il loro biglietto da visita.
Konnie spinge a fatica quella che un tempo è stata una porta che cigola strisciando sul fondo. A parte qualche sedia rovesciata c’è lo scheletro di un divanetto in ferro ampio a sufficienza per ospitare una persona sdraiata.
Per il momento si siede per riposare e bere un po’ d’acqua dalla borraccia. «La devo centellinare con parsimonia. Ignoro se potrò trovarne altra di potabile» borbotta appoggiando la schiena.
«È stato molto faticoso arrivare fin qui» aggiunge con un filo di voce, mentre si deterge la bocca bagnata. Si sente stremato, osserva delle piccole emorragie cutanee sulle braccia. Il respiro si fa affannoso. Prova sensazioni di nausea e vertigini. Prende qualcosa dallo zaino per placare quella che gli sembra fame ma poi la rimette via. Lo stomaco è chiuso e non vuol ricevere nulla. Rischia solo di vomitare. «È meglio conservare il cibo per un’altra occasione senza sprecarlo».
Si distende sul divanetto. Non è molto comodo ma la stanchezza prevale sul disagio. Chiude gli occhi e sogna.
Il suo è un sogno in bianco e nero. Vede due giovani con un cane che pare un cucciolo. Ignora di quale razza sia ma gli appare molto giovane. Sono vestiti in modo strano ma ben diverso da lui. Il sogno continua ma si sveglia. È tutto intorpidito e sente freddo ma non ha nulla con cui coprirsi. Nel bunker non ha mai provato queste sensazioni. La temperatura era mite e non variava mai. Quello è stato per tutta la sua vita la zona comfort, una calda cuccia che l’ha cullato per ottant’anni. Però ricorda il bianco candore e il freddo pungente di sei mesi prima.
Intuisce che ha commesso un errore lasciando il bunker ma la curiosità di conoscere il mondo esterno e il terrore che quello sigillasse la sua vita è stato il detonatore della sua uscita.
Con lentezza scivola nel dormiveglia e ricomincia a sognare.
Su Caffè Letterario è pubblicato la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
22 agosto 2144
La notte non è stata semplice da superare, perché il vento ha imperversato con violenza: c’è stato il rischio concreto che la tenda fosse strappata e volasse via. Poi si è aggiunto una bufera di neve che per fortuna è durata poco ma accumulato altri centimetri sul suolo.
Matteo e Alba hanno dormito come i gatti: un occhio chiuso e uno aperto, pronti a far fronte alle intemperie. Da quando una settimana prima sono partiti dalla Città del Sole non sono stati fortunati col tempo. Hanno pensato che sarebbe stata una scampagnata raggiungere Bozen ma invece pare un miraggio. Però hanno conosciuto aspetti del mondo esterno di cui ignoravano l’esistenza come la neve e il vento. Hanno compreso che non assomigliano per nulla alla calma piatta della Città del Sole e nemmeno ai video che hanno visionato più volte. La realtà è assai differente.
La mattina li accoglie splendida con un cielo di un azzurro intenso senza un alito di vento, mentre il sole fa scintillare la neve caduta nella notte che crocchia sotto di loro. La temperatura è rigida, mentre il respiro tende a condensare all’interno del casco. Devono azionare più volte un piccolo interruttore per disappannare l’interno.
«Riusciremo a tornare indietro tra qualche settimana?» Domanda Alba con tono preoccupato, quando al mattino si rimettono in marcia per scendere a valle. Ha lo sguardo allarmato con una profonda ruga che le solca la fronte.
«In estate non nevica» prova a rassicurarla Matteo, procedendo in discesa con passo guardingo, mentre Cucciolo rimane accanto a loro senza correre avanti e indietro come nei giorni precedenti. Sa d’aver pronunciato un’eresia, perché è evidente che non è vero.
Alba sorride perché tra qualche settimana l’autunno sarà alle porte. Quindi per quelle che sono le sue conoscenze il tempo dovrebbe virare al brutto, ma come lo ignora. Però un primo assaggio l’ha avuto. Matteo non l’ha convinta per nulla ma tace.
Scendono con cautela sulla strada ricoperta di neve. A malapena riconoscono sotto il velo bianco pietre e altri ostacoli. Lasciano alle spalle le orme dei loro piedi.
«Hai visto come è ingrossato Cucciolo? E come è morbido il suo pelo?» esterna Matteo osservando il lupetto che trotterella accanto a loro.
Alba lo scruta e sorride. Annuisce perché anche lei ha notato questo cambiamento. Però non è in grado di giustificarlo. Nella Città del Sole non ci sono cani e nemmeno gatti. Qualche altro animale è presente ma sono mucche e pecore. Si domanda se al loro ritorno sarà permesso di introdurlo ma rimanda la questione a più avanti.
La discesa sembra meno disastrata rispetto alla salita ma comunque impegna i due ragazzi a non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si è formato durante la notte. Notano che sui costoni che contornano la strada il bosco presenta delle cicatrici che non si sono ancora chiuse per bene.
Man mano che scendono la neve si trasforma in acqua e piccole cascatelle scivolano da un tornante su quello più in basso. Camminano in silenzio facendo attenzione a dove posano i piedi. Cucciolo si avventura ogni tanto nel bosco che ha guadagnato spazio sulla strada, ridotta a stretto sentiero. Però ritorna in fretta al loro fianco.
Sono stanchi e le ombre della sera cominciano a calare. Lungo il tragitto non hanno trovato ruderi o altro e non sono arrivati a valle. Finalmente arrivano in uno spazio in piano con i resti di una costruzione, che accanto presenta una fossa rettangolare. Adesso è una buca colma di acqua scura maleodorante. Ignorano cosa poteva essere in origine.
«Non mi piace questa zona. C’è un odore malsano» afferma con tono categorico Alba. «Cerchiamo un altro posto».
Matteo annuisce con decisione. L’ubicazione, dove pernottare, non lo convince.
Si muovono, perlustrano, saggiano la solidità delle pareti rimaste in piedi, finché non decidono di sistemare la tenda in un luogo vicino a una struttura che contiene dei macchinari corrosi dalla ruggine.
L’insulto giunge per mezzo del web. Colpisce duro. Impreco contro i leoni occulti dietro lo schermo. Verrebbe il desiderio di rispondere dente per dente, occhio per occhio. Mi fermo. Rifletto. Spreco il mio tempo contro coloro che sono privi di cuore e di cervello? Sono reietti, illusi di vincere un like perché sono ombre cinesi, prive di idee. Chiudo il computer e mi leggo un libro. È meglio e più utile.
Fiorenza e Francesco, fidanzati, firmano fogli su fogli con le loro firme per formare una fregatura a Filippo. Funzionerà? Fingere? Fabbricano un foglietto falso per un fabbisogno febbrile di falsificare la forma della facciata. Il facchino facilita la furbata.
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