Ho pubblicato questa prima parte di un raccontino.
Selfpublishing o auto pubblicazione?
In occasione dell’uscita del nuovo romanzo Una notte magica San Giovanni ho riflettuto sul selfpublishing complice la lettura dell’ebook di Rita Carla Francesca Monticelli Self-publishing lab: il mestiere dell’autoeditore.
Chi é Rita Monticelli? In realtà non avrebbe necessità di presentazioni nperché abbastanza nota nel mondo del selfpublishing. Scrittrice di fantascienza, appassionata di fan fiction ha avuto un bel successo coi suoi ebook, che ha tradotto in inglese, essendo una traduttrice. Si diceva che vendesse 500 ebook al mese, complice il mercato anglofono. Ammesso che abbiano esagerato comunque aveva numeri superiori a molti scrittori tradizionali.
Come l’ho conosciuta? Su anobii tramite un gruppo, appunto di fan fiction. Intanto cos’è la fan fiction? Sono appassionati di un film, di un libro e altro che riscrivono la storia seguendo il proprio estro creativo. Nel 2009 o 2010, la data esatta non la ricordo, aveva scritto un racconto tratto dal film La mummia e su questo ci siamo scambiati dei commenti. Poi tramite lei ho scoperto la piattaforma smashwords dove operava da qualche anno.
Selfpublishing o autopubblicazione?
Prima di affrontare il tema cerchiamo di fare chiarezza sui termini. Gli italiani amano molto gli anglicismi storpiandone spesso il significato come in questo caso.
Self lasciamolo da parte perché lo esamineremo più avanti e concentriamoci su publishing, publisher e indie ovvero selfpublishing, selfpublisher e indie author.
Gli anglosassoni per publishing intendono tutto quello che ruota o è attinente all’industria del libro, che per noi equivale all’editoria. Publisher è quello che pubblica, che in Italia si identifica con l’editore. Indie lo esaminiamo dopo. Self è traducibile con auto, ma se si riferisce a un interesse o vantaggio personale con se stesso.
Però qualche buontempone, non si sa se per screditare chi usa le piattaforme di selfpublishing, parla di autopubblicazione. Il selfpublisher diventa l’autore che si pubblica da sé.
In realtà più correttamente si dovrebbe parlare di autoeditoria, perché in effetti è così, e di autoeditore, che è la vera attività dell’autore.
Adesso prendiamo in esame la parola indie che di norma non viene spiegata al pubblico, lasciandola così com’è. È noto, anzi arcinoto, che gli anglosassoni non amano le parole troppo lunghe e quindi le accorciano, le accorpano e delle originali se ne dimenticano. Indie non è altro che la storpiatura di independent ovvero indipendente. Però parlare di autori indipendenti – indie author – era troppo chiaro anche per i meno acculturati a chi si riferissero. Per contro usare indie poteva evocare gli indiani, qualcosa di esotico, strano oppure al nulla.
Concludendo questa lunga parentesi sulle definizioni e significato dei nomi inglesi, possiamo dire:
- chi va su una piattaforma di selfpublishing entra nell’industria del libro svolgendola in maniera autonoma ovvero pratica l’autoeditoria.
-
diventa autoeditore di se stesso.
-
è un autore indipendente.
Chiarito questo si deduce che l’autore indipendente deve svolgere tutto quello che fa parte della filiera del libro e non limitarsi alla scrittura della storia e a pubblicarla.
Fino a una trentina di anni fa l’editoria era composta dall’editore, dall’editor, dal correttore di bozze, dall’impaginatore, dal grafico, dal copywriter – è quello che scrive la quarta di copertina e prepara la sinossi – dal promotore e dal traduttore per i libri stranieri. E di certo ho dimenticato altre figure. E l’autore che faceva? Mandava il suo manoscritto alla casa editrice che affidava la lettura al proprio editor. Se veniva giudicato idoneo alla pubblicazione, l’editore gli faceva sottoscrivere un contratto, anticipava le royalties e il testo cominciava il suo iter fino alla sua pubblicazione e relativa promozione.
Poi col tempo qualche pezzo della filiera si è staccato come il correttore di bozze e il copywriter. Gli anticipi si sono ridotti drasticamente fino a diventare quasi nulli salvo casi eccezionali. Il promoter o marketing, ovvero le presentazioni in libreria, in tv o le recensioni su riviste e giornali, opera solo nel grandi gruppi editoriali e limitatamente a personaggi celebri. I manoscritti sono filtrati tramite agenti letterari. L’editor agisce presso gli editori medio-grandi, ma non sempre, e comunque si preferisce un prodotto già finito. Presso i medio-piccoli in pratica c’è solo la figura del grafico per la copertina. Tutto il resto è a carico dell’autore.
La nota curiosa è che con l’aumento degli editori, di solito di piccola taglia, il mercato editoriale si è ingessato ma questo non è l’argomento che voglio trattare.
A questo punto se qualcuno pazientemente ha continuato a leggere si è chiesto di cosa stiamo parlando, perché probabilmente non ci ha capito nulla.
Faccio ammenda e torno sul selfpublishing. L’autore indipendente dovrà fare tutto quello che l’editoria e l’editore tradizionale fanno o dovrebbero fare.
Ammesso, ma non è sempre così, che abbia scritto una storia interessante deve cercarsi un editor che lo aiuti a migliorare il prodotto. Si affida a un grafico per la copertina. Trova un impaginatore per dare una veste professionale alla sua storia e si rivolge a un promoter per fare promozione al suo testo.
In altre parole l’autore indipendente diventa l’imprenditore di se stesso rischiando in proprio sulla riuscita del suo progetto editoriale. Il costo di tutte queste figure può essere salato senza che i proventi delle vendite riescano a coprire le uscite. Questo è vero anche in presenza di royalty sufficientemente elevate o eliminando qualche figura.
A questo punto uno si chiede giustamente perché dovrei investire un bel po’ di denaro per appagare la smania di pubblicare una mia storia.
Senza analizzare a fondo pro e contro, vedo di trovare cinque motivi positivi per autoeditoria e cinque negativi.
Vantaggi dell’autoeditoria.
- certezza di pubblicare un libro anche se il precedente ha fatto flop.
selezione personale di chi parteciperà alla realizzazione del tuo libro.
royalty per copia più elevate.
potrai sempre modificare qualsiasi aspetto del tuo libro, prezzo compreso.
se ha successo è solo merito tuo.
Svantaggi dell’autoeditoria
- è difficile arrivare in libreria e guadagnare qualcosa.
se il tuo libro non ha successo, la colpa è solo tua.
è sconsigliato per chi non viole fare l’editore di se stesso.
lavorerai tantissimo e rischi di guadagnarci molto poco.
tutti i canali di promozione degli editori medio-grandi ti sono preclusi.
Concludendo
alla fine tutto dipende da te: hai la massima libertà d’azione ma anche la massima responsabilità e impegno.
Quindi per affrontare il selfpublishing l’autore indipendente, che vuole essere l’imprenditore di se stesso, deve essere consapevole delle difficoltà che dovrà affrontare.
I racconti del condominio – il pdf
Una notte magica San Giovanni – prologo
Un piccolo assaggio del mio nuovo romanzo, che uscirà il 24 giugno. Le prenotazioni sono aperte qui. Il 24 giugno ai prenotati arriverà la copia definitiva.
Quando i tredici cicli avranno compiuto il loro giro l’umanità si troverà davanti a un bivio. Sprofondare nel Metnàl, nell’ultimo girone di Xibalbà al cospetto di Uucub Camé, il signore delle sette morti nella casa del giaguaro oppure vivere una nuova età dell’oro.
Solo tredici saggi potranno salvare il popolo delle terre e salvarle dal precipizio nella grotta di Colbàn. Sono i tredici custodi del teschio di cristallo.
Si dovranno radunare sotto il sacro tempio di Kukulkàn nella grotta di Hunahpu accanto al cenote di Xbalanque.
Saranno chiamati dai quattro angoli della terra e si incammineranno per raggiungere il sacro tempio del serpente piumato.
Se un custode non risponderà alla chiamata, allora il popolo precipiterà nello Xibalbà senza scampo.
I tredici custodi designati alla creazione della terra hanno passato il proprio teschio di cristallo al suo successore scelto al momento del trapasso senza distinzione di genere o di popolo.
Il tempo è scandito dai loro passi.
Si devono trovare tutti insieme nello stesso momento nella grotta di Hunahpu e sedersi sullo scranno col loro nome.
Arrivati al sacro tempio di Kukultàn ascendono verso la pietra sacrificale del Sole e della Luna per scendere al suo interno.
Nessuno conosce l’identità degli altri dodici e tutti ignorano chi occuperà lo scranno d’oro, quello del tredicesimo custode.
Il quindici ottobre del 2012 è arrivata la chiamata e i tredici custodi si sono avviati verso il sacro tempio di Kukultàn portando con sé il teschio di cristallo ricevuto dal loro predecessore.
Dal Messico, dal Belize, dallo Yucatàn e dal Guatemala tredici persone hanno intrapreso il cammino a piedi verso la piramide di Kukultàn.
Uno dopo l’altro occupano il posto assegnato, aspettando l’arrivo del tredicesimo custode.
Ecco che arriva regale come un dio. Si siede sullo scranno d’oro e tutti sollevano il loro teschio di cristallo.
Il popolo è salvo.
Un nuovo ciclo di B’ak’tun comincerà.
Debora Nardi colpisce ancora.
Una nuova storia di Debora Nardi, l’investigatrice nata dalla fertile mente di Elena Andreotti. È un’indagine atipica.
Il mistero di Villa dei glicini: Un cold case per Debora Nardi
Debora Nardi ha colpito ancora. Col tempo migliora come il buon vino. Una storia inquietante sul filo dei ricordi di una misteriosa scomparsa avvenuta vent’anni prima.
La villa dei glicini è il teatro dove si svolge tutta l’azione sia nel presente sia nel passato.
Si sa che la curiosità è sinonimo di Debora, che con l’amica Flora indaga sulla scomparsa della moglie di Giorgio da Villa dei glicini. Il caso è rimasto insoluto da vent’anni ma qualcosa si muove nel presente.
Debora non crede che lo scrittore, marito della scomparsa, sia implicato nella sparizione della moglie.
Tra colpi di scena e intuizioni geniali Debora trova il bandolo della matassa del rompicapo e risolve il caso.
Sinossi
Il male ha radici profonde e affonda nel lontano passato. Debora Nardi lo scoprirà presto, quando comincerà a interrogarsi sulla sparizione di una giovane donna, moglie di un affermato scrittore, Giorgio Roher.
Giorgio è tornato a vivere nella villa dove ha vissuto felice con la moglie Clara, finché questa non è scomparsa, senza lasciare traccia. Lo scrittore viene scagionato dall’accusa di averla uccisa occultandone il cadavere, ma nonostante ciò abbandona, subito dopo, l’abitazione di famiglia e lascia anche il paese che gli ha voltato le spalle. Ridare vita a quella dismessa abitazione davvero basta a toglierle quell’aura di maledizione che sembrava averla avvolta? Davvero il male l’ha abbandonata, svanendo nel nulla?
Scoperte raccapriccianti e la scomparsa di un’altra giovane donna riportano Giorgio indietro nel tempo, ma Debora, come un mastino che non molla la presa, andrà fino alle radici del male, più profonde di quanto si possa immaginare.
Il libro è autoconclusivo, ma è consigliabile la lettura dei libri precedenti con protagonista Debora Nardi (Vorrei essere Jessica Fletcher, Morte dolceamara e Di porpora vestita), per apprezzarne a pieno le sfaccettature e l’evoluzione della sua storia personale
Lo trovate su Amazon a 2,99€ oppure lo leggete gratis per gli iscritti a Kindel Unlimted
Una notte magica San Giovanni
Sinossi
È il 23 giugno la vigilia della notte di San Giovanni. Deborah, una giovane milanese, è in vacanza a Cattolica e ascolta casualmente una conversazione tra una vicina di ombrellone e un ragazzo romagnolo. Progettano per la notte di San Giovanni una trasgressione sessuale sulle colline alle spalle di Cattolica. Il paese è in festa per la notte delle streghe, un revival di magia nera medievale.
Deborah decide di seguire i due amanti per curiosità. Qui in un tripudio di persone, bancarelle e cartomanti un teschio di cristallo di epoca Maya la chiama e da’ inizio a una straordinaria avventura tra passato e presente, spostandosi nel tempo e nello spazio. Si trova proiettata nel 1927 nel Belize quando un avventuriero inglese e la figlia adottiva ritrovano un teschio di cristallo del tutto identico a quello acquistato su una misteriosa bancarella. Li segue al loro ritorno in Inghilterra e a Londra dove nel British Museum è ospitato un altro teschio di cristallo. Assiste alla notte di sesso dei due amanti.
Una cartomante le legge il suo futuro e la inizializza ai riti esoterici della notte di San Giovanni. Verrà lasciata dall’attuale compagno e troverà il futuro amore attraverso il bacile con la cera fusa esposta alla guazza di San Giovanni.
Deborah, giocatrice di basket, scopre che è in grado di vedere e leggere nella mente delle persone. Aspetta la chiamata per portare il suo teschio di cristallo in un posto dove i tredici te aschi riuniti daranno le indicazioni per salvare l’umanità dopo il 12 dicembre 2012.
Il 14 ottobre del 2012 durante la notte si trova catapultata in un paese sconosciuto abitato da persone che parlano una lingua ignota. La chiamata è arrivata e lei va occupare il tredicesimo scanno, quello più importante.
Uscirà il 24 giugno ma potete prenotarlo qui o leggere un estratto. Non appena sarà pronto sarà inviata l’ultima versione, quella definitiva. Sto curando ogni dettaglio di impaginazione per una piacevole lettura.
Il libro costa 2,69€ in formato ebook. Di certo per quella data sarà pronto il formato cartaceo.
O.T. per qualche giorno non leggerò i vostri post né commenti o risposte ma vi leggerò tutti e risponderò a tutti.
Grazie
I lorchitruci
Anni fa… mamma mia come vola il tempo, Ilmiolibro fece un contest partendo da un incipit di Paola Mastrocola. Non partecipai ma scrissi ugualmente il pezzo che vi sottopongo alla vostra benevolenza.
Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
– Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai come si fatica!
Mio padre faceva il giardiniere, e andava in giro per i giardini altrui. Andava a potar piante, rastrellare foglie e tagliare erba col suo potente tagliaerba.
Quel giorno doveva occuparsi niente meno del giardino dei terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da pensare a orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà che cosa mai si nascondeva.” (incipit di Paola Mastrocola su ilmiolibro.it)
Però ero curiosa di sapere cosa si nascondeva dietro quel muro. Mio padre c’era già stato, ma era sempre stato molto parco nel descrivere le abitudini delle persone alle quali accudiva i giardini.
Dunque oggi marinavo la scuola col suo consenso, ma questo non mi piaceva e non mi faceva gustare la giornata di libertà.
– Lavorare? – non ci pensavo nemmeno, perché ero sicura che non mi avrebbe fatto fare nulla.
La sveglia era stata alle sei anziché alle sette come al solito, ma sognavo di vedere sorgere il sole con il cielo rosato là in fondo e cupo sopra la mia testa. Questa mattina alcuni fiocchetti rosati solcavano il cielo come graziose navicelle, mentre di buon passo lo seguivo lungo il ripido sentiero che conduceva al giardino più impenetrabile della collina.
L’ululato sguaiato di due cani ci accolse da dietro l’enorme cancellata di ferro, che chiudeva la vista della villa. Un brivido di freddo, ma era paura, mi percorse la schiena. Per farmi coraggio mi dissi: – Non puoi avere paura! Sono solo due cani. –
Però un po’ di tremarella agitava le mie gambe, che avrebbero voluto correre giù lungo quel sentiero percorso con tanta baldanza.
Ero sempre stata una bambina vivace, impertinente e con poca voglia di applicarmi a scuola. La maestra, un donnone dalla circonferenza smisurata, diceva ai miei genitori attoniti e amareggiati: – È intelligente. Ha la mente sveglia. Sarebbe la prima della classe, ma spesso la vedo con gli occhi sognare spazi aperti e campi ricoperti di margherite ed elicriso.- E a casa erano rimproveri a non finire. Mi piaceva sognare a occhi aperti e poi amavo fiori e uccelli, perché era stato mio padre a trasmettermi quest’amore.
Dunque ero dinnanzi alla cancellata di ferro luccicante e imponente al fianco di mio padre. Tremavo come una foglia agitata dal vento di scirocco che seccava la gola d’estate, mentre lui era imperturbabile e sereno come se il latrato furioso dei cani fosse musica celestiale. Mi domandavo come faceva a rimanere così calmo senza tradire la minima emozione.
– Elisa – disse leggendomi il pensiero – tu hai paura e ne avrai ancora di più quando vedrai Billo e Billa, due cagnacci neri più alti di te. Se stai calma e serena, non ti faranno nulla, ma se tremi aprono le fauci e zac sparisci. –
Questo mi fece tremare ancora di più. I denti sembravano impazziti. Battevano rumorosamente tra loro in un fremito incontrollato, impedendomi di fare uscire le parole, mentre la cancellata si muoveva cigolando in silenzioso mossa da una mano misteriosa, e vidi i loro musi spuntare dalla fessura.
Smisi di tremare perché ero diventata di marmo e loro non abbaiavano più. Mi feci coraggio raccogliendo tutte le forze che non erano fuggite giù per la collina e seguì mio padre all’interno.
Tutto era smisurato dagli alberi ai fiori compresi cani e servitore che ci avevano aperto e accolto gelidamente.
– Oh! – era tutto quello che ero riuscita a dire mentre cautamente mi appiccicai alle gambe di mio padre. I due cani sembravano soddisfatti, ma erano in attesa di balzarmi addosso se solo avessi accennato ad aver paura.
Mio padre con fare sicuro si avvicinò a una casetta minuscola rispetto alla villa che si stagliava imponente al termine di un ripido sentiero e cominciò a estrarre gli attrezzi per lavorare il giardino.
Mi domandavo come avrebbe potuto manovrare quella zappa che era alta tre volte la mia statura, che era di molto superiore alla media dei miei coetanei di dieci anni.
La prese con disinvoltura e cominciò a zappare un angolo dell’aiuola centrale dove fiorivano delle splendide rose vellutate rosse, grandi come una teste di bue.
Io a bocca aperta dallo stupore lo vedevo dare colpi vigorosi e precisi di zappa come se l’attrezzo fosse normale.
– Elisa – mi rimproverò mio padre – non stare lì impalata come una stoppia. Dati da fare, perché al tramonto dobbiamo avere sistemato il giardino se vogliamo tornare a casa sani e salvi. Prendi dalla casetta degli attrezzi il sarchio e comincia a sarchiare per togliere le erbacce intorno ai rosai. Però fa attenzione alle spine, che sono pericolose.-
Alla paura era subentrato lo stupore e la sorpresa, perché impugnando il lungo manico riuscivo a manovrare l’attrezzo con agilità e precisione.
Lavorai, sudai e sbuffai tutto il giorno senza posa sempre guardata a vista dai due cagnacci, che si erano accordati su come spartire il mio corpo. Billo avrebbe preso la parte superiore, Billa quella inferiore. Non potevo e non dovevo scompormi, perché erano subito lì pronti a saltarmi addosso. Non sentivo la fame e la sete, perché la tremarella li avevano scacciati, come la fame aveva allontanato il lupo dal bosco. Il sole stava tramontando dietro quell’orrenda casa tutti merli e torrioni appuntiti e dovevamo sbrigarci.
Finalmente dall’enorme uscio uscì Gianantonio Lorchitruci, alto come un palazzo a tre piani, che guardò il lavoro che avevamo fatto e disse soddisfatto ma amareggiato: – Anche stavolta dovrò rinunciare alla cena serale. Prendi questi due zecchini d’oro e arrivederci al prossimo mese. –
Non vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle quell’orrenda cancellata e correre a perdifiato lungo la discesa verso casa.
Mi svegliai col cuore in gola e col fiato corto come se avessi corso per mille miglia.
-Papà – dissi con un filo di voce – da oggi metto la testa a posto e non prenderò mai più un brutto voto a scuola. È centomila volte meglio andare a scuola con profitto che lavorare con te dai Lorchitruci. –
Mio padre sorrise accarezzandomi i capelli biondi e spettinati.
Oltremare – racconto
Sempre dal libro mai pubblicato estraggo questo mini racconto.
“Fu di sera, già di buio; era ottobre. Il cielo era coperto. Il giorno avevamo vendemmiato e attraverso i filari vedevamo nel mare grigio avvicinarsi le vele d’una nave che batteva bandiera imperiale.” (Italo Calvino, Il visconte dimezzato. I meridiani – Arnaldo Mondadori Editore)
Marco aveva dieci anni, quando una sera vide la nave sull’orizzonte. Era snella e andava a vela come i vecchi vascelli. Sembrava che volasse tra cielo e acqua, perché lì l’orizzonte si confonde. Nel vederla accese la fantasia.
Stava sul ponte di comando a guidare quella ciurma indisciplinata, mentre il timoniere teneva la barra a dritta.
Si sgolava e imprecava ad alta voce.
«Alzate la vela maestra! Mollate il fiocco! C’è troppo vento, virate a manca col vento contro!»
La voce roca e tagliente dava ordini secchi come schioppettate che arrivano diritti al cuore dei marinai.
Il veliero cavalcava agile l’onda bianca, pronta a scendere nell’incavo del mare e poi salire su quella successiva.
Marco era ritto come un fuso sulla plancia sferzato da vento e salsedine, pronto a odorare il suo profumo e dirigersi dove questo vola dritto.
La prua sottile taglia il verde marino come la lama nel burro, mentre dietro una danza di salti e tuffi l’accompagna.
Ormai cinquantenne sogna ancora il mare, mentre osserva corrucciato il brulicare di uomini indaffarati e spenti che si agitano nella vita cittadina.
È un cittadino, che ama l’aria, la salsedine e i velieri senza essere ricambiato.
È marzo, ma il tempo per rifugiarsi nella vecchia casa in riva al mare tra filari di vite e noci dalle larghe chiome non è ancora arrivato.
Si strugge dalla malinconia e dal ricordo, perché non è potuto diventare un marinaio. I suoi vecchi non hanno voluto, doveva diventare Dottore, avere una casa in città, una moglie e dei figli belli come lui.
«Papà» disse un giorno di trent’anni prima, «anche all’Accademia divento Dottore».
Suo padre fu irremovibile. Doveva andare in città all’università per diventare Dottore.
Marco si rassegnò esternamente, ma dentro coltivava l’idea del mare, ma la coltivò solo, perché trovò Mara e la sposò.
Anche a Mara il mare non piaceva, diceva che le incuteva paura e poi non sapeva nuotare.
Si rassegnò a malincuore a vivere fra cemento, auto, rumori e polvere in una casa che molti dicevano essere confortevole, ma che a lui stava stretta.
A questi pensieri gli viene un groppo in gola. Lui ha soddisfatto i suoi vecchi ma dentro di sé si sente infelice. La casa in città l’ha comprata tanti anni prima. La moglie c’è come pure i due figli belli come lui.
Marco per vedere il mare deve andare da solo nella vecchia casa paterna. È spoglia e vuota dopo che i suoi vecchi uno alla volta in punta di piedi se ne sono andati nel piccolo cimitero in fondo alla strada.
Quella casa non la ha voluta mai vendere, come le quindici pertiche di vigna ormai inselvatichitasi, ma tenuta ordinata da Giuseppe, il vecchio fattore.
Mara e i due ragazzi non l’hanno mai voluto vedere sperando che la vendesse.
Marco si mette là dove a dieci anni aveva visto la nave con la bandiera imperiale. In quel punto l’orizzonte si confonde con l’acqua. Là il sole si inabissa colorando di rosso terra, acqua e cielo. Lui stava lì a bocca aperta per aspirare il gusto del sale che arrivava da dietro le dune.
Ancora qualche settimana di supplizio a respirare cemento, poi da solo avrebbe preso quel viottolo polveroso che conduce alla casa paterna senza luce e senza acqua. Con gli scuri incrostati di sale e le pietre rosse che sono imbiancate. È un casale troppo grande per lui ma avrebbe vissuto nelle stanze al pianoterra.
L’ampia cucina col camino di pietra che guarda l’orizzonte. Un tavolo rustico inscurito dal tempo. Qui sarebbe stato di vedetta, mentre mangia osservando il mare. La vecchia sala da pranzo col divano di cretonne liso e dai colori indefiniti. Questo è il suo letto. Avrebbe riattivato il camino per cuocere e riscaldare l’ambiente.
Sul fratino in cucina avrebbe scritto il suo amore per il mare alla luce della lampada a olio. Qui i ricordi di quaranta anni fa lo conducono per mano.
Oltremare – Ultramarine’s – presentazione
Sempre dai fondi di magazzino ho estratto questo testo che era mia intenzione pubblicarlo ma poi ho deciso di non fare nulla.
Presentazione
Quando lessi per la prima volta la poesia di Guido Cavalcanti
Veggio negli occhi de la donna mia
Veggio negli occhi de la donna mia
un lume pien di spiriti d’amore,
che porta uno piacer novo nel core,
sì che vi desta d’allegrezza vita.
05 Cosa m’aven, quand’ i’ le son presente,
ch’i’ non la posso a lo ‘ntelletto dire:
veder mi par de la sua labbia uscire
una sì bella donna, che la mente
comprender no la può, che ‘mmantenente
10 ne nasce un’altra di bellezza nova,
da la qual par ch’una stella si mova
e dica: – La salute tua è apparita – .
Là dove questa bella donna appare
s’ode una voce che le vèn davanti
15 e par che d’umiltà il su’ nome canti
sì dolcemente, che, s’i’ ‘l vo’ contare,
sento che ‘l su’ valor mi fa tremare;
e movonsi nell’anima sospiri
che dicon: – Guarda; se tu coste’ miri,
20 vedra’ la sua vertù nel ciel salita – .
(ripreso dal sito www.liberliber.it alla voce Calvalcanti – Rime)
sentì l’impulso di scrivere poesie, che in qualche modo riecheggiavano gli stinovisti. Di quelle prime poesie rozze e non troppo originali non sono rimaste tracce, perché, quando nel 1970 ho ricopiato tutte le poesie in un quaderno ad anelli, sono state cancellate.
In quei lontani anni, ero uno studente del liceo scientifico, cercavo l’ispirazione coi sensi: vista e udito, emozioni e sentimenti. Oggi con la maturità volo con la fantasia accarezzando tutto quello che sta intorno a me alla ricerca e alla scoperta del senso della vita.
Questa raccolta non viaggia per terre lontane, ma osserva e viaggia con la fantasia spaziando tra sentimenti ed emozioni.
Chi le leggerà, viaggerà con me nel mondo fantastico dei sensi lungo un cammino fatto di sensazioni e immagini.
Per te
Per Te,
che sai vivere le sensazioni
migliori della vita
e ti agiti e sei in continuo divenire,
per Te,
che assapori la terra e la tocchi
e senti il vento
che ti fa socchiudere gli occhi,
per Te,
che sai guardare il cielo,
è questa vita
in tutta la sua forza.
Rosalba
Per curare l’ansia basta fare sesso due volte alla settimana
Spulciando tra ritagli di giornali, pezzi raccolti on line e pensieri vecchi di molti anni ho trovato questa notizia curiosa.
Una donna, presentatasi al pronto soccorso di un ospedale genovese in preda ad una crisi di ansia, si è vista prescrivere la seguente cura per curare i sintomi da “stato ansioso”: “ fare sesso, possibilmente bene, due volte alla settimana e non di più”.
La curiosità, secondo me, non sta tanto nel fare sesso due volte alla settimana, ma in base a quali indicazioni diagnostiche si è arrivati a stillare la suddetta cura. Il medico ha dedotto, forse, che era in preda ad una crisi di astinenza da sesso? Sicuramente è sempre meglio fare sesso, possibilmente bene, piuttosto che prendere pastiglie di Valium.
La cura fa bene anche ai maschietti oltre che alle femminucce?
Da Republica online del 5 luglio 2007 ripresa dal “Corriere Mercantile” di Genova pubblicata il giorno prima.
GENOVA – Il disturbo: ansia. La cura del medico: sesso, ma con moderazione. “Farlo due volte alla settimana, non di più”. Questa la prescrizione che un dottore in servizio al pronto soccorso dell’ospedale genovese Villa Scassi ha fatto ad una giovane donna affetta da “stato ansioso”. La visita è stata effettuata lunedì scorso, nel pomeriggio. La notizia è stata riportata questa mattina dal quotidiano di Genova “Corriere Mercantile”.
La donna si è presentata nel punto di primo soccorso del nosocomio di Sampierdarena afflitta da una profonda agitazione. Il medico l’ha visitata a lungo effettuando anche una visita ginecologica. Dopo avere esaminato gli esiti della misurazione della pressione, dei battiti cardiaci, della respirazione in correlazione alle altre visite, il sanitario ha messo per iscritto il suo consiglio: “Fare sesso due volte alla settimana, non di più” per curare i sintomi di ciò che ha definito, sempre per iscritto, un semplice “stato ansioso”.
Sullo stesso argomento ho trovato quest’altro pezzo.
Il legame fra sesso e ansia è stato esaminato in diversi studi. Per esempio Stuart Brody, uno psicologo dell’Università di Paisley (Scozia), ha dimostrare scientificamente i benefici psicofisici del fare l’amore.
Nello studio di Brody erano stati esaminati 46 volontari, 24 donne e 22 uomini, ai quali era stato chiesto di tenere per due settimane un diario dei loro momenti d’intimità indicandone tempi, luoghi e soprattutto tipologia di attività sessuale svolta. Dopo quindici giorni, tutti i volontari sono stati sottoposti a numerose prove sia mentali che fisiche.
Esaminando i dati ottenuti, si riscontrò che i soggetti che avevano avuto un maggior numero di incontri sessuali completi non presentavano particolari miglioramenti nell’esecuzione delle prove ma in compenso reagivano con meno ansia allo stress della prova.
I soggetti che dichiararono di avere avuto solo rapporti sessuali completi, al momento della prova “stressante” fecero registrare degli sbalzi di pressione sanguigna minori rispetto alle persone che non avevano avuto dei rapporti completi. Le peggiori performance in fatto di stress sono state quelle degli astinenti.
Estratto da https://www.universonline.it/_benessere/sesso/07_07_05_a.php