Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quattordicesima parte del romanzo Konnie.
La potete leggere anche qui. Buona lettura
11 agosto 2144 Bozen
Dopo un peregrinare lento con le gambe, che faticano a obbedire ai suoi comandi, prova a centellinare in qualche modo le forze per cercare qualcosa che possa offrire riparo per la notte. Gli edifici ancora in piedi sembrano sbriciolarsi da un momento all’altro e hanno i tetti collassati all’interno. Il selciato è esploso in più punti sotto la spinta di alberi ed erbacce. Una statua corrosa dalle intemperie svetta tra tanto sfacelo. Solo un qualcosa assomigliante a un chioschetto, che mostra segni evidenti di ruggine, sembra offrire un solido riparo. I vetri sono ridotti in polvere, le parti di legno al tocco si disgregano. Le uniche parti che resistono sono quelle in ferro, intaccate e ricoperte da uno strato di polvere rugginosa. Il tetto, pur presentando qualche buco riesce a garantire un buon riparo. Il pavimento è ricoperto da un po’ di tutto. Cent’anni alle intemperie e all’abbandono mostrano il loro biglietto da visita.
Konnie spinge a fatica quella che un tempo è stata una porta che cigola strisciando sul fondo. A parte qualche sedia rovesciata c’è lo scheletro di un divanetto in ferro ampio a sufficienza per ospitare una persona sdraiata.
Per il momento si siede per riposare e bere un po’ d’acqua dalla borraccia. «La devo centellinare con parsimonia. Ignoro se potrò trovarne altra di potabile» borbotta appoggiando la schiena.
«È stato molto faticoso arrivare fin qui» aggiunge con un filo di voce, mentre si deterge la bocca bagnata. Si sente stremato, osserva delle piccole emorragie cutanee sulle braccia. Il respiro si fa affannoso. Prova sensazioni di nausea e vertigini. Prende qualcosa dallo zaino per placare quella che gli sembra fame ma poi la rimette via. Lo stomaco è chiuso e non vuol ricevere nulla. Rischia solo di vomitare. «È meglio conservare il cibo per un’altra occasione senza sprecarlo».
Si distende sul divanetto. Non è molto comodo ma la stanchezza prevale sul disagio. Chiude gli occhi e sogna.
Il suo è un sogno in bianco e nero. Vede due giovani con un cane che pare un cucciolo. Ignora di quale razza sia ma gli appare molto giovane. Sono vestiti in modo strano ma ben diverso da lui. Il sogno continua ma si sveglia. È tutto intorpidito e sente freddo ma non ha nulla con cui coprirsi. Nel bunker non ha mai provato queste sensazioni. La temperatura era mite e non variava mai. Quello è stato per tutta la sua vita la zona comfort, una calda cuccia che l’ha cullato per ottant’anni. Però ricorda il bianco candore e il freddo pungente di sei mesi prima.
Intuisce che ha commesso un errore lasciando il bunker ma la curiosità di conoscere il mondo esterno e il terrore che quello sigillasse la sua vita è stato il detonatore della sua uscita.
Con lentezza scivola nel dormiveglia e ricomincia a sognare.
Su Caffè Letterario è pubblicato la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
22 agosto 2144
La notte non è stata semplice da superare, perché il vento ha imperversato con violenza: c’è stato il rischio concreto che la tenda fosse strappata e volasse via. Poi si è aggiunto una bufera di neve che per fortuna è durata poco ma accumulato altri centimetri sul suolo.
Matteo e Alba hanno dormito come i gatti: un occhio chiuso e uno aperto, pronti a far fronte alle intemperie. Da quando una settimana prima sono partiti dalla Città del Sole non sono stati fortunati col tempo. Hanno pensato che sarebbe stata una scampagnata raggiungere Bozen ma invece pare un miraggio. Però hanno conosciuto aspetti del mondo esterno di cui ignoravano l’esistenza come la neve e il vento. Hanno compreso che non assomigliano per nulla alla calma piatta della Città del Sole e nemmeno ai video che hanno visionato più volte. La realtà è assai differente.
La mattina li accoglie splendida con un cielo di un azzurro intenso senza un alito di vento, mentre il sole fa scintillare la neve caduta nella notte che crocchia sotto di loro. La temperatura è rigida, mentre il respiro tende a condensare all’interno del casco. Devono azionare più volte un piccolo interruttore per disappannare l’interno.
«Riusciremo a tornare indietro tra qualche settimana?» Domanda Alba con tono preoccupato, quando al mattino si rimettono in marcia per scendere a valle. Ha lo sguardo allarmato con una profonda ruga che le solca la fronte.
«In estate non nevica» prova a rassicurarla Matteo, procedendo in discesa con passo guardingo, mentre Cucciolo rimane accanto a loro senza correre avanti e indietro come nei giorni precedenti. Sa d’aver pronunciato un’eresia, perché è evidente che non è vero.
Alba sorride perché tra qualche settimana l’autunno sarà alle porte. Quindi per quelle che sono le sue conoscenze il tempo dovrebbe virare al brutto, ma come lo ignora. Però un primo assaggio l’ha avuto. Matteo non l’ha convinta per nulla ma tace.
Scendono con cautela sulla strada ricoperta di neve. A malapena riconoscono sotto il velo bianco pietre e altri ostacoli. Lasciano alle spalle le orme dei loro piedi.
«Hai visto come è ingrossato Cucciolo? E come è morbido il suo pelo?» esterna Matteo osservando il lupetto che trotterella accanto a loro.
Alba lo scruta e sorride. Annuisce perché anche lei ha notato questo cambiamento. Però non è in grado di giustificarlo. Nella Città del Sole non ci sono cani e nemmeno gatti. Qualche altro animale è presente ma sono mucche e pecore. Si domanda se al loro ritorno sarà permesso di introdurlo ma rimanda la questione a più avanti.
La discesa sembra meno disastrata rispetto alla salita ma comunque impegna i due ragazzi a non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si è formato durante la notte. Notano che sui costoni che contornano la strada il bosco presenta delle cicatrici che non si sono ancora chiuse per bene.
Man mano che scendono la neve si trasforma in acqua e piccole cascatelle scivolano da un tornante su quello più in basso. Camminano in silenzio facendo attenzione a dove posano i piedi. Cucciolo si avventura ogni tanto nel bosco che ha guadagnato spazio sulla strada, ridotta a stretto sentiero. Però ritorna in fretta al loro fianco.
Sono stanchi e le ombre della sera cominciano a calare. Lungo il tragitto non hanno trovato ruderi o altro e non sono arrivati a valle. Finalmente arrivano in uno spazio in piano con i resti di una costruzione, che accanto presenta una fossa rettangolare. Adesso è una buca colma di acqua scura maleodorante. Ignorano cosa poteva essere in origine.
«Non mi piace questa zona. C’è un odore malsano» afferma con tono categorico Alba. «Cerchiamo un altro posto».
Matteo annuisce con decisione. L’ubicazione, dove pernottare, non lo convince.
Si muovono, perlustrano, saggiano la solidità delle pareti rimaste in piedi, finché non decidono di sistemare la tenda in un luogo vicino a una struttura che contiene dei macchinari corrosi dalla ruggine.
L’insulto giunge per mezzo del web. Colpisce duro. Impreco contro i leoni occulti dietro lo schermo. Verrebbe il desiderio di rispondere dente per dente, occhio per occhio. Mi fermo. Rifletto. Spreco il mio tempo contro coloro che sono privi di cuore e di cervello? Sono reietti, illusi di vincere un like perché sono ombre cinesi, prive di idee. Chiudo il computer e mi leggo un libro. È meglio e più utile.
Fiorenza e Francesco, fidanzati, firmano fogli su fogli con le loro firme per formare una fregatura a Filippo. Funzionerà? Fingere? Fabbricano un foglietto falso per un fabbisogno febbrile di falsificare la forma della facciata. Il facchino facilita la furbata.
Ho finito di leggere Equinox di Chiara Strazzulla – Gainsworth Publishing. La casa editrice è specializzata in fantasy di tutti i generi. L’autrice vive a Cardiff nel Galles e ha publicato con Stile libero di Einaudi tre libri.
È un bel tomo di pagine (sono 554), scritto bene – si nota l’estrazione culturale – e ben documentato. Risiedere in una città del Regno Unito è un jolly non da poco da spendere con successo. Anche la capacità di parlare di esoterismo con proprietà denota un’attenta maestria e un’accurata documentazione sull’argomento.
Tra draghi cinesi e suore esorciste, sedute spiritiche e libri antichi che svelano i segreti della magia rituale si snoda la trama tra le morti atroci per opera di un mostro multiforme. L’ispettore William Ashcroft scoprirà l’esistenza di una Londra misteriosa che si muove tra le crepe del mondo dominato dalla logica. La sua natura razionale di poliziotto si trova di fronte a delle scelte che potrebbero cambiare molto più della sua semplice vita.
“Non uscire dal cerchio”.
È un fantasy noir ma nel contempo è anche un brillante thriller che spinge il lettore a capire chi sta dietro alle sei morti che l’ispettore deve svelare.
Per me è un po’ troppo lungo e forse eliminando e tagliando qua e là si renderebbe snella la lettura mentre il ritmo narrativo non avrebbe pause, visto la natura di thriller del romanzo.
Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post del racconto Konnie, pensando di far cosa paicere lo ripublico anche qui.
10 agosto 2144 Bozen
Konnie si deve fermare ogni venti passi. Fatica a respirare, tossisce. Avverte stanchezza con le gambe che gemono per il dolore. Cerca riparo dalla luce troppa intensa. Gli occhi lacrimano e faticano a rimanere aperti.
Quello che intravvede attraverso la visione opaca dello sguardo è tutto nuovo. I suoi ricordi basati sui filmati visti nelle lunghe serate nel bunker non collimano con quello che osserva intorno. Nemmeno le montagne che contornano la città sono le stesse. Sembra che abbiamo un altro aspetto. «Come?» Rantola col cuore che batte all’impazzata.
Carcasse arrugginite di qualcosa che battezza come auto sostano ai bordi di quello che un tempo era una strada. Ruderi o montagne di macerie sono ricoperte di verde.
Ascolta il rumore tipico di acqua che scorre sulla sua destra. «Dove sono?» Ricorda che suo padre gli ha descritto tre fiumi che passano per la città. «Quale dei tre?» La curiosità lo spinge ad avvicinarsi. Dalla sponda osserva che un fitto bosco gli preclude quasi per intero la vista. Intravvede un rigagnolo d’acqua in basso. «Forse è solo un’illusione ottica» Prosegue il suo cammino sulla sponda che lascia intuire che un tempo c’erano dei sentieri che a fatica sono percorribili.
Si allontana sempre più dal suo rifugio e capisce che non vi farà più ritorno. Non ha il senso dell’orientamento e tutti i posti sembrano uguali. Non saprebbe riconoscere da dove è passato. Questo lo spinge a proseguire.
Il sole è alto sull’orizzonte e fa molto caldo. Suda copiosamente. Si ferma all’ombra di imponente abete per detergersi il sudore e bere qualcosa dalla borraccia.
Alza verso il cielo lo sguardo e rimane affascinato: un azzurro così nitido non lo ricorda. Ride scuotendo la testa. Il suo occhio per ottant’anni ha visto solo grigio e nero, i colori unicamente nei film e nelle illustrazioni dei libri. «Dovrebbe essere mezzogiorno». L’ha dedotto dal fatto che il sole è alto nel cielo. La calura è insopportabile ma vuole spostarsi in città alla ricerca di un riparo per la notte.
«In città?» Ride, alzandosi a fatica. «Ma sono già in città! Forse in centro».
La fitta boscaglia nata sulla sponda del fiume rende l’aria ancor più rovente e afosa. S’incammina mentre sta sudando copiosamente. Si gira più volte. Gli pare di udire dei latrati alle sue spalle. «Lupi o cani?» Non vede nulla. «Se mi assalgono, per me è finita». Anche volendo non riesce accelerare il passo. Vede la traccia di un sentiero che scende dolcemente verso il basso. «Forse mi porta in centro città» borbotta mentre lo segue.
L’intuizione è corretta. Case crollate, selciato divelto è l’immagine che si presenta alla sua vista. Si ferma a rifiatare mentre studia il percorso da seguire. Non si fida infilare quelle stradine strette dove a fatica potrebbe procedere. Una desolazione è quello che vede. Preferisce proseguire in quella più ampia perché la parte centrale sembra meno ostruita.
Arriva in uno slargo dove alla sua destra osserva la facciata di una chiesa. Si ferma appoggiandosi al tronco di albero. Fatica a respirare, gli manca l’aria.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata l’undicesima parte del racconto Konnie. La potete leggere anche qui.
Buona lettura
21 agosto 2144
Le cime rosate dei monti circostanti danno il buongiorno ai ragazzi, che dopo una rapida colazione fredda riprendono il cammino. Però prima provano a contattare la Città del Sole. Sono tre giorni che non la sentono. Nessuna risposta. «Forse siamo in un punto dove non si prendono le comunicazioni» afferma Matteo, riponendo l’apparato nello zaino senza spegnerlo. La batteria dovrebbe durare almeno sei mesi.
La strada è umida e sdrucciolevole. La ricopre un velo di ghiaccio.
«Siamo ancora in tempo per ritornare indietro prima che sia troppo tardi» suggerisce Matteo con tono neutro. Tuttavia lui vorrebbe portare a termine la spedizione ma vuole sentire il parere della compagna.
Alba si ferma. Lo guarda mettendosi con le spalle al sole. «Dici sul serio o stai scherzando?» Fatta una breve pausa riprende col tono deciso di chi non ha intenzione di gettare la spugna. «Ti capisco e capisco che siamo in ritardo. Le tue preoccupazione sono anche le mie. Ci aspettano giornate dure perché le strade sono tutt’altro che agevoli e il tempo non sarà nostro amico. Restando al calduccio nella nostra tana, non ci siamo resi conto che il mondo esterno è ben diverso dal nostro. I ritmi sonno veglia sono scanditi in altro modo. Piove, nevica e c’è il sole in maniera imprevedibile. La natura non è benevola. Tuttavia la nostra missione è quella di portare certezze se in futuro decidiamo di uscire da sotto e riappropriarci del mondo di sopra».
Matteo ascolta col sorriso sulle labbra il monologo di Alba che si è infervorata, agitando le mani. La voce è salita di due ottave ed è vagamente stridula. «Allora rimettiamoci in marcia!» Prende per mano la ragazza con Cucciolo che scodinzola felice.
Avanzano con lentezza per diversi motivi. La strada è in salita e incontrano ostacoli di varia natura. Inoltre ignorano quali pericoli si celino dietro ogni curva. Alcuni tornanti sono franati su quelli sottostanti e per avanzare si sono dovuti arrampicare su cumuli di rocce col timore di rovinare a valle.
Matteo vede Alba ansimare un po’ più del dovuto. Fatica a tenere un passo spedito. Si guarda intorno alla ricerca di un punto dove fermarsi per riposare e mangiare qualche barretta energetica.
Salgono in silenzio sempre attenti alla strada piena d’insidie. «Ecco!» Si affretta a dire indicando col braccio un anfratto nella roccia. «Possiamo fermarci lì. Quei nuvoloni neri non promettono nulla di buono».
Alba si ferma. Osserva il cielo perplessa. «Forse è meglio proseguire e raggiungere la sommità del passo. Lì dovremmo trovare un posto migliore per ripararci se per caso si scatenasse un temporale o una nevicata improvvisa».
«Ti vedo stanca» replica il ragazzo osservandola. I movimenti sono rallentati e le risposte meno incisive.
Alba sorride ma ha pronta la replica. «Mi vedi sbuffare ma sono ancora in grado di camminare. Se non ce la faccio più, ti chiedo di fermarci».
I due ragazzi riprendono con buona lena la marcia, anche se il fondo stradale è scivoloso per il sottile strato di neve ghiacciata. Non hanno l’attrezzatura idonea a camminare in montagna e quindi faticano più del dovuto. Pagano l’inesperienza di non conoscere la variabilità del tempo in montagna come hanno già provato da quando hanno lasciato la Città del Sole. Lì c’è sempre il sole e il tempo è costante al bello ma fuori non è così. La temperatura può scendere di molti gradi nell’arco di breve tempo. Il sole può comparire o sparire in maniera improvvisa. Per i due ragazzi tutto questo rappresenta una novità.
I nuvoloni si allontanano veloci lasciando il cielo pulito. L’altezza del passo, il camminare spediti ha messo loro il fiatone e, respirando con affanno, raggiungono la sommità.
Lo spettacolo è desolante: non è restato quasi nulla in piedi. Ci sono solo rovine e ruderi con la natura che si è riappropriata del terreno, cancellando ogni traccia umana. I raggi del sole morente illuminano quel senso di abbandono che i resti delle antiche costruzioni trasmettono ai due ragazzi. Devono decidere se fermarsi oppure proseguire verso il fondovalle. Come stanno sperimentando da quando hanno lasciato la Città del Sole, la situazione meteorologica sta virando al brutto. Il cielo si va coprendo di nuvole nere, cariche di pioggia. Il vento comincia a rinforzarsi soffiando con forza. La temperatura scende in picchiata.
La stanchezza del camminare a piedi a cui non si sono ancora abituati e il timore di un peggioramento del tempo li fa optare per la soluzione più ovvia. Scelgono di riposarsi per riprendere il cammino la mattina seguente. Trovare un posto riparato è un problema. Il sole e il gelo hanno spaccato tutte le opere umane. Dopo aver girato tra i vari ruderi si sistemano tra le rovine di un hotel di cui è rimasto ben poco. Un muro rimasto in piedi quasi per miracolo offre un valido riparo dal vento.
Questo libro lo potete acquistare su amazon e kobo.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la decima puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
Buiona lettura.
20 agosto 2144
Al mattino presto un timido sole sbircia tra nuvoloni grigi ma subito si nasconde mentre riprende la pioggia.
Matteo arriva fino al ponte, lasciando Cucciolo a proteggere Alba. Lo valuta. «È messo piuttosto male. Il parapetto è crollato in più punti e il fondo non appare solido. Risalire il corso del torrente potrebbe essere pericoloso. Di certo saranno franati pezzi di roccia più a monte. Provare a guadarlo è rischioso. Già a scendere sul greto non sarà un’impresa semplice come risalire» borbotta indispettito da questo contrattempo. «Le spalle sembrano solide. Quindi ci teniamo sul centro e l’attraversiamo quando questa pioggia smette».
Prima di raggiungere Alba e Cucciolo, raccoglie un po’ di legna. È bagnata e quindi passeranno alcune ore prima di poterla usare. Il fuoco si è spento durante la notte e la temperatura è rigida. «In quota nevica» farfuglia scocciato. Non avevano messo in conto questa evenienza. «Sarà il battesimo della neve che ho visto solo nei filmati».
«Allora?» Chiede Alba con tono ansioso, mentre Cucciolo gli fa festa.
«Quando il tempo si rimette al bello, ci rimettiamo in marcia» spiega con voce sicura.
«Ma il ponte?»
Matteo sorride, anche se internamente è preoccupato per quando tornano. Di certo sarà messo peggio. «Il ponte? Tiene. Non è solidissimo ma non crollerà sotto il nostro peso».
Poi riparte alla ricerca di altra legna. Ignora per quanti giorni saranno costretti a rimanere lì, quindi è meglio fare un po’ di scorta.
Mentre raccoglie rami e arbusti nota nel sottobosco un tappeto di frutti rossi. «Peccato non poterli cogliere. La radioattività è ancora alta». Il minicontatore segnala qualche centesimo sotto i due sievert. Valore pericoloso per gli esseri umani.
Per due giorni si sono alternati schiarite a violenti temporali. Il loro riparo di fortuna, sistemato nell’angolo formato dalle due pareti rimaste in piedi, ha resistito e li ha protetti. La legna raccolta li ha tenuti al caldo nonostante la temperatura sia rimasta sempre rigida.
Nella notte del secondo giorno si è levato un furioso vento che ha spazzato via le nuvole. La mattina li ha salutati con un cielo terso senza un fiocchetto bianco. Il prato è inzuppato di acqua e la temperatura è molto bassa.
«Guarda!» esclama Alba con tono sorpreso, indicando con l’indice della mano destra le cime dei monti. «Le montagne sono bianche!»
I due ragazzi ammirano lo spettacolo che vedono per la prima volta. Sanno che troveranno la strada ricoperta di neve salendo in quota. Anche questo non era stato messo in preventivo.
Fatta la colazione, sistemano la legna rimasta sotto un cumulo di pietre. «Ci potranno servire al nostro ritorno» spiega Matteo, mentre piega con cura teli e tenda.
Il sole è già alto nel cielo e riscalda l’aria che diventa meno gelida. Il torrente Cordevole è ingrossato e trascina a valle alberi e ramaglie. Le sue acque sono torbide, di colore giallo. La corrente è piuttosto impetuosa.
Con cautela i due ragazzi e Cucciolo, alquanto infangato, attraversano il torrente. Giunti sull’altra sponda sorridono. «Ce l’abbiamo fatta!» esclama giuliva Alba prendendo per mano Matteo, che fa un profondo respiro. Raggiungono quella che un tempo era una strada trafficata ma che adesso si presenta in condizioni pessime. L’asfalto sollevato quasi ovunque, detriti e fango coprono la sede stradale, erbe altissime sui bordi.
Con cautela la percorrono sperando di trovare un posto dove potersi fermare in sicurezza. «Eppure sulla mappa sono segnate delle frazioni» mormora con tono affranto Alba che sente le gambe pesanti. Camminare per molti chilometri non l’ha mai fatto in precedenza e adesso le presenta il conto.
Sulla loro destra scorgono dei ruderi, mentre sulla sinistra ascoltano il ruggito delle acque del torrente. Si fermano sotto un albero dalla chioma imponente che li ripara dal sole. Hanno il viso accaldato per i raggi solari e la fatica di camminare. Anche se usano la protezione costruita da Arturo i loro occhi lacrimano. Nei giorni scorsi il bosco e le nuvole hanno costruito un valido schermo protettivo ma adesso non più.
Dopo una breve sosta per mangiare qualcosa e riposare riprendono la marcia. Si devono affrettare a trovare un riparo prima che il sole sparisca dietro le montagne.
«Ci siamo!» annuncia Matteo indicando col braccio destro delle torri che svettano sopra il bosco. Sulla strada trovano dei contorti e arrugginiti segnali. Si leggono a malapena qualche lettera: ‘am’,’g’, ‘s’, ‘a’, ‘b’, ‘o’, ‘p’.
Affrettano il passo e possono osservare ruderi in alto e di fronte. Una desolazione. I ragazzi ricordano di aver visionato dei video di Arabba prima di partire ma adesso non c’è nulla che sia rimasto in piedi o che assomigli a quanto visto. Sulla destra ci sono tracce di frane che sono arrivate in paese. Sulla sinistra il bosco tenta di ricucire le ferite delle piste da sci. Il torrente si è mangiato una bella fetta della strada che lo costeggia.
Si sistemano in un qualcosa che un tempo era un giardino.
«Stanotte batteremo i denti per il freddo» afferma Alba, perché già adesso sente dei brividi.
«Ci copriremo con il telo» suggerisce Matteo, mentre sistema la postazione. «Cucciolo starà in mezzo».
La ragazza osserva il lupetto: è pieno di fango seccato. Ride, mentre lo accarezza.
Si alza un vento fastidioso che scuote la tenda.
«Siamo in ritardo sulla tabella che abbiamo stilato prima di partire» precisa Alba con voce debole. «Forse dovremmo rinunciare a raggiungere Bozen. Abbiamo ragionato come se ci fosse sempre il sole».
Matteo annuisce pensieroso. Anche lui pensa che hanno perso tre giorni di cammino e sarà arduo recuperare. «Non abbiamo fatto i conti con le stagioni e la variabilità del tempo. Nella Città del Sole non piove, non nevica, c’è sempre bello».
Poi cala il silenzio rotto dall’ululare del vento.
Luisa propone come gioco scherzoso dell’estate alcune battute sull’essere anziani.
ecco le mie
1) Non ti arrabbi mai, tanto non ci senti da questo orecchio.
2) Hai la vista acuta ma non inganni nessuno.
3) Dannati giornali! Scrivono troppo in piccolo per risparmiare della carta.
4) Non capisci perché da quando hai sessant’anni ti chiamano anziano.
5) Un tempo c’erano i nonni ma adesso te ne devi stare da solo al parco.
6) La patente ti serve per andare a fare le visite ma quei carognoni te la vogliono togliere.
7) Il problema non è se mi chiamano nonno ma piuttosto il pensiero di andare a letto con la nonna.
8) Il mondo è nostro per mancanza di concorrenza giovanile.
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