Oggi è lunedì. Tempo di giochi linguistici. Eletta Senso mentre sguazza nel mare caldo propone un lipogramma in o.
Lo potete leggere anche qui, se siete pigri.
Ebbene Elisa vede Andrea andare da quella parte che cela una casa fatiscente: incuria da parte di chi la deve curare. Lui agisce in maniera furtiva. Crede di essere un fantasma. A passi felpati entra dal limitare e si guarda alle spalle se la gente vede l’incedere inavvertibile dell’andatura. Geme il cardine e si spaventa il cane che abbaia. Andrea si ferma esitante se andare, se fuggire. Scappa a gambe levate.
Ermellina vede le nubi al di là della finestra. Rimane esterrefatta dalla meraviglia della bellezza della vista. Si avvicina ad Alberto che cinge alle spalle. Resta lì tra fantasticherie e realtà. Sente i tremiti dell’amante. È una speciale serata tra abbracci e sussurri. Sente i gemiti dell’anima. Infiamma l’enfasi in maniera frenetica. Sparisce nella camera con lui.
Oasi: obiettivo obbligato, un’odissea. A occidente dell’oceano ormai osservi odio, un obolo offensivo offerto per offendere. Odori oscuri offuscano gli occhi oggi, oggetti olezzanti all’olfatto. Ormai olocausto ossessivo.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la diciassettesima puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
27 agosto 2144
I due ragazzi hanno quasi terminato la discesa dal Karersee. Hanno impiegato più di quanto avevano programmato.
Nella giornata precedente al loro risveglio si sono persi. I sentieri erano stati cancellati dalla vegetazione che era cresciuta incontrollata. Le strade non erano messe molto meglio. Non ricordavano il percorso della sera precedente. Insomma un vagare in circolo col terrore di finire in un dirupo. Poi con calma hanno raccolto tutte le informazioni dalla carta e sono riusciti a imboccare la via che conduce a Bozen.
Però nemmeno la discesa è stato un viaggio di piacere, perché in più punti il costone di roccia era franato sulla carreggiata e da lì era finito nel corso d’acqua che scorre di fianco alla strada. Queste rocce hanno costretto il rio a cercare nuove strade per fluire a valle, erodendo le sponde su entrambi lati. Questo ha ridotto in diversi punti il percorso simile a strette cenge in bilico sul baratro.
Durante la sosta notturna Alba ha espresso le sue preoccupazioni per il viaggio di ritorno. «Matteo pensi che riusciremo a rifare questa strada?» Il tono della voce era serio e allarmato. A fatica ha trattenuto le lacrime e l’agitazione.
«Ci sono alternative?» Ha replicato Matteo cercando di infondere sicurezza alla compagna. «Questa via presenta due salite che conosciamo. La prima è quella che abbiamo percorso oggi. Se il tempo ci assiste, conosciamo le difficoltà e non dovremmo incontrare spiacevoli sorprese. La seconda è Passo Pordoi, faticosa ma tutto sommato più agevole perché i punti critici sono pochi e superabili. L’unica incognita è il meteo».
Alba non si sentiva rassicurata dalle parole di Matteo. Ha compreso che in montagna il tempo muta velocemente e in modo imprevedibile. Quindi contare sulla fortuna è come gettarsi nel vuoto con la speranza di atterrare sul morbido.
A mezzogiorno fatta una curva, si presenta dinnanzi ai loro occhi la piana di Bozen e il contorno delle montagne alla sua destra.
Quello che osservano li lascia di stucco. La natura ha ripreso possesso di quello che era suo, una volta che l’uomo ha smesso di antropizzare l’ambiente in cui vive. Questo si nota in dettaglio sulle pendici della montagna ricoperte da una fitta foresta ma anche nella piana e lungo l’asta del fiume che scorre dinnanzi a loro. Anche quel poco di autostrada che si vede è quasi sepolto sotto il verde. Questa rivincita sulle attività umane l’avevano già assaporata nel tratto pianeggiante tra passo Pordoi e il Karerpass. Però quello che si presenta ai loro occhi stupiti supera di gran lunga l’immaginazione.
«Rimettiamoci in marcia» suggerisce il ragazzo, prendendole la mano seguiti da Cucciolo. «Speriamo di trovare un ponte per passare il fiume ma anche questo». Con lo sguardo indica il rio che scorre alla loro destra.
Come ha supposto la strada si interrompe quando deve scavalcare il corso d’acqua. Seguono la sponda finché non trovano un sentiero che li conduce a quello che un tempo era l’autostrada. La passano e raggiungono una via in buone condizioni e si dirigono verso sinistra. Consultano la vecchia piantina di Bozen. «Tra non molto dovremmo incontrare un ponte che scavalca l’Isarco e arrivare in città» suggerisce Alba, alzando gli occhi dalla cartina.
Sentono il rumore dell’acqua che scorre sulla loro destra.
Per il consueto gioco linguistico del lunedì Eletta Senso propone un tautogramma in a in onore dell’autunno.
Lo potete leggere anche qui.
L’ansia arriva aggrappata all’autunno. Alberto anela all’anemico approdo presso l’abate dell’Arca. Adulazione e aneddoti avanzano con Alberto che accenna con avida azione all’anello d’argento additandolo come anemone albino.
Anche Luisa propone lo stesso gioco linguistico di Eletta Senso. Ecco cosa ho scritto.
Anela l’azione ma aspira all’accordo. Avverte arrivare l’autunno ma avido aspetta l’afa. Affabile adula l’abbuffone che affamato assume alimenti. Adduce aneddoti arguti ma non all’altezza del auditorio. Abita ad Avignone ma ammette: “Abetone”.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte sedicesima di Konnie, il mio romanzo distopico. Lo potete leggere anche qui.
12 agosto 2144 Bozen
Konnie si sveglia, perché una lama di luce lo colpisce sugli occhi. Raggi di sole illuminano l’interno passando attraverso i buchi del soffitto.
Ha ancora davanti agli occhi quella visione che lo ha perseguitato durante la notte. Due persone imprigionate in uno scafandro argentato come l’alluminio e un cucciolo di cane dal pelo tutto arruffato. Camminano su strade a lui sconosciute, stanno scendendo dalla montagna. Si sforza a ricordare altri dettagli. La testa gli duole, pare scoppiare per la forte emicrania.
Si mette ritto e si bagna la bocca con la borraccia. Altri spezzoni del sogno ritornano a galla. Sono diretti a Bozen. «Sono degli umani oppure degli extraterrestri?» Si sfrega gli occhi e prova ad alzarsi. Traballa e ha la vista appannata. Prova a mangiare qualcosa ma lo stomaco è chiuso. Rinuncia. Mette lo zaino sulle spalle ed esce all’aria aperta. La temperatura è fresca e l’aria gli accarezza il viso svegliandolo.
Cammina non troppo saldo sulle gambe ma deve fare un po’ di moto per riattivare la circolazione. Ricorda che sua madre gli aveva parlato di una piazza con un monumento al centro dove alla sera si radunavano tutti i giovani. «Forse è questa» borbotta ruotando lo sguardo circolarmente. Però adesso è una desolazione. Palazzi crollati, la pavimentazione spaccata in più punti che hanno fatto emergere alberi ed erbacce.
Cammina con lentezza e raggiunge la stazione di cui è rimasto solo uno scheletro annerito. Ritorna indietro ma avventurasi in quel dedalo di strade anguste alle spalle della piazza non ci pensa nemmeno: troppo pericoloso. Il porticato è semi crollato e quello che resta sembra più un miracolo di equilibrio precario piuttosto che la sicurezza di non rimanere sotto un crollo.
Torna verso quello che un tempo era una chiesa. La osserva dallo spiazzo antistante. A parte la facciata che per miracolo è rimasta integra il tetto è franato in più punti. Ci gira intorno e in più punti i muri laterali lasciano intravvedere altari e quadri ridotti in pessime condizioni. L’abside sembra miracolosamente integra ma Konnie scuote il capo. «Non credo che l’interno sia messo in buone condizioni».
Si allontana vagando per le vie più ampie. Evita quelle più strette ingombre di rottami. Ogni tanto ascolta il rumore sordo di calcinacci che rovinano a terra.
Arrivato vicino a un corso d’acqua, la cui portata lascia intravvedere rocce e sassi, decide di ritornare al suo rifugio. Avverte stanchezza e il sole sta declinando dietro ai monti illuminando la pianura.
«Forse domani provo ad attraversare il ponte e spingermi verso le montagne».
Su Caffè letterario è stata da poco pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.
25 agosto 2144
Il tempo è rimasto stabile con una temperatura gradevole. Questo ha favorito la marcia dei due ragazzi.
«Fino a questo momento non abbiamo fatto cattivi incontri» afferma Matteo, mentre prepara la colazione dove un tempo era l’abitato di Vigo di Fassa che adesso è ridotto a un ammasso di pietre sgretolate.
«Forse la presenza di Cucciolo li ha tenuti lontani» replica Alba con tono sicuro, mentre il lupetto alza la testa, sentendosi chiamato in causa. «Dobbiamo decidere quale strada prendere per arrivare al Karersee. Quella più diretta e corta o quella più facile ma lunga?»
Matteo sembra riflettere ma dentro di lui punterebbe a quella più corta. Vuole arrivare in fretta a Bozen e prendere la via del ritorno il prima possibile. L’esperienza del maltempo al Passo Pordoi ha lasciato il segno in negativo.
«Se sei d’accordo, prenderei il Karerpass, cercando di fare tappa sul lago prima di scendere su Bozen. Un paio di giorni di riposo prima di intraprendere il percorso di ritorno. Da una settimana non riusciamo a contattare Città del Sole».
Alba annuisce perché il crono programma è lo stesso che ha pensato lei. «Sì, in effetti non abbiamo dato notizia di noi. Pensi che ci sia una ragione per cui non riusciamo a contattarli?»
Il ragazzo scuote la testa in segno di diniego. «No. D’altra parte non abbiamo mai testato le comunicazioni a lunga distanza».
Stanno raccogliendo tutte le loro attrezzature per sistemarle negli zaini, quando sentono ringhiare Cucciolo in posizione di difesa. Mostra i denti minaccioso puntando verso un gruppo di alberi alla loro destra.
Alba sbianca e si sistema al riparo di un muretto miracolosamente ancora in piedi. Matteo si gira per osservare quale pericolo incombe su di loro.
Dal boschetto vede spuntare una sagoma imponente: un orso, anzi un’orsa seguita dei due piccoli.
«Buono Cucciolo. Se non li minacciamo, se ne vanno per la loro strada» sussurra Matteo, accarezzando la testa del lupetto, che sembra aver compreso il suggerimento del ragazzo. Il ringhio si smorza ma la postura rimane quella di prima: pronto ad attaccare se l’orsa si avvicina troppo con intenzioni bellicose.
Con calma Matteo raccoglie le ultime cose senza perdere di vista l’orsa. I due orsacchiotti giocano fra loro sotto lo sguardo vigile della madre che in apparenza pare disinteressarsi dei due ragazzi e del lupetto.
«Vieni Cucciolo» ordina Matteo avviandosi con Alba verso l’imbocco della strada che li dovrà condurre a Karersee.
«Ho avuto paura» ammette Alba arrancando su una strada alquanto dissestata. «Ho letto che le orse sono particolarmente aggressive quando sono con i loro cuccioli. Poi il ringhiare feroce di Cucciolo mi ha fatto pensare male».
Il lupetto sentendo il suo nome solleva la testa con la lingua rossa a penzoloni per la salita e la sete. Negli ultimi giorni ha integrato la sua dieta andando a caccia di piccole prede nei boschi lungo la strada. Però nella giornata odierna preferisce rimanere vicino ai due ragazzi. Non gli sembra un luogo adatto per allontanarsi. Ci sono solo roccia e dirupi e la vegetazione è scarsa.
Arrivati in cima al passo, lo spettacolo è desolante: non c’è nulla che sia rimasto in piedi. Il bosco ha ricoperto quasi tutto quello che un tempo era il paese. Il lago s’intravvede a malapena e si confonde con l’abetaia. Vanno alla ricerca di uno spiazzo dove piantare la tenda. Lo trovano dove un tempo era un’area di ristoro attrezzata, di cui non ne è rimasta traccia, sommersa da erba secca e rovi di more. Matteo col coltellaccio crea una zona libera, dove sistemano la tenda.
La sera è stellata e fredda. Accendono un piccolo fuoco usando rami e arbusti secchi. Non li riscalda ma possono tenere lontano dei predatori notturni in collaborazione del fine udito di Cucciolo.
«Proviamo a stilare un bilancio dei nostri dieci giorni» suggerisce Matteo, mentre mastica un pezzo di formaggio.
«Pensavo meglio ma anche peggio» replica Alba distendendo le gambe. «L’inizio è stato duro con tutto il maltempo che abbiamo subito ma poi il tempo stabile ci ha consentito di procedere più spediti».
Il ragazzo annuisce ma il suo pensiero è su come hanno trovato il mondo esterno. «Credo, se un giorno l’aria sarà respirabile senza protezioni, la situazione richiederà molti lavori. Le vie di comunicazione sono in pessimo stato e non rimane nulla dei paesi. La natura si è ripreso tutto quello che era suo».
«Ma non siamo arrivati a Bozen. Potrebbe esserci lì una situazione migliore…».
Matteo ride. «Sei una ottimista inguaribile» la interrompe. «Dubito che la situazione sia migliore. In questi dieci giorni non abbiamo incontrato nessun essere umano. Temo che siamo rimasti solo noi». Osserva il minigeiger che segnala valori ancora elevati e pericolosi per l’uomo. Scuote la testa al pensiero dell’ottimismo della compagna.
Alba non si dà per vinta. «Dobbiamo esplorare la pianura prima di trarre delle conclusioni negative».
Matteo sorride per non smorzare i pensieri positivi della ragazza. Le prende la mano e gliela stringe con vigore. «Ora pensiamo a riposarci per essere in forma domani mattina. Se siamo fortunati, possiamo raggiungere in serata Bozen».
Poi si distendono dentro la tenda mentre il fuoco divampa allegro con l’ultima legna che lo alimenta. Cucciolo tra di loro sembra già nel mondo dei sogni perché le zampe tremano. Tuttavia sanno che un minimo rumore lo svegliare all’istante.
Le ombre rossastre guizzano attraverso il telo a formare immagini fantastiche.
Da ‘Il signor giardiniere’ di Frédéric Richaud traggo questa citazione che esce dalla bocca di un personaggio di questo libro.
Siamo nel 1674 l’Europa è scossa da diversi conflitti con alleanze ballerine. Un personaggio scomodo che ha preso le difese dei contadini vittime di soprusi e uccisioni scrive questo all’amico giardiniere.
“…Si marchiano gli uomini col ferro rovente; loro si difendono per un momento, ma il tempo passa in fretta e sembra che ben pochi serbino il ricordo della loro ferita. Che sia l’amnesia a governare il mondo?…”
Sono passati quasi quattrocento anni eppure questo è molto veritiero. La gente scorda in fretta i soprusi patiti.
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