Ho pensato di tenervi compagnia per i mesi roventi di luglio e agosto con dei mini racconti, invitando chi mi legge ad aggiungere il loro. Saranno a tema e qualcuno con dei limiti di parole per rendere snella la lettura.
Il primo che proporrò martedì 26 giugno avrà come tema ‘La danza’ e il mini racconto non dovrà contenere più di 200 parole. Gli spazi, gli a capo, le virgole non sono conteggiate. Come rispettare il limite? Qualsiasi editor di word fornisce questa indicazione.
Spero che siate numerosi a partecipare e che possiate divertirvi con questo esercizio di creatività.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la nuova parte dell’avvincente racconto della Terra di Mezzo, che ripropongo qui sotto.
La strega Ampfel entra come una furia urlando. «Apprendista strega dove sei? Quando ho bisogno di te, sei sempre imboscata!»
Getta in un cestino accanto alla porta quel che resta del mantello invisibile e si guarda intorno con gli occhi color delle braci. «Dove si è nascosta quella presunta strega Rotapfel? La declasserò al nulla!»
La ragazza intimorita con lentezza e con gli occhi bassi si affaccia alla porta dello studio in nero.
«Ha bisogno, signora?»
Un urlo sovrumano prorompe dalla bocca della strega Ampfel e tutta la cristalleria della casa inizia a tintinnare. La vallata lo ha sentito e i nerd di montagna si rifugiano in casa per sfuggire all’ira della strega Ampfel.
«Portami iperico, aglio, rosmarino e il miscuglio di lavanda, erica e salvia. Voglio la boccetta dell’olio di maleleuca e che sia piena! E poi…». A questo punto le manca la voce e con il viso stravolto dalle piaghe purulente, in preda alle convulsioni per il veleno che sta entrando in circolo, si siede in attesa di quanto ordinato. Si sente esausta. Ansima e maledice tutti quanti. Si alza, gira per la stanza e si siede di nuovo. Tutta questa attività frenetica peggiora la situazione, perché avverte che il veleno è entrato in circolo e deve bloccarlo.
Subito si fa strofinare l’olio con energia sulle piaghe, mentre si prepara una tisana di lavanda selvatica ed enula che assume ancora calda. Non prova sollievo ma avverte le contrazioni del suo corpo che contrasta l’avanzata. Si prepara una nuova tisana con salvia, iperico e aglio, un miscuglio maleodorante e dal gusto tutt’altro che gradevole. Manda giù tutto d’un fiato. Le piaghe emanano un odore repellente ma si sente meglio.
L’apprendista strega Rotapfel esegue gli ordini come se fosse in catalessi facendosi forza per non vomitare alla vista di quelle piaghe che espurgano un liquido serioso nero e puzzolente.
«Mettici più energia!» Sollecita, avvertendo che il fisico combatte il veleno e sta vincendo.
«Sì, signora» balbetta mangiandosi le parole un’inebetita apprendista strega.
Il drago Michele, che è arrivato al piccolo trotto senza fretta, si affaccia sull’uscio per controllare come sta.
«Non scappare! Tra poco ho bisogno di te». Urla per il dolore che piaghe e veleno le stanno procurando ma deve resistere e sopportare se vuol vincere la sua guerra.
Markus e Baldegunde si avvicinano senza fretta alla costruzione che da vicino sembra più imponente rispetto alla prima visione. Un po’ di timore c’è perché la situazione non appare normale. Sembra una realtà deformata.
La porta si apre da sola come se qualcuno da dentro avesse azionata l’apertura.
Si consultano con gli occhi e poi alzano le spalle come gesto di rassegnazione. Le alternative non sono molte: o entrare sperando nella fortuna oppure restare all’esterno col rischio di congelarsi per la sera imminente. Nessuna delle due prospettive appare allettante.
«Benvenuti nella casa delle Anime Immortali! Aspettavamo con impazienza la vostra venuta».
Markus e Baldegunde si bloccano sul limitare dell’uscio e si guardano con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Una sorpresa dietro l’altra. Entrambi hanno un comune pensiero: la costruzione è dotata di aspetti che vanno oltre la loro immaginazione e abitata da personaggi magici. “Come diavolo sanno della nostra venuta? Abbiamo deciso solo ieri sera!”
Avanzano di qualche passo all’interno e la porta si richiude da sola senza far rumore.
«Siamo in trappola» avverte Markus per nulla rassegnato alla situazione.
Baldegunde maledice l’ostinazione del compagno a voler proseguire. «E adesso?»
«Nulla. Aspettiamo gli eventi e prepariamoci…»
Brevi risolini echeggiano nella stanza come a prendere in giro i due ospiti che appaiono timorosi e sospettosi. Il cuore accelera, il respiro diventa un roco suono. I loro passi risuonano come se camminassero su una scatola vuota.
Markus si ferma nel centro della stanza che ondeggia al ritmo dei loro polmoni. Ha un momento di sbandamento e incertezza, mentre prende sotto braccio Baldegunde in atteggiamento protettivo.
Nuovi risolini di scherno echeggiano beffardi.
«Le vostre stanze sono pronte al primo piano. Si mangia tra un’ora».
Markus non fa in tempo a replicare un po’ stizzito quando la parete di fronte si apre mostrando una scala.
«Vieni» sussurra Baldegunde che con senso pratico ha capito che sarà un’impresa uscire da lì senza il consenso della voce misteriosa. «È inutile fare resistenza. Cinque minuti fa…».
«Lo so! Mi hai maledetto per la mia cocciutaggine. Ho capito che era meglio tornare indietro per procurarsi quello che serve per arrivare alla Prigione…».
«Ci arriverete. Ora salite. Ci ritroviamo qui tra un ora».
Markus scrolla il capo e segue la compagna in silenzio. Non avverte pericoli ma si sente prigioniero di una strana magia. Un edificio senza tempo che appare di dimensioni modeste all’esterno ma che internamente sembra vastissimo. Voci che dialogano e danno istruzioni. Però è quel ‘vi aspettavamo con impazienza’ che lo fa riflettere: sembra che siano gli ospiti d’onore tanto attesi.
Percorso un lungo corridoio illuminato da torce che non bruciano, appare all’improvviso una porta aperta, l’unica incontrata finora.
«Forse sono queste le nostre stanze» azzarda con un filo di voce Baldegunde che ha perso la sicura baldanza di poco prima. “Ha ragione Markus. C’è qualcosa di strano nell’aria. Non di pericolo ma di magia che non possiamo controllare”.
Varcata la soglia, la porta sparisce. Sono chiusi dentro senza possibilità di uscire.
«Magia buona oppure no?» Borbotta Baldegunde che con lo sguardo vuoto esamina la loro prigione.
«Non saprei dirlo con precisione. L’unica certezza è che il nostro libero arbitrio non esiste più».
Baldegunde superato il momento sconforto si guarda intorno con occhio curioso. “Due, no tre o forse quattro stanze. Un sogno”. Il confronto con la loro foresteria che le sembrava lussuoso non regge sia per gli arredi sia per le dimensioni.
Markus dimentica in fretta la loro situazione precaria perché la sua attenzione è concentrata sui mobili che sfiora. “Credevo di essere il più abile ebanista della Terra di Mezzo ma questi mi surclassano e mi relegano a modesto apprendista”.
Le essenze gli sono sconosciute, la radica è uno splendore, il disegno è superbo e la fattura appare come un miracolo di falegnameria.
La voce della compagna lo scuote facendolo ritornare alla realtà.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la nuova puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse, che potete leggere anche qui.
Il drago Michele non ha compreso il motivo della raccolta di tutti quei fiori. “Sarebbero stati sufficiente raccoglierne uno per tipo. Bah!” Borbotta cavalcando Lucifero che per contro ha gradito molto la sosta nel prato vicino al ruscello Ginestro. Acqua fresca ed erba tenera e saporita come mai aveva mangiato prima di quel momento. ‘Peccato che sia durato poco’ riflette mentre a malincuore riprende la strada verso quelle vette innevate e inospitali.
La strega Ampfel stringe i denti per le ferite dolorose sul volto e sul collo ma sorride a denti stretti. “Poteva andare peggio e ci avrei rimesso la vita. Quella mitica diceria che c’è una verga ammazzastreghe è tutt’altro che infondata! Se non avessi avuto il mantello invisibile non so come sarebbe finita”. Affiorano nella sua mente quei racconti, che ha sempre giudicato fantasie, sui poteri di questa verga. È in grado di incenerire una strega ma anche di iniettare un veleno per una morte dolorosa. Le ha sperimentate entrambe. Le vistose bruciature del mantello invisibile mostra che senza di quello sarebbe stata ridotta a un mucchietto di cenere. Deve correre il più veloce possibile, perché Il veleno che le ha iniettato deve essere eliminato prima che vada in circolo e già ne sente l’influsso.
Non le interessa se il drago Michele resta indietro, lei sprona Mefistofele perché ogni minuto perso è una stilla in più nel corpo.
Non ha compreso quale tra le canne era l’elemento pericoloso ma le sensazioni di pericolo percepite le ha memorizzate tutte per evitarlo.
Mentre riflette su questo e rievoca le sensazioni provate, ha un lampo. Gli stimoli di pericolo percepiti hanno un qualcosa di familiare, già avvertiti in precedenza. “Quando?” ed ecco che si vede nella Caverna del Pozzo Maledetto e quel brivido si materializza. “Dunque i miei sensi non mi hanno ingannata allora. C’era qualcuno all’interno con quella verga pronto a minacciarmi”.
Però i conti non tornano. Erano in tre e la donna è da escludere, perché teneva solo i fiori magici. “C’era una quarta persona invisibile e non riconoscibile con noi. Aveva quella verga pronto a colpirmi se fosse stato necessario”.
Le sorprese e le scoperte inquietanti sembrano funghi nati dopo la pioggia. Deve riflettere per capire quali altre minacce possono essere usate contro di lei ma adesso è urgente eliminare il veleno che avanza nel suo corpo e sprona Mefistofele per farla volare. Poi avrà tutto il tempo per capire la dinamica degli eventi di quella mattina.
Markus con Baldegunde attaccata al suo braccio come una sanguisuga procede con calma. Vuol evitare passi falsi e creare situazioni di pericolo. L’oscurità fitta appena mitigata dalla lanterna cieca non permette di riconoscere in anticipo gli eventuali ostacoli che l’edificio fatiscente propone a ogni passo.
Trovare un segnale che indichi l’accesso al sentiero segreto è come riconoscere una goccia del mare dalle altre. Però Markus non demorde. Sente la compagna che borbotta qualcosa come “usciamo. Mi sento soffocare”. Si deve sbrigare prima che abbia una crisi di nervi. Buio pesto e pessimi odori danno una sensazione di claustrofobia difficile da domare.
Ancora dieci passi e poi si torna indietro se non si trova nulla. Comincia a contare ‘uno, due, tre,…’ quando si sente attratto verso una stanza a sinistra. Che lo sia lo comprende solo quando varca una stretta porta o meglio un’apertura tondeggiante dove va a sbattere la testa.
«Ci siamo!»
Baldegunde che a fatica attraversa questo oblò spalanca gli occhi non capendo l’affermazione del compagno. Non vede nulla, solo un’oscurità nera come la pece che non permette di distinguere nulla. «Dove?»
«Ci siamo». Ripete con tono allegro di chi ha trovato un tesoro. «Questo è l’ingresso cercato!»
Baldegunde scuote la testa, perché non afferra il concetto d’ingresso visto che non riesce a distinguere la punta del proprio naso. «Sicuro?»
«Sì! Certissimo. Il pollice della mano destra si è mosso!»
Baldegunde scoppia in una fragorosa risata amplificata dalle pareti della stanza. “Quella è di legno. Di certo è rigida come il marmo”.
«Vieni tra un attimo siamo fuori» e la strattona verso sinistra. Alza la lanterna cieca per fare luce e trovare il pertugio che conduce fuori.
Come promesso rivedono la luce del sole o meglio le ombre che le vette circostanti proiettano nella vallata stretta che appare come l’oasi per un viandante smarrito nel deserto.
Baldegunde sbatte le palpebre per adattarsi alla luce incerta della giornata. «Ma è tardissimo! Tra poco cala la sera e sarà buio!»
Markus scuote la testa e spiega che è solo pomeriggio inoltrato.
Si interrogano se è il caso di proseguire oppure tornare indietro. Baldegunde con senso pratico spiega che le scorte di cibo sono esaurite e non hanno l’equipaggiamento adatto alle temperature della notte.
«Se le carte non mentono, tra poco dovremo trovare un riparo e forse anche cibo per calmare la fame».
Baldegunde non replica trovando fantasioso il pensiero del compagno. “Carte di mille anni fa come possono essere valide oggi? Il riparo potrebbe esserci ma il cibo proprio no”.
Il freddo comincia a mordere la pelle mentre percorrono in silenzio il sentiero incassato tra due alte pareti senza una possibile via di fuga. Come per incanto dopo una stretta curva a gomito appare un piccolo pianoro illuminato di rosso dal tramonto. Si fermano incantati dalla visione e per la vista di una piccola costruzione di legno e pietre irregolari addossata alla parete. Lo stupore è ancor maggiore osservando la capanna che appare costruita di recente e mai abitata.
Baldegunde non dice nulla ma gli occhi trasmettono un chiaro messaggio di ammirazione: brillano e sono spalancati per lo stupore. Aveva dubitato delle affermazioni di Markus ma adesso si deve ricredere. “Dopo mille anni appare come se fosse terminata ieri. Quale magia sta dietro tutto questo?”
Markus ride di gusto leggendo il pensiero nella mente della compagna. «Hai ragione. Questa capanna è magica come i fiori che hai trovato. Rimane sempre linda e pulita come se il tempo si fosse fermato».
Baldegunde annuisce. Finora il compagno non ha sbagliato nulla e di sicuro oltre al riparo troveranno cibo per rifocillarsi.
È una giornata tra Natale e Capodanno. Una come tante nel periodo delle vacanze invernali. Si mangia, s’ingrassa e si sonnecchia. Niente di che a rompere la monotonia di quei giorni nell’attesa dell’Epifania che le feste si porta via. Anche a Venusia non succede mai nulla in questi giorni sonnacchiosi.
«Ingegner Lamonaca Claretta?»
Clara sobbalza ascoltando queste parole, aprendo la comunicazione. Allarga la bocca e spalanca gli occhi, increspando la fronte. Non riesce rispondere né con un sì, né con un no: è interdetta. Nessuno la chiama Claretta. Tutti la conoscono come Clara. Odia quel nome ma sa chi glielo ha messo: sua madre che stravedeva per una grande attrice del muto, Claretta Pitocca. Però è quel “ingegnere” che non si aspetta. In effetti le mancano due esami non piccoli: ‘Scienza delle costruzioni’ e ‘Fisica tecnica’. Due prove che sembrano per lei la scalata all’Everest. Poi alla fine la sospirata tesi e finalmente può fregiarsi del titolo di ingegnere.
«Sì» risponde timidamente, quasi timorosa di apparire vanitosa e di usurpare quella qualifica che non le spetta ancora.
«Buongiorno signorina. Qui la segreteria dell’Istituto Tecnico Industriale Ilario Tersiano…». Una breve pausa interrompe la presentazione, perché ascolta un respiro affannoso dall’altra parte del telefono.
«Mi dica». Clara riprende il controllo della respirazione e delle pulsazioni del suo cuore. La voce esce più franca. Si sistema comoda sulla poltrona di raso giallo e aspetta che l’interlocutore chiarisca il senso della telefonata.
«Ci sarebbe un posto per l’insegnamento di ‘Impianti elettrici’ e ‘Planimetria tecnica’. Assunzione come supplente con incarico a tempo indeterminato e trentasei ore settimanali».
Clara trattiene il respiro, conta fino a dieci prima di rispondere. Sarebbe la manna piovuta dal cielo accettare l’offerta ma preferisce essere sincera.
«Però non sono ancora ingegnere. Mi mancano due esami e la tesi. Se tutto va bene, finisco con la sessione estiva di luglio».
Una breve risata subito repressa precede le parole. «Lo sappiamo. Però il suo profilo è apparso nei primi posti della graduatoria».
Clara deglutisce vistosamente come se avesse ingoiato un rospo intero. Non capisce come possa essere finita in graduatoria visto che non è mai stata sua intenzione di insegnare a scuola.
L’interlocutore dà un colpetto di tosse, tamburella con le dita sul tavolo, si agita sulla poltrona di pelle nera che scricchiola.
«Se le interessa, chieda di Giovanni Piscopo all’ingresso tra due ore. Altrimenti…».
Non riesce finire il discorso, perché Clara risponde di sì. «Tra due ore sarò lì».
«Conosce il posto?»
«Sì» e conferma muovendo il capo e facendo ondeggiare la sua folta capigliatura rossa che sembra un cespuglio di rose fiorite.
Un freddo ‘buongiorno’ chiude la comunicazione.
Clara balza in piedi per prepararsi a raggiungere Ludi. È euforica perché questa offerta capita proprio nel momento giusto. Ha perso un anno perché si era trovata un lavoretto da venditrice porta a porta. Pareva di poco conto come impegno temporale, invece ha assorbito tutte le sue energie e le ore del giorno. Di fatto non aveva avuto tempo per preparare esami o frequentare le lezioni. Così l’anno precedente era andato perso. Però le motivazioni era più che valide.Sua madre era in difficoltà economiche e non poteva garantirle il pagamento delle tasse universitarie. “Questo posto mi dà qualche sicurezza economica in più e mi lascia il tempo libero per preparare gli ultimi esami e la tesi». Questo pensiero l’accompagna, mentre infila i jeans e la camicetta azzurra. Per stare comoda calza delle ballerine verdi. Poi di corsa a prendere la bicicletta. Non può perdere un minuto se vuol arrivare a Ludi per tempo. Pedala di gran lena come in trance quando si sente afferrare per un braccio e strattonare a terra. Un volo sulla strada in ciottoli di fiume. Non ha il tempo per comprendere perché è successo e per quale motivo qualcuno la strattonata.
“Addio corriera! Addio posto da prof” recita guardando il disastro della caduta. I jeans strappati mostrano i segni dell’acciottolato sulle gambe. Sangue e brandelli di pelle staccati dalle ginocchia.
È a terra dolorante, quando…
«Claretta ancora un incubo? Hai gridato e smaniato».
Per il consueto gioco del lunedì, ormai un punto fermo della settimana Elettasenso propone un tautogramma in A.
Ecco cosa ho scritto.
Avanti, armonie ancestrali! Ama ardenti amori, ammira angeli amletici. Adocchia aspetti angelici nel assembramento agitato che alterna ansietà ad appagamento.
“Ahimè” anela Adele affannata, almanaccando su Alberto nell’altalena di affetti che attraversano l’anima. Arriccia, attorciglia e agogna gli attimi felici. “Adelante!” Annuncia ambiziosa.
Su Caffè Letterario è stato pubblicato da poco la diciottesima puntata di Krimhile e le fanciulle scomparse.
Per chi volesse lo può leggere anche qui.
La strega Ampfel ha fretta di raggiungere il posto. Non vuol perdere tempo perché è prezioso.
Il cavallo schiuma per la frenesia del galoppo e più di una volta incespica rischiando di azzopparsi.
Il drago Michele scuote la testa perché non comprende la foga della corsa e non riesce tenere il suo passo mentre lei irosamente lo incita ad accelerare. Spazientito sbuffa senza controllo e bruciacchia la criniera del cavallo che nitrisce per il dolore.
«Scusa Lucifero» e accarezza il collo della bestia. «È stato involontario».
Il drago Michele rallenta la corsa perché Lucifero dà segni di stanchezza e non desidera tornare tra i monti innevati a piedi.
La strega impreca e sbraita osservando che il compagno di avventura si allontana sempre più da lei, perché ha frenato l’andatura. Blocca Mefistofele, un nome insolito per una roana dal mantello nero, e attende l’arrivo del drago Michele. “Facevo meglio a prendere con me il drago Mario e l’irrequieto Matteo invece del tiratardi Michele”. Però riflette che è inutile rammaricarsi adesso ma in realtà il drago Michele le è più utile degli altri due.
Riprendono la strada a un’andatura più moderata risparmiando i cavalli. Lei sbuffa ma lui sorride senza alitare pericolose zaffate di fuoco. La natura pare in festa. Fiori e gemme fanno capolino, anche se i due cavalieri non sembrano accorgersene.
Il sole ha scaldato l’aria, quando arrivano nel prato dove il drago Michele ha incontrato Baldegunde.
«Questo è il posto. Io ero lì e la donna venti passi sulla mia destra».
La strega Ampfel non ascolta le sue parole ma quasi a carponi esamina piante e fiori, finché non si lascia uscire un “Sgrunt” di soddisfazione. Ha trovato quello che cercava.
Ne raccoglie un bel mazzo e invita il drago Michele a fare altrettanto.
«Cosa devo prendere?» Chiede smarrito perché non ha compreso quali fiori cercare. Il suo sguardo si muove in circolo mentre resta immobile accanto a Lucifero.
«Non fare domande cretine!» Il tono è iroso di chi è spazientito. «Si notano subito. Hanno colori più vivaci e sembrano freschi come la rugiada della notte».
È mezzogiorno e il sole è allo zenit, quando la strega Ampfel decide che la raccolta è sufficiente. Hanno riempito due ceste di bambù e una sacca di pelle di leopardo delle nevi.
Il drago Michele non ha capito nulla di questo raccolto, perché la strega è stata sibillina. Comunque ha eseguito gli ordini senza troppo brontolare. “È inutile avviare un contraddittorio. Sarebbe una discussione senza senso”. Però avverte che la compagna è in tensione come se dovesse trovare qualcosa d’altro. Scuote la testa e aspetta l’imbeccata di cosa cercare.
La strega Ampfel si domanda chi può aver suggerito alla capitana delle dragonesse a cavallo di raccogliere quei fiori. “Solamente qualche persona anziana che ricorda i racconti dei suoi antenati”. Però è un’inutile perdita di tempo scoprire chi. Adesso è più impellente cercare un altro oggetto, che però non riesce a quantificare.
I suoi movimenti sono scrutati dall’occhio vigile e curioso del drago Michele che si è seduto su un masso vicino al torrente Ginestro. Ascolta il gracidare delle raganelle rosse e osserva le sue acque trasparenti. Piccoli pesci colorati di giallo e di blu guizzano liberi catturando moscerini e addentando le alghe che fluttuano libere. È assorto nell’osservare questi scampoli di vita, quando sobbalza riportato alla realtà da un urlo disumano della strega Ampfel. Un grido che rimbomba nella foresta, amplificato dall’eco delle formazioni rocciose lungo il torrente Ginestro.
È cadaverica come se avesse visto la morte in faccia. Il mantello invisibile è ridotto in mille pezzetti. Una lunga strisciata nera deturpa il suo viso dall’occhio destro che appare tumefatto. Un leggero rigagnolo di sangue scende dal collo senza mostrare l’origine. Il braccio sinistro rimane a penzoloni, inerte.
Il drago Michele vorrebbe chiedere cosa l’ha ridotta così ma un perentorio «Andiamo!» tronca sul nascere una qualsiasi curiosità.
Messi al galoppo i cavalli, si allontanano velocemente dalla radura. La strega Ampfel vuol raggiungere il più rapidamente possibile la sua abitazione per riparare i danni subiti.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la puntata 17 dell’affascinante racconto Krimhilde e le fanciulle scomparse.
Per chi fosse pigro la ripropongo anche qui.
Il gallo sprecone annuncia che il sole sorgerà tra poco e i dormiglioni non sono graditi. Con tre vigorosi chicchrichi sveglia Markus che si mette ritto. Non ha bisogno di leggere l’ora perché la conosce già. Un lieve tocco alla compagna che sta dormendo con la bocca semi aperta. Il suo leggero russare sembra una deliziosa melodia.
«Balde» sussurra con tono dolce, «è tempo di alzarsi».
Baldegunde si muove infastidita. Il sogno che sta facendo si è disciolto e ignora come andrà a finire con la strega Ampfel.
«Ma è ancora buio!» Borbotta mangiandosi le parole come se la lingua si fosse inceppata.
«Lo so» bisbiglia abbracciandola. «La strada è lunga e non sappiamo quanto ci vuole per arrivare al punto d’inizio. Dobbiamo procedere a piedi».
In silenzio si preparano. Non hanno bisogno di parlarsi: i loro movimenti sono sincronizzati. Uno zaino di pelle di camoscio di pianura, vestiti comodi e in grado di proteggerli dal freddo, scarponcini di pelle di daino urlatore. Per il mangiare e le bevande passeranno dalla mensa. Non ci sarà molto perché il personale non ha preso ancora servizio ma solo avanzi della sera precedente.
Afferrati i fiori magici, prendono la tisana per rendersi invisibili. Per nascondere il loro afrore di umani ci penseranno quando sono vicini a punto critico presidiato dai nerd di montagna.
Baldegunde sa che con una cavalcatura sarebbe stato rapido raggiungere il posto indicato dalle carte, che Markus ha riposto nello zaino. Però non sarebbe stato possibile eludere le guardiane del Bitfrost, il ponte arcobaleno che consente l’uscita dal Castello.
È ancora buio e nel cielo sereno le ultime stelle li accompagnano silenti nella marcia di avvicinamento.
Sono in cammino da qualche ora e il sole è già comparso tra sbuffi di nuvole rosate che diventano sempre più chiare. La giornata sembra promettere di essere calda anche se finora la brezza fresca dell’alba mette brividi nei due viandanti. Baldegunde avverte qualcosa di strano nell’aria. Il sesto senso la mette in allerta. Quel formicolio al mignolo della destra le suggerisce prudenza.
«Markus» sussurra al compagno. «Avverto che c’è qualcosa di pericoloso nello spazio intorno a noi. Forse una minaccia ma non chiedermi cosa. Non saprei risponderti. Cerchiamo un riparo e aspettiamo».
Markus non percepisce nulla ma conosce la compagna e le sue proverbiali doti di presentire i pericoli. Annuisce e la segue in un vicino canneto ai margini del sentiero. La visuale è ampia sia a destra sia sinistra senza essere individuati da chi passa perché la vegetazione li nasconde.
«Però è prudente nascondere la nostra natura umana. Questo sciroppo che ho preparato ci trasforma in stambecchi della neve. Quelli che stanno nei boschi delle montagne innevate».
Non passa molto tempo quando sentono lo scalpiccio furioso di cavalli. “Ecco quello che l’ha messa sull’avviso” pensa allungando il collo per conoscere quali cavalieri sono in arrivo. Strabuzza gli occhi. Sono due. Uno è il drago Michele, che riconosce per gli sbuffi di fuoco che emette dalla bocca a ogni respiro. Sorride per la precauzione presa. Tuttavia è l’altro che lo lascia perplesso. Osserva un cavallo che corre senza cavaliere.
Subito il pensiero corre alla strega Ampfel, la degna compagna di merenda del drago Michele, che avrà operato una delle sue innumerevoli magie.
Marcus si sente tirare nella manica destra. Sa chi è e cosa vuol ipotizzare nell’osservazione del cavallo che galoppa senza cavaliere. Annuisce con la testa e con l’indice sinistro sulla bocca le intima di tacere. Non è il momento adatto per parlare. Hanno dimenticato che possono colloquiare col pensiero ma forse no. Sanno che i due cavalieri possono frugare nelle loro menti e leggere dentro.
Se per un certo verso si rallegra che siano lontani dalle montagne innevate, da un altro punto di vista si chiede dove stiano correndo con tanta furia. La strada li può condurre verso molte direzioni. Escludendo il Castello che per il momento è imprendibile, il posto più probabile è il torrente Ginestro. “Ma dove?”
Baldegunde interroga con gli occhi il compagno che scrolla le spalle, perché ignora dove siano diretti.
Il rumore degli zoccoli al galoppo si fa sempre più lontano fino a diventare un suono ovattato.
Markus e Baldegunde escono dal loro nascondiglio e riprendono il cammino. Hanno una missione da portare a termine: le fanciulle rapite. Con la strega Ampfel e il drago Michele ci sarà il tempo per chiudere i conti.
Il sole alto nel cielo indica che è mezzogiorno, quando arrivano in prossimità del presidio dei nerd di montagna. Dunque la previsione supposta era corretta.
Sanno che potrebbero aggirarsi tra i guardiani senza essere scoperti ma preferiscono muoversi lontani da loro per intuire dove si potrebbe aprire il passaggio segreto. D’altra parte la mappa mostrava un edificio che non era la casermetta dei nerd di montagna.
Markus si concentra su alcune rocce alla sua sinistra. Lì vicino sta una costruzione bassa occupata dai guardiani. “Ma cosa cercare?” Nessun segno indica che ci possa essere un’apertura occulta. Scuote il capo scoraggiato. È come cercare un ago nel pagliaio. Sente un’onda di parole nella mente. Se ne era dimenticato che i fiori magici permettono di comunicare senza parlare. Adesso lo possono fare senza il pericolo di essere intercettati.
«Markus, qui perdiamo tempo. Il punto d’ingresso va cercato altrove».
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