Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventunesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico.
La potete leggere anche qui.
28 agosto 2144 ore 10
Alba tiene in mano la rudimentale piantina che descrive il bunker antiatomico posto verso l’imbocco della Sarntal. È segnata anche una strada, che cerca subito sulla mappa di Bozen.
«È qui!» e con l’indice mostra a Matteo il punto. «Potremmo andarci e vedere di persona la struttura. Per la lettura del diario abbiamo tempo nel viaggio di ritorno».
«In effetti un posto vale l’altro. Non credo che troveremo nulla d’interessante qui e neppure altrove. Sembra che il bosco abbia colonizzato la città. Che percorso suggerisci? Tu sei il mio navigatore»
I due ragazzi scoppiano a ridere mentre Cucciolo li osserva curioso non capendo la loro ilarità.
Dispiegata la mappa della città sulle ginocchia segnano col dito il tragitto da percorrere. Non appare lontanissimo ma ignorano cosa incontreranno sulla loro strada.
«Ci conviene raggiungere la passeggiata lungo il torrente Talvera e da lì seguire il corso d’acqua fino all’incrocio con …» spiega Alba segnando con l’indice il tragitto.
«Pensi che troveremo i cartelli stradali?» La interrompe Matteo con tono ilare. «Comunque è giusta la tua indicazione del percorso, perché non rischiamo di perderci su strade che non conosciamo».
Raggiunto il Talvera seguono il corso d’acqua non senza qualche difficoltà a causa del ricca e folta vegetazione che in modo spontaneo è cresciuta su quella che cent’anni prima era la passeggiata.
Cucciolo è felice di correre a destra e a manca con la grande tentazione di raggiungere il greto del torrente per dissetarsi. Però ha capito che rischia di rimanere intrappolato senza possibilità di essere raggiunto dai ragazzi. Durante le sue scorribande cattura un leprottino che porta come omaggio a quelli che ritiene essere i capibranco. Inoltre mette in fuga un paio di serpenti e tiene lontani un gruppo di gatti selvatici che hanno incontrato nella boscaglia.
Fatta una sosta in una radura, dopo un paio d’ore di cammino, raggiungono il punto dove secondo Alba devono prendere la strada per raggiungere la villa di Konnie. Passati i ruderi di una chiesetta scorgono tra i filari di un vigneto inselvatichito e un bosco assai fitto una montagnola ricoperta di muschio e robinie.
«Quella dovrebbe essere la villa di Konnie» esclama Alba indicando quello che un tempo era una casa.
«Dirai quello che resta della villa» afferma Matteo con l’intonazione della voce ilare.
I ragazzi ridono, perché definire villa il disfacimento di quello che una volta era un’abitazione ci vuole molta fantasia.
Arrancando sulla salita raggiungono la sommità del poggetto dove vedono nel terreno l’ingresso d’acciaio del bunker.
«Cosa facciamo? Entriamo oppure riprendiamo la strada del ritorno?» Chiede Alba con l’intonazione della voce che suggerisce la prima ipotesi.
«Facciamo una breve visita. Forse possiamo riempire le tanichette con acqua potabile» suggerisce Matteo armeggiando con le chiavi per aprire l’ingresso.
Chiusa la porta alle loro spalle accendono una potente torcia per illuminare i gradini che portano verso il basso.
«Fai attenzione! Sono piuttosto scivolosi» suggerisce Matteo che fa da apripista, mentre Cucciolo ruzzola in basso tra guaiti e ululati di dolore.
Ai ragazzi verrebbe da ridere assistendo al capitombolo del lupetto che con troppa foga si è precipitato verso il fondo. «Speriamo che non si sia fatto nulla» esclama con tono preoccupato Alba.
Si rimette sulle quattro zampe dopo una leggera scrollata nel tentativo di togliere quel velo di muffa verdastra che ha impiastricciato il suo pelo.
Entrati nel bunker lo visitano passando in rassegna tutte le stanze compreso le due celle frigorifere.
«L’acqua è potabile. Quindi ne possiamo fare una piccola scorta che ci sarà utile nei prossimi giorni» dichiara Alba che ha misurato i valori. «È un peccato non poter prender quel pc e il contatore geiger. Sarebbe utile alla Città del Sole».
Matteo annuisce, mentre armeggia col computer che si sfila senza problemi. Poi tira con dolcezza il cavo che sembra libero. «Risalgo in superficie e libero l’altra estremità. Poi ti avverto e lo estrai con decisione senza strappi: Se tutto procede come penso possiamo portarlo con noi».
Completata l’operazione, i ragazzi mettono in una sacca di iuta trovata in un angolo pc, contatore geiger, un paio di torce, l’orologio atomico e qualche altro utensile che hanno trovato all’interno.
«E ora in marcia finché c’è luce sufficiente per attraversare il bosco cresciuto sulla riva del torrente» annuncia Matteo mentre risalgono il superficie dopo aver chiuso le due porte.
Cucciolo affronta i gradini di risalita con più prudenza. Ha fatto tesoro della caduta precedente.
È un romanzo ambientato nel futuro nemmeno troppo lontano: 2038. Tuttavia mostra i pericoli che le nuove tecnologie possono produrre in nome del progresso o presunto tale. Quello che doveva essere un balzo in avanti per l’umanità si è trasformato in una gabbia dove pochi decidono la vita di tutti gli altri in maniera invasiva e pericolosa. Non esiste più privacy ma tutto è controllato da un grande fratello di orwelliana memoria.
Il lavoro è affidato a dei robot, che sono l’alter ego delle persone in carne e ossa. La scala sociale non esiste più ma potrebbe diventare un pozzo nero che inghiotte tutti.
Come nel famoso romanzo 1984, anche qui si attua una rivolta contro lo strapotere di questa società che sta rendendo piatta la vita di tutti, eliminando quelli che economicamente non sono più utili in nome dell’efficienza e del potere del denaro.
È una specie di grido d’allarme questo testo, perché dietro a un presunto progresso sta invece un gruppo di persone che hanno tutto il potere in mano e decidono chi va avanti, chi sta fermo e chi deve essere eliminato.
Scritto bene con proprietà che dimostra come l’autrice si sia documentata e con un buon ritmo narrativo che tiene avvinto nella lettura il suo lettore.
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Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicato la ventesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico. Potete leggerlo là ma anche qui.
28 agosto 2144 ore 9
Tenendosi per mano come due innamorati che passeggiano per le vie della città, Matteo e Alba si dirigono verso il punto da dove proviene la voce di Cucciolo. Clarissa e Marcello sono stati cancellati dalle loro menti.
Arrivano in quella che secondo la mappa dovrebbe essere Piazza Walther, riconoscibile dalla statua ricoperta di muschio e parzialmente sgretolata che si erge nel centro.
«Cucciolo, dove sei?» Fa sentire la sua voce Alba con una leggera intonazione preoccupata, perché non lo sente più ululare. «Che sia capitato qualcosa?» Esterna stringendo la mano a Matteo.
«No. Forse ci ha sentito arrivare e ha smesso» prova a rassicurarla con tonalità dubbiosa. «Qui pare una mini foresta» Poi trascina sulla sua sinistra Alba, perché ha visto una costruzione in apparenza ancora integra. È tutta scrostata e con molte tracce di ruggine. In qualche punto è rimasta l’antica vernice verde ma il colore rossastro indica che la struttura è di materiale ferroso.
«Ecco, dov’è Cucciolo!» Esclama Matteo indicando con il braccio il punto dove si trova il lupetto, che seduto sulle zampe posteriori li sta aspettando.
«Cosa avrà trovato?» Alba socchiude gli occhi per mettere a fuoco il punto.
Cucciolo sta accanto all’ingresso di quello che un tempo poteva essere un chioschetto, aspettando i due ragazzi, che si fanno strada tra le erbacce cresciute nelle fessure della pavimentazione.
Un forte fetore di un corpo in decomposizione mescolato al puzzo di stantio e acqua stagnante li accoglie nonostante il filtro del casco.
Alba arriccia il naso e rimane all’esterno insieme al lupetto, mentre Matteo illumina con la torcia l’interno. La vista è una desolazione. Solo le parti metalliche hanno resistito e sono in condizioni precarie. Per terra uno strato di polvere mescolate a escrementi animali che la pioggia ha reso scivolosi e putrescenti. Nella stanza più interna su un tavolo giace un corpo umano in parte deturpato dai morsi di qualche animale e in forte decomposizione. Di fianco sta una custodia in pelle che un braccio scarnificato sembra voler proteggere. Matteo con delicatezza lo sfila e lo prende con sé. “Forse dentro ci sono le informazioni su questo corpo”.
All’esterno Matteo tenta di ripulire le calzature dal lordume raccolto all’interno. Cercano un posto lontano dal chioschetto per ragionare sul da farsi.
«C’è un corpo là dentro» spiega il ragazzo. «Secondo me morto da qualche giorno, viste le condizioni del corpo. Vicino ho trovato questo» e mostra ad Alba la cartella in cuoio. «Credo che dentro contenga le spiegazioni di questo ritrovamento. Meriterebbe una degna sepoltura invece di essere lasciato in balia degli animali. Però non abbiamo i mezzi né sappiamo dove metterlo».
Alba dopo aver stretto la mano a Matteo lo abbraccia in silenzio. Anche lei ha avuto il medesimo pensiero di seppellirlo come si usa per un morto.
«Ma allora ci sono degli umani sopravvissuti al grande disastro» inizia la ragazza con l’inflessione della voce speranzosa.
Subito Matteo scuote il capo in segno di diniego interrompendola. «Dubito che sia un superstite del grande olocausto nucleare viste le condizioni della città».
«Ma allora da dove spunta visto che affermi che il decesso è recente?»
Il ragazzo stringe gli occhi come per concentrarsi prima di rispondere. «Potrebbe essere qualcuno che come noi ha costruito un rifugio sottoterra e sia uscito all’aria aperta ma la radioattività l’ha stroncato».
Ritornano davanti al Duomo dove hanno pernottato durante la notte. Si sistemano all’ombra di una quercia per controllare il contenuto della cartella. Cucciolo si sistema tra loro come se volesse ascoltare i loro discorsi.
All’interno trovano una piantina, due mazzi di chiavi e un grosso quaderno dalla copertina rossa. La mappa non suggerisce nulla ai due ragazzi e l’accantonano insieme alle chiavi. Il blocco è tenuto chiuso da un grosso elastico che rimuovono per sfogliarlo. Sulla prima pagine leggono con bella calligrafia “Diario di Konnie” e appena sotto “anno 2084”.
«Dunque il morto si chiama Konnie e questo è il suo diario».
Matteo annuisce, mentre inizia a sfogliarlo in maniera distratta.
Mi chiamo Konnie Freschthaler e sono nato nel bunker situato in via San Pietro il 21 luglio del 2064.
Ho messo a riposare mia madre, Marie, accanto a mio padre, Kurt, nella cella frigorifera 2, quella più piccola. Riposi in pace.
Da oggi agosto 2084 sono solo e resterò così fino alla fine dei miei giorni.
Il perché sono qui riporto i racconti di Kurt e di Marie, i miei genitori. Quindi potrebbero essere inesatti o inficiati da cattivi ricordi.
Correva l’anno 2024 e le turbolenze mondiali minacciavano guerre atomiche. Così il nonno Marko in quell’anno ha venduto tutto tranne la villa che sta sopra le nostre teste e il parco che la circonda. Con il ricavato ha costruito questo bunker che è stato la casa dei miei genitori prima e poi nel tempo anche la mia. Quando nel 2044 è successo l’irreparabile, sono stati costretti a rifugiarsi qui. Nonno Marko se ne era già andato qualche anno prima.
Mi sento sperduto mentre mi aggiro tra la cucina, il salotto e la mia camera. Devo parlare da solo per non impazzire e imparare tutto quello che Marie faceva prima.
…
Matteo dopo aver letto questa pagina, chiude con l’elastico rosso questo blocco di carta che contiene la vita di quella persona che hanno trovato nel chioschetto. Lo ripone con deferenza nella cartella e prende quel foglio dove è disegnata la piantina del bunker.
«Via San Pietro» legge con tono sicuro. Poi fa tintinnare le chiavi.
Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicata la parte diciannove di Konnie.
La potete leggere anche qui.
28 agosto 2144 ore 8
Le prime ore della giornata tingono di rosa le cime delle Torri del Vajolet e del gruppo del Catinaccio, mentre nubi rosate volano leggere come piume nel cielo di un azzurro slavato.
Questa meravigliosa vista sorprende i due ragazzi al loro risveglio all’alba del nuovo giorno, mentre Cucciolo è già fuori alla caccia di improbabili prede.
I due ragazzi, dopo aver ammirato questo spettacolo che la natura riserva agli amanti del bello, ragionano sulle prossime mosse.
«Credo che ci sia poco da osservare qui a Bozen. A parte i ruderi ricoperti di erica e muschio e come l’assenza umana ha spinto la natura a riappropriarsi di quello che era suo» esordisce Alba con tono serio.
«Hai ragione» concorda Matteo, annuendo col capo.
«Quindi se sei d’accordo. Oggi lo dedichiamo all’esplorazione di quello che è rimasto. Domani mattina all’alba prendiamo la via del ritorno» aggiunge la ragazza, proseguendo nel suo ragionamento. «La salita al Karersee è ostica affrontata col tempo buono. Diventa pericolosa in caso di pioggia o vento. Siamo stati fortunati negli ultimi giorni. Sole e qualche nuvola ci hanno fatto compagnia».
«Sì, l’inizio è stato poco promettente con pioggia e neve. Poi per fortuna il tempo si è stabilizzato al bello. Inutile sfidare la buona sorte. Domani si ritorna».
Chiacchierando, si sono dimenticati dell’assenza di Cucciolo. Mentre riempiono gli zaini con gli oggetti usati nella notte, Alba si accorge che il lupetto è scomparso. «Il nostro portafortuna» ridacchia mentre lo dice, «non c’è. Pare sparito nel nulla. Stanotte era con noi sotto la tenda ma al risveglio non c’era. Dobbiamo cercarlo».
Matteo si guarda intorno alla ricerca visiva del lupetto. «Dove si è cacciato?» borbotta aggrottando la fronte. «È un giovane in cerca di guai!» Sbuffa infastidito, perché può essere in un qualsiasi posto. Prova a chiamarlo inutilmente.
Si sono affezionati a questo giovane lupo molto affettuoso. Sembra un talismano, perché da quando è con loro la buona sorte pare avere avuto un occhio di riguardo per loro. Sanno che prima del rientro alla Città del Sole dovranno fare una scelta: o sfidare le regole portandolo all’interno oppure abbandonarlo nel bosco. Gli animali all’interno del loro mondo non sono molti ma sono tutti utili alla comunità per quello che possono offrire. Cani e gatti sono banditi. Cucciolo sarebbe una bocca in più da sfamare e poi di certo sarà contaminato.
I ragazzi si erano fermati per la notte nelle adiacenze di quello che resta del Duomo, decidono di andare verso la ferrovia, sperando di rintracciare Cucciolo. «Chissà dove si è cacciato» borbotta Matteo tenendo per mano Alba. Quando sono usciti dalla Città del Sole la prima volta non c’era nulla tra loro. Una semplice amicizia e neppure troppo stretta. Lui faceva gli occhi dolci verso Clarissa senza che lei ricambiasse il suo interessamento. Alba invece faceva coppia fissa con Marcello ma senza che fosse sfociato in qualcosa di più di una calda amicizia. Poi il destino sotto forma di un sorteggio li aveva messi in coppia. Da quel giorno hanno imparato a conoscersi meglio e apprezzarsi a vicenda. Così hanno compreso che poteva esserci qualcosa di più di una banale compagnia dovuta all’essere insieme. Come il germoglio cresce e si sviluppa sul ramo sotto l’effetto del sole, della pioggia e del vento, così è sbocciato tra Matteo e Alba un tenero affetto che diventa un giorno dopo l’altro più solido. Hanno scoperto delle affinità che ignoravano che esistessero: la curiosità di scoprire il mondo e come vivevano i loro genitori. Entrambi si riconoscono diversi dai coetanei che sono rimasti nella Città del Sole. A loro l’ignoto non fa paura, anzi li stimola. Gli altri preferiscono il caldo rifugio della città sotterranea. Matteo in modo discreto tende a proteggere la compagna ma non prende mai una decisione senza ascoltare il suo parere che tiene in grande considerazione. Lei avverte sicurezza perché è certa che in qualsiasi situazione può contare su di lui.
Anche questa mattina la direzione da prendere è stata presa dopo che hanno vagliato i possibili obiettivi. Vogliono stimare lo stato della rete ferroviaria. Il ponte è messo piuttosto male ma i restanti binari sono da valutare.
Mentre si dirigono verso la stazione sentono in lontananza la voce di Cucciolo.
Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte diciottesima del racconto Konnie.
La potete leggere anche qui.
20 agosto 2144 Bozen
Per tre giorni nubi nere basse hanno avvolto le montagne intorno a Bozen e hanno scaricato acqua sulla città.
Konnie è rimasto in uno stato di sonnolenza nell’unica stanza asciutta del chioschetto, ascoltando la litania cacofonica delle gocce sul tetto metallico. Avverte debolezza nelle gambe e respira a fatica. Sente che la morte si sta avvicinando e non reagisce. Brividi di freddo contrastano la fronte calda. Per lui sono sensazioni nuove, mai provate prima.
La mattina del venti agosto lo accoglie in tutta la sua luminosità. Il cielo pulito sgombro di nuvole.
Konnie si avventura fuori ma i brividi non cessano anzi crescono. Osserva le montagne e nota un qualcosa d’insolito. Di solito ha visto le cime grigie e sotto il verde dei boschi. Adesso sono più luccicanti e bianche. Come se qualcuno le avesse spolverate con lo zucchero. Uno spettacolo che lo lascia a bocca aperta per la sorpresa, tanto che si dimentica della sua condizione fisica. Muove qualche passo incerto, barcolla, sente le gambe piegarsi sotto il suo peso. Si appoggia alla struttura esterna del suo rifugio per non cadere a terra.
La mente gli comanda di tornare dentro ma l’istinto gli consiglia di restare fuori a godersi la bellezza del panorama. Vuole gustarsi ogni istante di quello che la natura gli offre. Intuisce che non avrà ancora molti giorni davanti da lui. Avverte una sensazione di piacevolezza, respirando l’aria frizzante del mattino. Non sa spiegarselo ma è così. Scivola lentamente con la schiena lungo la parete senza avvertire dolore come se fosse anestetizzato. Si sente euforico per quello che lo circonda. Si siede sul terreno e allunga le gambe, anche se sa che non riuscirà ad alzarsi. «Troppo meraviglioso lo spettacolo offerto dalla natura» sussurra con un filo di voce.
Una lacrima scende sulla guancia. È l’emozione per quello che lo circonda. Rimpiange non essere uscito prima dal bunker ma è consapevole che avrebbe resistito meno al contatto con un ambiente contaminato dalla radioattività.
La borsa di pelle con il suo diario e le chiavi del rifugio antiatomico sono al sicuro dentro il chioschetto. «Chissà se qualche umano è ancora in vita!» Scuote la testa, anche se in queste notti ha sognato due persone vestite con una foggia strana accompagnate da un cane che zoppica. Percorrevano strade a lui sconosciute, dirette verso una località ignota. È stato il sogno ricorrente ogni volta che assopiva. Al risveglio si poneva la domanda se fossero persone oppure extraterrestri provenienti dallo spazio. Però nonostante tutti gli sforzi non è riuscito a dare una risposta convincente alla sua curiosità. Nella notte appena passata li ha intravvisti vicino a un ponte della ferrovia ma poi l’immagine si è spezzata e ignora se siano riusciti a passarlo. Nessuna delle immagini ha rievocato in lui dei ricordi o di averle intravviste nei libri o video nel bunker. Nemmeno la visione delle montagne che circondano la città gli sono familiari. Gli occhi si muovono frenetici per cogliere questi ultimi scampoli di vita. Si sente in pace anche se sa che è qualcosa di effimero.
Il respiro si fa via via più affannoso e gli occhi si chiudono. Con lentezza scivola nel dormiveglia e poi alla fine si addormenta per sempre.
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