Siamo soli,
abbiamo smarrito
il senso di essere
popolo ed essere sociali.
Come api,
stiamo nell’alveare
ignorando
chi sta nella cella accanto.
Chi sente
il bisogno del conforto
altrui,
è messo alla porta,
alla gogna.
Ognuno guarda
in cagnesco
il suo prossimo,
pronto
ad azzannarlo.
Abbiamo necessità
di amore e di amare,
sentiamo dentro di noi
crescere quel sentimento
che si chiama amore.
Il vestito di parole
Sensazioni
Strane sensazioni
bruciano la pelle
e vapori acidi
inalano le narici.
Guardo e non vedo nulla,
cerco te e vedo ombre cerulee
che danzano
senza corpo.
Dove sei?
Chiedo e non sento nulla.
Ma tu sei, qui
vicina a me,
come muto fantasma
che anela
di presenziare
con la tua persona.
Ora ti vedo,
ora ti sento,
ora ti tocco.
Questo è la forza dell’amore,
che ci lega
e ci protegge.
Briciole di poesia per allietare gli animi
III
Un mare infinito mi aspetta là,
fuori dalla porta.
IV
Le nubi sono tanto basse,
che ho paura di annegarvi dentro.
VI
La neve cade,
sotto di essa tutto scompare
e la leggera coltre è animata da una leggera vita.
IX
Nella tranquillità della notte
la scorgo bellissima.
X
A sembianze di dee
mille donne popolano questo paese di fate.
XI
Da un sogno dorato
in un cielo senza stelle
scendi dalle nuvole
e vieni con me.
Senza titolo
II
Tutto mi urta:
il suono dei passi strascicanti,
il sussurro del cielo imbronciato,
l’inutilità della gente senza capo.
Fossi lontano da tutti
per sfogare questo malessere,
che mi invade.
Fossi nel più paurosi dei silenzi
per impazzire al pensiero
di essere solo.
Fossi capace di urlare al mondo: LADRO,
per dimostrare la superiorità
di essere un uomo che pensa.
IV
Volendo pensare,
domando a me stesso:
a cosa penso?
perché penso?
Tutto sarebbe più facile,
se non volessi pensare.
E’ l’elemento razionale,
che travolge l’esistenza.
Ecco perché vorrei impazzire per te!
Ecco perché non vorrei più ragionare per te!
Questo non lo potrò mai fare!
Questa è la mia punizione,
che mi sono serbato
per essermi accorto di amare te.
Così crederò, insano,
di amareggiarti,
perché penso:
“non potrà dire mai:
‘E’ impazzito per me’”
La neve
Epilogo
Al termine di quella giornata di amore Goethe e Angelica promisero di scriversi, come fecero per circa un anno e mezzo, perché un giorno lui sarebbe tornato a Roma a prenderla.
Roma, il 5 Agosto 1788, martedì
Lei dirà ancora una volta dei sogni, ma io so che Lei mi perdonerà. La notte scorsa mi sono sognata che Lei era tornato. La vedevo arrivare da lontano e Le sono corsa incontro sino alla porta di casa, ho afferrato entrambe le sue mani e le ho premute sul mio cuore così forte che mi sono svegliata, me la sono presa con me stessa per avere sentito la mia felicità sognata con troppa violenza tanto da abbreviarmi così il piacere. Ma sono contenta di questa giornata perché oggi ho ricevuto la Sua cara lettera del 19 luglio. Il fatto che Lei nonostante le tante distrazioni, gli affari e gli amici ritorni con lo spirito a Roma, non mi meraviglia, che Lei si ricordi di me è un segno della Sua bontà per la quale Le sono infinitamente grata. Mi rallegra il fatto che Lei stia bene e Le auguro una ininterrotta serie di giorni piacevoli. Io vivo la vita con la speranza di una migliore. Caro amico, quando ci vedremo di nuovo? Vivo sempre tra timore e speranza è purtroppo è più timore che speranza, ma debbo tacere, a che serve lamentarmi. Lei vuole sapere a cosa sto lavorando. Ho finito le seguenti opere: il ritratto di Lady Harvey, il ritratto del cardinale Rezzonico per il senatore e oggi ho terminato il Virgilio. Sono molto contenta della preparazione in chiaroscuro, il pezzo ha molta forza e i colori sono riusciti molto diafani. Ho lavorato abbastanza e cerco di fare del mio meglio – per fare questo devo immaginare che è domenica e che Lei viene nel mio studio – ah, i bei tempi! La lettera del suo giovane amico mi ha molto rallegrato, mi fa piacere anche sapere che il signor Keiser tornerà e che conoscerò anche il signor Herder. Ma Lei non verrà,questo è l’eterno dolore e la mia angoscia. Stia bene e non si dimentichi di me.
La onoro e La adoro con tutto il cuore.
Angelica.
Così Angelica scriveva a Goethe, che era tornato a Weimar nel giugno 1788, una lettera traboccante di pathos e di amore represso nel ricordo del periodo in cui si erano frequentati con assiduità durante il lungo soggiorno romano del poeta.
Lei soffriva la lontananza
Il ritorno a casa
Venne l’autunno e poi l’inverno, mentre aveva completato il suo autoritratto, rimasto a lungo sotto un candido telo di lino. Il ritratto del poeta giaceva malinconico in un angolo, coperto da un velo trasparente.
I rapporti tra loro si stavano raffreddando, come la stagione incipiente, anche se continuavano a frequentarsi con regolarità.
Goethe sentiva che era giunto il momento dell’addio: la nostalgia della patria, di Weimar stava diventando troppo insopportabile.
Angelica aveva capito che la storia stava terminando e che non sarebbe riuscita a trattenerlo.
“Sento un vuoto dentro di me. L’amore mi consuma, ma Wolfgang non lo alimenta più col necessario vigore. Anche se non lo dice apertamente, ha deciso di partire di tornare in patria. Riuscirò a sopravvivere alla sua partenza?”
L’angoscia si impadroniva di Angelica, che aspettava con ansia la decisione del poeta, che tardava ad arrivare.
Si consumava lentamente, giorno dopo giorno, in uno stillicidio di vane speranze e tristi presentimenti, trascurando i suoi lavori.
All’inizio del 1788 Goethe cautamente cominciò a parlare di un suo possibile rientro a Weimar, adducendo come pretesto certe lettere del duca Karl August, che gli chiedeva di riprendere il governo del minuscolo ducato.
“Angelica, mia cara, “ diceva il poeta, “non vorrei lasciarti qui, ma prenderti con me! Non riesco a decidermi nella risposta al mio Duca, perché vorrei restare qui accanto a te. Anche la duchessa Anna Amalia mi scrive chiedendomi di tornare, perché vuole ascoltare dalla mia voce il racconto di questo viaggio alla scoperta dell’Italia e del bello, dove ho trovato una donna meravigliosa sia per bellezza sia per capacità artistiche”.
Angelica sapeva che erano solo lusinghe che laceravano la ferita che si stava aprendo dentro di lei.
“Wolfgang, non mentirmi”, rispose con la voce rotta dall’emozione, “non mentirmi. Stai preparando l’addio e non sai come dirmelo.”
Il poeta capiva che l’innamoramento stava svanendo, come già in passato era capitato.
Forse quel viaggio non era stato programmato per sfuggire alle insistenze di Charlotte?
“Non posso mentire a me stesso,” pensava con apprensione mista ad ansia, “non posso mentire nemmeno a lei, che ha capito. Però io ho necessità di riacquistare la mia libertà psicologica, di non avere legami stabili. Poi lei è sposata, ho conosciuto il marito, Antonio Zucchi, le chiacchiere sulla nostra relazione stanno serpeggiando tra gli amici comuni. Posso trattenermi ancora qui?”
Si avvicinò ad Angelica, stringendola a sé per fugare quei dubbi, sapendo che era un atto inutile.
Lei lasciò fare senza opporre resistenza: “Vuole convincermi che le mie paure sono infondate, ma tutto è inutile. Lo so. Lui vuole tornare libero, andarsene di soppiatto come oltre due anni fa ha fatto partendo da Karlsbad! Però godiamoci questi ultimi sprazzi d’amore. Dopo sarà il vuoto dentro di me, dentro la mia vita. Saprò dimenticarlo? Saprò cancellarlo dalla mia esistenza?”
Goethe la trascinò sul divano, ma lei disse: “Wolfgang, no! Non qui! Andiamo di sopra!”
Salirono in silenzio e giacquero sul letto sempre pronto ad accoglierli.
I giorni passavano, mentre la primavera si avvicinava. In silenzio il poeta cominciò a raccogliere le sue cose: i manoscritti delle opere, le bozze delle poesie, gli appunti del viaggio, i disegni e tutti i ricordi accumulati in questi due anni.
Continuò a frequentare Angelica, a girare per Roma con lei, che al suo passaggio suscitava sguardi di ammirazione e saluti dai passanti.
Angelica soffriva il distacco annunciato in silenzio, ma no dichiarato da Goethe.
“Mein Gott! Perché devo patire questi tormenti dell’anima? E’ forse la punizione divina del tradimento verso il marito? Vorrei che il giorno non arrivasse mai! Ma arriverà e deflagrerà con una forza immane dentro il mio cuore!”
Ormai il tempo volgeva al bello stabile ed era favorevole all’inizio del viaggio di ritorno.
Un pomeriggio di fine marzo 1788 Goethe arrivò allo studio di Angelica, che stava lavorando al quadro di Virgilio per non pensare al distacco.
“Angelica, mia adorata!” esordì, “Stamani ho ricevuto una pessima lettera dal mio Duca, che mi ordina di tornare sollecitamente a Weimar per riprendere le cure del governo del ducato. Mi è crollato il mondo addosso! Sono rimasto affranto tutta la mattina. Quindi in fretta e furia devo preparare i bagagli e partire”.
Angelica prese a piangere silenziosamente senza voltarsi verso di lui: “Wolfgang, non mentire, ne sei incapace! E’ arrivato il momento dell’addio tanto annunciato, tanto negato tenacemente da te. Concedimi l’ultimo afflato d’amore senza dire nulla. Vieni e saliamo per l’ultima volta quelle scale, che hanno conosciuto il nostro amore. Ti prego, resta in silenzio e in silenzio esci dalla mia vita”.
Deposti i pennelli, si avviò verso quelle stanze dove si era consumato un amore impossibile, aspettandolo di sopra.
Si era chiusa una parentesi della sua vita.
(parte diciottesima)