Capitolo 4

Marco lo esaminava con curiosità misto a disappunto, perché aveva parlato a lungo senza che l’altro seguisse i suoi ragionamenti.
“Che gusto c’è” si disse silenziosamente “a ripetere tutto senza l’assicurazione che non vada via per la tangente una seconda volta”.
Iniziò a riflettere se questo uomo fosse seriamente intenzionato all’acquisto del bosco o se fosse solo una banale scusa per fargli perdere del tempo. Però sembrava una sfinge, non era in grado di perforare quel muro granitico che aveva frapposto tra loro. A parole pareva seriamente intenzionato ad avviare l’affare, ma poi si smarriva in mille altri pensieri che non riusciva a cogliere nella loro interezza, e così gli dava l’impressione opposta.
Eppure gli era stato simpatico fin dalla prima parola della telefonata. Doveva riconoscere che dopo molti mesi di inutili annunci, questa era la prima volta che si discuteva con serietà della vendita del bosco.
“E’ il caso di chiudere qui il discorso?” si domandava assillato da nuovi crucci e perplessità “Oppure mi conviene procedere?” e scelse la seconda opportunità.
“Cosa non è chiaro nella vendita?” chiese cortesemente cercando con scarso successo di moderare il tono della domanda.
“Veramente.. Uhm! Forse..” Pietro iniziò a balbettare nel tentativo di non urtare la sensibilità di Marco nella ricerca delle parole giuste “Insomma… Facciamola breve. Dove è localizzato il bosco. Quale ampiezza ha. E quanto vuoi” e si appoggiò con tutto il peso allo schienale della sedia come se si fosse sgravato da un peso.
“Il posto è sulle pendici dell’Antelao che danno su San Vito…” e fece una breve pausa, mentre Pietro annuiva come se avesse chiaro la localizzazione.
In realtà non sapeva nemmeno che esistesse un paese che aveva quel nome. Aveva una vaga idea, ma molto, molto incerta, dove fosse il monte, che secondo lui era vicino a Cortina, ma non troppo.
“C’è una vallata stretta che parte da San Vito dietro la chiesa e si inerpica verso il rifugio Galassi..” ricominciò Marco con la sua litania.
“Si, ho capito.” lo interruppe Pietro che stava andando nuovamente in tilt “Ho capito che partendo da San Vito si sale verso il bosco..”
“Diciamo che è vero in parte, perché si deve percorrere un tratto di strada che porta verso il rifugio Scotter-Palatini. In realtà un chilometro o poco più dopo il ristorante si prende una deviazione, una strada sterrata che entra in un fitto bosco e conduce alla baita. Quel fitto bosco è in vendita. E..”.
Pietro scuoteva il capo, perché non lo interessavano questi dettagli per raggiungerlo anche perché non aveva una pallida idea dove fosse ‘sto San Vito. Lui si era fermato a Longarone, dove lavorava e non era mai andato oltre in questi dieci anni.
Non era uno che durante i week end batteva tutte le località circostanti, anzi preferiva girare per la città, prendere l’aperitivo alla Caffetteria Belluno, leggere e dormire. Se si muoveva andava verso la costa piuttosto che verso la montagna.
Ancora una volta dimostrava incoerenza perché stava trattando l’acquisto di un bosco posto a circa 1300m di altezza e di una baita isolata e senza le comodità cittadine.
“Dimmi. Quale è l’estensione del bosco?” Pietro chiese interrompendo la descrizione di come raggiungere la baita.
“Il bosco è ampio. Mille pertiche” e vista l’espressione di dubbio si affrettò ad aggiungere “Un’estensione enorme! Un milione di metri quadri! Ed è bellissimo”.
“E cosa me ne faccio di tanti alberi!” sbottò Pietro che già si vedeva nei week end tra abeti e larici a cercare funghi, come se il bosco fosse già suo.
Marco accennò ad una risata subito repressa prima di proseguire.
“Ogni pertica costa duecento cinquanta euro. La baita, così com’è, altri cinquantamila euro. In totale sono trecento mila euro. Veramente un affare. Non convieni?”
Pietro deglutì vistosamente perché, se per i centocinquanta mila euro per comprare casa a Belluno aveva fatto i salti mortali nel racimolarli, non riusciva a immaginare come avrebbe fatto per una cifra doppia.
“Sì, sì..” balbettò cercando di dissimulare l’impatto dei trecento mila euro richiesti “Ehm! Sì, sembra un vero affare per un bosco di quell’estensione…Uhm! … Ma la baita.. Sì, la baita come è? Ci sono lavori da sostenere? Sai… devo valutare tutto”.
Marco, divertito per il siparietto inscenato da Pietro, sorrise  e volle rassicurarlo.
“Per il pagamento.. Ti ho visto incerto.. Beh! per il pagamento ci metteremo sicuramente d’accordo. Un prestito in banca, qualche soldo come caparra e il resto con calma. Ah! Mi sono dimenticato di aggiungere che nel prezzo è compreso anche un fuoristrada. Senza di questo raggiungere la baita è un po’ complicato, a meno che non preferisci farti una bella passeggiata da San Vito.. Ah! Ah!” e accompagnò l’ultima affermazione con una sonora risata.
Pietro era senza parole come se una scossa elettrica avesse paralizzato la lingua. Sentiva la gola secca e la bocca arida, come se avesse appena finito la traversata nel deserto con solo un bicchiere d’acqua per dissetarsi.
“Sì, sì.. veramente interessante” riuscì finalmente a dire “ma è possibile vedere il bosco? Così almeno mi faccio un’idea più chiara”.
Più parlava, più si intrappolava da solo. Un rapido esame del suo conto corrente lo fece rabbrividire.
“Se tutto va bene” rifletté “avrò qualche migliaio di euro. Chiedere ancora una sovvenzione ai miei non ci penso proprio. Sono veramente un pazzo! Ammesso che la banca mi conceda un prestito, ma non è detto, poiché sento voci di chiusura del rubinetto dei mutui, dovrò lavorare una vita intera per ripagare il debito”.
“Domani. Mi sembra una giornata adatta. Le previsioni danno una tregua nel maltempo e dovrebbe splendere un bel sole” replicò con immediatezza Marco “Hai impegni? Io sono libero”.
Pietro cominciò a farfugliare qualcosa che stava tra “ho un impegno” e “Buona idea!”, ma non si decideva cosa dire nel concreto, finché non pronunciò la frase fatale “Benissimo. Dunque domani andiamo a visitare il bosco”.
Marco era visibilmente soddisfatto perché forse aveva trovato quell’acquirente cercato per troppo tempo. In particolare era convinto che sarebbe stato un ottimo padrone e conduttore del bosco.
“Cosa preferisci: ti vengo prendere sotto casa oppure ci troviamo da qualche parte?” chiese garbatamente.
Pietro col viso in fiamme e la testa in subbuglio disse che potevano trovarsi alla Caffetteria Belluno, dove prima di partire avrebbero potuto fare colazione.
“Sta bene. Alle 10?”
“Okay! Alle dieci in punto qui” replicò seccamente.
“E’ stato un vero piacere averti conosciuto e grazie per il caffè. Però ora devo andare. Sarei rimasto volentieri ancora a chiacchierare con te, ma proprio non posso. A domani” aggiunse Marco mentre si alzava in piedi per salutare.
“A domani” disse Pietro in preda al panico per il pasticcio nel quale si era aggrovigliato.
Rimasto seduto senza nessuna voglia di proseguire la lettura dei giornali, stava meditando di alzarsi per saldare il conto, quando udì “Pietro! Pietro”.
Una voce femminile lo stava chiamando.

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Nota per i lettori

Gli ultimi tre post rimangono tali, perché sono sono stati pensati così.
Però mi hanno fornito un’idea, che non so se riuscirò a realizzarla come l’ho pensata.
Il post che segue rappresenta l’inizio e spero di riuscire a dare un seguito.
Vediamo strada facendo.

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Micol e il viaggio

Era una sera di fine luglio, quando Micol prese la corriera “Korner Platz – Jenesien Gasthof Konig” come tutte le sere da due anni. Partì stracolma di persone dalla piazza sotto il monumento di Hofer come sempre a quest’ora della giornata.
Micol fu fortunata a trovare un posto vicino al finestrino abbassato passando sulle gambe di uno sconosciuto, che brontolò qualche parola in tedesco che non afferrò pienamente, quando si sedette dopo aver buttato lo zainetto sotto il sedile.
Lo guardò male senza aprire bocca, perché non le andava di parlare con uomini sconosciuti specialmente su questa corriera sempre piena di uomini e donne diversi.
La serata non prometteva bene, perché era rumorosa, piena di polvere ed offuscata dalla calura che opprimeva la città come una cappa di piombo fuso in attesa della brezza notturna. Le strade assolate erano invase da persone, che, abbandonati in fretta gli uffici torridi, cercavano ristoro nel loro appartamenti altrettanto infuocati. Quest’anno erano stati vietati i condizionatori per risparmiare energia, così la gente cadeva come mosche sotto il sole che picchiava implacabile. Per fortuna all’imbrunire un vento gelido incuneato tra le strette vallate di Sarnital raffreddava l’ambiente mentre alle persone era consentito di respirare.
Micol era giovane e robusta e sopportava meglio di altri la calura di una estate ardente come il fuoco che scoppiettava allegro nella stufa di maiolica posta nel centro della stanza da pranzo.
Era bello sedersi intorno appoggiando la schiena al caldo durante le lunghe veglie d’inverno, mentre fuori fioccava le neve e il vento disperdeva i fiocchi.
Aveva venticinque anni e da due sopportava quel viaggio che la portava tutti i giorni in centro città con qualsiasi tempo. Quando faceva molto freddo e le strade erano lucide lastre di ghiaccio sporco, incrociava le dita per scaramanzia e ringraziava il santo protettore che era sempre al suo fianco ad ogni tragitto.
Era tutto sommato una ragazza appena fuori dal bello col viso rotondo e paffutello, dove spiccavano due grandi occhi verdi, e dalla statura che tradiva le origini non tirolesi. Aveva imparato il tedesco alla scuola materna delle Marcelline, dove era stata accettata con grandi sforzi e suppliche perché era l’unica di lingua italiana. Aveva sempre mal sopportato quello sdoppiamento della personalità, ma adesso ringraziava di cuore quella scelta, perché era una bilingue perfetta.
Quella sera era cominciato male il viaggio di ritorno, perché la calura aveva eccitato gli animi, divenuti irritabili e irascibili per un nonnulla come le cime rosseggianti che facevano conca alla città. All’interno c’erano sicuramente oltre quaranta gradi, pensava mestamente Micol col sudore che appiccicava la camicetta alla pelle, e senza un alito di vento per allontanare quel lezzo di cipolla mischiato al disgusto del vino, che i vicini emanavano senza troppo ritegno.
L’uomo sconosciuto al suo fianco continuava a guardarla con un’intensità sospetta, come se la volesse spogliare, mentre lei imprecava contro tutta quella gente che si ammassava come bestiame sulla corriera.
Sporgeva la testa fuori dal finestrino per quel tanto che poteva dalla sua posizione cercando di captare qualche bava d’aria rovente. Si sentiva osservata, ma non poteva fare nulla per togliersi da dosso quelle punture che l’occhio generava sulla pelle.
Le sembrava di giacere nuda su un lenzuolo, su una lastra di metallo o di marmo, scrutata da mille sguardi di persone ignote e sconosciute, pronte a toccarla, a far scivolare le mani sulla pelle come le gocce di sudore che scendevano e rotolavano in minuscole perline bagnate tra i seni e dietro la schiena.
La lingua pareva ingrossata tanto faticava ad uscire dalla bocca per umettare le labbra screpolate e disidratate, perché aveva finito da tempo la scorta di acqua che portava nello zainetto.
Il viaggio fu lungo e penoso tra imprecazioni, bestemmie e rutti di gente ubriaca e nervosa che litigava col vicino senza ritegno, mentre Micol era riuscita a tenere abbassato il finestrino che faceva entrare a fiotti aria fresca che le scompigliava i capelli neri.
Lentamente l’uomo sconosciuto si avvicinava a lei, che si addossava al finestrino come un’acciuga marinata. Ormai era immobilizzata, mentre ansia e terrore scendevano come una cappa di gelo sul corpo accaldato e sudaticcio, ed avvertì una mano che frugava sotto la camicetta e l’altra che tentava di insinuarsi nei jeans.
Micol era un animale braccato dai cani e rintanato in un pertugio senza uscita, perché anche se avesse gridato nessuno l’avrebbe ascoltata.
Lo lasciò armeggiare per qualche istante, mentre studiava una via d’uscita: altri posti liberi non c’erano, ma vicino all’autista c’era un minuscolo spazio. Forse era lì la sua salvezza.
Con mossa improvvisa afferrò con una mano lo zainetto sotto il sedile e con l’altra abbrancò saldamente i testicoli dell’uomo che urlò dal dolore mollando la presa.
Tutti si girarono mentre i suoni svanivano fuori dai finestrini per capire chi aveva strillato quel rumore sguaiato.
In un baleno Micol si portò vicino all’uscita pronta a scendere per raggiungere la casa di corsa e con la speranza di sfuggirgli.
L’uomo accasciato sul sedile ululava dal dolore con gli occhi pieni di lacrime ed arrossati dalla collera, perché la preda era momentaneamente fuggita. Barcollando tra spintoni e bestemmie cercò di avvicinarsi a Micol, ma per sua sfortuna incrociò una persona alticcia che gli mise le mani addosso.
L’alterco durò quel tanto che le permise di scendere e vedere la chiusura della porta alle spalle, mentre si avviava col cuore in gola verso casa. Si fermò un istante per esaminare chi c’era alle spalle, mentre vide l’uomo sconosciuto che gesticolava con l’autista nel tentativo di aprire la porta.
Micol s’affrettò leggera come una piuma verso l’intrico dei vicoli stretti che la inghiottirono tra le ombre calanti della sera. Conosceva ogni anfratto, ogni pertugio tra case e staccionate, dove bambina aveva giocato a nascondino per molte estati, e si sentiva ormai al sicuro.
Chiuso il portone di casa con qualche affanno e sospiro di sollievo, rifletté che era ormai giunto il momento di sospendere quei viaggi.

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