Eletta Senso ha fatto perdere la O a ottobre. Vediamo cosa faccio perdere io.
Lentamente scende le scale Gaia. Tiene le mani giunte e guarda avanti simil a un Gesù al femminile. Arrivata a terra, si ferma, gira la testa e piange calde lacrime senza riserve. Cammina spedita e raggiunge Andrea. Rivela a lui che avverte malessere, si sente in crisi. Lui la stringe e le prende le mani. «Guardami! Pensa a tutte le sere che vivrai insieme a me».
Su Caffè Letterario ho pubblicato la quinta parte del racconto La bambina senza nome. La potete leggere anche qui.
Quello che apparve a Lorenzo era qualcosa di straordinario e inconsueto. Sette persone erano concentrate su quella figura minuta appollaiata sullo sgabello.
Sul tavolo, dove i quattro giocatori erano impegnati in una serrata partita a briscola e tresette, erano sparpagliate le carte come se una folata di vento le avesse rimescolate. Otello aveva il busto ruotato di 180 gradi ed era a bocca aperta.
Gli altri due avventori occupati in una furiosa discussione sulla formazione del Bologna sembravano impietriti nell’osservare quella bambina silenziosa accostata al bancone. I loro petti si muovevano come stantuffi impazziti. Sul piano del loro tavolino spiccavano gocce rosse fuoriuscite dal bicchiere adagiato su un fianco.
Samuele aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta e pareva una statua di sale. Teneva a mezz’aria un fiasco impagliato di vino rosso da versare nel calice appoggiato sul bancone.
Il fermo immagine colpì Lorenzo al suo ingresso nella sala. Sembrava che si fosse verificata una magia che aveva bloccato tutti gli astanti nelle loro posizioni attuali. Un moscone ronzava indisturbato tra il bancone e il vino versato. Il rumore prodotto era l’unico che si percepiva.
La sua entrata ebbe il potere di sbloccare la situazione. Otello e gli altri si girarono verso di lui tirando un sospiro di sollievo. Samuele riempì il calice e depose il fiasco sotto il bancone. Solo la bambina rimase immobile con lo sguardo fisso verso il pavimento.
Però c’era qualcosa di anomalo che all’inizio non era riuscito a focalizzare, impegnato a osservare la scena che si era presentata al suo ingresso. Adesso era chiaro. Guardò affranto le due borse che reggeva. Scrutò la bambina che non dava segni di percepire la sua presenza. Tornò a posare gli occhi su quello che teneva in mano. C’era qualcosa che non tornava rispetto a quando era uscito per andare dalla Giannina. La bambina sembrava una ragazza. Sbatté le palpebre come se si volesse accertare che era sveglio e non stava sognando.
Quel sacco di juta marroncino che presentava tre fori per permettere alla testa e alle braccia di fuoriuscire, adesso appariva ridicolamente insufficiente a contenere il corpo. Se avesse fatto un movimento brusco si sarebbe aperto in mille pezzi.
Deglutì in modo vistoso e rumoroso. Quella che aveva comprato di certo non sarebbe andato bene alle nuove dimensioni. Prenderla per un braccio e accompagnarla dalla Giannina per sostituire gli acquisti era fuori discussione. La commessa, che aveva arricciato il naso perché lo riteneva incapace di comprare le taglie giuste, lo avrebbe deriso con un sorrisino di compatimento. Poi era talmente sudicia che si sarebbe rifiutata di farla entrare. Si trovava in un cul de sac. Se poteva pensare di metterla in vasca e verificare che si lavasse nella versione bambina, non poteva pensare di farlo adesso che appariva sviluppata. “Serve una donna!” Pensò cercando di fare mente locale. “Ma chi?”
Per quanto si sforzasse non ne trovava una. Forse in città ma non di certo lì. Chiedere a Sam di prestarle Bea, la moglie, per compiere l’operazione lavaggio non era all’ordine del giorno. E poi bisognava vedere se lei era disponibile.
Mentre Lorenzo era alle prese con i suoi deliri e dubbi, nella sala tornò il solito frastuono. Il sibilo delle carte gettate sul tavolo, i litigi tra i componenti delle coppie di gioco perché aveva sbagliato la giocata, il ringhiare amichevole se era meglio Orso piuttosto che Sansone sulle fasce.
Però Lorenzo era incerto se sedersi sullo sgabello o tornare dalla Giannina, finché Samuele non l’apostrofò. «Cosa tieni nelle borse?»
Queste poche parole ebbero il potere di riscuoterlo dalla palude dei suoi dubbi. «Del vestiario ma…». Non osava proseguire perché temeva la derisione dell’amico ma poi prese coraggio.
«Quando sono uscito, era una bambina ma adesso…» Nuova pausa mentre guardava con l’occhio sorpreso chi aveva raccolto per strada.
«Ma è sempre rimasta lì. Buona buona» replicò Samuele, mettendo il calice di vino sul vassoio. «Sopra c’è una stanza vuota. Così li può provare se vanno bene. Lì trovi anche Bea, che, se le va, può darti una mano a vestirla».
Col vassoio in mano andò al tavolo di Al Pâg’.
«Vieni» e le afferrò una mano trascinandola giù dallo sgabello. Lei docile si mise al suo fianco. Lorenzo trasalì. “Cielo! È proprio cresciuta! E ha sviluppato anche dei pomini acerbi!” Se prima gli arrivava appena sotto l’ascella, adesso la testa era all’altezza delle spalle. “Eppure sono un metro e ottanta!” E deglutì vistosamente.
Questo lunedì Eletta Senso propone un gioco interessante costruire una frase o altro usando parole che iniziano con le lettere dell’alfabeto a, b, c, d, e,… Io l’ho fatto partendo dalla zeta. Questa volta ho lasciato fuori le cinque lettere straniere.
È stato appena pubblicato su Caffè Letterario la quarta parte de racconto ‘La bambina senza nome’ che ripropongo anche qui.
Lorenzo si alzò con lentezza dallo sgabello mentre la bambina rimaneva assorta e con gli occhi bassi verso terra come se fosse alla ricerca di qualcosa che aveva perso.
Samuele con lo straccio umido passò e ripassò più volte il bancone di rovere pieno di segni e bruciature. Erano gesti meccanici che ripeteva tutti i giorni. Però pensava a quella bambina tanto strana quanto inquietante. A pelle sentiva che avrebbe portato guai ma non poteva intimare all’amico di allontanarla. Aggrottò la fronte e fermò la mano con lo straccio. “Il bancone è già pulito” ammise osservandolo. In effetti era lucido come mai lo era stato prima. Sorrise storto, arricciando il lato destro della bocca.
Lorenzo osservò la bambina, mentre gli avventori avevano interrotto le loro attività per scrutarlo. Si chiesero che intenzioni aveva quel ragazzo, seppur giovane, leggermente stempiato e con qualche ciocca di capelli grigi. Speravano che allontanasse quella cinna dagli occhi gialli che parlava poco ma mangiava molto.
Samuele appoggiò il mento sul palmo della mano col gomito posato sul bancone. Con un soffio cercò di scostare una ciocca unta dei capelli scivolata sulla faccia. Anche lui era curioso di conoscere le mosse dell’amico.
«Vado dalla Giannina per comprare qualcosa per lei» e indicò con lo sguardo la bambina. «Così non è presentabile».
Poi Lorenzo si avviò verso la porta.
Otello alzò il suo metro e ottanta dalla sedia. «La cinna la pues via cun tè» urlò con voce stentorea.
Lorenzo finse di non aver udito nulla e uscì all’aperto, chiudendo alle spalle la porta. “Sarebbe stato meglio portarla con me, così da non rischiare di comprare qualcosa che non le va bene”. Tuttavia scosse il capo. Non poteva portarla in quelle condizioni. I capelli neri avevano un diavolo per capello ed erano tutti attorcigliati. Rise sommessamente perché in effetti pareva proprio un diavolo. Piedi neri con croste di sudiciume che forse nemmeno un bagno avrebbe estirpato. Il naso moccioso colava sulla bocca. Le unghie erano incrostate di un colore scuro la cui natura era di difficile interpretazione. «No, no!» esplose con un filo di voce. «Compro qualcosa e poi la getto in vasca sotto l’acqua. Speriamo che Sam abbia acceso lo scaldabagno».
Il glin glon del campanello sopra la porta annunciò il suo ingresso e una giovane donna dai capelli biondo ossigenati gli venne incontro.
«Buon giorno! Posso esserle utile?»
Lorenzo si guardò intorno alla ricerca della Giannina, la proprietaria senza trovarla.
«Dovrei vestire una bambina…». Però si bloccò, pensando se in effetti era una bambina oppure una ragazza minuta oppure… Scosse il capo. Ignorava la sua età.
«La bambina non la vedo» chiosò garrula la commessa, scrutando alle spalle di Lorenzo se fosse entrata senza che l’avesse vista oppure fosse rimasta fuori.
«Infatti non c’è». Lorenzo controllò circolarmente in senso orario quello che c’era in esposizione. Un tempo la Giannina vendeva solo merceria ma poi aveva aggiunto sempre nuove mercanzie e adesso c’era un po’ di tutto, scarpe comprese. Insomma uno entrava nudo e usciva vestito. D’altra parte il borgo aveva perso abitanti e negozi. C’erano rimasti la Giannina con articoli per la persona e la casa, un mini market per gli alimentari, tabacchi e giornali e basta.
«Ma com’è?» Chiese curiosa la donna con tono leggermente sarcastico, pensando che un uomo non sarebbe stato in grado di comprare nulla.
«Mi serve dell’intimo, un vestito, calze e scarpe» ribatté con voce calma, ignorando la domanda e la velata ironia.
La commessa perse il sorriso e aggrottò la fronte ma fu preceduta da Lorenzo che proseguì. «La taglia è small. Le scarpe un trentasei o forse meglio un trentacinque. Per l’intimo mutandine di cotone e una canotta bianca. Ah! Il vestito intero con maniche corte».
La donna spalancò gli occhi ma non spiaccicò parola, girando sui tacchi per raggiungere uno stand dove erano appesi vestiti.
Lorenzo la seguì e indicò un vestitino a fiori molto grazioso. Poi scelse delle ballerine nere adatte ai colori dell’abito. Per il resto lasciò fare alla commessa.
Con due voluminose sporte di carta tornò alla trattoria.
Quello che lo lasciò di stucco fu la vista al suo interno. Rimase senza parole.
La terza parte è stata pubblicata su Caffè Letterario ma la potete leggere anche qui.
In breve sul vassoio rimasero le briciole. La bambina li aveva divorati in pochi minuti. Pareva avesse una fame vecchia come il mondo.
Sandro e Otello ripresero la loro partita a carte contro Checco e Chiccaja ma sembravano forzati, senza entusiasmo. Se prima dell’arrivo di Lorenzo con la bambina ogni giocata era un lazzo, una battuta pungente, adesso il clima si era raffreddato. Poche parole ma molti sguardi inquieti verso quella cinna che suscitava troppi interrogativi su chi fosse in realtà.
Pipin e Al Pâg’ smisero di parlare di Thiago Motta, di Orso, di Skorupski e bisbigliavano osservando di sottecchi la bambina a divorare quei panini che loro ne avrebbero mangiati appena uno nello stesso tempo. Zuan di Chiccon invece era rimasto in silenzio con lo sguardo assorto, quasi assente. L’occhio era spento e le labbra serrate, ridotte a un sottile filo.
Samuele percepì che il clima era cambiato in peggio. Quelle sette persone non più giovanissime, anzi avanti nell’età, erano una costante fissa di quella sala. Non mancavano mai sia che fuori diluviasse, sia che una tormenta di neve avesse bloccato il paese. Loro erano sempre presenti e riempivano la sala col loro vociare un po’ sgraziato. Eppure era stata sufficiente la presenza di un’estranea, di una bambina enigmatica per cambiare l’atmosfera da gaia a pensierosa.
Provò a concentrarsi sul motivo della chiamata a Lorenzo ma la mente tornava di continuo su quella domanda “Chi è questa bambina?”. Non era una normale cinna come Elena, la figlia di Federico, il veterinario. “No, no!” e scosse la testa come per rafforzare il pensiero. “No! Troppo diversa e vestita male per essere un bambina di un paese nelle vicinanze”. E poi le conosceva tutte quelle dei borghi che facevano corolla a Monteacuto. Non ci voleva molto. Si potevano contare con le dita di una mano. “Dunque da dove è spuntata?” Per Samuele era un enigma irrisolto. “Lorenzo ha parlato di averla raccolta vicino alla Fonte Vecchia. Che sappia non ci sono case, nemmeno casolari nelle vicinanze. Solo roccia, arbusti e castagni. Se uno si perde lì, passano giorni prima che qualcuno lo possa soccorrere”.
Lorenzo era rimasto senza parole vedendo la piccola divorare quella montagna di panini farciti con abbondanza da Samuele. Ne voleva prendere uno da accompagnare al rosso frizzante ma non aveva fatto in tempo. La mano era rimasta a mezz’aria e vuota. Però lo stomaco brontolava perché voleva essere riempito. «Sam, me ne prepari uno con crudo e formaggio di capra stagionato?».
Samuele compì una piroetta e sparì in cucina per tornare con un mezzo sfilatino su un piatto. Lo consegnò direttamente nelle mani di Lorenzo, perché se l’avesse posato sul bancone le mani rapaci della cinna l’avrebbero artigliato prima che lui potesse afferrarlo.
Gli occhi gialli della bambina ebbero un guizzo di disappunto come una fiammata per spegnersi subito.
Lorenzo sussultò ma non mollò la presa. Aveva scorto quel lampo maligno. “Chi ho raccolto per strada?” pensò mentre masticava con vigore un boccone strappato dal pane che teneva saldo nella sinistra. Deglutì rumorosamente mentre sorseggiava il vino. Non gli era sfuggito l’atteggiamento della bambina che aveva lanciato un’occhiata carica di odio. “Eppure si avrebbe dovuto sfamare con dieci o dodici panini”. Sorrise perché definirli così era un eufemismo viste le dimensioni. Chiedere a Samuele un altro vassoio per la piccola era fuori discussione. Avrebbe spazzato via in poco tempo tutto. Si pulì la bocca dalle briciole col dorso della mano e finì il suo calice di rosso.
«Come ti chiami?» Chiese con tono dolce, cercando i suoi occhi rivolti verso il basso.
La domanda ebbe il potere di catalizzare tutti gli sguardi sulla bambina, mentre si udiva solo il roco ansare di Otello.
Nessuna risposta.
«Chi sei?»
Ancora silenzio. Sembrava che tutti avessero smesso di respirare tanto era assordante.
Adesso erano gli occhi di nove persone a fissarla senza un attimo di sosta. Tutti in attesa di una risposta che non arrivava e forse non sarebbe mai pervenuta.
Lorenzo, visti gli inutili tentativi di farla parlare, si rivolse a Samuele. «Quale impellente problema mi ha fatto scomodare dalla routine quotidiana?»
L’oste socchiuse prima l’occhio sinistro, poi quello destro come volesse concentrarsi sulla risposta. Li riaprì insieme e ammise con candore che in quel momento lo ignorava. «Ma sono certo che l’argomento era davvero importante se ti chiesto di salire dalla città».
Lorenzo strinse le labbra e serrò la mandibola per evitare una risposta che avrebbe provocato la rottura di un’amicizia che durava dall’età scolare. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Adesso era lì e ci sarebbe rimasto, anche se la bambina raccolta per strada gli provocava strane sensazioni.
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