E’ il 14 febbraio 2011, la festa degli innamorati. Però è anche la prima candelina di Amanda. Sembra una bambina sveglia e vivace, perennemente in movimento.
Pietro si è chiesto più volte se è troppo precoce, visto che a nove mesi voleva già cominciare a camminare. Lui in questo campo non ha nessuna esperienza, né certamente può permettersi di chiedere informazioni al riguardo. Si ricorda che sua madre diceva sempre che non voleva camminare e ha cominciato a parlare quando aveva più di un anno.
“Beh! camminare è una parola grossa. Diciamo a caracollare incerta sulle sue gambe! Che fatica convincerla a rimanere sul passeggino, che voleva governarlo lei! E poi quei goffi tentativi di dire qualche parola! Forse è meglio dire pronunciare dei suoni articolati che assomigliano a parole”.
Quando alla mattina parte per Longarone, sente un peso dentro di lui, perché la sta abbandonando. Anche Amanda appare triste quando passa a salutarla con un bacio. A volte non riesce a concentrarsi sul lavoro, perché la pensa, ma tutto diventa semplice quando ritorna a casa.
Incontra la tata, che l’ha curata durante la sua assenza e le chiede invariabilmente come è andata nella giornata.
“Buona sera, Maria. Amanda è stata brava, oggi? Nessun problema?”
Le risposte sono sempre in fotocopia.
“Buonasera, Pietro. Amanda è stata bravissima. Ha mangiato tutto quello che le ho preparato senza fare storie. Fossero tutti così i bambini! Sarebbe fantastico. Il mio Nicola mi ha fatto dannare! Non voleva mai mangiare niente, regolarmente! Era sempre svagato e irrequieto. Insomma un disastro per me! Amanda mangia e dorme con la regolarità di un orologio svizzero e mi lascia molto spazio durante il giorno. E’ un vero piacere curarla. Quando è sveglia è bellissimo ascoltare i suoi «U, o, a» che sembrano dei gorgheggi”.
Pietro non ricorda che mai la Maria si è lamentata di Amanda. Si ritiene fortunato averla trovata, perché è consapevole che la cura come se fosse sua figlia. E poi ha un’altra virtù: non fa domande indiscrete che possano metterlo in imbarazzo.
Nella giornata odierna ha preparato una torta leggera con su una grossa candelina rosa per festeggiare il primo compleanno. In realtà l’ha ordinata alla Caffetteria Belluno, perché non si è mai cimentato in cucina, né mai l’ha sfiorato il pensiero di farlo.
Saranno solo loro due senza altri invitati, perché Maria ha declinato l’invito.
“La capisco. Trascorre l’intera giornata con Amanda e ha una famiglia da seguire. Due figli, un maschio e una femmina, e un marito emigrato in Germania. Se non la pagassi più del minimo, credo che non avrebbe accettato. I miei soldi sono per lei una vera manna. Le permettono di vivere con dignità e mantenere agli studi i figli. Quanti anni abbia, non lo so con precisione ma penso sui quaranta. Nicola frequenta le superiori e Anna le medie. Quindi.. Lei parla poco di se stessa come faccio d’altra parte anch’io. Certi discorsi personali è meglio nemmeno sfiorarli. D’altronde ci incrociamo velocemente. Alla mattina sono io che ho fretta, alla sera è lei. Qualche frase di circostanza, qualche raccomandazione e nulla più. Meglio così”.
Mette Amanda sul seggiolone accanto al tavolo dove campeggia la torta. E’ allegra e vivace, sente che è la sua festa. Batte le mani festosamente e come al solito cerca di dire qualcosa.
“Ho capito. Vuoi spegnere la candelina. Non puoi aspettare che finisca di cantarti «Happy birthday to you»?”
Un pensiero di tristezza gli attraversa la mente. I suoi genitori sono all’oscuro che sono diventati nonni e la sorella zia. Però cosa poteva dire loro. Poco e niente. La madre, Elisa, è scomparsa e difficilmente potrà conoscere i componenti della famiglia.
“E poi non ci siamo sposati e ha vissuti poche settimane con me. Troppo complicato da spiegare loro cosa è successo. Non capirebbero mai”.
Accende con una piccola trepidazione la candela e scatta qualche fotografia.
Quando rivedrà tra qualche anno queste foto, sarà assalito da un fiorro di ricordi piacevoli appena offuscati dall’assenza di Elisa.
“Ma sarà vero? Eppure percepisco che nell’aria c’è qualcosa. Cosa non lo so. Solo sensazioni e nulla più!”
Adesso si concentra su Amanda e distoglie i pensieri da quelli tristi.
“Buon compleanno, Amanda!” urla allegro spegnendo la candela, mentre lei applaude felice.
Amanda 4
“Sono preso da Amanda totalmente e ormai capisco ogni sfumatura di pianto o dell’espressione. Quando è stizzoso, lo so: vuole le coccole. Ma non sempre sono in vena di farle. Quando è rabbioso, devo subito controllarla bene: sicuramente ha dolore da qualche parte. Se sorride dolce con quella bocca senza denti, capisco che è contenta di vedermi. Se stringe le labbra e corruga la fronte, mi sta rimproverando per qualche mancanza. Quale sarà? Non è detto di sapere. Però è un vero incanto. Non mi stanco di osservarla, di analizzare ogni gesto, ogni sorriso”.
Pietro trascorre l’estate tra la casa di Belluno e la baita sulle pendici dell’Antelao. Ha trovato una donna che si occupa di Amanda quando lui è al lavoro. E non ha chiesto nulla perché lui single ha una neonata per casa. Però è certo che qualche domanda se l’è posta sulla madre che non compare.
Lui rimanda di giorno in giorno la denuncia della figlia all’anagrafe e tutte quelle incombenze burocratiche relative.
“Se mi chiedono dove è nata, a che ora e quando, non posso rispondere «Non lo so». Susciterebbe un vespaio di domande. Però non posso nemmeno inventarmi tutto! Se solo Elisa avesse appuntato qualcosa in merito, ora non sarei in difficoltà. Eppure quel biglietto che conservo con cura, era molto laconico. Se mi chiedono il nome della madre, ne conosco solo il nome: Elisa. Mi pare troppo poco. Ma il passo lo devo fare! Devo trovare la forza per farlo”.
Guarda il calendario che indica 15 settembre. E sospira. Ha imparato da subito a pesarla e misurarla con regolarità segnando i vari progressi. In questi due mesi Amanda è cresciuta in altezza e in peso secondo quelle progressioni segnalate nei siti specializzati per neonati. Gli sembra però che abbia più dei sei mesi che secondo un calcolo a spanne dovrebbe avere.
“Ieri l’ho pesata e misurata. E’ lunga 65cm e pesa sei chili. Secondo alcune tabelle dovrebbe avere almeno sette mesi di vita. Però non conosco i dati partenza. Quindi non so se sottopeso oppure no. Beh! fingiamo che pesasse 3,4 chilogrammi e fosse lunga i canonici 49cm. Dunque dovrebbe avere già sette mesi. Quindi dovrebbe essere nata all’incirca a metà febbraio. Un acquario in sostanza. Ma se fosse nata il mese dopo sarebbe un pesci. Ma ha importanza questo?” si domanda sbigottito per questa incertezza, persa in un mare pieno di dati non certi.
Mentre è immerso in questi pensieri, sente la voce di Amanda che suona allegra come se stesse comunicando con qualcuno. Scuote il capo perché sta solo fantasticando. Torna a leggere il giornale, ma la mente è distratta da un pensiero «Con chi stava parlando?». Di nuovo cerca di scrollare dalla mente quelle sensazioni, ma sono più forti e si alza per andare nella stanza dove sta nella culla.
Amanda lo guarda sorridente come se volesse comunicare qualcosa. Pietro osserva intorno per analizzare se qualcosa gli è sfuggito. L’occhio cade su alcuni fogli posati con cura sul bordo del lettino. Con apprensione si avvicina e vede che sono documenti dell’anagrafe di Belluno.
«Estratto di nascita di Amanda Boschetti» recita l’intestazione del foglio superiore. Lo sguardo corre alla data «redatto il 16 febbraio 2010».
Lo legge febbrilmente alla ricerca di altre date e località. «Data di nascita: 14 febbraio 2010. Ora di nascita 14:55 Luogo di nascita Bosco degli elfi». E’ segnata solo la paternità.
“Non è possibile! Non è possibile!” bofonchia osservando quei fogli.
Però lo stupore non cessa, perché esiste anche uno stato di famiglia datato qualche giorno dopo.
Il capofamiglia è Pietro Boschetti e Amanda Boschetti è la figlia. L’indirizzo corrisponde al suo, quello di Belluno.
“Ci manca solo il certificato di battesimo e poi abbiamo fatto bingo!” esclama con un tono tra il basito e l’incredulo.
E l’ultimo foglio è proprio quello.
Uno stranito Pietro consulta febbrilmente anche questo. Non riesce a comprendere come possa essere successo. Sembra il frutto di una magia che ha dell’inverosimile.
“Il padrino di Amanda è Marco! Non posso crederci! E il battesimo sarebbe avvenuto il 14 luglio? No, non è possibile! Il giorno che l’ho trovata alla baita! Si stanno beffando di me! E poi chi avrebbe messo questi fogli vicino alla culla? Anche se rischio una figuraccia telefono al parroco della chiesa di San Vito per chiedere informazioni”.
“Sì”, gli risponde una voce non più giovanile “Ricordo bene il battesimo di quel giorno. Lo strano era che c’era la madre …”
“Mi perdoni, padre, se la interrompo. Ma era una donna dai capelli rossi e dagli occhi blu?” domanda Pietro con la voce incrinata dall’emozione.
Dall’altro capo del telefono avverte un momento di riflessione come se si sforzasse nel riportare a galla i ricordi.
“Mi coglie di sorpresa” risponde il parroco.
“Ripensandoci non ricordo questo particolare, ma gli occhi, sì! Portava sul capo una cuffietta e non ho notato i capelli. Però aveva due occhi blu da Madonna. Quelli mi sono rimasti impressi. Le stavo dicendo …”.
Nuovamente Pietro lo interrompe per porle altre domande sulla madre senza ottenere grandi risposte. Poi la conversazione langue e devia su particolari insignificante, almeno questa è la sua impressione.
Al termine della conversazione nella mente c’è molta confusione per la ricomparsa di Elisa, della quale ha perso le tracce da un anno, di Marco che sembrava svanito nel nulla, sui misteri dei certificati che sono camparsi come per magia.
Si siede vicino a Amanda e le chiede: “E’ venuta Elisa prima?” come se lei potesse rispondere o un «si» o un «no».
“Ho capito” le disse osservando un bel sorriso.
Amanda 3
Non ha nessun’idea dove trovare una farmacia in paese. Vede un gruppo di donne che avanzano lentamente con le borse della spesa. Si accosta e chiede loro l’indicazione.
“Una farmacia? Quella del Dr. Incerti?” risponde una ponendogli un quesito anziché una risposta.
“Perché quante farmacie ci sono in paese?” domanda stupito Pietro.
“Due!”
“Allora la più vicina. Ho una certa urgenza”.
“Era sufficiente dirlo subito” replica come infastidita la donna.
“Se lascia questo macchinone qua, con venti passi la raggiunge. Vede quel negozio di frutta e verdura..”.
Pietro allunga il collo ma non vede nulla.
“Quale, signora?” domanda tentando inutilmente di tenere il tono della voce il più dolce e calmo possibile.
“Deve scendere se vuole vederlo. Comunque girato l’angolo dopo il fruttivendolo Bepi vede l’insegna della farmacia” prosegue imperterrita la donna.
“Mi perdoni la domanda. Non è possibile arrivarci con la macchina?” chiede stupito Pietro.
Però la donna riprende a camminare con le altre senza degnarlo di una risposta, lasciandolo di sasso.
Rimasto incerto sul da farsi, si pone la domanda se deve ascoltarla oppure proseguire in macchina.
“Mica posso scendere dal fuoristrada portandomi a presso una cesta di vimini con dentro un neonato… Scusami, Amanda, ma non sono ancora abituato all’idea che tu sia una femmina”.
Riavvia il fuoristrada verso Bepi, quando si accende una lampadine nella testa. In farmacia troverà qualche pappetta, qualche attrezzo o forse altre minutaglie, ma gli servono altri oggetti.
“La lascio nella cesta? Non è quel che si dice comoda per portarla in giro e poi stanotte dorme lì? Mi pare di ricordare che ci sono negozi specializzati per neonati. Come si chiama? Pre..? Premaman.. Ma si chiama così oppure no? E se mi allungo fino a Cortina forse ho molta più scelta. E vabbé! Passiamo prima dal Dr. Knapp? Aveva detto questo nome? Chi se ne frega, basta che sia una farmacia!”
Intravvede il fruttivendolo e gira l’angolo vedendo una bella insegna lampeggiante con una croce tutta verde che sfavilla invitante.
“Amanda,” esclama Pietro tutto contento “oggi siamo nati con la camicia. Tu perché hai trovato me e io perché c’è un bel parcheggio libero davanti la farmacia”.
Preso il cesto sotto il braccio Pietro fa l’ingresso trionfale in farmacia sotto l’occhi increduli e ironici di clienti e personale in camice bianco.
Si sistema pazientemente in fondo alla coda in attesa del turno.
“Amanda, pazienta un pochino… Abbiamo qualcuno che ci precede” bisbiglia sorridente guardando il cesto.
Una donna, incuriosita da quei bisbigli, sbircia nel cesto ed esclama: “Ma che bela fia! E’ ‘na pupa! Onde è soa mare?”
Tutta la fila si volta verso Pietro che impassibile tiene ben stretto il cesto. Dentro di lui manda la diavolo quella donna impicciona, che continua a guardare e toccare Amanda.
“’Sta a vedere che adesso si mette a strillare! Così la frittata è completa”.
La fila si muove lenta mentre lui comincia a spazientirsi, perché la donna prosegue a parlare e fare domande alle quali risponde con dei monosillabi.
“Che te ne frega!” urla dentro di lui tutta la sua rabbia “Ma bada ai tuoi interessi!”
Finalmente è il suo turno e un po’ impacciato comincia a porre delle domande.
“Porca miseria! Anche un farmacista uomo mi deve capitare!”
Farfuglia qualcosa, chiede informazioni.
“Ma quanti mesi ha, la neonata?” chiede paziente il farmacista.
Pietro entra nel panico. “Cosa gli rispondo? Che non lo so? Provo a sparare una cifra. Perché fa differenza? Deve mangiare e cambiarsi e basta”.
Finge di fare un po’ di conti e poi dice sicuro senza tentennamenti: “Settanta giorni esatti, esatti oggi!”
Il farmacista lo osserva, poi guarda Amanda e torna a posare lo sguardo su Pietro per nulla convinto.
“Ha fatto i conti giusti? Mi sembra troppo sviluppata per avere poco più di due mesi… Pensando a mia figlia, direi che ne ha almeno il doppio”.
Lui cerca di mantenere la calma senza tradire l’intima ansia che sta salendo inesorabile dentro di lui. Non ha voglia di intavolare una discussione sull’argomento. Vorrebbe andarsene immediatamente ma qualcosa deve dire.
“Beh! forse ho sbagliato il conto… Credo che abbia ragione … Sì, sì che sbadato! Il tempo vola molto più rapidamente di quello che penso. Sì, avrà all’incirca quattro mesi e mezzo”.
Il farmacista non è molto convinto. Lo guarda storto con sospetto e gli pone la domanda che non voleva sentire pronunciare.
“Ma lei è il padre? E la madre non c’è?”
“Si, sono il padre. Lei è Amanda. La madre? Certo che esiste! Ci mancherebbe altro! E’ a letto con la febbre”.
Il farmacista si allontana, confabula con una donna con simbolo dell’ordine appuntato sul bavero del camice bianco. Lo guardano e lo esaminano attentamente, poi scuotono il capo, mentre torna al banco con un discreto numero di scatole tra le braccia.
“Ecco quello che ha chiesto. Sono 120€. E’ … sicuro di sapere preparare la poppata per sua figlia?”
Pietro lo guarda infastidito e sibilla un secco «Sì», mentre si avvia verso l’uscita tra gli sguardi curiosi di diverse donne.
Sul marciapiede vede un vigile che mette un foglietto della contravvenzione sotto il tergicristallo.
“Amanda” sussurra dolce “mi sono sbagliato! La giornata non è fortunata per me!”
Si interroga se rincorrere il vigile e conciliare la multa oppure pensarci domani.
“Al diavolo anche i vigili! Ecco perché la donna mi aveva consigliato di andarci a piedi! Ci penserò domani. Ora corriamo a Cortina alla ricerca del negozio Prebebé!”
E caricato cesto e borsa della farmacia sul fuoristrada si avvia verso Cortina.
Amanda 2
Pietro osserva questo piccolo essere che gli ricorda le sembianze di una bambola ma che in realtà respira, si muove e lo guarda curiosa.
Un piccolo ciuffo impertinente di capelli appena accennati al rosso, due guance rosate come certe pesche che stanno maturando al sole di luglio sono le forme più evidenti che nota fissandola.
Passato il primo momento di stupore si chiede cosa deve fare. Amanda ha smesso di piangere, un pianto più di solitudine che di fame, e lo scruta con due occhi grandi e mobili di un grigio azzurro brillante, percependo la presenza di Pietro come amica.
“Mio Dio!” esclama risvegliandosi dallo stupore di questa realtà inaspettata. “Ora che faccio?”
Sembra in preda del panico, dell’ansia, perché non conosce nulla delle esigenze di un neonato. E’ un aspetto che mai fino a quel momento si era posto, perché sono tematiche distanti anni luce dai suoi pensieri, ammesso che si fosse posto il problema in precedenza.
Amanda continua a guardarlo fiduciosa come se dicesse «Non aver paura. Aspetto con pazienza che tu faccia qualcosa.»
Però è Pietro che continua a osservarla smarrito, incapace di formulare un qualsiasi piano che la contempli.
“Cosa mangia una neonata?” si chiede come se il sesso influisse qualcosa sull’alimentazione.
“Latte o omogeneizzati?” e si sforza di ricordare qualche spot pubblicitario. Però è anche consapevole che guarda di rado la televisione e quindi anche raramente vede degli spot pubblicitari.
“Eppure la TV è piena di pubblicità indirizzata verso i bambini. Però .. io non sono mica una donna, che ha il seno per allattarli! Quelli che appaiono corrono e sgambettano che è un piacere. Sono grandi, ma questa è piccola e se ne sta lì buona, buona e aspetta che io faccia la mia parte. Ma quale parte devo svolgere?”
Si avvicina sorridente per infonderle fiducia nelle sue qualità di genitore, sapendo benissimo di mentire. Però, pensa, lei mica se ne accorge.
“Amanda” sussurra più per fare coraggio a se stesso che a lei “Non ti preoccupare troveremo una soluzione. Quale? Ci penserò dopo. Adesso lasciami riflettere”.
Mentre rimane a fissarla, cerca di ricapitolare brevemente la situazione. Ormai è abituato a fare mente locale per trovare la scelta più appropriata ai quesiti più complessi. Però questo li supera tutti e in particolare si trova a corto di idee.
“Con me non ho nulla che .. Ma poi so di cosa abbia necessità? Non ho mai avuta una figlia né ho mai partecipato a discussioni che avevano come oggetto un neonato …Scusa, Amanda! una neonata. Faccio un salto in paese e .. La lascio qui oppure metto la cesta sul fuoristrada e ci andiamo tutti e due? Bella domanda!”
E’ concentrato su questi pensieri, quando Amanda scoppia in un pianto irrefrenabile. Non è quello di prima, ma diverso più acuto, più coinvolgente come quello di uno che chiede aiuto.
“Che c’è pupa? Hai fame? O… diamine forse devi …Mio Dio! E adesso?” e si guarda intorno disperato alla ricerca di qualcosa che neppure lui è in grado di quantificare.
Nuovamente il panico si impadronisce di Pietro che comincia a muoversi agitato per la stanza.
“Ma, porca miseria!” esclama stizzito “Cosa mi serve per accudire a una neonata?”
Raccoglie la cesta e velocemente si dirige verso il fuoristrada.
“E’ inutile piangersi addosso. Vado in paese e troverò una farmacia aperta. Di solito ci sono delle farmaciste femmine. Mi diranno bene cosa serve per una neonata! Certo che mi guarderanno male ipotizzando che sono un kidnapper! Sì, un bruto che rapisce i neonati!”
Una nuova preoccupazione sfiora la mente di Pietro.
“E se mi chiedono della madre cosa dico? Che era una elfa ed è svanita nel nulla? Se lo dico, beh! .. Forse è meglio dire che è fuggita e non so dove si trovi!”
Con infinita pazienza e delicatezza imbocca lo sterrato che porta a San Vito.
Amanda 1
Era salito alla baita a maggio, quando l’estate pareva iniziare, come faceva regolarmente da quando era andato in pensione. Lì sarebbe rimasto finché le prime nevi non rendevano difficoltoso lo scendere in paese. Non aveva più la capacità di adattamento di molti anni prima e qualsiasi attività fisica diventava sempre più faticosa.
Il bosco degli elfi lo accoglieva felice. Percepiva il loro benvenuto non appena imboccava lo sterrato che conduceva alla baita. Lui mutamente ricambiava il saluto, abbracciando idealmente tutti gli abeti e i larici.
Si sentiva a casa come nel lontano 2009, quando era salito per la prima volta con Marco e Elisa.
Pietro fissava il fuoco che scoppiettava nel camino e tornava indietro con la memoria a quel giorno quando aveva trovato Amanda. Un fiume di ricordi si addensavano nella testa in maniera caotica scomparendo o riaffiorando come un corso d'acqua carsico.
Erano passati molti anni da quel momento, mentre lei cresceva forte e robusta col carattere di Elisa. Pietro era stato un padre pieno di premure senza mai eccedere. Nessuna donna le aveva fatto da madre e questo aveva avuto il suo peso. Però non ne avevano mai parlato mentre lei non aveva mai domandato chi era e perché non c’era mai stata con loro. Nonostante questo erano molto legati, non c’erano segreti ad eccezione degli affari di cuore di Amanda.
Lei un giorno l’aveva salutato: “Vado via. Non so se tornerò” e sparì dalla sua vita.
Era rimasto basito, senza parole, ma si aspettava che prima o poi avrebbe ascoltato quella frase, anche se in cuor suo sperava di non udirla mai. Ormai era una donna matura e affascinante. Aveva già venticinque anni e sicuramente qualcuno o qualcuna l’avrebbe attratta, sottraendola al suo affetto. Sapeva che non aveva armi per tenerla vicina. Era consapevole che avrebbe preso il volo per affrontare da sola quel mare ignoto, dal quale lui aveva cercato di tenerla lontana.
Non rispose nient’altro che «Questa è la tua casa. Quando vuoi la porta è sempre aperta. Buona fortuna». E si volse per non vederla andare via. Così rimase solo nella casa di Belluno, invecchiando solitario.
Non seppe più nulla. Si era volatilizzata come Elisa. Però era certo che loro si erano sempre parlate in silenzio e si erano tenute in contatto. Era sicuro che anche adesso che Amanda era lontana loro continuavano a scambiarsi silenziosamente sensazioni e confidenze. Lui ne era sempre stato escluso. Il motivo non l’aveva mai capito.
“Però è inutile pensarci. Forse un giorno lo scoprirò”.
Erano questi i pensieri che attraversavano la mente di Pietro, che osservava l’ultimo ciocco che sfrigolava mentre si spezzava in brace ardenti.
Con un bastone rimescolava il fuoco. Fuori il tempo era mutevole come può esserlo in settembre. Sole e nuvole, pioggia e calore si mescolavano e si alternavano senza soste. Era una specie di caleidoscopio della natura.
Cercava di comprendere perché tornavano a galla questi pensieri, ormai vecchi e lontani nel tempo. Forse lo sapeva ma non lo voleva ammettere: aveva sempre sperato che un giorno avrebbe rivisto entrare dalla porta la figura di Elisa e sentirne la voce.
Amanda aveva i capelli rossi, di un rosso meno acceso della madre, il viso pieno di efelidi che spiccavano sulla carnagione bianca. Gli occhi erano diversi, perché variavano come il cielo di settembre: sfumature dal grigio azzurro a grigio verde. Però erano sempre belli a vedersi.
Ripensando al viso della figlia una lacrima scivolò silenziosa sulla guancia. Gli mancava e aveva lasciato un vuoto dentro di lui. Ormai era vecchio e al pensiero di andarsene senza il conforto di nessuno gli metteva tristezza e malinconia.
Si domandò dove aveva sbagliato con la figlia. Eppure non gli pareva di avere commesso degli errori.
Ancora una volta riaffiorò il ricordo di quel lontano 14 luglio e di tutto quello che aveva fatto quel giorno.
Cominicazione di servizio
Epilogo
Ellie ripone in un cassetto il diario di Angie. Ha letto molte pagine, altre rimangono da sfogliare, ma per il momento si sente appagata così. Non interessa conoscere il loro contenuto, perché sa che Angie e Dan nell’anno successivo regolarizzarono la loro unione, dalla quale nacque Patrick, il mitico nonno Pat. Poi il resto è storia recente, che conosce quasi a memoria. L’abbandono di Holland Island e della vecchia casa vittoriana, il trasferimento a Princess Anne, la partenza per il fronte europeo del nonno e il suo ritorno da reduce vittorioso. Poi ancora tanti altri eventi fino alla sua nascita. Tutti questi episodi li ha ascoltati innumerevoli volte dal nonno e sono rimasti impressi nella sua memoria come le fiabe narrate dai genitori.
Il week end lungo a Baltimore è stato un flop, almeno questa è la conclusione che ne ha tratto tornando a casa.
Annie e Matt sono stati dei padroni di casa impeccabili, gentili e pieni di premure. La loro abitazione, una villetta a schiera con un piccolo giardino davanti e uno scampolo di terra dietro, tenuto a orto, è molto graziosa. Ovviamente il paragone con la sua casa di Princess Anne è improponibile e impietoso, perché sia le dimensioni, sia la tipologia sono talmente diverse che è come confrontare una sedan Chevy Malibu con la city car della Toyota. Però in una città come Baltimore è un’abitazione confortevole e ambita da molti, soprattutto perché è in una zona tranquilla e piena di verde.
Ellie pensa che inviterà altre volte l’amica col marito, perché tra loro c’è molto feeling e molti argomenti in comune. Le conversazioni sono state sempre accese e interessanti, non si è mai annoiata come loro d’altronde. Matt è stato un cuoco eccellente, come Annie le aveva detto durante la settimana trascorsa a Princess Anne. Lei ha organizzato tutto con gusto e semplicità. Si è sempre sentita come a casa.
Però le è rimasto il rammarico di Dashiell, personaggio enigmatico, stravagante e alquanto odioso. Proprio ripensando a lui ha concluso che quei quattro giorni sono stati frustranti perché il suo atteggiamento ha rovinato tutto il resto.
Lui abita in pieno centro a Baltimore, in una vecchia casa di arenaria rossa, almeno questo era il colore originario. Il tempo e lo smog hanno trasformato il rosso in un grigio che lascia intravvedere sotto delle chiazze rossastre. Il suo è un tipico appartamento da single come struttura, pur essendo vasto per una persona sola, dove tutto ruota attorno alla camera da letto.
“Ha avuto la sfacciataggine di invitarmi a dormire a casa sua! Non ho compreso per chi mi abbia preso. E al mio rifiuto ha pure fatto l’offeso. E’ una persona insopportabile, indisponente e …”.
Sono questi i pensieri di Ellie ricordando quell’invito arrivato senza tanti giri di parole.
«“Stanotte sei mia ospite” aveva detto Dashiell all’arrivo da Annie a mezzogiorno».
“Non si è degnato nemmeno di salutarmi o chiedermi come stavo o se avevo fatto buon viaggio! Il benvenuto è stato «stanotte vieni a letto con me»! Più villano e strafottente di così non poteva essere. Se lui è abituato a trattare le donne che conosce come un oggetto o un trofeo da portare a letto, beh! con me ha sbagliato approccio”.
Adesso che seduta di fronte al caminetto del salotto ripensa a lui, sente ribollire il sangue mentre l’adrenalina cresce di intensità.
“Se ho voglia di andare a letto con un uomo, quello me lo scelgo io e non vengo scelta da lui. La mia disponibilità sessuale la decido nei tempi e nei modi. C’è maniera e maniera per rendersi attraenti e interessanti, ma il suo non lo è stato né nella forma né nel tempistica. Già mi aveva irritato il suo SMS durante il viaggio, figuriamoci poi il benvenuto detto con così signorile richiesta …”.
Al rifiuto garbato e deciso di Ellie, Dashiell se ne era andato senza salutare, scuro in volto e corrugato nel viso, lasciando basiti sia il fratello sia la cognata.
Aveva udito in lontananza durante la serata Annie che diceva a Matt: “Tuo fratello è impazzito? Rivede dopo due settimane Ellie e senza peli sulla lingua le chiede di passare la notte con lui! Sono rimasta senza parole! Poi offeso, come se lui avesse ragione, ha girato i tacchi e se ne è andato senza salutare. Un comportamento cafone e inqualificabile. La mia amica è stata fin troppo educata nella risposta. Io gli avrei mollato due ceffoni. Ogni volta che lo vedo, noto degli aspetti del carattere che non conoscevo. E purtroppo sempre più in maniera negativa”.
Non è stata capace di comprendere la risposta, solo qualche frammento indistinto «..maleducato.. a calci nel culo.. mi vergogno.. spero che ..» e poco altro. Ma non le sono interessate ascoltare con precisione le parole di Matt, perché un groppo le ha chiuso la gola e poi è stata troppo bruciante l’offesa per concentrarsi su quello che stava dicendo.
Ancora adesso sente gli occhi che si riempiono di lacrime come quel giorno, perché non aveva immaginato una simile conclusione. Non aveva accettato l’invito di Annie con la speranza di rivedere Dashiell, perché aveva compreso che natura che era in lui lo rendeva caustico, punzecchiante, ironico.
“No, no. Non avevo sperato che quel timido sentimento che aveva fatto capolino per Halloween potesse tramutarsi in qualcosa di più. Ma almeno ho creduto che potesse diventare un rapporto amichevole. Invece..”.
Nonostante il prodigarsi di Annie e di Matt per creare un minimo di calore attorno a lei, è rimasta latente la presenza di Dashiell, che avrebbe potuto comparire da un momento all’altro fingendo che non fosse successo niente.
Questa tensione aveva guastato il clima e l’atmosfera della vacanza. Ognuno di loro percepiva l’ansia che quell’episodio trascinava con sé.
Eppure momenti gradevoli e piacevoli ci sono stati, quando hanno passato un piacevole pomeriggio al Walters Art Museum con Annie che si è dimostrata un ottimo cicerone.
“Sono stata fortunata. In quei giorni si discuteva di Edgar Alla Poe e i suoi racconti a Enoch Pratt, una biblioteca pubblica posta nel centro di Baltimore. E’ enorme! Non ricordo di averne mai visitato una così imponente! E poi quanti eventi! Il calendario era fittissimo e un residente non aveva altro che l’imbarazzo della scelta!”.
Però il pensiero di Dashiell continua a torturarla.
“Non merita nulla, quel villano maleducato, ma è ricorrente. Ogni volta che penso a Annie, subito compare lui e quel viso da schiaffi! A volte mi dico che ne sono innamorata e che ho perso un’occasione. Ma non credo. Un uomo così non merita nessuna attenzione”.
Continua a fissare le fiamme del caminetto come se fosse ipnotizzata dal guizzare veloce del fuoco..
Era immersa nelle meditazioni quando sente la musica di Madonna, Like a virgin, risuonare dal telefono. Osserva il display illuminato e sussulta.
“E’ Dashiell! Cosa vorrà ancora? Perché ha deciso di torturarmi?” si domanda lasciando suonare il motivo, finché non cessa.
Una sottile ansia la prende mentre il respiro si fa più lento.
Un trillo e un breve avviso. E’ arrivato un sms.
“Sei per caso offesa?”.
“Sì” risponde infastidita e spegne il telefono.
FINE
Thanksgiving Day
Il 20 novembre 2010 Ellie riceve una telefonata da Annie. Quando si sono lasciate il 2 novembre, si sono date appuntamento per il 25 dello stesso mese, il giorno della festa del ringraziamento.
Lei se ne era scordata senza rimorsi qualche giorno dopo, tornando alle occupazioni abituali, fatte del nulla.
“Ellie, ti aspettiamo per mercoledì prossimo! Ci sarà anche Dashiell!..”.
Ascoltare la voce di Annie le fa piacere, ma sentendo che l’avrebbe attesa per la vigilia del Thanksgiving day l’ha colta di sorpresa. Non ha ancora percepito se questa è una novità piacevole o una seccatura. Però il primo impatto è di contentezza perché al momento della partenza degli amici aveva pensato che fosse uno dei classici inviti senza un reale seguito. Al primo momento di euforia subentra una sottile paura che questo possa costituire una trappola. Una sensazione senza un motivo concreto.
Lei è rimasta un po’ in silenzio a riflettere prima di rispondere.
“Annie, che piacere sentirti! Come sta Matt? Non so se …” risponde cercando di modulare la voce in maniera allegra ma non troppo.
L’amica ride ma insiste che deve essere presente alla festa, perché tutti si vogliono sdebitare della favolosa ospitalità ricevuta a Princess Anne.
“Qui tutti ti aspettano, compreso il tacchino! Non puoi mancare assolutamente! E’ solo un viaggio di 126 miglia! Circa tre ore di auto. Se non hai impegni per i giorni successivi sarò felicissima di ospitarti per il week end. Così possiamo riprendere le chiacchiere interrotte a casa tua! Sei mai stata a Baltimore?”
Altra pausa di silenzio, mentre cerca una scusa per declinare l’invito, perché non ha molta voglia di uscire dal proprio guscio e affrontare un mondo diverso da quello abituale. Però non trova nulla di sufficientemente solido e rinuncia a frapporre delle difese.
“No, almeno di recente. Ci sono stata con nonno Pat quando avevo dieci anni. Ma non ricordo nulla. Sei sicura che non disturberò la vostra quiete?” chiede con un filo di trepidazione nella speranza che l’amica le dia un appiglio per rinunciare.
Sente una nuova risata allegra prima di ascoltare nuovamente la voce.
“Disturbare la nostra quiete? Ma viviamo su un vulcano in eruzione! Matt e io saremo ben felici di ricambiare la squisita ospitalità di Princess Anne! Anche ieri sera abbiamo ricordato il pranzo da Gino’s e la gita in barca! E poi ..”.
Ellie la interrompe perché sa cosa vuole aggiungere. Il ricordo di Dashiell le brucia ancora, perché dopo averla punzecchiata per bene è sparito.
“Nemmeno una telefonata di ringraziamento! Un sms per dire «Ciao! Come va?»! Nulla! Come se fosse sparito dalla faccia della terra! E io che ..” riflette senza ascoltare quello che l’amica le dice.
Poi Annie le chiede di procurarsi carta e penna per dettarle le indicazioni della strada da seguire.
“Ma non c’è bisogno! Con Google map ..”
“No, no! Ascolta e segna. La nostra abitazione è vicino a Arundel Village Park nella 10th Street. Percorri la MD-10N verso la MD-2N in direzione Baltimore/Towson fino all’uscita 3. Qui prosegui a sinistra in direzione Brooklin fino all’incrocio con Church St…”
“Annie, vai troppo veloce.. Sembri un treno in corsa senza conducente …”.
“Ho capito, ho capito. Facciamo così. Quando sei entrata nella MD-10N ci chiami. Noi ti aspettiamo all’uscita 3. Mi raccomando segui la direzione Brooklin, altrimenti torni indietro!”.
“Va bene, va bene” dice controvoglia Ellie. “Farò come hai detto. Uno squillo quando sono entrata nella MD-10N”.
“Riesci a partire presto mercoledì?”.
“Presto? Come?”.
Nuova risata allegra risuona nell’orecchio di Ellie prima di capire che il presto è nella mattinata prima di mezzogiorno.
“A mercoledì!” conclude la telefonata Annie.
La ragazza osserva il Blackberry e scuote il capo. Rimpiange di non essersi opposta con maggior tenacia all’invito, perché il pensiero di rivedere Dashiell le tormenta la mente.
“Non so se odiarlo o ignorarlo. Il suo comportamento è stato indisponente. Ha giocato con me come il gatto col topo. Peccato che il ruolo della povera topolina è toccato a me!” rimugina baloccandosi il telefono nelle mani.
Un bip annuncia l’arrivo di un messaggio. Osserva lo schermo curiosa, perché gli sms arrivano di rado.
“Chi sarà mai?” si chiede mentre seleziona visualizza.
«Ciao! Come stai? Non ho avuto più tue notizie dopo la mia partenza! Sei forse irritata con me? Sì, lo so. A volte sono indisponente, ma … suvvia non prendertela! A mercoledì! Dashiell».
Il primo impulso è quello di cancellare il testo.
“E’ veramente una persona odiosa! Per quasi tre settimane non si fa vivo come se io non esistessi. Poi … Crede di prendersi gioco di me? Ma adesso che faccio? Rispondo oppure no?” riflette mentre l’ira lentamente va sbollendo.
Dopo la telefonata con Annie e il messaggio di Dashiell si sentepiù risoluta, energica, sicura di sé, meno debole psicologicamente. Percepisce che non è in balia degli altri e dei loro umori. Se ci fosse Dashiell in questo momento, comprende che sarebbe l’attimo buono per parlare dei suoi sentimenti o dei suoi sogni. Però è sola nella casa e lui è lontano, nascosto dietro lo schermo di un telefono. Dunque tutti i suoi propositi svaniscono mentre decide che non avrebbe risposto.
“Non merita che io mi sprechi per cercare delle parole che non sento mie. Se vuole uscire allo scoperto che faccia lui il primo passo. Io di messaggi ne ho lanciati diversi, ma è stato come metterli in una bottiglia e affidarli al mare” e riflette sugli ultimi avvenimenti.
La giornata odierna prima della telefonata di Annie è stata per Ellie un periodo pieno di pace in cui si è goduta la quiete della casa da sola sentendosi a proprio agio e in pace con se stessa. Quando capita, di solito non ha nessuna voglia di uscire per mettersi in mostra, non perché si sente timida o chiusa, ma per un senso di pigrizia dolce e amabile che la prende avvolgendola come un bozzolo. Per lei è un momento di relax senza pensare a nulla. Però la telefonata prima e il messaggio poi hanno rotto quest’atmosfera incantata e riportata nel mondo della realtà.
Adesso deve pensare che fra pochi giorni avrebbe preso la Buick nera per guidarla fino a Baltimore e quindi deve organizzare il viaggio.
Il dolce far niente la induce a sognare ma deve pensare al regalo da portare a Annie e Matt.
“Per Dashiell niente! E perché mai dovrei sprecare tempo e denaro a favore di qualcuno che mi ha ignorata per quasi tre settimane?” dice con tono astioso.
Inoltre deve prendere in considerazione quale abbigliamento è più adatto alla circostanza. Riflette anche che dovrebbe passare per un saluto dai lontani cugini che discendono da quella mitica zia Ethna, citata tante volte da Angie.
“Ma questa Ethna che grado di parentela ha con me? Era la sorella del mio bisavolo, Don, il padre di Angie. Quindi? E i suoi discendenti sono cugini o nipoti? Beh! devo ammettere a denti stretti che Dashiell aveva ragione. Sono parenti e basta. Il grado di parentela ha poca importanza” concluse senza troppi distinguo.
Si domanda se loro si ricordano di avere una parente che abita a Princess Anne nella casa di una zia. L’ultima volta che li aveva visti è stato oltre venti anni prima. Però il vero problema è come rintracciarli e contattarli.
Troppi pensieri si sono addensati sul capo di Ellie come nuvole cariche di pioggia, mentre lei avrebbe voluto continuare nel clima sereno precedente.
“Al diavolo tutti questi pensieri! Ci penserò lunedì. Oggi godiamoci gli ultimi scampoli di giornata senza arrovellarsi il cervello per trovare soluzioni che arriveranno limpide e facili tra pochi giorni”.
E riprende l’occupazione precedente: la lettura dell’ultimo libro di Katie Hickman “The pindar diamond”. E’ una storia dai contorni misteriosi, di avidità e di segreti, di passioni proibite e di tradimenti, ambientata tra i canali veneziani e le coste della Dalmazia, tra le celle dei conventi e le stanze oscure dell’harem di Costantinopoli.
Leggendo le pagine a poco a poco si dimentica di tutto, ricreando l’atmosfera che si era incrinata momentaneamente.
Lunedì sarà un altro giorno.
Neve, neve
Il tempo di arrivare alla casa vittoriana e il cielo da grigio plumbeo diventò bianco compatto, mentre grossi fiocchi di neve iniziarono a scendere su vecchi cumuli color grigio sporco.
A prima vista sembrava la solita nevicata come ce ne erano state altre negli ultimi giorni, ma presto cominciò a soffiare un vento gelido e impetuoso che generò grossi accumuli.
Angie e Dan osservavano la tempesta di neve che pareva che volesse sommergere tutto in un turbinio bianco. La strada divenne una coltre bianca senza tracce umane, mentre il sibilo delle folate voleva insinuarsi nelle fessure delle finestre, che presto furono ricoperte da uno strato compatto di soffici fiocchi.
Dan le domandò se aveva scorte di legna sufficienti per riscaldare gli ambienti, perché di certo per diversi giorni sarebbe stato quasi impossibile approvvigionarsi.
“Se dobbiamo fare economie, è meglio conoscerlo in anticipo piuttosto quando non si può fare più nulla” concluse.
“Quello che mi preoccupa, sono le vivande. Ieri prima di partire, ho chiesto a Meg di portare a casa tutto quello che era deteriorabile o gettarlo via. Quindi non c’è nulla o quasi in casa” affermò allarmata una sconsolata Angie.
Dan scosse il capo un po’ scoraggiato e partì alla ricerca di uno store aperto per acquistare generi di prima necessità per i prossimi giorni.
La donna non avrebbe voluto che uscisse con una tempesta di neve che rendeva problematico anche solo camminare, rimanendo trepidante in attesa del rientro. Restò sempre alla finestra, tenendo sotto controllo la via.
Affondando per un paio di piedi nella neve, faticando non poco nel contrastare la violenza del vento, Dan riuscì a riguadagnare la strada di casa. Teneva ben stretto il bottino di vivande che era stato capace di procurarsi con notevole sforzo e qualche litigio.
Nell’androne debolmente illuminato da lampade a olio si scrollò di dosso tutta la neve che aveva raccolto e che ben presto si tramutò in acqua, che chiazzò di umidità il pavimento.
Angie lo aiutò a togliersi gli abiti ricoperti da un sottile strato di ghiaccio per sostituirli con altri tenuti al caldo vicino al camino proprio per questa evenienza.
“Dan, non dovevi uscire con questo tempo! Ti sarai preso sicuramente un accidente! Ero seriamente preoccupata! Solo ora mi sento sciogliere leggermente dalla tensione accumulata”.
L’uomo sorrise mentre con un fazzoletto di lino tentava di frenare il gocciolio del naso arrossato e umido. Lei afferrò i vestiti bagnati fradici per trasportarli in cucina accanto alla stufa ad asciugare.
“Per qualche giorno non moriamo di fame!” disse con un sorriso amaro Dan, mentre depositava il bottino conquistato sulla tavola.
Dalla legnaia in cantina portarono nelle varie stanze diverse ceste di legna per tenere alimentato il fuoco e riscaldare gli ambienti.
Angie riconosceva che lui aveva preso decisamente le redini del comando, come se fosse il vero padrone di casa. Dirigeva ogni operazione, impartiva le direttive, come se si dovesse affrontare un lungo assedio della neve in maniera che non venisse sprecato nessuna risorsa. Se fosse stata da sola, forse non sarebbe riuscita a organizzare con analoga precisione ogni aspetto dell’emergenza da fronteggiare.
“E’ inutile sprecare legna e carbone per riscaldare delle stanze dove non entreremo mai. E’ sufficiente concentrare il combustibile laddove pensiamo di trascorrere il nostro tempo. Lasciamo spenta la caldaia a carbone. Servirebbe a poco. Camini e stufe possono bastare per non morire assiderati”.
Il buio della sera li colse mentre erano occupati a tenere ben acceso il fuoco nelle diverse stanze, mentre il cielo era rischiarato dal candore dei fiocchi che scendevano vorticosi. Il vento non accennava a diminuire, anzi pareva che rinforzasse sempre di più. Dopo un frugale pasto serale si sistemarono nel grande letto matrimoniale osservando le lingue rossastre che guizzavano imperiose nel camino.
“Non avrei mai pensato che tu avessi avuto il coraggio di affrontare il viaggio verso Deal Island dopo quasi una settimana di intense nevicate. Quindi ho creduto bene di farti una sorpresa, dopo aver preparato un bagaglio leggero per raggiungerti qui. Ma il destino è a volte curioso!” disse Dan mentre la stringeva a sé.
“Sì, il destino è curioso perché spesso ama giocare con noi, coi nostri sentimenti mentre ci sbeffeggia. Così ieri ci siamo incrociati senza vederci. Tu scendevi a terra, mentre io salivo a bordo. Però oggi siamo qui insieme”.
Questi pensieri ricordarono a Angie la megera, provocandole qualche brivido alla schiena.
“Sì, sono stata temeraria e incosciente perché poteva finire male. Devi sapere..” replicò la donna e cominciò a raccontargli l’avventura al Black Wharf’s.
“Hai alloggiato in quel covo di tagliagole e prostitute? E sei riuscita a riportare indietro tutto senza perdere un cappello? Nessuno è entrato nel tuo letto? Evidentemente ieri era la tua giornata fortunata!” concluse Dan mentre le accarezzava il viso.
“Davvero ho corso seri rischi? Ho capito subito che quella megera era ..”.
“Chi? Miss Pimpim? ..”.
“E chi sarebbe Miss Pimpim? Alla reception c’era una vecchia segaligna e secca come uno stecco, che mi ha rapinato 20 dollari! Ma ho compreso subito in quale postaccio ero capitata! Ero talmente stanca che non ho osato andarmene e cercarne un altro migliore”.
Dan rise di gusto mentre la baciava.
“Ringrazia la tua buona stella e Miss Pimpim, che per venti dollari ti ha fatto tornare a Holland Island sana e salva!” e la attirò verso di sé come per proteggerla da un nemico invisibile.
Mentre le spiegava i motivi di quel nomignolo curioso, pigramente scivolarono nel sonno.
La mattina li colse abbracciati, mentre la stanza era gelida. Il fuoco durante la notte era morto lentamente, mentre fuori infuriava la tempesta.
Per diversi giorni fu praticamente impossibile avventurarsi fuori di casa. Il vento aveva accumulato quasi tre piedi di neve sulle strade, mentre il portone era sommerso fino a metà. Folate gelide spazzarono via le nuvole dal cielo, ma trasformò tutto in ghiaccio.
Era una mattina freddissima ma illuminata da un sole limpido, quando Dan cominciò ad aprire un varco dalla soglia di casa alla strada, mentre Angie preparava una bevanda calda a base di vino, rum e spezie.
“Cos’è questo intruglio?” chiese tossendo per la vampata di calore e di energia prodotta dall’infuso.
“La preparava sempre Wina a mio padre nelle serate più fredde d’inverno. A lui piaceva molto e se ne scolava mezzo bricco”.
“Il gusto è buono e gradevole, ma per fortuna sto lavorando sodo di pala. Altrimenti sarei ubriaco e steso per terra! Saranno 60° almeno, dal calore sprigionato nello stomaco!”.
Il tempo si stabilizzò sul bello gelido nei giorni successivi.
Quando mancò quasi una settimana a Natale, Dan le annunciò che doveva ritornare a Deal Island per sbrigare alcuni affari urgenti, ma sarebbe tornato alla vigilia per portarla con lui nella sua casa.
“Preferisco rimanere qui e trascorrere le feste a Holland Island” gli disse seccamente Angie.
Lui rimase in silenzio cercando di comprenderne i motivi. La capiva perché l’esperienza del viaggio a vuoto precedente doveva essere stata scioccante. Però non riusciva a mettere a fuoco che problemi sarebbero sorti, visto che era lui che la veniva a prendere questa volta e non doveva affrontare il viaggio da sola.
La fissò e le rispose laconicamente «Come vuoi. Staremo noi due soli in questa grande casa». La partenza fu carica di malinconia ma l’arrivederci lasciò nei loro cuori un sapore gradevole per il breve periodo di lontananza.
Durante l’assenza di Dan, Angie si interrogò sul loro rapporto e sulle possibili implicazioni future. Circa un mese prima lui si era sbilanciato seriamente con una proposta di matrimonio dai toni inusuali, ma che le avevano prodotto molti pensieri positivi. Nei quasi quindici giorni, quando erano rimasti asserragliati nella casa a causa della neve e del gelo, aveva compreso che la loro relazione avrebbe potuto funzionare.
Però durante questo periodo Angie aveva accettato espansione e crescita personale con cautela adottando un punto di vista pragmatico. Qualsiasi cosa facesse o programmasse, era caratterizzata da prudenza e cautela. Le interessava ciò che avrebbe potuto realizzare nel concreto, ma cercava di tenere i piedi per terra senza mai perdere di vista la realtà. Non era né troppo idealista né troppo conservatrice.
“Forse sono stata troppo fredda con Dan senza mostrare quell’entusiasmo che la presenza avrebbe dovuto ingenerare. Ma l’esperienza di quel viaggio mi ha reso prudente. Non ero io che dovevo correre da lui, ma viceversa dovevo aspettare che lui mi venisse a prendere. Ecco dove ho sbagliato”.
Non aveva mai pensato che doveri e obblighi della vita fossero una restrizione ma li considerava invece un mezzo per raggiungere maturazione e saggezza. Questo era fondamentalmente un modo di vedere giusto, tuttavia doveva trovare un punto di equilibrio fra libertà e necessità di avere un compagno. Questo era l’obiettivo che si doveva porre a breve termine.
Durante l’assenza di Dan scoprì in che modo poteva tradurre in realtà le aspettative, perché era stata in grado di distinguere i sogni dalla realtà ed era stata capace di scartare ciò che non era solido e che le avrebbe impedito di mettere le basi per il successo.
Accolse con grande entusiasmo il ritorno perché aveva compreso che quello era l’uomo giusto per lei.
La festa sta finendo
“Bel tipetto la zia..” dice ridendo Dashiell in una pausa della lettura del diario.
Ellie lo fulmina incenerendolo. “Non è mia zia, ma la bisnonna!..”
“Uh! Uh!” borbotta come infastidito “Ma come sei pignola! Zia, trisavola, bisnonna,.. alla fine è pur sempre una parente! Che differenza fa?”
Annie si stringe al marito ridacchiando e sussurra divertita. “E’ la prima volta che trovo divertente il fratellino! Le sue uscite sono in questi giorni esilaranti! Ma credo che lo faccia per innervosire Ellie, perché ha capito che lei ci tiene all’esatta parentela”.
La ragazza stringe le labbra per non far uscire quello che pensa. Non ama gettare benzina su fuoco anche perché sono ospiti e tra qualche giorno se vanno. E questi diverbi entreranno a far parte dei ricordi da raccontare per le feste di Natale, quando al termine del pranzo si citano gli episodi più curiosi e intriganti capitati nel passato.
“Queste battutine sono veramente sgradevoli e potrebbe risparmiarmele! Non credo che non abbia memorizzato l’esatto grado di parentela. Però si diverte ogni volta a estrarre un nuovo status per Angie! Lo dice, ne sono sicura, per sondare le mie reazioni e divertirsi alle mie spalle” riflette in silenzio, mentre aggrotta la fronte visibilmente irritata.
“Che strane facce fai! Ti apprezzo di più quando hai il viso disteso e sorridente e non corrucciato come in questo momento!” prosegue non notando nessuna reazione verbale.
Ellie rimane silenziosa, cercando di distendere le rughe che increspano il viso come onde nel mare senza molto successo.
Dashiell le prende una mano con dolcezza e la fissa con attenzione.
“Lo sai che aggrottando la fronte, rimangono le rughe! Così sembri più vecchia con la pelle tutta grinzosa! E dicono che non sei serena! Siamo rilassati a goderci questo sherry e … Devo farti i miei complimenti..”.
Matt sogghigna divertito.
“Mio fratello è un vero istrione! Punzecchia come una zanzara per poi trasformarsi in un candido angioletto. Adesso le ammannisce lo zuccherino. Quando inizia il discorso così non si sa dove arriverà” dice sottovoce a Annie, che annuisce per conferma.
Ellie si irrigidisce e tenta inutilmente di sottrarre la mano dalla presa di Dashiell che riprende a parlare dopo una breve pausa, come se si fosse aspettato una reazione di curiosità da parte della ragazza.
“Devo farti i complimenti, perché sei stata una padrona di casa perfetta e puntuale. Hai organizzato tutto con precisione, mettendoci ..” e rivolge lo sguardo al fratello e alla cognata alla ricerca di un segno di assenso “mettendoci a nostro agio. Sono passati diversi giorni, ma sono volati via leggeri! Quando fra qualche giorno riprenderemo la strada di casa …”.
E fa una piccola pausa per interrogare gli occhi di Ellie prima di riprendere il discorso.
“Dicevo… quando riprenderemo la strada di casa, credo che un velo di malinconia ci avvolgerà lasciandoti qui!”
Annie commenta col marito le ultime esternazioni, deducendo che il cognato è abile del dare un colpo prima al cerchio poi alla botte. Adesso è in versione dolce.
“Beh! Se vuoi ..” inizia a parlare Annie, subito bloccata dallo sguardo di Dashiell.
Ellie continua a rimanere silenziosa, perché quelle parole la infastidiscono e non poco.
“Per chi mi ha preso? Fino all’altro ieri aveva un muso lungo un chilometro ed era assente mentalmente e visibilmente annoiato. Non andava bene nulla. Criticava e basta. Ora questa serenata sulla mia presunta bravura, sul trascorrere veloce delle ore, sul rimpiangere che loro partendo mi lasciano sola! Sembra più che voglia farsi perdonare le acidità dette in precedenza che essere sincero”.
“Volevi dire qualcosa, Annie?” le chiede con tono gentile Dashiell.
“Beh! No… Sì, in verità! Ellie la conosco da una vita, ma raramente l’ho vista così motivata e brava nei panni della padrona di casa. A dire il vero le occasioni sono state veramente poche. Però non sono sorpresa perché è sempre stata una ragazza posata e determinata nel raggiungere i propri obiettivi. Quando decide un traguardo difficilmente manca di centrarlo, ma in particolare lo raggiunge nel migliore dei modi” replica Annie rinfrancandosi man mano che parla.
Dashiell torna a osservare la ragazza senza allentare la presa delle mani e sorride come per farsi perdonare.
“Sei per caso..” inizia un nuovo discorso interrompendolo subito.
La pausa cade nel silenzio di tutti che la osservano.
“Dicevo.. se per caso ..”.
Ellie si riscuote dal torpore nel quale era piombata.
“Beh! Veramente .. no.. semplicemente .. insomma aspettavo che tu avessi finito il discorso..” e si ferma dopo aver farfugliato molti inizi senza concluderne uno.
“Anch’io sono stata bene con voi. Mi avete tenuto compagnia e coinvolta nelle vostre discussioni. Sono state giornate intense e diverse dal solito. Movimentate e interessanti. Di certo non mi sono annoiata. Inoltre ..Ma, sì! Perché non ripetere questa esperienza? Possiamo ritrovarci altre volte tutti insieme, quando i nostri impegni ce lo consentono”.
Annie sorride perché la tensione si è stemperata e coglie l’occasione per invitarla a Baltimora, perché presto sarà il Thanksgiving Day, una bella festa da trascorrere insieme. Però si schernisce perché non sarà all’altezza della amica come padrona di casa.
Dashiell è d’accordo sull’ultima affermazione della cognata, perché cucina e casa hanno sempre lasciato a desiderare.
“Sarebbe un’ottima opportunità per farti conoscere Baltimora. Di certo non è tranquilla come Princess Anne, ma ..” e continua a stringere le mani di Ellie.
“Sicuramente la tua antenata Angie..” dice sorridente “ha avuto molto coraggio affrontare un viaggio in quelle condizioni climatiche. Doveva essere cotta di …”.
“Dan..” suggerisce Annie.
“Sì, di Dan! Poi come è finita? Sicuramente si sarà sposata, se in qualche modo sei nata tu..” conclude con un largo sorriso.
Ellie, che si era distesa, corruga nuovamente la fronte e arriccia il naso irritata.
“Beh! la mia antenata ..” e volutamente calca sulla parola prima di riprendere il discorso.
“Angie era sicuramente coraggiosa, perché io al suo posto non sarei riuscita ad affrontare il viaggio. Però toglimi una curiosità. Come mai dimostri simile interesse verso una donna vissuta cento anni fa?”.
Dashiell sorride e prima di riprendere a parlare fa un grosso respiro.
“Forse è dovuto allo stereotipo che mi sono creato del mondo femminile di inizio novecento. Tutto chiesa e famiglia. Senza grande autonomia di pensieri e di azioni. Ma leggendo queste poche pagine del diario sono rimasto stupito. E mi sono domandato se sono state scritte effettivamente da lei oppure è una finzione letteraria. Ma ora basta pensare al passato. Torniamo al presente”.
Per chiudere degnamente una serata movimentata e ricca di spunti propone di scegliere un gioco di società tra quelli che Ellie ha.
In effetti Dashiell ha cercato emozioni e stimoli nel rapportarsi con Ellie, anche a costo di provocare una bella battaglia. Lo schema che ha in mente è difficile da gestire anche se sa che è fondamentalmente costruttivo. Comprende che non deve essere troppo impaziente perché intende costruire un legame duraturo. Le chiede solo di gratificare il proprio bisogno di emozioni. Non è sua intenzione creare i presupposti di un litigio. D'altra parte percepisce che questo è il momento giusto per mettere le carte in tavola e cercare un punto d'intesa. Si domanda se esistono remore fra loro. La risposta secondo lui è che non ci sono. Quindi può godersi allegramente questa nuova esperienza.