Amanda si rilassò sulla sedia in attesa della colazione. Alice era rimasta al Meininger, perché la giornata piovosa non la stimolava a uscire. Luca le avrebbe tenuto compagnia, così aveva assicurato. «Tanto meglio» si disse. Lei non aveva insistito più di tanto per convincerli ad accompagnarla prima di uscire.
Era un’ottima occasione per girare per Londra senza troppi assili e in perfetta solitudine senza dover spiegare a nessuno il perché o il per come delle scelte. Musei e spazi musicali abbondavano: c’era solo l’imbarazzo dove andare. La giornata non particolarmente propizia la consigliarono però a rifugiarsi in una delle tante librerie che adornavamo Charing Cross Road, celebre per le innumerevoli bancarelle di libri usati e per i numerosi bookstore. In quelle più grandi e attrezzate c’era sempre un angolino dedicato al riposo e fornito di posto di ristoro. Optò per Foyles Bookshop, una libreria che resisteva da oltre centoventi anni alle mode e ai colpi inesorabili del tempo. Era diventata una meta irrinunciabile per londinesi e turisti.
Una volta varcata la soglia del vecchio edificio in arenaria rossa che si distaccava nettamente dagli edifici limitrofi più moderni e anonimi, comprese che qui si respirava un clima rilassato e distaccato, che avrebbe rappresentato l’ideale momento di riflessione su tutti quei segnali che discretamente stava ricevendo senza la presenza ingombrante dei due compagni di avventura.
“Sì, sono arrivati degli indizi che non ho ben compreso né ho avuto il tempo di decifrare completamente. La presenza dei due ragazzi, il doverli proteggere mi hanno impedito di analizzarli e di capire da dove arrivano. Sì, oggi è giunto il tempo di comprenderne la natura”.
Era salita direttamente al quinto piano al Ray’s Jazz Cafè, dove ricordava dalla guida era possibile gustare deliziosi pasticcini con una varietà incredibile di tè. Poi al termine della colazione avrebbe visitato la Galleria d’arte allo stesso piano e gli undici chilometri di scaffali pieni di libri di tutti i generi.
“Ora ho fame. Al resto penserò dopo” e si concentrò su se stessa.
Da quando era a Londra erano arrivati molti segnali confusi ma chiari, perché al ritorno a Bolzano doveva riallacciare dei rapporti col passato che pensava ormai interrotti definitivamente. Uno, che la assillava quasi tutti i giorni, era che doveva rivedere suo padre, Pietro, al più presto. L’urgenza stava nella quantità di sensazioni ora positive ora negative che riceveva.
“Cosa sarà successo? Non riesco a comprendere se è un avvertimento di pericolo oppure il semplice desiderio di rivedermi. Ma se è quest’ultima la motivazione, perché continua a martellarmi la testa? Non avrebbe senso. Però se è in emergenza, mi domando per quale ragione non lo dice espressamente”.
Altre volte aveva avvertito che desiderava mettersi in contatto con lei. Però questa volta era diverso, quasi una supplica come se avesse poco tempo a disposizione prima di morire. Non era per nulla nitido ma offuscato da nuvole che ne oscuravano il vero significato.
Più perentorio e meno sfumato era il pensiero di Amanda, quella figura enigmatica, che assomigliava come una goccia d’acqua alla madre Elisa e che non vedeva da quando aveva cinque o sei anni.
“Una vita!” si disse mentre la cameriera di colore col classico grembiulino bianco le metteva sul tavolo un piatto di pasticcini appena sfornati e l’occorrente per prepararsi il tè.
La fragranza degli odori la distolsero dai pensieri che stavano affollando la testa.
“Ora basta! Non roviniamoci la colazione con mille dubbi e molti timori!” e cominciò il rito della preparazione.
Però ben presto fecero nuovamente capolino le riflessioni precedenti e la colazione tornò in secondo piano.
Erano due le richieste che con prepotenza si facevano largo nella mente: quella del padre e di Amanda, la sua omonima, che aveva conosciuto quando era bambina.
Provò a concentrarsi su di lei, perché apparentemente sembrava il più semplice da risolvere.
“Ha bussato anche ieri mentre ero impegnata a tirare fuori dai guai Alice. Quello che mi preoccupa è l’insistenza con la quale si fa avanti. Perché? Quale motivo o quale correlazione c’è tra noi due? Di lei so molto poco, perché Pietro non me ne ha mai parlato volentieri. L’unica certezza è che assomiglia in maniera straordinaria a mia madre. Poi solo dubbi, ipotesi più o meno reali. Dovrebbe essere morta, uccisa dal compagno, quello che ha trasmesso in eredità il bosco degli elfi a mio padre. Almeno questo è quanto lui si è lasciato sfuggire una volta. Dunque dovrebbe essere una persona incorporea, un fantasma. Eppure pare reale e come tale si muove”.
Dopo questa lunga riflessione Amanda si appoggiò allo schienale chiudendo gli occhi, ascoltando una bella composizione di jazz, fuori dagli schemi usuali. Si lasciò trasportare da queste note dalle tonalità mai aspre, quasi naturali.
“Chissà chi è?” si domandò rapita dal suono che aveva avuto il potere di calmare l’inquietudine interiore.
Avrebbe voluto che la musica continuasse all’infinto ma come era apparsa senza preavviso, così cessò per essere sostituita da un celebre motivo di Louis Amstrong, il famoso Satchmo, “Hot fives and hot sevens”. Però l’incanto era svanito, mentre lei tornava alle sue meditazioni.
“Ora se volesse bussare sarebbe un buon momento per chiarire la sua insistenza. Però ..” e ordinò un altro vassoio si pasticcini.
“Veramente squisiti. Si mangiano e ..” e guardò l’ora.
“Sono qui da quasi due ore e .. chiedo di portarmi l’ultimo libro di P.D.James, «Death Comes to Pemberley». Nel pomeriggio sarà qui a presentarlo. Mentre pasteggio coi pasticcini, lo leggo. E chissà se la mia omonima si fa viva ..”.
Però non fu così.
Amanda passò l’intera giornata da Foyles tra visite alla galleria d’arte e una curiosa esposizione al terzo piano.
“Immaginate un intero libro su un unico foglio. Una stampa d'arte audace su cui, da vicino, è possibile leggere il testo integrale e completo dei lavori classici preferiti, da «era il migliore del tempo» a «di gran lunga il migliore». Così mi è stato possibile vedere una selezione di stampe dei classici senza dover sfogliarli, tra cui «Orgoglio e pregiudizio», «Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie», «Romeo e Giulietta», «Cuore di tenebra», «L’isola del tesoro» e «Il Vangelo secondo San Marco». Un qualcosa di affascinante per l’originalità dell’esposizione”.
Però i pensieri covavano sotto la cenere mentre lei ascoltava la regina del giallo, P.D. James. Una signora dai capelli bianchi, esile ma energica. Mentre con un orecchio prestava attenzione a quanto diceva e alle risposte che i presenti le ponevano, l’altro era impegnato a cogliere quei segnali che erano rimasti assenti fino a quel momento.
“Non c’è scampo. Al mio ritorno devo tornare nel bosco degli elfi. Spero che non sia troppo tardi” concluse amaramente.
OFF TOPICS – Splinder chiude?
Da bqualche giorno campeggia questo adversiment
Avviso per gli utenti
Dal 01/06/2011 non è più possibile iscriversi al servizio e acquistare o rinnovare i pacchetti avanzati SplinderPRO.
Brutto segnale, molto brutto.
Fiordicollina ha aperto una discussione su bloggando – soluzioni
http://soluzioni.splinder.com/post/25737683#comment
Voci più o meno controllate parlano di chiusaura della piattaforma per il 24 novembre 2011.
Però non si sa niente.
Naturalmente il panico si è scatenato per ovvi motivi.
Per i post sarei tranquillo. Sono tutti salvati sul pc. Quello che mi fa male è perdere i relativi commenti e in particolare la vicinanza di tanti amici (virtuali).
Cosa dire? Non saprei. Però l'amarezza è molta anche se splinder più volte mi ha fatto arrabbiare. Una piattaforma simile non esiste.
Speriamo di poterci salutare e dare appuntamento su qualcosa d'altro.
Amanda 33
Pietro sembrava assopito mentre in realtà cercava di fare mente locale su quello che le tre ragazze gli avevano detto.
«Un colpo di fortuna è alle porte». Ecco cosa gli aveva trasmesso Alice.
Questa frase risuonava incerta ma lucida nella mente, perché aveva aggiunto una frase sibillina che diceva «La strada la devi scoprire tu ..».
“Ma quale strada?” si domandò ancora una volta.
Era un vero rompicapo dal quale non riusciva a venirne a capo. Percepiva che erano ancora lì pur senza vederle. Ne udiva il fruscio dell’aria, il respiro sereno, il profumo della pelle e immediatamente si chiedeva chi erano, perché erano lì.
Angelica aveva parlato di forze oscure che minacciavano il bosco degli elfi.
“Ma chi sono queste forze minacciose? Ho avuto solo degli avvertimenti. Ma secondo lei stanno avanzando”.
Quindi dovrebbe temere nei prossimo giorni, settimane e anni che queste si farebbero vive.
“Come fronteggiarle?” si chiese cupo. Non aveva risposte a questo né aveva chiaro come affrontarle. Il consiglio era di cercare aiuto perché le sue forze diventavano sempre più insufficienti.
“Arianna ha affermato di essere la sorella di Elisa e la zia di Amanda. Sarà vero?”.
Si interrogava perché avrebbe dovuto mettere in dubbio questa affermazione. Elisa era un elfo e tutto in lei lasciava supporre che lo fosse. Troppe magie e troppi atteggiamenti inspiegabili erano un viatico che non sbagliava.
“Ma Elisa dov’è? Perché è sparita senza lasciare traccia? E’ ancora in vita oppure?”. Nuovamente un dolore lo colse nel petto. Quella lontana sparizione aveva lasciato il segno nella carne e la ferita non si era mai rimarginata.
Però il vero enigma era Alice che gli aveva posto quell’indovinello sul colpo di fortuna e sulla strada che dovrebbe riconoscere per arrivarci.
Dunque poche certezze e molti dubbi affollavano la testa di Pietro che si abbandonò esausto per il troppo pensare.
La sera stava calando rapidamente come velocemente le ombre riempivano la stanza. Era ancora in cucina seduto accanto al tavolo. Adesso la casa era più silenziosa ma la tranquillità non era ancora scesa.
Le tre donne se ne erano andate. Lo sapeva, lo percepiva senza l’aiuto di nessuno. L’aria era immota e i rumori erano solo quelli del bosco. Si alzò sconfortato senza sapere in quale direzione muoversi.
Quelle due frasi di Alice continuavano a risuonare nella testa senza che lui riuscisse a dare una risposta soddisfacente oppure avere un’idea di come muoversi.
“E se il colpo di fortuna fosse solo virtuale? A volte mi pare essere in una casa dove le pareti sono degli specchi ora reali ora deformanti. La realtà mi appare distorta, osservo qualcosa che non è osservabile. E’ normale questo?” si domandava mentre si aggirava inquieto per la stanza.
Aprì i contenitori del rusco e li trovò come erano sempre stati: piccoli e adeguati alle sue esigenze. Si avvicinò alla credenza, spalancandone un’anta. Dentro solo un servizio per dodici persone, sicuramente sovrabbondante per le sue esigenze, ma esattamente quello che usava tutti i giorni con tutti i segni lasciati durante il loro utilizzo. Una calla gialla decorava un bordo ed erano rotondi. Tutto appariva in questo momento esattamente come l’aveva sempre ricordato. Pareva che la presenza delle tre donne producessero delle visioni immaginarie che poi sparivano con la loro assenza. In questi giorni era successo sempre così.
Si chiese nuovamente perché aveva osservato un mondo fatto di immagini non reali.
“Qual è lo scopo di tutto questo?” e si sistemò sulla solita poltrona che rappresentava un comodo rifugio.
“Dunque devo cercare la strada verso la fortuna. E se la fortuna fosse la buona sorte? No, no. Non è la strada giusta. E se provassi a leggere la parola nel senso etimologico? Potrebbe essere una buona idea. Ma come faccio?”.
Adesso il buio avvolgeva oggi cosa a parte un lieve chiarore che filtrava dalle finestre. Si alzò per accendere un lume. Preferiva la luce tremolante a quella fissa delle lampadine, perché riusciva a raccogliere meglio i suoi pensieri.
“Forse è meglio accendere il fuoco e riscaldare la stanza, Sento brividi di freddo. Devo fare attenzione. Non c’è Angelica con le sue pozioni magiche” pensò.
“Cercavi me?” sentì risuonare una voce conosciuta nella mente.
Un sorriso largo e una risata fresca illuminò il viso di Pietro.
“Basta pensare a una di voi ed eccola spuntare come per magia” replicò con fare scanzonato.
“Dunque se penso a Alice, lei arriva in un baleno?”
“Prova!” rispose ironica la donna.
“Ci sto provando, ma non succede nulla” rispose abbacchiato. Dunque non è sufficiente chiamare un nome per vederla comparire.
“Anche qui devo trovare la strada”.
“Sì. Devi trovare la strada, il giusto mezzo per richiamare le persone che desideri” gli disse Angelica.
Pietro rifletté ma alla fine scosse il capo.
“Come ho fatto per richiamarla? Ho pensato a lei ma con Alice non ha funzionato. Qual è la strada da percorrere?” si domandò sperando in un aiuto da parte di Angelica.
Si alzò, sistemò un’altra poltrona accanto alla sua sperando che Angelica diventasse visibile.
Però non accadde nulla anche se percepiva che era lì vicino a lui.
“Devo trovare la strada ..” e si sedette di nuovo.
Amanda 32
Alice la guardava come se avesse visto un extra terrestre. Era ancora indecisa se crederle oppure no. Di sicuro qualcosa di strano, anzi di straordinario era avvenuto poche ore prima. Amanda che mette fuori combattimento una mezza dozzina di teppisti come se fosse andata a prendere un caffè. Però quello che l’aveva stravolta era il fatto che si era spostata come se spazio e tempo non esistessero più. Aveva qualcosa di incredibile sia nell’ascoltare sia se l’avesse raccontato.
“Ti vedo perplessa ..” cominciò Amanda.
“E chi non lo sarebbe!” replicò esterrefatta Alice.
“Se l’andassi a raccontare, sai cosa direbbero? Sei da manicomio! Nessuno potrebbe prestare fede a un racconto del genere!” e si distese sul letto con le mani intrecciate dietro la nuca.
“E tu non le raccontare” replicò sorridente.
Amanda si sedette sul letto accanto alla ragazza e le arruffò i capelli mentre lentamente scemava la tensione che l’aveva quasi paralizzata.
Lesse i pensieri e i dubbi di Alice, mentre lentamente si spegneva nel sonno. La coprì e si addormentò anche lei. La giornata era stata stressante e sentiva la necessità di ricaricarsi fisicamente e psicologicamente.
Il nuovo giorno uggioso e piovoso come nella migliore tradizione londinese le colse ancora addormentate. La prima ad aprire gli occhi fu Amanda che aveva un sonno leggero e percepiva immediatamente la variazione luminosa dell’alba.
Aprì un occhio e poi l’altro stirandosi leggermente mentre consultava l’orologio luminoso sulla parete.
“Sono le sette. E’ ora di levarsi” e silenziosamente scivolò in bagno.
Però qualcosa stonava nella stanza e fece capolino dalla porta. Capì immediatamente il motivo: il letto di Luca era vuoto e non usato. Dunque era rimasto fuori la notte appena trascorsa senza rientrare in Hotel. Si interrogò sulle possibili spiegazioni dell’assenza.
“E’ un atto voluto oppure gli è capitato qualcosa?” si chiese con un filo di apprensione. Non era in grado di conoscerne le cause e quindi di darsi delle risposte plausibili. Le sensazioni non erano negative e questo la rassicurò un po’ mentre terminava di prepararsi.
Alice continuava a dormire serena dopo la lunga sera stressante. I massaggi e le onde cerebrali di Amanda avevano avuto il potere di far scemare la tensione che si era accumulata pericolosamente nella compagna.
“Oggi” si disse “Ricorderà poco o nulla della serata a Clapham Junction. Qualche frammento indistinto, la sensazione di terrore e poco più”. Questo la rassicurava.
Si avvicinò alla postazione PC della stanza e si collegò al sito de The Telegraph per leggere le ultime notizie.
Campeggiava una news sibillina della quale lei conosceva i dettagli «Inquietante episodio a Clapham Junction stanotte.Misteriosa aggressione a due ragazze che non sono state rintracciate e delle quali si sono perse le trace. Scotland Yard sta indagando. Arrestati sei giovani, già noti per atti del genere in passato e che non riescono a giustificare le loro azioni.»
Amanda rise sommessamente e pensò immediatamente alla compagna, che era rimasta stravolta dal racconto degli avvenimenti.
“Non sei l’unica!” disse sommessamente e riprese la lettura dell’articolo on line.
«Ieri sera verso le ventuno una coppia di giovani aveva lanciato l’allarme alla locale stazione di polizia, perché un gruppo di giovani aveva aggredito due ragazze, trascinandole verso il parco. L’aggressione era avvenuta in Winstanley Rd a un centinaio di yard dalla stazione di Clapham Junction in un punto poco illuminato a causa della fitta vegetazione arborea. Altre volte in quel medesimo punto c’erano stati scippi e aggressioni. Molti si erano lamentati richiedendo lo sfoltimento degli alberi. I due giovani erano fermi con la macchina quando hanno visto sei giovani piombare su due ragazze, che camminavano spedite verso la stazione, Tre hanno preso la più piccola mentre gli altri affrontavano la ragazza di corporatura più robusta ..»
Amanda scoppiò in una risata che bloccò immediatamente per non svegliare Alice.
“Grazie Jack e Mary! Se io sono robusta .. “. Un sorriso apparve sul suo volto mentre riprendeva la lettura.
«Tre si diressero subito verso York Gardens trascinando la ragazza che lanciò un urlo che loro non capirono. Forse era straniera e non parlava inglese. I due giovani hanno perso di vista l’altro gruppo e secondo loro anche questo si era diretto al parco. Però la polizia accorsa dopo la loro chiamata di aiuto ha trovato per terra in una zona buia della strada tre ragazzi che si lamentavano come se fossero in pericolo di vita ..».
“Mammolette!” disse sommessamente. “Non li ho sfiorati nemmeno con un dito ..”.
«Hanno affermato di essere stati aggrediti da una persona sconosciuta, una specie di Bruce Lee in gonnella e malmenati furiosamente. L’aspetto inquietante e strano è che portati in ospedale non presentavano tracce di nessun genere, mentre loro continuavano a sostenere il contrario. Non diversa è apparsa la scena degli altri tre ritrovati a York Gardens. Anche loro per terra si lamentavano di essere finiti sotto una macchina. Però pure loro non presentavano ecchimosi o altre tracce di percosse. La polizia li teneva d’occhio da tempo per altre segnalazioni di aggressioni a coppie o ragazze sole. Non sono state credute le loro versioni e sono stati trattenuti nel posto di polizia. Delle due ragazze nessuna traccia come se si fossero volatilizzate. In entrambi posti non sono state trovati segni di lotta o di altro genere. Il misterioso episodio ha destato curiosità e paura tra gli abitanti della zona che interrogati hanno affermato di non aver notato nulla di insolito o aver sentito grida di aiuto.»
Amanda sorrise nuovamente e si sistemò meglio sulla sedia. Alice continuava a sognare a colori dopo lo spavento della sera precedente, mentre di Luca non sapeva nulla.
“E’ grande e vaccinato. E poi non sono mica la balia di tutti. Basta e avanza quello scricciolo di Alice”.
Era immersa in questi pensieri, quando sentì bussare discretamente.
“Chi sarà?” si domandò. “Forse è Luca oppure .. ma, sì. E’ proprio lui lo sento” e si alzò per aprirlo.
“Ciao, Luca” disse sottovoce facendolo entrare. “Ero in pensiero per te ..”
“Beh!” ammise con un sorriso e una beatitudine che lo faceva assomigliare a un grosso gatto dopo aver abbondantemente pasteggiato.
“Beh! a dire il vero io no” ma si pentì subito d’averlo detto.
“Ero rientrato ieri sera ma voi non c’eravate” continuò cercando di riparare alla gaffe di prima. “E sono uscito di nuovo alla ricerca di un ristorante. Però ho fatto un piacevole incontro concluso con una calda nottata” mentì dicendo una mezza verità.
Amanda sorrise ma aveva letto nel pensiero di Luca come erano andate effettivamente le cose.
“Spudorato bugiardo! Non vuoi dire che il piacevole incontro è stato con la mora della reception”.
Però non aggiunse nulla né gli fece capire che aveva visto il film della serata nella mente del ragazzo.
“Spero che la cena e il successivo diversivo siano stati ottimi” replicò ironicamente.
Luca alzò gli occhi al cielo e fece un gesto con la mano indicando che era stato al bacio.
“Noi tra un po’ usciamo e tu cosa fai? Dormi o ci segui?”
Lui ci pensò un attimo e poi concluse che si sarebbe trattenuto nella stanza.
“Il tempo è pessimo. Piove, c’è una leggera nebbiolina e un’umidità pazzesca. No, no, decisamente oggi riposo”.
Amanda sorrise perché in realtà lui sperava di incrociare la mora della reception. Troppa furia ci stava mettendo e rischiava di vanificare tutto quello di positivo che era riuscito a costruire. Non credeva che la ragazza avrebbe accettato il corteggiamento sul posto di lavoro. Era troppo prudente per fare una sciocchezza del genere, perché se voleva poteva eseguire il bis anche questa sera.
“Peggio per lui” concluse silenziosamente.
Mentre Luca si impossessava del bagno, lei si avvicinò a Alice toccandole una spalla per svegliarla.
“Buon giorno! Dormito bene?” chiese con tono delicato.
Lei si stiracchiò come una gatta e diede un bacio sulla guancia a Amanda.
Un’altra giornata stava iniziando.
Amanda 31
Pietro era veramente sorpreso vedendo accanto a lui Arianna e Alice che gli fecero segno di sedersi.
“Provvediamo noi” gli comunicarono. “Tu resta lì a guardarci!”
In un baleno una raccolse tutti resti del banchetto facendoli sparire nei diversi contenitori che parevano incapaci di contenerli. L’altra impilò le stoviglie, che Angelica lavava e asciugava a velocità incredibile, per poi riporle nella credenza.
Lui chiese dove pensavano di mettere tutti quei piatti.
“Non c’è spazio a sufficienza” continuò basito.
“Non è vero. Alla fine tutto sarà riposto in ordine e rimarrà anche dello spazio. Non molto ma sufficiente per altri piatti” rimbeccò Arianna sicura.
Pietro incredulo si avvicinò per osservare meglio e doveva convenire che in effetti era rimasto dello spazio per una altra mezza dozzina.
“Ma come ci siete riuscite?” domandò a entrambe vista la montagna di rifiuti e la pila di stoviglie che avevano manovrato.
“La credenza non mi è mai sembrata enorme e i contenitori dei rifiuti piuttosto piccoli” continuò perplesso. Poteva comprendere che quelli organici finivano nel compostaggio e di conseguenza venivano trasformati subito. Però gli altri rimanevano lì, finché li scaricava in paese ogni due o tre giorni. E lui non ne aveva mai prodotto in quella misura. Non trovava spiegazioni su come tante bottiglie avessero potuto trovare posto in quel angusto spazio. Scosse la testa incredulo.
Però era la credenza che l’aveva sorpreso maggiormente. Osservando il vano aperto, vedeva tutte le stoviglie che prima erano da lavare, collocate all’interno in perfetto ordine. Quello che non riusciva a venirne a capo, era il fatto che non appena spostava la visuale di osservazione sull’esterno, questa tornava nelle proporzioni che era solito vedere.
“Arianna” iniziò con voce bassa per richiamare l’attenzione. “Arianna, non ho mai posseduto tutte queste stoviglie. E poi ho notato che ..”.
“Notato cosa?” chiese la ragazza, che stava riponendo i tegami lavati da Angelica senza distogliere l’attenzione da quello che stava facendo.
“Ho notato che hanno un decoro diverso da quello che abitualmente sono solito vedere”.
Arianna allungò una mano all’interno della credenza, estraendo un piatto e glielo mostrò.
“Quale disegno strano? Una calla gialla vicino al bordo ..” e lo posò sul tavolo.
Pietro era sbigottito. Quello che osservava era il medesimo piatto usato nei giorni precedenti da anni a questa parte.
“Eppure ricordo ..” e le parole si smorzarono nella bocca. Cominciò a pensare che la demenza senile stesse avanzando a grandi passi. Il suo tavolo quadruplicava, quintuplicava in lunghezza per tornare come per magia alle dimensioni originarie. L’interno della credenza pareva appartenere a un altro mobile, tanto era capiente ma l’esterno rimaneva come l’aveva sempre visto. Piatti e tegami crescevano a vista d’occhio per poi tornare ai numeri che conosceva da una vita. Quasi come se entrasse e uscisse da un mondo fatato.
“Che sia quello di Alice?” e rifletté sulla coincidenza del nome. Scosse la testa perché il rompicapo diventava sempre più ingarbugliato.
La ragazza sorrise trattenendo a stento una risata di scherno perché ne osservava le perplessità e lo sbigottimento di fronte a qualcosa di non spiegabile razionalmente.
“Cosa ricordi?” gli chiese modulando la voce nella testa con toni meno irriverenti.
“Cosa? Dei piatti di foggia diversa. Non rotondi ma squadrati con gli angoli smussati, tutti bianchi con un simbolo sconosciuto nel centro. Nero e non colorato. E poi non ne possiedo più di una dozzina. Tu ne hai messi via almeno il triplo!” e come sfinito tacque.
Una leggera risata lo raggiunse mettendolo di cattivo umore.
“Si fanno beffe di me” aggiunse acido.
Arianna corrugò la fronte e cominciò a parlare.
“Perché dici questo? Siamo in un bosco fatato, abitato da ..” ma venne interrotta dalle parole di Pietro.
“Certo che lo so ma finora la realtà non era deformata. Solo tanti piccoli prodigi e alberi parlanti. Ora in questa baita accadono eventi al limite del paranormale.. anzi oltre ogni immaginazione. Incontro ..”
Angelica le prese la mano e gli sfiorò una guancia con le labbra.
“Non sei uscito di senno. Sei lucido e vedi quello che gli altri non vedono” gli disse per calmargli l’agitazione interna.
Lui rimase senza parole. Dunque ragionava che queste tre ragazze sembravano come gli specchi della mitica Alice di Carrol che deformavano la realtà.
“ Osservo quello che loro vogliono che veda. Un esercito di ragazze dai capelli rossi e dai nomi inizianti con A. Un tavolo che cresce a dismisura .. E poi .. e poi cosa? Quale percorso devo iniziare?”
Arianna si avvicinò e gli prese l’altra mano e gli sussurrò nella mente.
“La strada la devi scoprire tu ..” e gli diede un bacio sulle labbra.
Pietro guardò Alice che gli stava di fronte.
“E tu cosa dici?” e rimase muto in attesa delle parole.
Un largo sorriso illuminò il viso della ragazza e disse in maniera enigmatica che un colpo di fortuna è alle porte.
Lui era ancora più stranito perché la storia di Alice di Carrol la ricordava in maniera incerta.
“E dunque lì la chiave per aprire i segreti che da diversi giorni aleggiavano sulla sua testa.
“Quale colpo di fortuna?” e chiuse gli occhi come per pensare.
Amanda 30
Amanda percepiva delle strane sensazioni come se delle forze oscure la minacciassero. Camminava svelta e il ticchettio dei suoi tacchi bassi risuonava secco come una fucilata nella strada deserta. Si fermò un attimo per consentire a Alice di essere nuovamente al suo fianco. Era imprudente che lei rimanesse indietro e isolata perché il posto emanava qualcosa di infido e pericoloso.
“Cosa?” si domandava mentre attendeva l’arrivo della compagna.
Le prese una mano con vigore, tenendola ben stretta a sé. Anche se rallentava la sua comminata, la riteneva al sicuro in questo modo.
“Ti sento tesa” disse a bassa voce la ragazza. “Cosa ti turba? Minacce o il buio ai lati della strada? Con te mi sento sicura”.
“Nulla. Nulla, Alice” e riprese a comminare trascinandosi appresso la compagna.
“Non avverto minacce ma sono solo nervosa perché ho commesso due errori stasera. Il primo entrare in quel pub. Dovevo capirlo subito che era un postaccio. Il secondo prendere un bus senza chiedere dove era diretto. E ora siamo qui che cerchiamo di prendere un treno per Londra Sta tranquilla. Tra pochi istanti siamo nella stazione di .. Cosa ha detto quella donna?” rispose con un tono tranquillizzante.
Alice, che più che camminare quasi volava sfiorando appena il marciapiede, frugò tra i ricordi di questa giornata che sicuramente le sarebbe rimasta impressa per lungo tempo.
“Mi pare ma non sono sicura, che abbia detto Clapham Junction ..”.
Amanda continuava a guardarsi intorno mentre proseguiva il cammino verso la stazione illuminata a giorno, anche se rallentata da Alice.
Seguitava a percepire pericolo ma non aveva tempo per localizzarlo. Il suo obiettivo primario era raggiungere quelle vetrate luminose che parevano un miraggio, una sorta di fata Morgana. Là dentro si sentiva al sicuro, mentre in questi frangenti non lo era.
I lampioni rischiaravano il marciapiede ma rimanevano zone d’ombra pericolose tra un punto luce e l’altro. Era lì che sentiva i maggiori pericoli.. mentre i suoi sensi erano tutti all’erta, le sovvenne i motivi di tanta inquietudine. Ai primi d’agosto questa località era balzata agli onori della cronaca con i reportage sulla rivolta dei giovani in questo quartiere ghetto sull’onda delle banlieue parigine di un anno prima. Ricorda le immagini di auto in fiamme e vetrine infrante e saccheggiate e l’impotenza di Scotland Yard.
“Ecco da dove è scaturito il campanello d’allarme! Solo due mesi fa e qui era tutto in fiamme ..” e mentre questi frammenti di cronaca tornavano a galla, percepì la presenza anomala di un gruppo di persone.
Se fosse stata da sola, avrebbe avuto minori preoccupazioni ma la presenza di Alice la frenava anche perché comprendeva che non poteva muoversi con naturalezza.
“Alice, un ultimo sforzo. Ancora cinquanta passi poi raggiungiamo la stazione” le disse per infonderle coraggio e la spinta a volare in quell’ultimo tratto di strada.
“Mi sembra di udire dei passi dietro di noi. Chi sono?” chiese allarmata la ragazza.
“Non lo so, ma proseguiamo tranquille. Ancora poco e ..”.
Amanda non riuscì a concludere il discorso. Uno strappo e non sentì più la mano di Alice. Si girò e vide un gruppo di ragazzi allontanarsi di corsa. Come una furia si gettò all’inseguimento ma venne bloccata da dietro.
“Fermi” urlò e quelli rimasero immobili e ripartì di corsa, mentre l’altro gruppo era confuso nel buio.
Un ragazzo grosso come un albero tentò di sbarrargli la strada ma si ritrovò disteso per terra dolorante.
“Ragazzi!” urlò da terra “E’ pericolosa! Mi ha messo fuori combattimento. Come non lo so. Non riesco a sollevarmi da terra. Chi mi da una mano?”
Però il resto della banda che aveva assalito Amanda non sembrava in condizioni migliori: non reagiva e rimaneva immobile come se fossero diventate statue di marmo abbattute a terra.
Il ferito venne preso dal terrore. Non avvertiva più la sensibilità delle gambe con dolori fortissimi che lo squassavano in tutto il corpo come se una macchina l’avesse travolto.
Amanda si fermò un attimo per inquadrare dove era finito il gruppo con Alice. Non vedeva altro che buio e udiva solo lamenti in lontananza.
Lanciò un urlo silenzioso e ripartì verso destra. Non erano molto distanti, perché si erano fermati nel parco a circa mezzo miglio da lei.
Alice si dibatteva ma molte mani la tenevano inchiodata sul prato. Cercava di chiamare Amanda ma qualcosa premeva sulla bocca. Avvertiva dita frugare ovunque mentre cresceva la disperazione, sapeva che non aveva scampo. L’avrebbero violentata brutalmente. Il cuore batteva nel petto come impazzito, quando si sentì sollevare di peso. Non capiva cosa stava succedendo. L’unica certezza era che quelle mani che l’avevano violata non le percepiva più. Solo il vento le sferzava la faccia e il seno scoperto.
“Dove sono?” chiese tra stupore e terrore.
“Sto forse volando verso il cielo? Sono morta? Eppure ..”.
“Alice, non preoccuparti stiamo andando verso la stazione”. Era la voce rassicurante di Amanda e questo era un segno positivo.
La ragazza aprì gli occhi ma vedeva i lampioni scorrere velocemente come una pellicola impazzita.
“Amanda, non ti vedo. Sto forse sognando? E quei teppisti?”
Amanda rispose con una risata.
“Però dovresti ricomporti. Non puoi girare col seno scoperto e i jeans abbassati” le disse ridendo.
“Cosa? E come faccio se mi sembra di volare?” replicò un po’ stizzita.
“Forse hai ragione. Ora trovo un luogo appartato e ..”.
“No, no!” urlò impaurita. “Non mi interessa se qualcuno mi vede. Ma mi sistemo sotto la luce del lampione più luminoso”.
Amanda rise di nuovo prima di aggiungere «Come vuoi» e si fermò sui gradini della stazione.
Un gruppo di ragazzi seduto poco distante stavano fumando quando videro le due ragazze fermarsi senza prestare attenzione a come erano arrivate.
“Ehi!” disse uno indicando Alice. “Ma quella è quasi nuda! Dai facciamo delle foto col telefonino e domani le pubblichiamo su Red Tube!” e si avvicinò per riprendere la ragazza che cercava di coprirsi.
Il ragazzo si avvicinò ancora tenendo lo smartphone puntato su loro ma con sorpresa il visore rimaneva bianco.
Si fermò incredulo e rivolgendosi agli amici disse che il telefono era partito, era rimasto senza batterie.
“Sembra morto!” gridò chiedendo l’aiuto degli altri.
“Dai, fatti un’altra canna! Stai vedendo due ragazze che salgono i gradini per entrare in stazione. Ma non sono nude” gli consigliò quello più vicino mentre arrotolava un pizzico di cannabis.
Amanda ridacchiò mentre aiutava Alice a rimettersi in ordine. Ormai erano al sicuro e potevano muoversi con calma. Questi ultimi avvenimenti l’avevano fiaccata e sicuramente non avrebbe resistito a un nuovo assalto. Mettere fuori uso il telefono di quel ragazzo curioso era stato un gioco da ragazzi ma difendersi da un gruppo sarebbe stata una cosa seria senza avere la certezza di riuscirci.
Entrati nell’atrio si diresse verso la vendita dei ticket.
“Due biglietti per Londra” chiese al bigliettaio.
“Quale destinazione?”
“Dobbiamo raggiungere Gloucester Road” aggiunse Amanda.
“Allora Victoria Station. Li con la linea B raggiungete in un attimo la fermata di Gloucester” e le allungò due ticket.
“Grazie” e pagò.
Alice era ancora sconvolta e faticava a rimettere insieme tutti i frammenti della serata, quando udì in lontananza delle sirene che urlavano.
“Amanda, mi devi spiegare quello che è successo stasera. Mi sembra di avere vissuto un incubo, di essere stata la protagonista di brutto film noir. Oppure mi sto sbagliando?”
“Calmati Alice. In treno ti racconterò tutto. Adesso sbrighiamoci. Il nostro treno parte tra due minuti e qui non accettano i tira tardi”.
Raggiunta platform 12, timbrato il ticket di viaggio si sistemarono comodamente sul treno in partenza.
Non c’erano molti passeggeri visto che erano ormai quasi la dieci di sera.
“Chissà cosa sta combinando Luca” cominciò Amanda, rompendo il silenzio.
“Personalmente non mi interessa” replicò Alice che era ancora sotto shock per l’aggressione subita. “Mi interessa conoscere come hai fatto a salvarmi da quei teppisti. Non ho visto nulla ma qualcosa di strano e straordinario è successo”.
“Calmati, calmati ..”.
“Calmarmi? Credo che ce ne vorrà prima di riuscire a ragionare lucidamente. Spiegami bene perché le spiegazioni fumose non le accetto” replico con la voce alterata dalla paura e dalla tensione.
“Come vuoi”. E cominciò a spiegarle che li aveva messi fuori combattimento con le mani.
“Con le mani?” e guardò le mani di Amanda “E con quelle mani hai abbattuto una mezza dozzina di persone? Non vorrai prendermi in giro, spero”.
Alice era irritata e nervosa. L’episodio aveva lasciato un segno tangibile. Voleva conoscere e senza troppi giri di parole. Il treno filava veloce verso il cuore di Londra, ma Amanda cercava di prendere tempo.
“In un certo senso hai ragione. Le mie spiegazioni sono troppo lacunose per convincerti. Dunque..” e cominciò a descrivere come aveva messo fuori uso i tre che l’avevano bloccata.
“Ma come hai fatto a individuarmi nel parco e per di più al buio? Non potevo gridare perché una mano mi chiudeva la bocca. E’ vero che hai gli occhi di un gatto e l’udito fino, ma .. E va bene. Ammettiamo che puoi averli colti di sorpresa, ma volare non mi sembra un qualcosa di normale ..”.
“Non volavi .. semplicemente camminavo molto in fretta ..” abbozzò poco convinta.
“Non volavo? E l’aria che mi sferzava la faccia cos’era?” replico un po’ indispettita Alice.
“Siamo quasi arrivate a Victoria. Prepariamoci a scendere ..”
“Non cambiare discorso!” insistette la ragazza. “Finora hai menato il can per l’aia. Hai parlato senza dire nulla”.
«Victoria Station. Victoria Station» ripeté più volte un voce femminile, mentre il treno rallentava.
Amanda si alzò avviandosi alla porta, seguita da Alice.
“Non sono per nulla soddisfatta. Voglio conoscere la verità”.
“In albergo la conoscerai. Niente di particolare..”
“Sarà, ma a me sembrano tutte cose assurde. Nel chiuso della stanza ti aprirai finalmente”.
E si avviarono a prendere la linea B.
Arrivate all’hotel scoprirono che Luca non c’era.
“Dove sarà finito?” chiese Amanda con un filo di apprensione come se la sua assenza fosse colpa sua.
“Ti ho già detto che non m’interessa quel dandy impomatato. E’ grande e può badare senza problemi a se stesso. Arriverà prima o poi oppure avrà trovato una gonna alla quale aggrapparsi. Ora sono curiosa di conoscere meglio come fai a difenderti dai teppisti”.
Un lungo sospiro aprì la confessione di Amanda.
Amanda 29
Luca arrivò allo Stanhope Arms senza problemi come Annie gli aveva spiegato. Era un tipico pub inglese all’esterno mentre all’interno pareva un locale tutto in legno secondo la tradizione, dove mogano lucidissimo faceva da sfondo ai tavoli del ristorante. Qui era possibile gustare i piatti tradizionali: pesce, bistecche e patatine innaffiate da birra e condite con svariate salse.
Si soffermò a guardare l’esterno dove campeggiava centralmente uno stemma colorato e due grandi cartelli appesi sull’angolo: il menù del giorno e un «great fish & chips». Osservò i tavoli posti sotto i tendoni, dove la gente pensava solo a bere. Tutti occupati. Rimase stupito, perché si aspettava il solito locale di bevitori, mentre dentro pareva un’elegante locale di ristorazione. Scrutò attraverso la vetrina se c’era qualche tavolo libero e varcò la soglia.
Il grande orologio segnava le diciannove e qualche minuto.
“Dunque ancora quattro ore di attesa” disse un po’ sconsolato. Però ormai era entrato e non poteva di certo uscire senza ordinare nulla.
“Mangia o beve solo?” gli chiese una cameriera dai tratti indefiniti che si era parata di fronte a sbarrargli l’ingresso.
“Perché?” domandò curioso.
“Fuori si beve, dentro si mangia” rispose asciutta.
“E se uno vuole bere mangiando, deve uscire?” replicò ironicamente.
“Ah! Ah! No, no!” e mostrò una dentatura da cavallo.
Luca rimase in silenzio per qualche istante prima di ribattere. Non ci pensava minimamente di bere per ingannare l’attesa di quattro ore. L’avrebbero raccolto sotto il tavolo. Però anche mangiare per quattro ore era un po’ troppo. Rischiava una bulimia che l’avrebbe reso impotente per molto tempo. Alla fine affermò che desiderava assaggiare i loro piatti. La ragazza l’accompagnò in un tavolo strategicamente posizionato da dove poteva osservare un tratto di strada illuminata.
Scorse la lista del giorno e optò per un cocktail. Gli pareva una buona soluzione iniziale, perché il pensiero delle quattro ore continuava a martellargli la testa. Si chiese perché non aveva proseguito la passeggiata. Domanda retorica e inutile in quel momento.
“Un Prawn con un calice di sauvignon della Nuova Zelanda” disse sollevando gli occhi.
“E poi?” chiese cortesemente la ragazza fissa di fianco al tavolo con il notes delle ordinazioni che fremeva.
“Poi ci penserò” la liquidò e chiuse la prima ordinazione.
Voleva prendere tempo il più possibile. Però l’impresa gli sembrava ardua, tutta in salita ma provarci non gli costava nulla.
Per ingannare l’attesa cominciò per gioco con l’osservazione dei passanti e di chi aspettava il bus alla fermata vicino all’ingresso. Si divertiva a pronosticarne professione e movimenti. Nessuno sarebbe stato in grado di dirgli quanto ci aveva azzeccato oppure no ma per lui andava bene così come passatempo.
“Ecco il tipico impiegato della City che prende il bus” disse osservando un uomo vestito elegantemente con un impermeabile di Burberry.
“Errato” disse sorridendo. “Prosegue a piedi. Anzi no .. entra nel pub!”. Aveva sbagliato ancora una volta.
Quando arrivò il piatto, questo si presentava in modo accattivante. Era un cocktail classico di gamberoni, lattuga e salsa di frutti di mare, con le fette di pane bloomer al malto. Il vino non era male. Pochi gradi, gradevole al palato ma lontano parente del Franciacorta che beveva a Brescia.
Con misurata lentezza assaporò tutto centellinando il vino. Il tempo non trascorreva mai e sembrava invece andare a ritroso. La cameriera si aggirava impaziente intorno a lui pronta a prendere la prossima ordinazione. Però lui continuava a ignorarla.
“Un altro bicchiere di bianco e un bread and oil” richiese a gran voce per calmarla.
Luca guardava sempre l’orologio appeso alla parete.
“Accidenti, appena le venti! Rischio di finire brillo quando arriva Annie. Questa extracomunitaria mi dà ai nervi. Sembra un avvoltoio pronto a calare sulla preda ancora calda”.
Si sentiva sazio e un tantino allegro. Pareva che l’acqua fosse un bene prezioso, perché la fonte era inaridita. Quando chiese una bottiglia di Perrier, la ragazza lo squadrò male come se avesse bestemmiato in chiesa.
“E’ finita?” domandò con una punta di ironia non troppo sottintesa.
“No, arriva subito. Fresca o naturale?” chiese ignorando la frecciata.
“Fresca, fresca”.
Riguardo l’orologio e quasi sobbalzò perché indicava le ventuno passate.
“Diamine! Il tempo si è messo a correre!”
Ordinò un mega piatto di Roast of the day con patate e vegetali di stagione.
Mentre Luca continuava a mangiare e bere, gli avventori del pub erano mutati almeno tre volte. Si sentiva pieno e assonnato per vino e birra bevuti in gran copia. Voleva spendere poco ma la serata con Annie gli sarebbe costata una piccola fortuna.
Era mezzo boccheggiante, quando ne scorse la figura esile e graziosa che camminava spedita sul marciapiede. Gli sembrava ancora più invitante di come la ricordava. Pensò che gli effetti alcolici gli facessero vedere migliorata l’immagine. Eppure aveva sempre sentito il contrario che l’alcol distorce e annebbia le visioni.
Velocemente questi pensieri sparirono perché dovevano fare posto ad altri più piacevoli.
Si alzò per farla accomodare al tavolo.
“Cosa prendi? Un soft drink o una ale?” le chiese con la voce leggermente impastata.
“Un soft drink. Non sono abituata a bere molto”.
“Due feelgood range con patatine” ordinò alla nuova cameriera che aveva sostituito da mezz’ora la dentona indefinita.
Luca le prese le mani mentre come per incanto si era svegliato facendo svanire i fumi dell’alcol.
“Ti ho ammirato mentre arrivavi. Hai una figura mozzafiato ..” le disse mentre lei si scherniva.
“Chissà come arrossiscono le negre come Annie” pensò già pregustando la notte che si annunciava calda.
Luca continuò con i complimenti galanti, mentre i due drink stazionavano sul tavolo. La passione stava crescendo ma lui si era imposto di non forzare i tempi. Rifletté che aveva un corpo niente male e due occhi splendidi, mobili e luminosi. Le labbra carnose erano rosa e invitavano a essere baciate, mangiate. Si dovette trattenere per non farlo.
Sollevò il bicchiere per una specie di brindisi prima di cominciare a parlare.
“Abiti da sola?” le chiese mentre prendeva dal piatto una patatina.
“No” rispose raggelandolo. “Divido l’appartamento con mia sorella in Ashburn Gardens a mezzo miglio da qui. Una stanza a testa. In comune il resto. Non potrei permettermi una casa tutta per me”.
“E adesso tua sorella è in casa?” chiese con un filo di apprensione, sperando in una risposta negativa.
“No, è rientrata quando Frank, il mio ragazzo, se ne è andato. Lei ora è col suo boyfriend. Le ho lasciato la casa perché possa stare da sola. Facciamo sempre così”.
“Quindi ti tengo compagnia finche il compagno non se ne va?” domandò deluso. Luca era ormai rassegnato a una passeggiata per le strade di Kensington e poi a dormire al Meininger con Amanda e Alice, ammesso che avessero aperto la porta.
“Beh! si e no” rispose Annie con un largo sorriso molto rassicurante. “Se la presenza di mia sorella ti disturba potremmo dormire al Millenium Gloucester. Di sicuro Jack mi trova una stanza..”
Luca riprese fiato e colorito, ma rimase in silenzio valutando la doppia proposta. Passare la notte in una stanza d’albergo con Annie non lo entusiasmava molto ma il pensiero che ci fosse qualcuno in casa, sia pure la sorella, non lo solleticava neppure un po’. Avvertiva con fastidio un senso di disturbo. Prese tempo prima di rispondere.
“A Susie, mia sorella, ho promesso che non sarei rientrata prima di mezzanotte. Dunque ..”
“Pertanto tua sorella sa che tornerai con me e dormirò lì?” chiese dubbioso.
“Sì, ma siamo molto tolleranti su questo. Non formalizziamo se una di noi dorme con un amico ..” rispose sorridente mostrando una dentatura invidiabile.
Luca si sentì sollevato. Molti dubbi erano spazzati via, anche se rimaneva un fastidio latente. Era la prima volta che faceva all’amore sapendo che in casa c’era un familiare e pensò che c’era sempre una prima volta. Era la prima volta che stava con una ragazza di colore, era la prima volta che lo faceva sapendo che nella stanza accanto c’era qualcuno.
Con un cenno chiamò la ragazza per richiedere il conto.
“Se non ti crea problemi, possiamo finire il drink, pagare e fare quattro passi. La serata è fresca ma non piove. Tra dieci minuti il pub chiude e dobbiamo per forza andarcene. Poi dopo mezzanotte è una buona idea rifugiarci nel tuo appartamento. Mi sembra più gradevole e confortevole di una stanza d’albergo anonima..” propose Luca.
Pagato andarono mano nella mano verso Cronwell Rd, chiacchierando come due innamorati. Un vento fresco sferzava i loro visi con un senso di piacevole frescura.
Luca ammirava quel viso dolce dove spiccavano due occhi luminosi ma provava a immaginare quel corpo esile, flessibile come un giunco. Le proporzioni aggraziate con un seno piccolo che si notava leggermente sotto il vestito di tweed di lana, che ricordava i tartan scozzesi la rendevano invitante e seducente. Era impaziente di tenerla fra le braccia e gustare il profumo che il corpo della ragazza emanava.
Ancora una volta provò a immaginarla nuda ma la visione diventava confusa. Così decise di rimandare l’effetto a dopo, nella realtà.
“Senza dubbio deve essere invitante e calda come una gatta in amore” pensava mentre posava le labbra sul collo di Annie.
Un brivido percorse il corpo della ragazza sentendosi sfiorare da Luca e crebbe la voglia di fare all’amore con lui. Percepiva un calore che saliva impetuoso verso la testa tanto che il freddo della serata sembrava mitigato dal caldo del corpo.
“Cosa mi ha sedotto quando l’ho visto la prima volta? Senza dubbio è di una dolcezza senza uguali. Sarà un partner premuroso e bollente. E..” e il desiderio crebbe ancora. Osservò l’orologio ma il tempo pareva fermo.
“Ancora una ventina di minuti devo soffrire. Non posso presentarmi a mezzanotte in punto. Lascio a Susie un margine di mezz’ora. Tanto lei lo sa ..” concluse silenziosamente stringendosi forte a Luca.
Camminarono per Cronwell Rd fino a incrociare Ashburn Gardens, ma era ancora presto.
Luca era impaziente ma non conosceva esattamente dove abitava e quindi affidava la guida a Annie. Girovagarono ancora per un po’ finche la ragazza decisamente non imboccò la via dove abitava. Era quasi mezzanotte e trenta e forse anche di più.
Aveva lasciato un buon margine alla sorella. Pensò soddisfatta. Dunque era tempo di rientrare.
Il portone di casa si chiuse alle loro spalle silenzioso ma in maniera da far comprendere che erano ritornati.
“Siamo noi, Susie” disse a voce alta Annie e velocemente guadagnarono la stanza.
C’era silenzio rotto solo dal ronzio del frigorifero. Pareva disabitata, quando a Luca parve di percepire dei movimenti da dietro una porta chiusa. Rumori indefiniti ma chiari come di qualcuno in ascolto.
“Chi se ne frega della sorella. Annie tra un po’ sei tutta mia!” rifletté in silenzio.
Velocemente si tolsero i vestiti e si infilarono nel letto da una piazza e mezza.
La notte cominciava in quel momento.
Amanda 28
Pietro era appoggiato con la testa sul tavolo e dormiva profondamente, mentre le braccia facevano da cuscino. Un sibilo rauco usciva dalla bocca semisocchiusa come il gracchiare di un corvo.
La tavola era ancora ingombra di piatti e bicchieri e tre sedie vuote erano leggermente scostate. Non c’era nessun’altra presenza oltre la sua. La stanza pareva disabitata come se gli abitanti l’avessero abbandonata in fretta.
Il rumore secco del battente della porta d’ingresso lo fece sobbalzare. Con l’occhio ancora annebbiato dal sonno sollevò la testa alla ricerca dell’origine del frastuono. Non riusciva comprendere perché si trovasse lì e perché la tavola era apparecchiata. L’ultima immagine che conservava era diversa da quella che la sua vista poteva osservare in questo momento.
“Dove sono gli altri commensali? Perché ci sono solo tre sedie vuote?” si chiese a voce alta, mentre a fatica si metteva ritto sulle gambe.
Osservò la mano sinistra che appariva sana, ma nei ricordi era fasciata e dolorante. Toccò il pane che stranamente era ancora caldo, e ne prese un frammento che portò alla bocca. Troppe stranezze erano incomprensibili e troppe discrepanze c’erano coi suoi flashback perché fossero solo il frutto dell’immaginazione. Tre donne erano comparse e tutte con due particolari in comune: i capelli rossi e l’iniziale del nome. Con loro comunicava solo con la mente mentre si prendevano cura di lui.
“Chi sono?” si domandava mentre gustava con piacere quel pezzo scuro e croccante di pane.
“Uhm!” mugugnò mentre lo masticava con cura e con calma.“Deve essere miracoloso, perché mi sento già meglio”.
Immediatamente il pensiero corse a Alice, che ne aveva decantato i poteri.
“Ma chi è in realtà? Perché nella visione ho visto tante ragazze coi capelli rosse, tutte vestite con una tunica bianca fermata appena sotto il seno da una cintura con uno strano fermaglio?”
Però rifletteva ancora una volta su queste strane percezioni, sulle immagini che conservava nella mente: erano il frutto della sua fantasia oppure era una realtà che appariva inverosimile.
Osservò con attenzione il tavolo, che ai suoi occhi era il solito di tutti i giorni, mentre invece nella memoria era impressa una lunga tavolata affollata da tanti visi allegri e capelli rossi. Anche la stanza pur dalle dimensioni generose era quella che da quasi trent’anni frequentava. Eppure nel ricordo visivo sembrava dilatata, senza pareti e adatta a ospitare quella festosa comitiva. Osservò il piatto e gli altri sul tavolo. Nessun simbolo strano era disegnato sul fondo ma solo il consueto decoro. Li conosceva bene, perché erano quelli che utilizzava tutti i giorni da molto tempo. Non li aveva mai cambiati. Facevano parte di lui e della baita.
Più tornava indietro con la mente a quelle immagini straordinarie, più adesso vedeva solo quello che era abituato a maneggiare nella quotidianità. Niente di strano, niente di anomalo, ma solo e semplicemente i normali oggetti che usava da anni. Però qualcosa continuava a frullare incessantemente nella testa, come le pale di un mulino a vento agitate da raffiche impetuose.
“Che cosa era inciso sul fondo dei piatti? Nel mio mi era sembrato di vedere qualcosa che assomigliasse a una ics. Però era come sbilenca. Anche gli altri piatti avevano dei segni come se fossero stati vergati da una mano infantile. Chissà quale significato hanno. Però ora vedo solo i miei piatti col disegno di una calla gialla. Bel mistero! Sembra che queste giornate siano piene di eventi inspiegabili che richiedono una soluzione. Ma chi mi può fornire la chiave di lettura giusta? Credo che dovrò cercarla dentro di me”.
Però non era il solo quesito che continuava a bussare nella sua mente. Era uno dei tanti che meritavano un’indagine e la ricerca di risposte adeguate.
Però doveva eseguire un’operazione, perché quel rumore lo stava distraendo, e, alzandosi dalla sedia, andò a chiudere la porta.
“Chi ha mangiato .. Ma l’ho fatto veramente? Non rammento nulla. Eppure osservando i piatti, sembrerebbe di sì. Chi ha fatto compagnia, a quanto pare, se ne è andato insalutato ospite, lasciandomi piatti da lavare e la baita da sistemare. E poi la cucina come sarà ridotta?” e si avviò lentamente.
Lo spettacolo che si presentava era desolante: pareva che avessero cucinato per un esercito affamato.
“Dunque non eravamo solo in quattro ma .. Ma quanti eravamo in realtà?” si domandò osservando desolato pile di piatti sporchi, tegami coi resti del pranzo, cartacce e residui di cibo in ogni angolo.
Si sedette per fare mente locale da dove iniziare.
“Ma da dove sbucano tutte queste stoviglie? Non mi pare di ricordarne in numero così cospicuo”.
Era intento a riflettere amaramente sulla fatica che lo aspettava, quando udì dei passi che si avvicinavano.
Si voltò verso la porta e vide comparire una donna con una tunica azzurra, legata in cintura con una corda , alla quale era appesa una curiosa B appuntita. Una veste differente da quella dei ricordi.
Il viso gli era sconosciuto e pareva che avesse la sua età.
“Chi sei?” le chiese con cipiglio guerresco, mentre percepiva chiaramente la presenza di altre persone nella sala.
“Non mi riconosci? Sono Angelica. Non fare quella faccia sorpresa. Ci siamo incontrati giorni fa dopo che ti ho medicato la mano sinistra. A proposito come va?”. La prese e l’osservò con cura.
“E’ guarita perfettamente. Dunque Ur può essere cancellato”.
Lui la guardò smarrito, perché parlava una lingua sconosciuta.
“Ah! dimenticavo che possiamo colloquiare solo con la mente” sentì risuonare nella testa.
Continuò a divagare senza dare modo a Pietro di organizzare e preparare una qualsiasi domanda per risolvere tutti i misteri, mentre si guardava intorno, perché la cucina doveva essere rigovernata.
“Siediti mentre io comincio a lavare le stoviglie. Così possiamo chiacchierare un po’ tranquillamente. Dicevo che la mano è guarita perfettamente e posso cancellare il simbolo di Ur” disse mentalmente mentre con gran velocità strofinava, risciacquava e asciugava piatti e bicchieri.
“Ur?” chiese stupito Pietro. “Il simbolo di Ur da cancellare? E da dove? E cosa rappresenta?”.
Un’allegra risata risuonò argentina mentre compariva per incanto una tazza.
“Da qui. Indicava che presto la salute sarebbe stata con te. E la mano è guarita come puoi ben vedere”.
Stava per replicare quando percepì scivolargli accanto due persone.
E un «Oh!» di stupore affiorò sulle labbra.
Amanda 27
Amanda e Alice proseguirono il loro tour per la Londra segreta, ignorando Luca, che avevano abbandonato al suo destino in Trafalgar Square. A piedi, sui rossi bus a due piani, nel tube, il mitico metrò, le due ragazze girarono la città per molte ore, finché stremate si rifugiarono in un pub, a dire il vero non molto raccomandabile, alla ricerca di ristoro.
“Dove siamo finite?” chiese con un filo di voce Alice, guardandosi intorno.
C’erano solo uomini, loro erano le uniche donne del locale. Tutti si voltarono a squadrarle da capo a fondo spogliandole con gli sguardi.
“Non ti preoccupare. Il tempo di un tè e qualche pasticcino e poi filiamo via” rispose Amanda, poco convinta delle sue parole, cercando di rassicurare la compagna. Le scocciava ammettere di avere sbagliato locale e ostentava una falsa sicurezza, che non riusciva a trasmettere con il tono della voce.
“Tè? Pasticcini? Non credo che ne tengano. Vedo solo boccali di birra!” replicò per nulla tranquillizzata, mentre la seguiva al bancone.
“Ho paura!” sussurrò Alice intimorita da quelle occhiate moleste che si posavano su tutte le parti del corpo e soprattutto su alcune in particolare.
Un uomo grezzo con la testa rasta apparve come per magia da sotto il bancone.
“Cosa prendete, mie care fanciulle?” chiese loro con un tono che fece scorrere brividi di paura anche a chi non ne aveva.
“Due tè verdi con qualche pasticcino” rispose asciutta Amanda, pronta a non lasciarsi intimorire dall’espressione sgraziata della voce.
Una risata rozza uscì dalla bocca dell’uomo mostrando una dentatura incompleta e giallastra.
“Due tè?” e rivolgendosi agli altri avventori urlò “Avete sentito, ragazzi?”. Un’altra risata sguaiata risuonò nel locale.
“Forse volevate dire «una pinta di birra rossa». Dico bene, Rossa? Va bene anche per te, Biondina? O preferisci la bionda?” e ammiccò verso una spaurita Alice come se volesse renderla complice dell’espressione inelegante.
Amanda prese la mano di Alice e si girò dirigendosi con passo deciso verso l’uscita. Aveva compreso pienamente l’errore madornale commesso e riteneva opportuno allontanarsi prima che la situazione degenerasse in maniera pericolosa. Si sentiva in colpa verso la compagna per averla trascinata in quel locale. Una cantonata, di certo, per la scelta effettuata senza pensarci troppo nonostante i vari trilli d’avvertimento che aveva percepito.
“Dove credi di andare, Rossa?” disse l’uomo con una voce poco promettente.
Lei proseguì determinata a uscire dal locale senza badare a nessuno, come se loro non fossero mai entrate. Intendeva svanire nel nulla. La stanchezza le aveva giocato un brutto scherzo, ma adesso era sparita come per incanto. Ragionava lucidamente come venirne fuori indenni dal pub, senza dover ricorrere a qualche artifizio.
“Usciamo. Abbiamo sbagliato locale. Grazie per l’accoglienza” rispose con tono garbato ma determinato a far valere le proprie ragioni, mentre poneva la mano sul battente d’ingresso.
“Rossa, mi sembri scortese non accettando di bere un boccale di birra insieme a noi! Dico bene, ragazzi?” e un coro di si fece eco all’ultima esternazione.
Alice si sentì perduta, perché dubitava che sarebbero uscite senza danni dal locale, ammesso che ci fossero riuscite. Le facce erano sempre più vogliose di fare loro la festa senza che nessuno le potesse difendere. Si guardò intorno con crescente timore, avvicinandosi il più possibile a Amanda che invece ostentava sicurezza.
“Da dove ricava la tranquillità di uscire senza graffi dal pub? Le facce non sono per nulla rassicuranti. Quel bestione dietro al banco sembra incitare le persone a saltarci addosso! E io me la faccio sotto!” rifletteva con l’occhio che denunciava paura e sgomento.
“Non ti preoccupare” le rispose Amanda. “Tra un attimo saremmo sulla strada”.
Alice sul momento non fece caso alla rassicurazione ma ragionando si accorse che aveva espresso solo dubbi mentali senza aprire bocca. Stava per dire qualcosa, quando uno strattone la portò fuori dal locale.
“Cammina svelta senza voltarti indietro. Ancora dieci passi e poi siamo alla fermata del bus, che sta arrivando”.
Alice si mise a correre per restare al passo della compagna e quasi incespicò nel tentativo di salire in fretta sul bus.
Nel pub il banconiere era rimasto a bocca aperta, perché non aveva capito come le ragazze fossero riuscite ad aprire la porta che aveva chiuso elettricamente da dove si trovava prima della loro sparizione.
“Ragazzi ..” cominciò con voce tremante che non nascondeva sorpresa e paura.
“Ragazzi, avete visto come la Rossa e la Biondina siano uscite?”
Un coro di no fece eco nel locale, mentre tutti ripresero a bere e giocare con le freccette, fregandosene dei dubbi dell’uomo.
Alice cominciò a fare lunghe respirazioni per calmare l’affanno della corsa e la paura provata nel pub. La mente sembrava intorpidita dalle tossine dell’avventura mentre lei non riusciva a connettere bene i diversi spezzoni degli ultimi avvenimenti.
Poi lentamente quietò il respiro e calmò i battiti del cuore. Stava tornando alla normalità e con essa a ragionare con maggior lucidità.
Due erano i dubbi. Il primo come Amanda avesse letto con chiarezza quello che stava pensando.
“Non ho aperto bocca anche perché la paura mi aveva incollato la lingua al palato. Eppure ha risposto nella maniera corretta ai miei dubbi. Se non legge il pensiero, è un’intuitiva alla ennesima potenza. Poi quel tocco di magia. Sono dentro al locale e un secondo dopo mi ritrovo al di là della porta sulla strada. Come ci sia riuscita non riesco a capacitarmene”.
“Nessuna magia. Semplicemente siamo state svelte ad aprire la porta” replicò asciutta Amanda senza guardarla.
Alice, rimasta a bocca aperta per qualche istante, replicò che le leggeva il pensiero.
“No, no! Mi basta osservare i tuoi occhi e so con esattezza quello che stai pensando”.
E poi rivolgendosi a una donna di colore accanto a loro le domandò dove erano diretti.
“A Clapham Junction” rispose in uno slang molto particolare.
“Clapham Junction? E dove si trova?” chiese Amanda con stupore.
“Non lo so. Io prendo questo bus e arrivo alla stazione di Clapham Junction. Io sono arrivata. Voi non lo so” replicò con un tono che troncava le possibili domande di rincalzo.
Alice si sentì mancare, perché aveva la sensazione di essersi smarrita. Il nome della località non le diceva nulla. I passeggeri del bus non erano quello che si dice «persone rispettabili». Insomma un mix che sembrava riprodurre la situazione del pub.
“Amanda sta commettendo troppi errori per i miei gusti” pensò in un baleno Alice.
“Calma, Alice. La donna ha detto che arriva in una stazione. Ebbene una volta arrivati prendiamo il primo treno per Londra oppure un black cab, il famoso taxi londinese che pare uscito da una cartolina ingiallita” continuò Amanda.
Lei non replicò sperando che questa volta l’intraprendenza della compagna avesse centrato l’obiettivo.
“Clapham Junction Railways” disse una voce gracchiante.
Le due donne si apprestarono a scendere non senza qualche timore visto l’orario.
“Che Dio ce la mandi buona” recitò in silenzio Alice.
“Speriamo di non fare brutti incontri e di riuscire a riportare in albergo Alice sana e salva” replicò Amanda senza esternare con la voce i suoi dubbi.
Con questi pensieri si immersero nella notte senza stelle in un posto sconosciuto che incuteva più di un timore.
Nonostante l’ottima illuminazione entrambe avevano paura neppure troppo velata, mentre percorrevano le poche yard che le dividevano dalla stazione, vista come un rifugio sicuro.
Amanda 26
“Voci? Risate?” si domandò stupito Pietro, fermandosi a un passo dalla soglia della baita.
Quando era uscito per raggiungere il forno, la casa era silenziosa e non abitata da altri all’infuori di lui. Adesso sembrava che ospitasse un gruppo vociante e allegro dal tenore del volume acustico che percepiva.
Era ancora incerto se proseguire entrando o ritornare precipitosamente da Alice, quando comparve Arianna che indossava una tunica bianca fermata sui fianchi da una cintura di corda con degli strani simboli appesi.
“Ti vedo in forma, Pietro” chiosò garrula prendendogli una mano.
“Vieni con me per aiutare Alice a trasportare il pane appena sfornato”.
Lui la seguì o forse fu trascinato dalla grazia della donna. Alice stava riempiendo dei cestelli col pane ancora caldo che fumava leggermente per la temperatura bassa della giornata.
In silenzio afferrarono i cesti di pane che sembravano leggeri come se il contenuto non esistesse. Pietro si stupì e stava per domandare alle due donne perché le pagnotte non pesano più dell’aria circostante.
“E’ pane magico” rispose Alice troncando sul nascere la domanda appena abbozzata nella mente dell’uomo.
“Ah!” fu l’unico commento mentre portava due cesti pieni di pane con irrisoria facilità.
La stanza al piano terra presentava un colpo d’occhio notevole. Un lungo tavolo occupava la parte centrale, contornato da un nugolo di sedie. Una tovaglia ricamata lo ricopriva, scendendo con abbondanza sui lati. Piatti con simboli strani, bicchieri di fogge singolari, posate d’argento facevano bella mostra insieme a bottiglie e altro.
“Da dove spuntano tavoli e sedie? E poi quei piatti che non mi appartengono da dove escono? Chi sono questi misteriosi commensali? Chi festeggiano così allegri?”.
Erano queste solo alcune delle domande che si stava ponendo, osservando come la baita si fosse trasformata in un ristorante. Aveva ancora i due cesti in mano, quando una ragazza dai capelli rossi e dagli occhi blu si alzò da tavola per afferrarne uno dei due.
“Dammene uno perché ti vedo sofferente per la fatica!”
“Sofferente?” esplose con voce dubbiosa alla richiesta della ragazza.
“Sofferente? Assolutamente no! Sono talmente leggere che ne potrei portarne anche una sulle spalle!” rispose quasi basito con un viso beota per la sorpresa.
“Leggera? Non mi pare! Fatico a sollevarla di un centimetro” replicò strisciando la cesta sul pavimento.
“E tu chi sei?” chiese un Pietro sempre più sbalordito dagli avvenimenti degli ultimi giorni.
“Anthea” rispose con un sorriso che mozzava il fiato.
Pietro come folgorato da un fulmine osservò il lungo tavolo, perché gli sembrava smisuratamente enorme rispetto alle dimensioni che ricordava della stanza. Si chiese se era un’illusione ottica oppure se questa si era ingrandita per magia allo scopo di ospitare quella lunga tavolata.
“Immagino che ognuna di voi ..” mentre osservava quella distesa di capelli rossi che pareva un mare intinto nell’inchiostro al tramonto del sole.
“Immagino che tutti i vostri nomi comincino per A ..” e subito fu sommerso da una valanga sonora di presentazione.
“Agata..” “Amina” “Alma” “Angela” “Agnese” “Alessandra” “Astrid” “Aurora” …
Pietro era sempre più meravigliato. Il pane che non era pane e non pesava un briciolo di grammo, la stanza dilatata nello spazio, un numero di donne non piccolo dai capelli rossi e dagli occhi blu o verdi, i nomi che iniziavano tutti per A. Ce ne era anche troppo per lui per non essere stupito e in confusione. Mentre era fermo nel centro della stanza con ancora il cesto del pane in mano, se lo sentì sfilare dolcemente da Anthea che iniziò a decorare la tavola.
“Cosa si festeggia?” domandò rivolgendosi alle ragazze.
“Il tuo compleanno” risposero in coro.
“I mio compleanno?” replicò disorientato.
“Ma il mio compleanno è il 21 luglio e oggi è il 21 settembre ..”
Un coro di no allegro e confuso lo sommerse e lo gettò nell’ angoscia perché gli sembrava di vivere un sogno che a tratti si trasformava in un incubo per quanto mitigato dalla presenza di tante ragazze. Percepì accanto la presenza di qualcuno che con dolcezza gli aveva afferrato la mano e lo stava conducendo a capotavola.
“Vieni. L e domande riservale per dopo”.
“Ma è veramente il 21 luglio?” chiese mentre si accomodava sulla sedia.
“No! Le ragazze si stanno prendendo gioco di te”.
“Dunque cosa si festeggia?” ridomandò con voce ferma.
Una breve risata risuonò prima di udire le parole.
“Il tuo compleanno!”.
Sconsolato Pietro preferì non replicare.
“I misteri sono troppi e le risposte non ci sono. Il mio compleanno? Bah! Pazzesco! Sono passati due mesi..”
Seduto gli pareva che il tavolo si fosse allungato ancora e il numero di donne coi capelli rossi fosse cresciuto.
“Illusione ottica o la febbre mi fa delirare ancora?”
Accanto a lui c’erano quattro posti liberi: due a destra due a sinistra.
“Chi manca ancora?” si domandò.
Una voce risuonò nella mente «Rilassati!».
“Ci provo ma non ci riesco. Mi sembra un sogno oppure è una realtà?” replicò stizzito a quella voce mentre osservava il piatto che presentava uno strano decoro.
“Sembra una runa. Ma cosa significa?” fu l’ultimo pensiero guardando quel simbolo.