Un caldo calore coglie Carletto, cuoco celestiale, nella cucina di casa. Cerca cosciotti di cinghiale da cuocere per Clio che si crogiola con costanza in costume sotto il cielo celeste. Chu-fu-Chu, il cinese, collabora con Carlo nel corso di cucina cantonese, condendo la cernia in crosta col cumino. Colloca in cattedra un candelabro color cinabro, certo di compiacere Carlo.
Aglaja è il romanzo di esordio di una scrittrice che si firma sotto pseudonimo.
È la storia di una giovane, Aglaja, alla ricerca di se stessa per calmare l’inquietudine dell’anima a causa di un grande amore non corrisposto. Un amore che la tormenta da dieci anni e che un imprevedibile caso del destino la fa incrociare di nuovo durante un viaggio di lavoro. Tutto sembra perduto per Aglaja quando una vecchia signora le regala un ciondolo con Iside. È la svolta tanto cercata che imprimerà un cambio radicale nella sua vita.
È un testo che parla all’anima con lunghe riflessioni sull’amore, sull’arte, sulla religione, sulle persone. Riflessioni e pensieri che il lettore può condividere oppure no ma dimostra come la scrittrice conosca bene gli anfratti dell’animo umano che descrive con grande cura e perizia. Così il lettore è trascinato in quel mondo dalla scrittura leggera ma potente della scrittrice. L’arte, filosofia e psicologia si fondono in un tutto unico dando vita a un grande affresco dell’umanità.
Il tono e lo stile narrativo non conosce pause anche nei momenti in cui i protagonisti parlano di se stessi e delle loro pulsioni. Il lettore è stimolato nella lettura dalla scrittura accattivante e matura della scrittrice, appare fluida anche nei momenti più critici del romanzo.
Per chi lo volesse acquistare lo trova su amazon sia in formato cartaceo sia ebook.
Yelling Rose ha scritto parole e musica per auspicare pace e amore contro i tanti conflitti che ci stanno affliggendo.
Riporto la traduzione del post
Ciao a tutti, Ho visto che noi persone comuni abbiamo una sola arma da usare contro le macchine da guerra e l’odio, che ci sta dilaniando. È amore. Sogno che tutto il mondo faccia qualcosa insieme. Potremmo stare fermi per un minuto contemporaneamente nel mondo e cantare qualche melodia. Ne ho scritto uno. Anche se avrò finito il lavoro, lo manderò qui.
L’idea di quella canzone è che il mondo dà così tanto amore al signor Biden che lui si sente malissimo e pensa a qualcosa di diverso dallo sganciare bombe sul mondo. Se mantiene viva questa strategia, lo porterà a una situazione in cui dovrà usare sempre più armi. Ho appena letto che ha chiesto la chiusura di una piattaforma di social media. Non so se questo sia vero, ma il controllo si sta diffondendo nel mondo occidentale come è già successo in Russia.
Se qualche motivo mi impedisce di finire questa canzone, spero che qualcuno di voi la canterà e vi aggiungerà un paio di strofe. Sto per scrivere dell’odio che gli ebrei hanno sperimentato nel mondo e di come quell’odio li tenga sempre all’erta. Quando gli Stati Uniti danno agli ebrei armi invece di forza fisica, il treno dell’odio continua a correre. Questi eventi non saranno adatti all’umanità. Tutte queste sciocchezze ci torneranno in qualche modo, prima o poi, e l’odio è ancora più significativo di quanto lo sia oggi.
Il terzo versetto, se mai arriverò così lontano, dirà che anche gli arabi devono partecipare alla semina dell’amore nei campi umani. Nella Bibbia, Corano e Torah parlano dell’importanza di diffondere l’amore. Non chiedono alle persone di uccidersi, e tuttavia tutte le parti cercano di trovare giustificazione per le loro azioni da questi libri.
e queste sono le parole della canzone scritta da Yelling Rosa
La vita ci dà lo scudo coraggioso
La vita Che vive in ognuno di noi Cerchiamo di essere forti E proteggere Tutti Tu hai scelto Vivere con.
Adesso un potere pazzesco Questo non gli piace Tu sarai quello giusto Chi dona lo spirito Prova ad annullare Le tue decisioni. Loro vogliono Siate i re della terra interpretare gli eroi, Anche tu potresti distruggerli Come se fossero bambole di carta.
Su Caffè Letterario è apparsa da poco l’ottava puntata de Una bambina senza nome, che potete leggere anche qui.
Bea apparve sulla porta di comunicazione tra le due stanze. I lunghi serici capelli neri apparivano aggrovigliati come se una mano diabolica si fosse divertito a intrecciarli. Il viso rosso congestionato per l’ira che covava nel suo interno. Gli occhi spiritati per la vista del diavolo in persona. Vistose chiazze di bagnato lasciavano intravedere il reggiseno a balconcino. Sembrava infuriata. Anzi lo era.
Lorenzo si alzò per andarle incontro. Aveva lo sguardo moscio per averla coinvolta nel bagno di Esme, che seguiva con lo sguardo ferino le sue mosse.
Bea aprì e chiuse più volte la bocca come se fosse stata colta da afasia. Sbatté con violenza le palpebre, ma poi pian piano gli occhi ritornarono alla normalità del misto marrone e verde. Il viso riacquistò il colorito di sempre: quel incarnato leggermente olivastro che le donava fascino. La vista di Lorenzo preoccupato per lei aveva avuto il potere di rasserenarla dopo la lunga lotta con quella ragazza per lavarla e toglierle tutte quelle croste nere di cui il suo corpo era ricoperto.
Lorenzo le baciò le guance mentre la stringeva a sé con affetto. Avvertì delle fitte dolorose nella nuca. “Di certo è Esme che non gradisce le mie effusioni a Bea. Lei non è nulla per me ma Bea invece sì. È la moglie del mio miglior amico”. Poi la condusse sull’ottomana accanto a lui, tenendole la mano. Percepiva che si era calmata.
Esme lanciò occhiate assassine verso Lorenzo e Bea e il giallo dell’iride diventò ancor più luminoso come se si fosse incendiato. Era nel centro della stanza e sembrava cresciuta ancora.
«Non voleva farsi toccare da me!» affermò Bea con un tono leggermente stridulo della voce. «Nella reazione scomposta della ragazza è uscita dalla vasca un bel po’ di acqua! Un macello! Il tuo bagno sembra un campo di battaglia allagato! Giuro che non ho capito il motivo».
Lorenzo sorrise, stringendole le spalle. “Adesso viene il bello. Provare quello che ho comprato”. Affidare il compito a Bea non ci pensava per nulla. Doveva farlo lui. Dalle due borse tolse gli acquisti.
Bea scoppiò a ridere. «Pensi che quelle mutandine possano andarle bene?» E osservò quell’indumento adatto più a una bambola che alla ragazza ben sviluppata che stava ritta di fronte a loro. Si alzò di scatto e scomparve alla loro vista.
Esme con un sorriso sicuro si avvicinò a Lorenzo che con garbo la allontanò per farle comprendere che non desiderava troppa intimità tra loro. Fece un passo indietro con gli occhi velati di delusione.
Lui cercò di rimettere insieme i pezzi della giornata iniziata con l’incontro con Esme. Però sembrava che procedesse male. I commenti acidi dei clienti di Samuele, gli acquisti inutili dalla Giannina e guardò scoraggiato quello che era ammucchiato in disordine sull’ottomana. Alzò gli occhi verso la ragazza e poi li abbassò sui vestiti. Scosse il capo. Non c’era nulla che fosse indossabile.
Esme con fare civettuolo allentò il telo mostrando la coscia fino all’inguine. Una ciocca di capelli neri e umidi fece capolino dal turbante. Sperava di smuovere Lorenzo ma lui finse di non vedere nulla. Lui si sistemò sull’ottomana ed ebbe un lampo. “Questo devo riportarlo indietro e prendere qualcosa di più adatto. Ma quale taglia?” Scrutò la figura della ragazza ferma sul centro della stanza e deglutì. “Sì, è cresciuta ancora! Il seno appare sodo e fatica a restare dentro il telo. Vicino a Bea è alta quanto lei”.
Esme aveva lo sguardo deluso, perché non era riuscita a smuoverlo dal suo rifiuto di avvicinarsi. Quella donna le era antipatica ed era stata costretta a sentire le sue manacce sulla pelle.
La mente di Lorenzo lavorava a pieno regime, perché si trovava in una situazione ancor più delicata da quando erano saliti nelle sue stanze. Se l’acquisto di nuovi vestiti poteva rappresentare una questione marginale, la notte invece era oggettivamente un grosso problema. “Di certo non può rimanere qui oppure sono io a traslocare. Se una stanza del bed and breakfast è libera, potrebbe essere una soluzione soddisfacente. Ma se non ci fosse?” Scosse la testa e socchiuse gli occhi ma li riaprì subito Esme era vicinissima e lui sentiva il suo alito caldo sul viso. Si spostò bruscamente e con il braccio le comandò di tornare al suo posto. Il telo era quasi tutto discinto e lasciava intravvedere il corpo nudo.
Lorenzo si alzò e rimise nelle due borse gli acquisti alla rinfusa. Doveva tornare dalla Giannina per comprare altri capi, ma rimase a bocca aperta con gli occhi sgranati per la sorpresa sulla soglia dell’ingresso.
Elena Andreotti scrive le sue storie con cura e garbo e anche questa sua nuova fatica non tradisce le attese. Dopo i personaggi di Debora Nardi, l’avvocato M.T. Smithson, Fil Vanz, Virginia Saint Martin compare un nuovo protagonista, Zaccaria Fiore, che è tratteggiato come una persona normale che si trova coinvolto in un caso suo malgrado. In un certo senso è più affine a Debora Nardi per estrazione culturale che agli altri più avvezzi alle indagini. Zaccaria è un medico stimato e noto. Quando una paziente ricoverata nel suo reparto muore in circostanze misteriose, sembra che il mondo gli sia crollato addosso. Tuttavia viene a capo di quella morte con intelligenza e razionalità, usando la sua conoscenza dell’anima umana.
Leggendo “Leggere Lolita a Teheran” di Nazar Nafisi mi sono imbattuto in questa raccolta di gialli polizieschi che è stata esaminata e valutata dalla scrittrice e le sue allieve. Mosso da curiosità l’ho comprato, perché di Dashiell Hammett avevo letto molti anni fa “Il falcone maltese“, che fu portato sul grande schermo con la superba interpretazione di Humphrey Bogart nel ruolo del detective Sam Spade.
In questi giorni ho finito di leggere Contintal OP volume 1 di Dashiell Hammett, una voluminosa raccolta dei racconti scritti per la rivista Black Mask tra 1923 e 1930. Sono ventotto racconti più una storia incompleta. “Black Mask” è stato all’epoca il faro delle riviste pulp e Hammett lo scrittore che ha ispirato le prime storie “hard-boiled”.
Forse come autore è meno famoso di Raymond Chandler e del suo detective Philip Marlowe, che è comunemente associato a questa tipologia di romanzi polizieschi.
Un piccolo inciso per spiegare i due termini hard-boiled e pulp. Hard-boiled, intraducibile in italiano, è la storia di un detective che bada al sodo, che lavora da solo e con mezzi non convenzionali. Pulp sono quelle riviste che pubblicano i racconti hard-boiled.
Adesso parliamo di questa raccolta, piuttosto corposa.
OP è un agente dell’agenzia Continental, senza volto e senza nome, personaggio cinico e stanco, ma non disumano né del tutto invulnerabile. Si basa sulle esperienze personali nell’agenzia Pinkerton dello stesso scrittore. Un detective completamente diverso da quelli che eseguono le indagini secondo le tecniche deduttive, come Philo Vance di Van Dine oppure Ellery Queen dell’omonimo autore.
OP può sembrare a un lettore del ventiduesimo secolo un personaggio fuori dalla realtà. Invece rappresenta una persona reale con tutte le ambiguità morali tipiche del periodo in cui sono ambientate le storie. Può apparire strano che OP indichi la strategia alla polizia, patteggi con i criminali le condanne o le fughe. Insomma sembra sostituirsi al giudice o al poliziotto. Però tutto questo descrive la realtà degli anni venti del secolo scorso. Il grande pregio di questa raccolta è la scrittura semplice ma efficace di Hammett che senza troppi fronzoli narra le sue storie, complice anche il limite imposto dalla rivista Black Mask. Leggendo i vari racconti il lettore si immerge nell’atmosfera del periodo, vede i personaggi e gli ambienti descritti con puntiglio così da essere l’ombra di OP.
Prosegue la storia Di Lorenzo e della bambina raccolta per strada. La trovate su Caffè Letterario e anche qui.
Secondo Samuele l’edificio, che ospitava la trattoria, era del quindicesimo secolo quando Monteacuto delle Alpi era un importante snodo di passaggio tra Bologna e Pistoia.
Per Lorenzo invece era più recente e avrebbe avuto circa trecento anni. Duecento in meno. «Una bella età comunque» dichiarava, «e li porta bene!» E non aveva cambiato idea nemmeno quando durante i lavori di ristrutturazione erano state trovate tracce di un incendio nella parte superiore del sottotetto.
Samuele un paio di anni dopo aver preso la residenza decise che era venuto il momento di rendere l’edificio più moderno e sicuro. Chiese l’aiuto di Lorenzo, che era tornato da Milano piuttosto ammosciato, per ristrutturare l’intero complesso formato da un corpo principale e una struttura secondaria accostata sul retro.
L’edificio di forma rettangolare con il lato più lungo si affacciava davanti su un ampio spazio suddiviso in due parti: una tenuta a prato e l’altra a parcheggio per i clienti della trattoria. Sul retro stava addossata una struttura più bassa che sembrava più vecchia del corpo principale. Lorenzo ipotizzò che fosse il nucleo originale della struttura, dove i viandanti diretti a Pistoia potevano sostare con le loro cavalcature. Le due ampie rimesse assomigliavano molto a scuderie, mentre sopra stavano delle stanze che il nonno Checco aveva strutturato in appartamento per Eleni e sua figlia. Dopo questo intervento la parte superiore aveva perso la struttura originale.
Visto che Beatrix avrebbe traslocato da Samuele, decisero di trasformarlo in un bed and breakfast, mentre una delle due rimesse era diventata un mini appartamento per aumentare la capienza e valorizzare l’intero complesso.
Come in tutte le vecchie dimore, la soffitta era il posto dove dormiva la servitù. La vecchia scala ripida e scomoda venne sostituita con una più comoda a chiocciola. La soffitta venne suddivisa in due parti. Una avrebbe funto da ripostiglio e l’altra parte sarebbe stata destinata a Lorenzo.
Arrivati nel sottotetto c’era un disimpegno disadorno, che prendeva luce da una piccola finestra a lato. Qui si aprivano due porte. Quella di destra conduceva al minuscolo appartamento occupato da Lorenzo, mentre sulla sinistra si accedeva al ripostiglio vero e proprio.
Lorenzo entrò con la ragazza in una stanza che fungeva da salotto o angolo relax. Una vecchia ottomana di cotone color écru a disegni floreali era addossata alla parete con un tavolino rotondo di ciliegio alla sua sinistra. A sinistra una minuscola libreria in legno laccato nero e sulla destra un mobile basso in radica. A completare l’arredo un tavolino con sopra un televisore. Era mobilio restaurato, in parte recuperato dal vecchio sottotetto. Due velux filtravano la luce per illuminare la stanza.
Lorenzo proseguì nella seconda stanza, arredata in modo minimale. Un letto matrimoniale in ferro battuto con testiere laccate a simboli floreali. Un comodino col piano di marmo accanto. Un armadio di ciliegio verde chiaro e una cassettiera bassa completavano gli arredi. Tre minuscole finestre e due velux la rendevano luminosa.
La ragazza lo seguiva docile. Si lasciò condurre nel bagno, dotato di una vasca con seduta e di una comoda doccia oltre agli altri sanitari. L’ambiente era abbastanza spazioso e un velux consentiva di arearlo e dare luce.
Lorenzo rimuginava che doveva dare un nome a questa fanciulla. «Visto che non vuoi dirmi come ti chiami. Per me e per gli altri sarai Esmeralda. Dunque ti chiamerò Esme per semplificare il nome».
Per un attimo lei sollevò il viso e lo guardò negli occhi come per confermare che avrebbe risposto a questo nome.
Da un armadietto bianco estrasse due teli da bagno e un paio di salviette, un guanto di juta grezza e due ciabatte di spugna.
Aperto il rubinetto dell’acqua calda riempì la vasca. La saggiò con un gomito come si fa per i bambini, vi versò senza economie dei sali profumati e invitò Esme a togliersi il sacco che indossava da quando l’aveva raccolta alla Fonte Vecchia.
Lei rimase immobile nel centro del bagno. Lorenzo sbuffò innervosito e mormorò «Fa resistenza passiva».
Stizzito afferrò dal basso il sacco e con un colpo deciso glielo tolse. Lei rimase nuda come aveva ipotizzato ma senza dare segni d’imbarazzo. Lorenzo distolse lo sguardo da quelle nudità, anche perché nel basso ventre appariva una leggera peluria nera e il seno era appena pronunciato. Con l’indice dalla mano la invitò a entrare nella vasca che emanava un impercettibile vapore profumato alle rose.
Non dovette forzarla perché di sua spontanea volontà si immerse nell’acqua, che al contatto col suo corpo si intorbidì subito.
Adesso veniva la parte più imbarazzante: sfregare con vigore il sapone sulla sua pelle compresi i genitali e il seno. Era la prima volta che lo faceva con una donna e si percepiva il suo disagio nell’adempiere a questa azione.
Un tocco delicato sulla spalla lo fece voltare. Un sorriso gli spianò le rughe dalla fronte. Aveva di fronte Bea sorridente e ironica. Le lasciò sollevato il guanto insaponato senza troppo dispiacere.
Seduto pensoso sull’ottomana Lorenzo, sorreggeva la testa sul palmo della mano appoggiata sulla sponda. Non sentiva nulla, il tempo volava e lui tremò per Bea. “Quella ragazza sembra diabolica e per nulla umana” e ricordò l’esclamazione di Otello. Abbassò leggermente le palpebre corrugando la fronte.
Quando comparve Esme avvolta in un telo bianco che lasciava scoperte due gambe snelle e slanciate e la parte superiore del petto, si raddrizzò. Un turbante azzurro avvolgeva la testa, mettendo in risalto gli occhi gialli che splendevano come oro zecchino.
Con lo sguardo la fissò come non era mai accaduto da quando l’aveva raccolta. Lorenzo sobbalzò a quella vista, ma si ricompose avvertendo fastidio per le occhiate insistenti che Esme gli lanciava.
Aspettò impaziente che comparisse Bea che tardava a mostrarsi. “Che le sia capitato qualcosa di spiacevole?”
Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la sesta parte del racconto La bambina senza nome.
Per i pigri la ripubblico anche qui.
Buona lettura.
Samuele e Lorenzo avevano la stessa età: trentasei anni e si conoscevano da trenta. Avevano percorso insieme l’intero iter scolastico dalle elementari alla laurea, che conseguirono lo stesso giorno. Poi le loro strade si erano divise. Samuele era salito in montagna, Lorenzo aveva tentato la fortuna a Milano senza molto successo. Però anni dopo si sono di nuovo incrociate.
Checco, il nonno di Samuele, aveva gestito fino al 2006 la trattoria. Era frequentata d’estate dai turisti di Corno alle Scale e d’inverno dai pochi abitanti del borgo. In quel periodo era diversa dallo stato attuale. Giù alla buona con arredi rustici, che necessitavano di essere sistemati, e coi muri perimetrali scrostati, che mostravano mattoni rossi e blocchi di pietra anneriti dal tempo. Nel dicembre del 1991 Checco aveva accolto una profuga, Eleni, e sua figlia, Benkhuse, in fuga dall’Albania come altri sventurati sbarcati a Bari dal mercantile Vlora. Il nonno era rimasto vedovo l’anno precedente e l’arrivo di questa donna era stato per lui provvidenziale. Oltre a essere una bravissima cuoca Eleni gli aveva scaldato il letto per oltre quindici anni, finché non era passato a miglior vita.
Alla sua morte Samuele non aveva avuto nessuna intenzione di subentrargli nella gestione della trattoria, né aveva pensato di cederla. Con Lorenzo aveva progettato dopo il conseguimento della laurea in Ingegneria di andare a Londra e girare il mondo. Affidò a Eleni la guida della Trattoria del Duca, lasciandole mano libera sia nella conduzione del locale sia nella gestione dello stabile senza pretendere un centesimo ricavato dai proventi. Eleni affittò in estate e in inverno il suo appartamento, nella parte posteriore dell’edificio, a famiglie per le vacanze estive o invernali. Per circa cinque anni lei aveva guidato con abile mano la trattoria, fino a quando una brevissima malattia non l’aveva ricongiunta a Checco. Samuele, nonostante la fresca laurea in ingegneria e i grandi progetti per sfruttarla, scelse di salire a Monteacuto delle Alpi per prendere possesso dell’eredità, iniziando la sua attività di oste.
Di fianco al bancone della sala c’erano due porte su cui si notava in quella di sinistra una mano, che intimava l’alt e proibiva l’ingresso, e nell’altra i disegni stilizzati di un uomo e una donna. La prima portava nell’appartamento privato di Samuele, la seconda era quella dei servizi.
Lorenzo, tenendo per mano la bambina, anzi la ragazza, aprì la porta di sinistra e si trovò immerso nella penombra. A tentoni cercò l’interruttore della luce. Conosceva quella parte dell’edificio, perché spesso ne era stato ospite. Anzi nella zona di mansarda aveva un paio di stanze tutte per lui.
A passo spedito si avviò per la scala in mattoni che portava al primo piano. La foto del nonno di Samuele campeggiava, appesa al muro. Un viso dall’aspetto bonario e sorridente con due baffoni alla Francesco Giuseppe.
Nel corridoio, che conduceva alla scala per salire in mansarda, Lorenzo incontrò Bea, come chiamava la moglie di Samuele, e l’abbracciò con calore.
Lei era la figlia di Eleni, che Checco aveva accolta quando aveva due anni con l’arrivo della madre. Per lui era una figlia adottiva e come tale l’aveva sempre trattata. La chiamò Beatrix, perché il suo nome per lui era impronunciabile.
Lorenzo ricordò di averla vista la prima volta ai funerali di Checco. L’aveva notata accanto a una donna vestita di nero con un fazzoletto che le fasciava la testa come molte mussulmane. Lui stava dietro l’amico ma quella ragazza, a cui non dava più di quindici o sedici anni, ogni tanto si girava verso di loro. Ignorava chi fosse e per quali motivi si trovava lì.
Lorenzo era stato curioso di scoprire chi fosse. Samuele non gli aveva mai confidato che ci fosse anche una ragazza nella casa del nonno. Aveva sentito accennare alla presenza di una donna albanese e basta. Al termine della funzione la curiosità aveva avuto il sopravento e si era informato chi fosse quella fanciulla dai capelli lunghi e neri che incorniciavano un viso ovale con un incarnato leggermente abbronzato. Samuele gli aveva spiegato che era la figlia della compagna di Checco e l’aveva conosciuta una dozzina di anni prima, quando passava le vacanze estive qui a Monteacuto delle Alpi da bambino. Si chiamava Beatrix e aveva quattro anni di meno di loro. Durante i suoi soggiorni l’aveva ritenuta troppo infantile e piccola per giocare con lei e quindi l’aveva ignorata. Poi a quattordici anni aveva smesso di venire dal nonno e l’aveva persa di vista. Era stato il testimone di nozze di Bea e Samuele. Aveva presente il suo viso radioso e come fosse una bellissima coppia. Lui alto un metro e novanta e lei poco più bassa. Un metro e settantacinque. Quella era stata la seconda occasione per vederla. Poi le opportunità d’incontrarla divennero più numerose, perché Samuele si faceva aiutare da lui per qualche piccolo o grande guaio o per sfruttare la professione di Lorenzo.
Lui guardò Bea che sembrava non invecchiare mai. La pelle del viso liscia. Solo qualche impercettibile ruga sulla fronte. Però erano quegli occhi misti marrone e verdi che l’avevano affascinato allora come adesso.
Bea arricciò il suo naso dritto e guardò con un misto di disgusto chi stava accanto a Lorenzo.
«Chi è?»
La domanda non lo colse di sorpresa. Ricordava l’accoglienza ricevuta nella sala e i commenti acidi. L’odore che la fanciulla emanava non era un olezzo di pulito e il sacco che la infagottava non aiutava a vederla di buon occhio.
«L’ho raccolta alla Fonte Vecchia che camminava sulla provinciale» spiegò con un sorriso forzato. «Ha bisogno di fare una bella vasca per provare i vestiti che ho comprato» e alzò le due borse che aveva posato per terra, quando l’aveva abbracciata.
La ragazza teneva lo sguardo rivolto verso terra in silenzio.
Bea fece un passo avanti e con la sinistra tentò invano di sollevare il viso. «E chi la dovrebbe lavare?» Chiese con un tono caustico a indicare la sua indisponibilità.
Il sorriso morì sulle labbra di Lorenzo al pensiero che fosse lui a occuparsene. Aveva sperato che come donna fosse disposta a farle il bagno. Lui si sentiva imbarazzato a doverle strofinare il corpo. Non l’aveva mai fatto a una donna e neppure a una adolescente.
«Ma almeno sai come si chiama, da dove viene?» Incalzò con tono inquisitorio Beatrix.
Lorenzo deglutì in modo rumoroso. Non l’aveva mai percepita così ostile. Scosse solo la testa per negare di conoscere le risposte. Non poteva inventarsi qualcosa per rabbonirla.
Beatrix strinse gli occhi e corrugò la fronte. Avrebbe voluto replicare con ironia ma si limitò a un laconico «buona fortuna» e girò i tacchi per rientrare nella sua stanza.
A Lorenzo non rimaneva altro che portarla nel alloggio che occupava quando soggiornava lì.
Aggiornamento al post di lunedì. Ecco il mio lipogramma per Luisa.
“Cari amici, venite a me in santa pace!”
Questi semplici lemmi stampigliati sul limitare della casa, appesi nella parte centrale del battente.
Luigi li legge e ride. «Santa pace?»
Carla gli rimprovera di essere infantile. «Devi amare la pace insieme agli altri. Basta guerre! Ama i vicini».
Lui abbassa la faccia e chiede venia. «Sì, si deve amare chi sta nelle tue vicinanze!»
Abbraccia Carla e canticchia allegramente. «Serenità per tutti!»
Ha ragione Carla. Basta guerre!
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