“Dunque Natalia è sparita all’improvviso” si disse Daniele, che si muoveva per la stanza in modo irrequieto.
Il suo sguardo vagava sulla libreria, soffermandosi su quello che stava sulle mensole. Sorrise, pensando che era davvero disordinata. Libri sistemati casualmente. Alcuni in piedi, altri appoggiati a mostrare il dorso. Polvere che brillava in controluce. Poi i suoi occhi tornarono su Natalina, che era sul divano con le mani appoggiate sulle cosce. Pareva serena, per nulla preoccupata.
«Non capisco» sussurrò Daniele, che si era fermato innanzi a lei. «Non capisco proprio nulla di questa storia. Forse se cominciamo dall’inizio, avrò le idee più chiare».
Natalina si strinse nelle spalle, come se tutto questo non la riguardasse. «Vieni» sospirò la ragazza, allungando un braccio per afferrare la mano di Daniele. «Siediti. Qui accanto a me».
Lui si accomodò sul divano accanto a Natalina. La guardò fisso negli occhi e aspettò che cominciasse a parlare. Doveva spiegare molte cose. Il mistero di Natalia, la presenza dei due sudamericani, i collegamenti con la signora bionda e la ragazzina al seguito. A dipanare tutte le questioni avrebbero fatto notte con l’intermezzo del pranzo. Questo a dir poco.
«Una storia lunga. Vecchia di molti anni» iniziò la ragazza, tenendo le sue mani tra le sue. «Risale al tempo in cui Sara partì per Venezia. Una partenza senza arrivederci ma con molti rimpianti…».
«Ricordo bene quel giorno» interruppe Daniele la narrazione di Natalina. Un groppo alla gola lo colse, impedendogli di proseguire.
«Natalia la seguì» precisò la ragazza, come se il discorso non fosse stato interrotto dalla sua esternazione. «Erano amiche intime. Dove andava l’una, c’era anche l’altra. Io le seguivo come un cucciolo fedele. Però quella volta io rimasi a Roma. Avrei voluto seguirle ma ero troppo giovane per farlo. Sentivo mia sorella tutti i giorni. Lunghe telefonate e tanta nostalgia. Mi raccontava le sue giornate e quelle di Sara».
«Allora saprai di Lisa» balzò in piedi Daniele.
Natalina lo guardò con occhio stranito, come se qualcuno avesse bestemmiato in chiesa. «Lisa?» domandò, allargando i suoi occhioni nocciola. «Chi sarebbe Lisa?»
Daniele si sedette di nuovo accanto a lei. Ancora una volta non riusciva a ottenere notizie sulla fantomatica figlia. “Che sia solo il frutto di una mia fantasia morbosa?” si chiese, ben sapendo che non avrebbe trovato risposta.
«Nulla» replicò Daniele con occhio deluso. «Una mia fantasia. Un sogno ricorrente. Un desiderio inespresso».
«Natalia si confidò con me» riprese la narrazione Natalina. «Si era innamorata di un uomo. Molto più vecchio di lei. Una persona ricca. Viveva in una villa cinquecentesca sulla riviera del Brenta».
Daniele si irrigidì. Qualcosa non tornava. Corrugò la fronte. Sara era rimasta via circa tredici anni. Natalia molto meno. Con precisione non lo ricordava. Sapeva solo che non aveva seguito Sara in Germania. “Che relazione c’è tra quello che sta raccontando Natali’ e la sparizione di Natalia?” si domandò Daniele. Un altro pensiero si affacciò nella sua mente. Felice Maniero, faccia d’angelo. Il mitico criminale della mala del Brenta. Daniele lo scacciò quasi subito. Non poteva immaginare Natalia tra le braccia di questa persona.”No, non può essere!” si disse, scuotendo il capo.
«Insomma una concubina di lusso» sbottò Daniele, che non era riuscito a reprimere le parole e a frenare la lingua. Si pentì subito della sua affermazione ma ormai l’aveva detto.
Natalina lo guardò col viso accigliato e lo sguardo torvo. Stava dando della mantenuta a sua sorella. Se non di peggio.
«Che dici!» sibilò Natalina con gli occhi ridotti a fessura. «Era vero amore! E non mercenario!»
Daniele fece una faccia contrita, da autentico attore drammatico. Lui di solito misurato nelle parole, questa volta aveva smesso il suo aplomb, lasciandosi sfuggire una frase oltraggiosa. Stava per scusarsi, se le scuse avessero una valenza per calmare le acque, diventate tempestose, quando il trillo del campanello annunciò l’arrivo del pranzo.
Daniele si alzò per aprire il ragazzo e pagarlo. Avvertì che l’aria era diventata calda e il clima era mutato.
Di malumore Natalina seguì il padrone di casa in cucina, dove avevano apparecchiato il tavolo. Niente tovaglia ma un set all’americana in tinta. Piatti di porcellana bianca che spiccavano sul blu della tovaglietta. Daniele stappò il vino che versò nei calici colorati. Avrebbe voluto fare un brindisi per il ritorno di Natalina ma ritenne opportuno soprassedere. C’era poco da brindare dopo la sua uscita infelice su Natalia.
Le vivande erano quasi fredde. Daniele le infilò nel forno a colonna per riscaldarle. La pasta fredda non gli era mai piaciuta. Si appoggiò con un gomito sul piano di lavoro. Doveva trovare il modo per ricucire lo strappo.
Natalina scura in volto era seduta al tavolo. “Si vede che manca la presenza femminile” si disse per calmare il nervosismo, causato dalla battuta infelice di Daniele. Avrebbe voluto alzarsi e andarsene. Però le serviva il suo aiuto, se voleva rintracciare la sorella. Solo Daniele sarebbe stato in grado di farlo. Non comprendeva in base a quale elemento lo riteneva capace ma intuiva che era così.
Prese il calice e lo agitò con dolcezza, come fanno i sommelier per degustarlo. Lo depose con delicatezza davanti a lei. La mano tremava ancora per l’ira repressa. Daniele aveva il viso addolorato. Almeno era quello che lei gli leggeva sul volto. Le labbra stirate e chiuse. Gli occhi con un velo di autentico rammarico. Avrebbe voluto alzarsi per abbracciarlo e dirgli “La tua è stata una battuta pesante ma non è il tuo pensiero” ma si trattenne. Non era ancora il momento. Si concentrò sulla stanza che necessitava di essere sistemata. Niente di particolare. Quel tegame che spuntava dallo scolapiatti andava lavato e sistemato nel mobile. La caffettiera aveva bisogno di essere pulita a fondo. I residui di tanti caffè l’avevano resa quasi nera.
«È pronto il pranzo» annunciò Daniele con voce appena percettibile.
Aveva appena diviso il primo in due porzioni, quando il trillo del campanello li fece sobbalzare.
«Chi sarà?» domandò Daniele, che pensò subito a quelle due coppie che li avevano seguiti dall’aeroporto. Un’associazione istintiva ma poco plausibile. Vedeva troppe fiction televisive. Calmò il tumulto interno e guardò Natalina come a chiederle cosa fare.
«Vai al citofono» suggerì Natalina per nulla impensierita da quella intrusione. «Così lo saprai».
Lo sentì confabulare, mentre con la forchetta pasticciava con gli spaghetti. Udì alla fine “Sali” senza capire chi fosse. Di certo non era un estraneo.
Daniele rimase accanto alla porta, finché non spunto la chioma riccioluta di Sara. “Sembra che abbia il radar” sospirò Natalina, facendo il viso di circostanza. Anche se si erano riavvicinate, tra loro non correva buon sangue. Si sopportavano a malapena. Per Natalia, se fosse servito, avrebbe ingoiato anche le frecciate più pungenti di Sara. Rimase seduta. Tanto bastava Daniele ad accoglierla.
«Ciao» disse Daniele, baciandola sulle guance.
Natalina fece una smorfia di disgusto e subito dopo un sorriso di circostanza. «Ciao» fece anche lei, accennando ad alzarsi.
Sara rispose con un cenno del capo. Mostrava in viso il suo disappunto per la presenza di Natalina. Il sorriso era morto sulle labbra. Gli occhi cercarono il volto di Daniele.
«State mangiando?» chiosò ironica Sara, come se non fosse chiaro dai piatti in tavola.
«Metto un altro coperto per te?» domandò cortese Daniele, mentre Natalina si stringeva nelle spalle. Doveva controllarsi e fare buon viso a cattiva sorte.
Sara scosse il capo in segno di diniego. «Però un bicchiere di vino lo bevo volentieri» disse, prendo una sedia per sedersi.
«Sei tornata, Natalina?» fece Sara, sapendo che era una domanda oziosa. Se era lì, voleva dire che era tornata. «Quando?»
Natalina annuì col capo.
«Stamattina» la informò Daniele, mentre riempiva il calice col vino. «Non gradisci nulla, Sara? Nemmeno una porzione di dolce?»
Daniele si interrogava sui motivi di quella irruzione. Ieri sera si erano lasciati un po’ burrascosamente e nulla era cambiato nel frattempo.
Sara scosse la testa, poi ingollò il vino in una sola sorsata. Si deterse le labbra con una salvietta presa dal tavolo. Avrebbe voluto fare un certo discorso con Daniele ma la presenza di Natalina la frenava. Riguardava sua sorella e non sapeva come l’avrebbe presa. Se i loro rapporti in apparenza erano cordiali, in realtà nel loro intimo si odiavano, si detestavano. Una vecchia ruggine di molti anni prima, quando Natalina era sempre tra i piedi.
Daniele comprese ma forse intuì più che capire, che Sara non era venuta in visita di cortesia. Le leggeva negli occhi un messaggio muto ma inequivocabile. ‘Ho necessità urgente di parlarti da solo, senza la presenza inopportuna di Natalina’.
Quel muovere gli occhi da destra a sinistra, accompagnati da un gesto del capo non sfuggirono a Natalina, che strinse le labbra e si accigliò. “Si tratta di Natalia” pensò, mentre stava rigida sulla sedia. “Da qui non mi schiodo. Se vuole parlare, lo farà in mia presenza”.
Daniele era preso tra due fuochi. Da un lato avrebbe voluto ascoltare Sara. Dall’altro non intendeva mancare di rispetto a Natalina. Doveva giocare una partita sporca per portare a casa i risultati. “Ma come?” si domandò inquieto, tornando a osservare la cucina. Il lavello con quella pila di stoviglie da lavare non faceva un grande effetto. I tegami con tracce delle cotture precedenti facevano bella mostra nello scolapiatti. Distolse lo sguardo per concentrarlo sulle due donne che si fronteggiavano mute. Gli venne d’istinto di ridere. Senza motivo.
«Cosa c’è di comico?» fece Sara indispettita.
«Nulla» rispose Daniele con lo sguardo da candido angioletto.
«Allora perché ridi?» insistette Sara, che non comprendeva lo scoppio ilare di Daniele.
Lui si fece serio. “Se non ha capito, non capirà” rifletté Daniele, che doveva togliersi dall’impaccio nel quale era finito. Doveva aprirsi con schiettezza e affrontare i problemi senza aggirarli come era sua abitudine. “Ma comprenderanno le mie parole?” si disse, riflettendo sulle prossime mosse.
[Continua]