La rottura

Nella prima domenica di settembre si teneva a Monselice la tradizionale Giostra della Rocca, un evento in costume che richiamava nella cittadina patavina un gran folla di turisti e curiosi. Era un classico appuntamento molto sentito nella zona.

Matteo da quando aveva intrapreso la professione di informatico si recava lì per sovraintendere all’installazione di tutte le apparecchiature tecniche necessarie al buon svolgimento della manifestazione ed al controllo del loro funzionamento.

I primi anni erano stati entusiasmanti per lui muoversi, aggirarsi senza vincoli tra figuranti, contradaiuoli festanti e protagonisti delle gare. Però passata l’eccitazione iniziale della novità non provava più gli stimoli delle prime volte, perché adesso gli sembrava banale routine con la perdita di un week end di riposo.

Dal ritorno delle vacanze non aveva avuto un attimo di respiro perché l’impegno di Roma non era previsto facendogli saltare un fine settimana, poi si erano accavallati tutti i progetti programmati ed ora anche questo compito a Monselice del quale ne avrebbe fatto a meno volentieri.

Aveva dovuto suo malgrado trascurare Micaela alla quale aveva dedicato solo qualche telefonata e un paio di messaggi senza riuscire a trovare il tempo per vedersi di persona. Quindi pensando di farle cosa gradita e con la speranza che la giornata fosse più piacevole rispetto all’anno precedente, la invitò ad accompagnarlo. Sarebbe stata una buona occasione per riannodare i fili del discorso interrotto bruscamente qualche mese prima e verificare lo stato di salute del loro rapporto un po’ zoppicante e balbettante a dire il vero.

Partirono di buon’ora con la macchina di Matteo sotto un bel cielo azzurro, limpido e senza nubi. Micaela era allegra perché poteva assistere all’evento da una postazione privilegiata, il palco d’onore, per il pass che le aveva procurato. Ne aveva parlato con entusiasmo con Silvia che la consigliò su come vestirsi, su come comportarsi e su altre mille minuzie, mentre la testa di Micaela si riempiva in modo caotico con tutte queste indicazioni, che dimenticò al termine della telefonata.

Durante il viaggio ci furono i primi screzi, che diventarono crepe nel corso della giornata. Lei aveva voglia di parlare dell’evento, mentre lui voleva discutere della loro relazione. Così Matteo, già nervoso e di malumore per la domenica sprecata, non riuscì a nascondere la propria irritazione percependola distante ed indifferente alla passione che covava dentro di lui. Poi anche lei ci mise del suo per creargli ulteriori grattacapi e inquietudini, tanto che alla fine bisticciarono su tutto dal mangiare a come si erano vestiti.

Così la giornata che sembrava promettere bene, cominciò a rannuvolare con nubi nere e cariche di pioggia, come gli umori dei due giovani che volsero al brutto, anzi alla tempesta.

Micaela, vestita leggera come si conviene in un settembre caldo e soleggiato, disse di avere freddo e che voleva tornare subito a Padova prima della pioggia, mentre lui doveva accertarsi che la cerimonia finale con le premiazioni attese per le 18 filasse tutto liscia senza intoppi. Lei stava imbronciata sul palco d’onore completamente estranea alle grida di giubilo della contrada vincitrice il Palio dei Santi, aspettando solo il momento di riprendere la strada di casa.

La tensione cresceva fra loro come le saette che a zig zag solcavano il cielo sempre più nero, poi cominciarono a volare parole pesanti come i goccioloni che i cumuli nembi stava dispensando su di loro.

Finalmente bagnati ed infreddoliti sciamarono velocemente verso la macchina e si immisero sulla statale Adriatica per rientrare a Padova sotto una pioggia battente e fredda.

Lui era incattivito per i troppi intoppi informatici, che avevano costellato una giornata nata sotto cattivi auspici, ed era stressato dalle lamentele continue di Micaela, che non stava zitta un secondo.

Lei con la camicetta bagnata ed appiccicata al corpo, i sandali distrutti e capelli ridotti in pessimo stato dalla pioggia si lamentava in continuazione perché accusava Matteo se si trovava in quello stato. Starnutiva e si soffiava senza soste il naso, che assomigliava più ad una fontanella che ad un organo sensoriale.

“Mi hai fatto prendere un accidente” disse mentre l’ennesimo starnuto inondava il parabrezza della macchina.

“Dovevi vestirti più adeguatamente” replicò lui irato ed arrabbiato per la pessima idea di averla invitata durante l’esecuzione dell’attività professionale.

Fuori infuriava un violento temporale, mentre Micaela era sempre più petulante ed indisponente, finché arrivati al semaforo della Paltana lui non aprì la portiera mettendola sulla strada senza proferire una parola.

Passato un primo momento di sbigottimento coi capelli ridotti a tagliatelle cominciò a tempestare il vetro della macchina perché voleva risalire e ripararsi dalla violenza della pioggia. Però lui quando scattò il verde mise la prima e sparì verso Padova.

Micaela incredula rimase lì sul ciglio della statale sfiorata pericolosamente da macchine e corriere senza comprendere se l’acqua che scorreva sul viso fosse pioggia o lacrime..

A questo punto incamminarsi verso la città sarebbe stata pura follia, quindi attese il rosso e si avvicinò ad un auto che aveva alla guida un uomo dalla corporatura abbondante.

Bussò al vetro e disse: “Il mio ragazzo mi ha abbandonata qui sotto il temporale e non so come arrivare a Padova”.

“Sali” rispose garbatamente mentre apriva la portiera per farla accomodare.

Micaela gocciolante e tremante per il freddo inondò il sedile con l’acqua che colava dai capelli e dal corpo come una fontana.

“Micaela ” si presentò starnutendo in continuazione.

“Piero” rispose mentre ripartiva in direzione di Padova “Bello scherzo ti ha fatto il tuo ex”.

(Capitolo 20)

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Matteo e Micaela

Micaela riprese a frequentare il cantiere, a prendere appunti, a rendersi utile al gruppo di lavoro al quale era aggregata, ma percepì subito che qualcosa stonava con Marco, perché non era nulla come prima. Quando gli sguardi si incrociavano, si soffermavano un attimo, poi si fissava altrove, come se si volesse nascondere un segreto. Quando si parlavano, capitava che lui dicesse a Micaela “Lei faccia…” subito corretto da “Tu fai…”.
Tanti segnali erano captati che qualcosa si era rotto nel meccanismo. Questo da un lato la rammaricava perché percepiva freddezza e una punta di astio, dall’altro lato le faceva comprendere che aveva avuto abbastanza intuito nel respingere quel appena accennato corteggiamento. Si domandava incerta e dubbiosa cosa sarebbe avvenuto se avesse accettato di uscire quella sera.
Questi pensieri ronzavano nella testa come vespe impazzite distogliendola non poco nel prestare attenzione a tutto quello che avveniva nel cantiere. A volte si accorgeva che perdeva pezzi dei loro discorsi o rimaneva indietro rispetto a loro. Sentiva su di sé gli interrogativi dei componenti del gruppo che con gli sguardi si domandavano i motivi del brusco cambiamento e dello scarso interesse che lei mostrava.
Si impose di scacciare dalla propria testa tutto quello che non era attinente all’attività che stava svolgendo, esattamente come erano stati cacciati i mercanti dal tempio. Matteo era lontano e non costituiva un motivo d’affanno perché per diversi giorni non avrebbe dovuto pensare a lui. Quello che stava facendo era interessante e molto di più di quello che aveva pensato inizialmente, Il materiale raccolto per la tesi era copioso e di buona fattura, tanto che sarebbe stato difficile scegliere e sfrondare per limitare il numero di pagine.
Le rimaneva un grosso rammarico perché intuiva che sarebbe stato improbabile per lei una volta laureata entrare nello studio AccaKappa a causa di Marco.
“Pazienza” si disse più di una volta facendo mente locale su questo dettaglio “Esistono altri studi di architetti dove posso incominciare con l’apprendistato”. Di certo l’esperienza che stava maturando in questo progetto, la tesi che presagiva più che buona sarebbero stati un valido passpartout per aprire diverse serrature importanti in campo professionale.
Però quando pensava a questo le sembrava di assomigliare alla volpe della famosa favola di Esopo, perché non era questo l’epilogo che aveva a lungo sognato.
Tra qualche giorno Matteo sarebbe tornato da Roma, dove era per motivi di lavoro. Quindi era giunto il momento di concentrarsi su di lui.
Si erano sentiti per telefono al suo rientro dopo la vacanza a Madonna di Campiglio, ma era stata quasi una formalità. Lei era impegnata con un battesimo, lui doveva riordinare la casa dopo quasi tre settimane di assenza prima di riprendere il lavoro. Micaela non aveva mostrato nel tono della voce soverchio entusiasmo, era stata un po’ freddina. Si era interessata alle ferrate, alle passeggiate nei boschi, alle località visitate con domande monotone, prive di mordente, perché tutto sommato non provava grande curiosità nel conoscere quei posti. Matteo aveva risposto con calma, moderando la voce, trattenendo lo spirito guerriero e possessivo che affiorava pericolosamente dalla palude della sua personalità. Stava facendo un enorme sforzo per tenere a bada il carattere egocentrico e geloso nel tentativo di rispettare quanto si erano detti qualche giorno prima.
La telefonata proseguì stancamente finché Matteo risolutamente non vi pose fine, accennando ad un ipotetico e pressante impegno che richiedeva la sua presenza.
“Scusa, Micaela” disse alzando il tono della voce da dolce e appena sussurrata ad aspra e decisa “E’ arrivato pochi minuti fa un messaggio del capo, che mi chiede un incontro urgente. Non ho fatto in tempo a mettere piede in casa, che subito ha urgenza di parlarmi. Non poteva aspettare domani in ufficio”.
“Non ti preoccupare” rispose Micaela più distesa e rilassata, perché ormai aveva esaurito tutto il bonus di domande e di argomenti da trattare e cominciava ad essere in affanno.
Matteo, chiusa la telefonata bruscamente perché era diventato un melenso gioco delle parti che non stava portando da nessuna parte, cominciò a riflettere sul loro rapporto. Si chiedeva se aveva senso proseguire, perché la percepiva lontana, distaccata, quasi indifferente. Micaela non gli sembrava più quella donna determinata e volitiva che aveva conosciuto nel supermercato dell’Arcella, con la quale aveva avuto quello scontro verbale in Piazza delle Erbe. Ora appariva molliccia, poco reattiva, diversa da come l’aveva immaginata nel corso delle lunghe passeggiate in solitario per i rifugi del Trentino. Se la aspettava grintosa, pronta a sfoderare le unghie, invece si era limitata a poche domande banali ed inutili sulle vacanze senza approfondire nulla.
Micaela aveva ancora il telefono in mano accovacciata sulla poltrona della sua stanza mentre si interrogava sulle sensazioni provate sentendo la voce di Matteo. Percepiva strane impressioni che stavano tra l’indifferenza e l’incredulo, perché non aveva riconosciuto nessun afflato amoroso od emozione dentro di sé. Lei era stata asettica e distaccata nel parlare, ma lui sembrava un altro, la pallida controfigura dell’uomo tutto nervi e determinazione che aveva conosciuto.
“E’ vero” si disse “E’ vero che non c’è stato il minimo sentimento nelle mie parole. Però lui è stato misurato anche troppo nelle manifestazioni d’affetto. Sembriamo due estranei che non hanno niente da dirsi”.
Si erano lasciati senza chiedersi o promettersi di vedersi nei prossimi giorni. Aveva quasi il sapore di un addio anziché di un arrivederci. Poi era arrivata la telefonata che le annunciava che Matteo sarebbe stato lontano da Padova per almeno dieci giorni.
Questo le aveva tolta molta ansia, perché avrebbe rimandato a più avanti tutti i chiarimenti come se non sapesse quello che il cuore e la mente avevano già deciso.
(Capitolo 19)

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La vita riprende

Micaela non comprendeva il senso della telefonata di Marco, ambigua e strana, Si sarebbero visti il giorno dopo e avrebbero passato insieme almeno altre due settimane di lavoro; si chiese perché si era mostrato tanto insistente su quali progetti aveva per la sera, se era stata in vacanza e dove.
Si era data un codice che intendeva rispettare: non concedere troppe confidenze alle persone che incrociava per motivi professionali. Era fermamente convinta che mescolare questioni personali con le problematiche legate alla professione sarebbe stato l’errore più grossolano che poteva commettere. Aveva percepito che le relazioni nate sul luogo di lavoro sarebbero state foriere di problemi e incomprensioni. Accettare i corteggiamenti di qualcuno che un domani avrebbe potuto essere un superiore o quanto meno rapporti subalterni avrebbe messo a rischio le possibilità professionali di trovare lo sbocco più idoneo alle proprie esigenze.
Questa telefonata l’aveva messa di cattivo umore dopo una giornata che sembrava destinata al bello stabile.
“Pazienza” si disse mentre si stiracchiava come una gatta dopo una bella ronfata accanto al fuoco spento “Spero di non essere stata troppo scortese, ma non avevo alternative. I corteggiamenti sul posto di lavoro li ho sempre considerati disdicevoli”.
Chi era Marco? Per lei non era nessuno, a parte il ruolo nel gruppo di lavoro, perché ignorava tutto: se aveva una donna con la quale viveva o che frequentava con regolarità. Inoltre era decisamente troppo vecchio per lei: quindici o sedici anni di differenza erano indiscutibilmente un differenziale troppo ampio per potere condividere interessi e pensieri.
Un dubbio si insinuò in lei come un minuscolo tarlo che scavava lunghe gallerie nel legno: “Era forse un nascosto ricatto sessuale poiché ho palesato in maniera limpida il mio desiderio di entrare nello studio una volta completato il percorso formativo?” si disse “Ma forse sono solo fantasie”. Però il tarlo lavorava e quella sensazione sgradevole rimaneva appiccicata al palato come una fastidiosa buccia di mela che nonostante gli sforzi profusi stava immobile nella trachea.
Cercò di pensare ad altro, ma ritornava sempre al motivo della telefonata che faticava ad inquadrare in un quadro logico. Era troppo di pessimo umore per chiamare Matteo, perché non aveva la lucidità necessaria per parlare con lui. Però non voleva disturbare ancora una volta Silvia con le proprie paure, i problemi personali ed essendoci ancora luce si preparò per uscire.
Matteo dopo le giornate intense di ferrate e sentieri di alta montagna, aveva deciso di fermarsi a Madonna di Campiglio a godere la sensazione di mondanità di questa celebre località turistica. Il grosso dei vacanzieri era ormai andato complice il tempo che si andava rapidamente guastando: i primi temporali agostani avevano abbassato le temperature e le perturbazioni scorrevano veloci ed imprevedibili. Tutto questo non lo disturbava più di tanto perché sapeva come comportarsi e cosa evitare.
Lui si considerava un montanaro pur essendo nato in una zona dove il punto più alto era il cavalcavia sulla ferrovia, perché amava quella natura aspra e silenziosa da rispettare e conservare, tanto avara quanto ricca.
Stava percorrendo il sentiero delle cascate che da Pinzolo portava verso la Presanella lungo Val Genova, quando gli tornò alla mente la lunga e tormentata telefonata con Micaela.
Lei aveva ragione quando diceva che doveva smettere di essere troppo possessivo ed ossessivo, ma la natura del proprio carattere era più forte del freddo raziocinio. Per un lasso di tempo limitato riusciva a mettere un freno alla personalità autoritaria e determinata, che era validissima ed apprezzata in campo professionale. ma era fonte di scontri continui nel quotidiano e nelle relazioni sentimentali.
Solo Laura lo aveva accettato così come era ed avrebbe fatto carte false per avviare con lui un rapporto meno episodico di quello che avevano avuto finora.
Però erano due personalità diverse ed emanavano un fascino diametralmente opposto. Laura era dolce, remissiva, dalla cultura quasi enciclopedica e dai molteplici interessi, ma era poco stimolante per lui perché non sentiva opposizione al suo carattere, al suo modo di pensare e di agire. Gli sembrava troppo scipita per potere avviare un rapporto stabile anche se fisicamente era una gran bella ragazza, ma la bellezza non era sufficiente.
Micaela era invece attenta, determinata. allegra, ma qualcosa di lei gli sfuggiva, gli restava misterioso; avvertiva la presenza di un nucleo inafferrabile, di un enigma che contribuiva al fascino che emanava. Per questo poteva dire, con ragionevole certezza, che non era ciò che sembrava apparire. Non era mai banale quando parlava di qualcosa che le stava a cuore. Non si rifugiava nei luoghi comuni, nei cliché del “cosa significa essere donna” e non era una persona concentrata esclusivamente su di sé: prima di rispondere si concedeva una breve pausa di riflessione. Era un qualcosa di speciale che lo attraeva.
Mentre camminava di buona lena lungo il sentiero che costeggiava il Sarca ed osservava le numerose cascate che facevano corona a destra ed a sinistra, si interrogava per l’ennesima volta se sarebbe riuscito ad esercitare l’autocontrollo sulla propria personalità, perché quella era la vera scommessa con se stesso.
Tra qualche giorno sarebbe ripartito per Padova e solo allora avrebbe capito se la forza di volontà avrebbe avuto il sopravvento sul carattere.
(Capitolo 18)

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Il rientro

La vacanza finì anche fin troppo presto tanto volò il tempo. Avrebbe voluto trattenersi ancora, ma il lavoro nel cantiere l’aspettava e poi non poteva permettersi economicamente un periodo più lungo.
Rientrò a Padova comodamente seduta sulla macchina con Silvia e Gianni, abbronzata di un bel colore dorato, col viso disteso e senza increspature.
Ricordò con soddisfazione e piacere le diverse cavalcate per i tratturi intorno all’agriturismo. Era riuscita a vincere la paura del cavallo con l’aiuto dell’istruttore mentre i sobbalzi dell’auto le rammentavano l’andatura della giumenta pezzata che aveva cavalcata.
Poi vedeva Piazza del Campo dall’insolita forma a conchiglia strapiena di contradaioli festanti e turisti vocianti durante il Palio dell’Assunta. Erano riusciti tramite il proprietario dell’agriturismo a trovare un posto dall’ottima visuale senza essere intrappolati nella folla. Era stato uno spettacolo indimenticabile, che aveva riempito i loro discorsi per diversi giorni, molto più avvincente di quello che si poteva assaporare nelle riprese televisive.
Però i ricordi di quei dieci giorni erano troppo intensi per potere essere rammentati tutti durante il viaggio di ritorno.
Micaela si sentiva veramente bene: serena, tranquilla e rilassata, con la mente sgombra dai pensieri, pronta l’indomani a riprendere contatto col gruppo di architetti che aveva lasciato due settimane prima.
La sua stanza le sembrava minuscola ed angusta rispetto a quella che aveva lasciato poche ore prima, ma la sentiva sua perché stava tra quegli oggetti famigliari e pieni di ricordi. Si distese sul letto senza disfare la valigia dopo un breve saluto ai genitori, perché voleva riordinare i pensieri che confusamente si aggiravano dentro di lei. Inserì nello scomparto il CD preferito dei Coldplay, “Parachutes” e mentre i suoni sensuali della musica invadevano la sua mente, cominciò a riflettere su di lei e Matteo.
Non era più tanto sicura di volere ascoltare la voce di lui o rivederlo a breve, non perché si fosse pentita di quello che si erano detti nei giorni passati, ma perché percepiva che l’infatuazione stava lasciando il posto all’indifferenza.
Si chiese se era giustificabile il tentativo di alimentare nuovamente il fuoco morente con altra legna, forse umida e fumosa, ma la curiosità era forte in lei. Voleva verificare di persona se le sensazioni attuali erano il frutto della lontananza oppure della mancanza di interesse verso di lui.
Mentre era immersa nel fluire di questi pensieri, scivolò lentamente nel limbo della dormiveglia con molte figure maschili indefinite nei contorni e nell’aspetto, con la sovrapposizione di paesaggi contrastanti e contraddittori. Vedeva Marco, il responsabile del progetto di recupero architettonico di Padova, con l’aspetto di Gianni immerso nella campagna senese a ristrutturare un vecchio casale abbandonato, sul quale aveva fantasticato a lungo dopo averlo scoperto durante una passeggiata a cavallo. Lo spazio non era più spazio e il tempo non era più tempo: il tutto era un fluire incerto con personaggi mai conosciuti ed ambienti mai visti.
“Quanto ho dormito?” si chiese risvegliata dal suono insistente della suoneria di Elisa “E chi è che mi cerca?”. Finalmente il suono si chetò come il cuore che aveva accelerato i suoi ritmi per quel brusco risveglio.
Ora la stanza era in silenzio illuminata dal sole morente mentre lei era ancora distesa pigramente sul letto.
I sogni erano svaniti e con essi anche le sensazioni piacevoli che aveva assaporato durante quel sonno agitato e tumultuoso. Avrebbe voluto che non fosse stato interrotto mentre si svolgeva quel complicato connubio tra realtà diverse mescolate e fuse tra di loro.
Si chiese il motivo per il quale aveva sognato il viso di Gianni sovrapposto a quello di uno sconosciuto e poi ancora perché Matteo non era comparso in nessuna di quelle figure ibride ma non mostruose dall’aspetto composito di tante persone conosciute o no.
Nei dieci giorni trascorsi con Silvia e Gianni era rimasta piacevolmente sorpresa da lui. Aveva un carattere riservato e dolce, anche se al momento giusto sapeva tirare fuori gli artigli che colpivano come rasoiate. Era meno impetuoso di Matteo, più razionale e riflessivo. Apparentemente sembrava freddo e talvolta distaccato, quasi estraneo alle conversazioni, ma in realtà era sempre attento a cogliere tutte le sfumature dei discorsi che puntualmente rimarcava e puntualizzava. Era più facile leggerne le mosse, i pensieri e con un minimo di attenzione avrebbe saputo prevedere cosa avrebbe fatto o proposto tra un secondo.
Era un bel uomo alto e slanciato, con una buona cultura di base, dalla personalità seria e determinata, sempre sicuro delle proprie azioni. Però non era il tipo adatto alla lei, perché non aveva la vena romantica ed imprevedibile di Matteo. Sicuramente con Silvia formava una bella coppia per i caratteri complementari.
Lei cercava una persona dal fascino concreto e speciale, romantico e sognatore, imprevedibile e non ripetitivo. Matteo aveva molte di queste caratteristiche, ma la personalità possessiva e soffocante non era quello che pretendeva in un uomo. Voleva un rapporto sciolto, libero e allo stesso tempo profondo. Non gradiva essere subalterna a nessuno, ma essere considerata alla pari. C’erano molte contraddizioni nei pensieri con la ricerca di una relazione che doveva essere speciale, variegata e non monotona e contemporaneamente rispecchiare i canoni tradizionali dell’amore romantico.
Forse era per questo motivo che continuava a sognare persone dove l’aspetto fisico era l’unione di tante personalità distinte.
Guardò chi l’aveva svegliata facendo svanire un sogno che ora non ricordava nemmeno più.
“Sarà Silvia o Matteo?” disse ad alta voce e invece con sorpresa vide il numero di Marco.
“Cosa dovrà dirmi di tanto urgente da cercarmi a casa” si interrogò dubbiosa Micaela, mentre componeva il numero “Adesso lo saprò”.
(Capitolo 17)

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La telefonata

Matteo si era alzato di buon ora per raggiungere il rifugio Tuckett attraverso la ferrata delle Bocchette Alte, un percorso molto impegnativo e difficile con passaggi che richiedevano attenzione e preparazione fisica, mentre le cime del Brenta, che facevano corona intorno erano rosate dai raggi del sole che si levava. Si soffermò per osservare lo spettacolo e scattare qualche fotografia, anche se non era la prima volta che vedeva albeggiare in montagna. Però la visione era sempre affascinante come la prima volta.
Dopo i tentativi infruttuosi del giorno precedente era entrato in una zona d’ombra dove il telefono non aveva campo e poi non poteva distogliere l’attenzione dai severi passaggi con lunghe scale sospese nel vuoto, dai nevai infidi e fradici e dagli stretti sentieri ricavati sul fianco della montagna.
Ci sarebbe stato tempo ed un orario più propizio per chiamarla, quando avrebbe affrontato l’ultimo tratto sgombro di grandi pericoli e facile da percorrere.
Nonostante la severità del percorso ebbe modo di pensare al rapporto con Micaela, di osservare lo spettacolare panorama dell’Adamello e del lago di Molveno, di ragionare sulla sua vita e su quello che aspirava.
Si era fermato sul terrazzo nord sotto Cima Brenta a prendere un po’ di fiato dopo oltre cinque ore di camminata per sentieri ardui e pericolosi, perché le tossine della lunga tensione stavano aggredendo i polpacci e quindi doveva fare una sosta ristoratrice prima di affrontare la lunga discesa verso il rifugio. Non era certamente il posto ideale per meditare su di lei, ma il pensiero verso Micaela era stata una costante e discreta compagnia durante quelle lunghe ore solitarie in alta quota.
Trasse un lungo respiro e cominciò a mangiare con calma una barretta di cioccolata, mentre rifletteva sugli errori commessi nel rapporto con lei. Era stato troppo frettoloso nell’innamoramento, poiché aveva scambiato la disponibilità di lei per una passione travolgente ed eccitante; aveva sottovalutato la personalità complessa e determinata della ragazza, che come aveva detto più di una volta puntava diritta alla laurea nella primavera dell’anno successivo. Subito era stato travolto dalle proprie emozioni senza analizzarle in profondità. Aveva costruito intorno a lei una gabbia di possesso e di gelosia perché non sopportava l’idea che potesse essere di qualcun altro. Non aveva intuito che era stato il fascino del proprio carattere sfuggente e misterioso, che l’aveva colpita ed attratta. Non era stata la bellezza fisica la calamita che aveva attirato l’attenzione di Micaela, ma il modo garbato e delicato nel porgere le cose, la grande cultura e i molteplici interessi.
Però nemmeno lì con lo sguardo che spaziava libero, mentre un fastidioso ed insidioso vento, che minacciava il precario equilibrio sullo strapiombo, agitava i capelli e con essi anche i pensieri, era riuscito a focalizzare il problema nella sua vera essenza.
Il sole era alto nel cielo e almeno altre due ore di cammino lo attendevano. Scacciando pensieri ed immagini, Micaela e la passione che provava per lei, iniziò ad affrontare con cautela la discesa che l’avrebbe condotto tra circa un’ora alla parte terminale e facile del percorso. Ora non aveva tempo di pensare né di osservare il panorama, ma era attento a saggiare la roccia prima di spostare il proprio corpo verso il basso.
Micaela si mise seduta in una posizione comoda, perché sapeva già chi stava chiamando prima di leggere il nome sul display.
Respirò a lungo, lasciò passare qualche secondo contando fino a dieci prima di rispondere.
Doveva essere chiara. molto chiara senza lasciare zone di ombre o di dubbi se Matteo voleva riprendere il rapporto. Non poteva commettere ulteriori errori, perché ne aveva già collezionati troppi.
Ricordava bene le parole di Silvia a Cortina: “Concedigli una seconda chance” e dopo una breve pausa aveva aggiunto “Il litigio fra due innamorati ci sta sempre. Anzi è un toccasana perché permette di saggiare se i sentimenti che si provano sono sinceri”. Lei era rimasta in silenzio prima di dire: “Ci penserò al mio ritorno a Padova. Ora godiamoci Cortina”.
Lei ci aveva riflettuto a lungo, ma aveva preferito abbassare la saracinesca e si era immersa nella preparazione dell’esame fondamentale dimenticando Matteo, le parole di Silvia, i sentimenti e tante altre cose.
Ora era venuto il momento di parlare ed esprimere quello che sentiva sinceramente dentro di sé.
“Ciao, Matteo” rispose alla chiamata e dopo una breve pausa proseguì “Dove sei? Sento silenzio e il sibilo del vento”.
“Non voglio parafrasare Moccia, ma sto toccando il cielo sopra di me” disse con la voce rotta dall’affanno e dalla fatica “Acchiappo le nuvole con le mani ed ascolto la sinfonia del vento”.
Micaela rimase silenziosa perché non riusciva ad intuire dove fosse, mentre Matteo calmato il respiro aggiunse: “Non capisci? Sono nelle Dolomiti del Brenta e sto arrivando al rifugio dopo sette ore di salite e discese”.
La conversazione continuò tra interruzioni e tentativi di chiamate esattamente come lei voleva che andasse. Gli concesse una seconda possibilità dopo diverse schermaglie dialettiche, dandogli appuntamento al ritorno a Padova.
“Prosegui le tue vacanze tra sentieri e ferrate in completo relax. Mi farò viva al mio rientro a Padova” gli disse chiudendo la lunga e sofferta telefonata.
Ora era soddisfatta per essere riuscita a parlare con chiarezza dei loro rapporti e si distese nuovamente al sole, aspettando il rientro di Silvia.
(Capitolo 16)

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Ferrate, relax e risate

Matteo era sulla ferrata delle Bocchette Centrali nel gruppo del Brenta, quando arrivò il messaggio di Micaela. Era impegnato in tratto difficile della ferrata che richiedeva attenzione e concentrazione per non finire più in basso ai piedi della Bocca Armi.
Il panorama era mozzafiato come gli strapiombi che costeggiavano cenge naturali o stretti passaggi ricavati nel costone roccioso della montagna; non era permessa la benché minima distrazione perché avrebbe potuto essere fatale. Quel trillo improvviso lo aveva fatto sobbalzare per una frazione di secondo, ma subito l’aveva dimenticato, mentre guardava innanzi a sé in una giornata limpida e tersa le cime frastagliate del Brenta.
Era stato molto indeciso se visitare i rifugi che stavano a cavallo tra Madonna di Campiglio e Molveno oppure percorrere la via classica delle Dolomiti che in dodici giorni partendo dal lago di Braies scendeva verso Belluno. Sarebbero stati dodici giorni impegnativi sia fisicamente, sia psicologicamente con molti passaggi difficili per persone esperte ed allenate. Però quest’anno non era riuscito a prepararsi adeguatamente a causa degli impegni di lavoro e distratto dal costante pensiero verso Micaela. Quindi aveva ripiegato sui rifugi del gruppo del Brenta con sentieri meno impegnativi ma ugualmente suggestivi.
Quell’incontro fortuito e stimolante nel supermercato all’Arcella aveva scompaginato i pensieri ed intaccato la fredda determinazione che lui usava per raggiungere gli obiettivi. Da sempre aveva amato la montagna aspra e silenziosa e non quella chiassosa e vacanziera che trovava deprimente e dispersiva. Lui era un introverso che trovava nelle camminate solitarie tra boschi e rocce il modo di esprimersi compiutamente. Il profumo della resina degli abeti o dei fiori alpini, il sibilare feroce del vento sulla pelle secca e screpolata, il passo cadenzato e misurato sui sentieri ghiaiosi erano per Matteo sensazioni appaganti e inebrianti che rinnovava ogni anno come un rito pagano.
Con profondo disgusto osservava file di turisti che con scarpe da ginnastica e macchine fotografiche si aggiravano chiassosi e maleducati per sentieri e boschi rompendo l’incanto fatato della montagna profanata. E cercava sempre vie poco battute da affrontare in solitario accompagnato dai suoi pensieri. Erano momenti magici per lui perché poteva dar sfogo alla immaginazione, alle riflessioni più intime. Questa passione non era condivisa da nessuno dei pochi amici o amiche che aveva e quindi da anni trascorreva le ferie estive da solo nei boschi e nei rifugi alpini, che raggiungeva dopo lunghe camminate con l’unica compagnia del vento e delle nuvole.
Quest’anno aveva sperato di trascorrere le vacanze agostane con Micaela passeggiando nei boschi e per sentieri facili e panoramici, ma l’approccio era stato un vero fallimento, che aveva lasciato in lui una profonda ferita che faticava a chiudersi.
Era partito ai primi di agosto per Madonna di Campiglio con il pensiero fisso rivolto alla ragazza, che non riusciva a dimenticare nonostante tutti gli sforzi. Aveva provato inutilmente a contattarla dopo quel sabato in Piazza delle Erbe, ma il telefono era inspiegabilmente spento o così sembrava. Preferiva il colloquio diretto all’invio di messaggini freddi ed impersonali, ma una voce femminile lo informava con monotonia che l’utente chiamato non era raggiungibile. Poi un giorno decise di affidare al messaggio il compito di richiamare su di sé l’attenzione di Micaela, che lo lesse mentre stava raggiungendo Cortina. Poi lasciò perdere concentrandosi sul lavoro e sull’organizzazione delle ferie di agosto, poiché non ricevette nessun segnale di ritorno.
Ora si faceva viva in modo inatteso ed in un momento delicato, ma a questo avrebbe pensato una volta raggiunto il rifugio Alimonti, perché doveva stare attento a dove e come posava i piedi se voleva tornare a Padova con le proprie gambe.
Micaela si svegliò presto la mattina successiva ed affacciandosi alla finestra poté ammirare lo spettacolo del sole che inondava di luce le argentee crete e i verdi vigneti di val d’Orcia.
La tensione accumulata il giorno precedente si era quasi dissolta durante la notte, ma ora era svanita completamente ammirando la vista spettacolare di dolci colline punteggiate di verde.
Era dispiaciuta perché si era intromessa nelle vacanze di Silvia, ma si era ripromessa di disturbarla il minimo possibile. L’agriturismo che la ospitava poteva soddisfare i bisogni di relax con la piscina e l’ampio prato adiacente, la possibilità di lunghe passeggiate attraverso i campi e le radure, il maneggio e un ottimo servizio per visitare Pienza, Siena, il borgo di Monticchiello, Montepulciano e ancora altri piccoli borghi sparsi nei dintorni.
Aveva sempre sognato di fare lunghe cavalcate immersa nella natura, assaporando gli odori e gli umori della campagna come spesso si vedeva nei film. Però non era mai stata in sella ad un cavallo che le incuteva il timore non troppo nascosto di non riuscire a governarlo.
Forse nei prossimi giorni vincendo la paura avrebbe provato l’ebbrezza di cavalcare e sentire l’aria frusciare sul viso, insinuarsi sotto la camicetta, accarezzarle la pelle.
Col fardello lieve di questi pensieri scese a fare colazione nell’ampio cortile attrezzato con sedie e tavoli di vimini, mentre Matteo sembrava un pallido ricordo.
Se avesse richiamato sapeva cosa dire. Non aveva avuto necessità di consultarsi con Silvia per conoscere la strada da percorrere, perché le risposte erano sgorgate durante il riposo notturno limpide e naturali come le sorgenti alpine di un torrente.
“Ma avrebbe richiamato?” si domando un po’ incredula, perché non ne era assolutamente certa.
“Buongiorno” disse a Silvia e a Gianni, che finita la colazione la stavano aspettando.
“E’ una giornata stupenda.” proseguì “e mi comporterò come una brava lucertola prendendo il sole ai bordi della piscina. Sono pallida come una malata e un po’ di colorito mi farà bene”.
“Pensavamo di fare un giro all’Amiata. Non vuoi unirti a noi?” chiese discreta Silvia ben sapendo che la risposta sarebbe stata negativa.
Alcune battute scherzose, qualche risata sancirono gli impegni reciproci prima che ognuno di loro affrontasse la giornata secondi gli obiettivi fissati.
Micaela era distesa sul prato al sole quando la voce di Elisa gli annunciò l’arrivo di una telefonata.
(Capitolo 15)

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All'agriturismo

L’emozione era forte e scacciò tutti i pensieri, anche se provava un senso di colpa verso Silvia, che aveva sacrificata parte della vacanza ospitandola nell’appartamento accanto al loro.
Sapeva che avrebbe costituito un peso la sua presenza, perché faceva venire meno l’intimità tra la coppia, ma ora era lì e non poteva dissolversi come la nebbia al sole.
Gianni guidava attento, mentre Silvia parlava senza interruzione del posto, del panorama, di loro e della felicità di avere l’amica con loro.
Micaela era intimidita da tanto furore verbale innocuo, ma prorompente, mentre osservava attenta le sfumature del verde e le grandi ville padronali che si stagliavano in lontananza nel paesaggio, che era stupendo per le dolci colline ed i grandi vigneti; ed era un pezzo di Toscana che non conosceva affatto.
Alla sera dopo la frugale cena rustica si ritrovarono nel grande salone posto al piano terra intorno al camino in pietra a parlare di lei, di loro, della grande villa trecentesca che li ospitava.
Micaela non si rendeva ancora conto che poche ore prima era immersa nell’asfissiante calura padovana, mentre ora respirava la fresca fragranza delle colline senesi che odoravano di erba appena tagliata, mentre il grido monotono delle cicale scandiva il tempo.
“Per stasera parliamo solo di questo posto da favola” esordì. “Come avete fatto a scoprirlo?” chiese a Silvia e a Gianni.
La risata argentina della coppia risuonò nell’immensa stanza richiamando l’attenzione delle altre persone presenti. Micaela diventò rossa perché era stata la causa involontaria che aveva spezzato quell’atmosfera incantata.
Ripercorse mentalmente in quegli istanti l’emozione dell’arrivo. La villa era apparsa in tutto il suo fascino per le vecchie pietre annerite dal tempo, per il loggiato sottostante una piccola torretta accessibile da una scala esterna in marmo e pietra, per il cotto toscano un po’ consunto da tanti piedi, per il mobilio d’epoca.
Era rimasta a rimirare tutto prima di entrare in quella che sarebbe stata per dieci giorni la sua stanza. Stava nella loggia sotto la torretta; era una grande stanza, nella quale troneggiava un imponente letto in ferro battuto e un tavolo di noce come scrittoio, con due enormi finestre che guardavano Montalcino e le crete senesi. Un minuscolo salotto completava la suite con una poltrona in vimini ricoperta da cuscini.
Silvia e Gianni stavano proprio sopra di lei, La vista era mozzafiato a 360°. Un vecchio camino padronale stava al centro della stanza dalla quale si accedeva alla camera matrimoniale con soppalco. Il letto era a baldacchino con preziosi tessuti, che scendevano ai lati, di foggia rinascimentale. Un enorme armadio toscano di noce era addossato ad una parete. Il soppalco poteva ospitare altre due persone, ma per loro fungeva da salotto per leggere, ascoltare musica o guardare il televisore.
Tutta l’atmosfera era calda e rilassante dai toni soffusi ed appena sussurrati che avevano avvolta Micaela come un bozzolo di seta. La tensione interna accumulata nelle prime ore della giornata era svanita lasciando il posto ad una vaga indeterminatezza che lasciava trasparire dalle parole a fatica bisbigliate con un filo di voce.
Matteo non aveva più richiamato, forse infastidito dalla volubilità di lei, che prima aveva scritto un messaggio pieno di desiderio e poi si era negata ai suoi richiami.
“Bene” pensò Micaela “Bene, se ha smesso di cercarmi! Così ho tutto il tempo per studiare una strategia con Silvia”.
Però non ne voleva parlare perché desiderava decantare i pensieri per acquistare lucidità e razionalità. Inoltre doveva smaltire lo stress accumulato giorno dopo giorno con la preparazione degli esami, per l’inizio di quella attività che sarebbe stata il fulcro della tesi, per l’incauto messaggio spedito in un momento di debolezza o almeno così le sembrava.
La testa non era ancora sgombra perché continuava a pensare alle motivazioni che l’avevano indotta a cercare Matteo.
Un certo affanno affiorava qua e là durante la conversazione attraverso il tremolio della voce, le parole che faticavano a comporsi, i pensieri un po’ sconnessi che facevano sorridere Silvia e Gianni.
Lui non aveva ben compreso le ragioni dell’invito, dell’arrivo di Micaela che stava scompaginando tutti i progetti, ma stanotte con calma ne avrebbe parlato per chiarire tutto. Adesso ascoltava le chiacchiere delle due amiche intervenendo solo quando era richiesto un parere. Era senza dubbio una bella ragazza intelligente e sensibile, Micaela, ma la sua Silvia era molto meglio: sveglia, equilibrata, sicura di sé e dal carattere difficile ma stimolante. A lui piacevano le ragazze toste e volitive con le quale voleva avere un rapporto non conflittuale, ma franco ed aperto e Silvia lo era. Molte volte erano andati vicino alla rottura definitiva, ma erano sempre riusciti a ricucire gli strappi trovando nuovi impulsi per ricominciare.
Sembravano inesauribili, frizzanti e fresche come di prima mattina, ma ormai erano rimasti solo loro nel grande salone, perché tutti erano andati a dormire.
“Ragazze” disse soavemente Gianni “che ne dite di salire di sopra. Però prima procuratevi una brocca d’acqua, perché ormai avrete la gola secca”.
Risero sommessamente mentre il silenzio della notte prendeva il sopravvento.
(Capitolo 14)

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La vacanza

Il viaggio fu piacevole tanto che le sembrò brevissimo. Osservò la campagna assolata che sfilava veloce dal finestrino, il Po che pigramente scorreva sotto il ponte della ferrovia, le stazioni grande e piccole che salutavano il suo passaggio.
Poi si inerpicò lungo i contrafforti appenninici addentrandosi nelle viscere buie delle gallerie, finché fischiando non si fermò in Santa Maria Novella a Firenze.
Durante il viaggio aveva ricapitolato tutte le istruzioni di Silvia: era rimasta fuori solo la chiamata ai genitori, che non avevano risposto. Non era un grosso problema, perché avrebbe riprovato all’ora di cena.
Aveva ripensato a tutti gli avvenimenti della mattina dal sentirsi sola alla telefonata provvidenziale dell’amica. A mente lucida si rendeva conto che era stata molto impulsiva nel mandare quel messaggio ambiguo ma esplicito. Pentirsi era inutile, come fingere che non fosse successo nulla. Sul telefono c’erano diverse chiamate senza risposta di Matteo, che inutilmente aveva cercato di mettersi in contatto con lei, e c’era un SMS laconico ma secco “Chiamami”.
Però lei se ne era ben guardata dal richiamarlo, anzi ogni motivo che annunciava una telefonata era fonte di disagio e nervosismo. Così decise di chiuderlo nuovamente finché non fosse arrivata a Firenze. Voleva, prima di parlare con lui, aprirsi con Silvia, che sicuramente sarebbe stata in grado di darle buoni consigli.
Il pensiero dell’amica le fece tornare in primo piano quella telefonata non sollecitata ma tanto gradita. Aveva sentito parlare di premonizioni, di sesto senso, di intuizioni sensitive, ma mai aveva toccato con mano questo aspetto misterioso e indecifrabile che fa esclamare “Me la sentivo”.
Mentre il treno correva veloce verso Firenze in una giornata calda e soleggiata d’agosto, Micaela aveva cominciato a scavare dentro di sé alla ricerca di segnali certi di queste sensazioni premonitorie. Era sicura di aver conosciuto una persona mai vista o di essere già stata in un certo posto, ma aveva attribuito queste sensazioni all’immaginazione fervida che aveva.
Un giorno passeggiando in Prato della Valle le sembrò di essere andata a ritroso nel tempo all’epoca della Serenissima quando i nobili padovani scivolando sul Brenta raggiungevano Venezia. Un senso di angoscia l’aveva presa alla gola, mentre il cielo si riempiva di nuvolaglia nera che non prometteva nulla di buono. Un violento fortunale si stava abbattendo su di lei, che finita nel Brenta annegava. Lanciò un urlo d’aiuto e s’accorse che tutti la stavano guardando stupiti ed incerti sui motivi del suo grido. Il viso si imporporò per avere richiesto un soccorso che stava solo nella sua mente. Mormorando alcune frasi di scusa e rassicurazione si allontanò velocemente per sottrarsi alla curiosità dei passanti. Una pesante cappa di angoscia gravava su di lei mentre non riusciva a distogliere la mente da quella immagine che la vedeva scivolare sotto le acque nere del fiume. La sensazione della mancanza di ossigeno era terribile, sentiva l’acqua entrare nelle narici, in bocca, mentre la vista si appannava e diventava tutto buio. Si interrogò a lungo per trovare una risposta razionale a quell’episodio angosciante senza trovare una spiegazione convincente optando alla fine per lo stress degli esami. Altre due o tre volte si trovò coinvolta in episodi dove l’acqua era l’elemento predominante anche se per fortuna erano stati meno cruenti di quello immaginato in Prato della Valle.
Giunse alla conclusione che in una delle precedenti vite vissute aveva avuto a che fare con l’acqua e mai in modo positivo. Poi dimenticò tutto mentre queste sensazioni lasciavano il posto a pensieri più piacevoli.
Ora, mentre viaggiava verso una vacanza insperata e non programmata, le tornavano alla mente tutti questi episodi ed altre percezioni che non era riuscita a catalogare con certezza e razionalità.
“Quante volte mi sono detta che il mio intuito mi ha guidato nella scelta” si diceva mentalmente ripercorrendo quegli istanti “E’ stato solo intuito oppure era preveggenza?”
Ora non ne era più tanto certa, perché ricordava certe passeggiate notturne per la casa evitando gli ostacoli disseminati sulla sua strada. Eppure era sicura che non vedeva altro che buio, né i contorni degli oggetti, né la loro disposizione.
In maniera inspiegabile il giornale abbandonato sul sedile di fronte era aperto casualmente su un un articolo che parlava del sesto senso che esisteva veramente e non era paranormale. L’aveva letto ed era rimasta scioccata sul contenuto.
“Diamine!” esclamò silenziosamente “E’ casuale pensare ad episodi e sensazioni misteriose, mentre sotto il mio naso stava proprio un articolo che parla di questo?”
Era ancora tutta assorta in queste riflessioni, quando sentì la voce gracchiante dell’altoparlante che annunciava l’imminente arrivo a Firenze.
Raccolse la borsa, il giornale spiegazzato e alcune riviste preparandosi a scendere, mentre cancellava dalla mente tutti i pensieri.
“Basta pensieri!” si disse “Sono in vacanza e voglio goderla tutta”.
In fondo al binario vide Silvia che agitava una mano in segno di saluto di fianco ad un uomo che identificò per Gianni.
Accelerò il passo per poterla abbracciare.
(Capitolo 13)

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Il messaggio

Il messaggio era comparso non per una magia strana, ma perché lei l’aveva richiamato dalle viscere del telefono. Però gli occhi non volevano leggere mentre voleva sapere.
Tutto durò una frazione di secondo, poi pensiero, vista, sentimenti furono un tutt’uno e all’unisono cominciarono ad imprimere vocali e consonanti che formavano le parole nella retina ricomponendo il messaggio.
“Tra dieci giorni sarò da te. Matteo”.
Micaela osservava il messaggio e taceva, lo rileggeva e non pensava, era ipnotizzata dal telefono come dagli occhi del mago.
“Quanto tempo è passato?” si domandò incredula, mentre le noti di “un senso di me” di Elisa si diffondevano per la stanza.
Il panico l’avvolse completamente come la tela del ragno avviluppava la preda che incautamente si era avvicinata troppo.
Era certamente Matteo che stava facendo sentire la sua voce, ma “La voglio ascoltare?” si domandò ancora una volta mentre il suono continuava assordante per i timpani.
Meccanicamente premette il tasto verde e appoggiò il telefono all’orecchio, mentre una voce familiare veniva percepita dalla mente.
Era Silvia, che per un misterioso sesto senso veniva in soccorso dell’amica.
“Sei diventata muta?” disse ridendo.
Micaela trasse un profondo respiro, perché l’ansia le aveva ottenebrato la vista e cominciò a parlare dapprima titubante, perché non era certa di sentire chiara e forte la voce dell’amica, poi sempre più franca come l’onda di piena si precipitava a valle rombando.
Silvia le raccontò che si era appena svegliata confortata dal calore di Gianni, quando aveva percepito nella mente che Micaela aveva necessità di parlare con lei. Dapprima stentava a credere di essere desta, perché le sembrava inverosimile di aver captato in modo corretto questa richiesta di aiuto senza segnali od indicazioni certe. Poi questa sensazione era diventata sempre più forte e cogente e così aveva chiamato.
“Come hai intuito che sentivo il bisogno di confidarmi con te?” chiese ancora una volta Micaela “La testa era confusa, i pensieri correvano impazziti, ma io non ho pensato a te così intensamente” proseguì incredula ma felice di sentire quella voce amica e rassicurante.
“Me lo sentivo” rispose laconica Silvia “Racconta. Ma no, come stai? Sei in ferie? Se vuoi c’è ancora un posticino libero nell’agriturismo dove siamo. Raggiungici a …”.
“No, non è giusto che abbiate una single tra i piedi” la interruppe e cominciò a raccontare.
Il discorso era confuso, sconclusionato, senza nessun ordine temporale così come i pensieri che fluivano fuori caoticamente.
“Calmati. E riprendi dall’inizio. Non ci sto capendo nulla” riprese Silvia “Prepara la valigia, chiudi la casa e prendi l’Eurostar per Firenze. Là sarò a prenderti”.
“Ma.” balbettò Micaela. “Niente ma” la zittì l’amica “Sei in stato confusionale. Questi dieci giorni saranno benefici. Lo stress ti sta ammazzando”.
Continuava a domandarsi per quale strana premonizione le aveva telefonato intuendo il suo stato di disagio e faticava a seguirla nelle istruzioni cosa prendere con sé, quale treno, dove scendere, cosa fare.
“Hai capito tutto?” le chiese alla fine.
“No!” fu la risposta laconica e tremolante di Micaela che distratta da mille pensieri aveva divagato pensando al messaggio di Matteo, ai genitori ignari dei nuovi progetti, a come Silvia aveva percepito il suo affanno. Un nuovo pensiero la mise in ansia: non aveva denaro sufficiente per una vacanza o almeno così credeva.
“Ascoltami!” disse spazientita Silvia ” prendi la moleskine, la penna e comincia a scrivere senza pensare ad altro”.
Le rispose che non poteva venire, perché non aveva denaro sufficiente per la vacanza. Mentre diceva questo, le guance erano diventate rosse per l’imbarazzo e la voce si era incrinata per la vergogna di ammettere di non potersi permettere dieci giorni di ferie.
“Sciocca” le rispose ridendo “Per me paga Gianni. Quindi io posso pagare per te! Hai soldi sufficienti per pagarti il treno?” E poi cominciò a dettare tutto quello che doveva fare nella mattinata.
“E un’ultima cosa.” le disse perentoria Silvia “Spegni il telefono e tienilo spento finché non sei sul treno. Così non ti vengono altre tentazioni. E’ sufficiente seguire tutte le istruzioni. A dopo”.
Micaela guardò il telefono mentre si spegneva ancora incredula per tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti da quando aveva aperto gli occhi.
Era ancora in camicia da notte ripensando allo scambio di SMS con Matteo, alla telefonata provvidenziale dell’amica, a dieci giorni di ferie in un agriturismo vicino a Siena, al lungo viaggio che l’attendeva e alla giornata che era solo all’inizio.
Se voleva prendere quel benedetto Eurostar doveva sbrigarsi e molto in fretta senza pensare a niente.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per riflettere durante il lungo viaggio verso Firenze.
(Capitolo 12)

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Riflessioni agostane

Aveva appena premuto invio che immediatamente era pentita come la prima volta quando gli aveva dato il numero.
“Se fosse in un qualche atollo sperduto del Pacifico sollazzato da una bella polinesiana,” diceva poco convinta Micaela “non leggerebbe il mio messaggio”, ma tra poco avrebbe dovuto ricredersi, perché non era in un atollo della Micronesia.
Si interrogava sulla molla che la spingeva a cercare Matteo e perché sentiva dentro di sé un’attrazione quasi incontrollabile verso di lui.
Era riuscita a resistere quasi un mese a non rispondergli, a non pensare a lui, a dimenticarlo fisicamente, poi nello spazio di un minuto aveva composto il messaggio senza rileggerlo spedendolo immediatamente prima di avere il minimo ripensamento.
Era nel letto con una leggerissima camicia da notte che frusciava sul corpo accaldato con carezze morbide e sensuali. Rifletteva e assaporava il piacere del tessuto sulla pelle, era stato forse questo contatto a risvegliare in lei il desiderio di Matteo o forse la tensione di quel mese intenso che era evaporata durante la notte come il sudore dal corpo.
Rifletteva. Era stata la cocciuta determinazione a non concedersi distrazioni, la chiave del successo, l’avere centrato l’obiettivo di quella estate calda ed asfissiante: avere in tasca il titolo della tesi.
C’erano ancora molti dubbi, molti punti interrogativi sul come avrebbe svolto il tema, con quali contenuti avrebbe riempito i fogli, ma conosceva l’argomento e questo le era sufficiente.
Rifletteva. Come avrebbe incastrato Matteo nel mosaico che stava componendo per il futuro, non le era ancora noto. Si domandava se la presenza di lui non fosse stata troppo ingombrante e dispersiva per il ruolino di marcia che si era imposta fino al febbraio del prossimo anno.
Questo era un punto importante, uno snodo cruciale, che doveva affrontare con la mente sgombra dal altri pensieri o non offuscata da emozioni e sentimenti. Ci sarebbe riuscita oppure sarebbe stato un flop colossale, ma non lo sapeva o almeno credeva di ignorarlo.
Rifletteva. Non le erano ancora chiari, quali sentimenti provava per quel uomo. Era innamoramento o era amore? Come poteva distinguere l’innamoramento dall’amore? E l’innamoramento cos’era?
Domande su domande senza risposte certe, mentre una sottile lingua d’angoscia si insinuava subdola nella mente di Micaela. Quel senso di euforica contentezza con la quale si era svegliata lasciava il posto all’ansia della solitudine e del dubbio.
I genitori erano lontani, Silvia era partita da qualche giorno con Gianni, la compagnia dei compagni di lavoro si era disciolta da qualche ora, Matteo non sapeva dov’era, lei si sentiva accerchiata dal silenzio e dalla solitudine.
Rifletteva. Lo scoramento stava prendendo il sopravvento sulla determinazione feroce che l’aveva sostenuta finora, quando un trillo le annunciò l’arrivo di un messaggio.
Si stava domandando perché aveva scritto “Mi sento sola e vorrei la tua compagnia”, testo ambiguo e sicuramente non veritiero, ma ormai la frittata era fatta senza possibilità di rimedio.
Quel trillo era come la fucilata per il condannato a morte. Aspettò, controllò il respiro che si era fatto affannoso, calmò i battiti del cuore che aveva accelerato il ritmo. La mente era in subbuglio con tanti pensieri contrastanti tanto che pareva un formicaio assalito da un nemico invisibile.
“Lo leggo o lo cancello?” si poneva come domanda insistente mentre la parte irrazionale si esercitava a braccio di ferro con la volontà decisa a resistere alla tentazione.
“Se lo leggo, saprò conservare la lucidità?” era la seconda domanda che esigeva una risposta.
“Perché mi pongo tutte queste domande?” farfugliò mentre guardava il display “Ricevuto messaggio – Leggi”
Sapeva perfettamente chi l’aveva inviato, perché era stata lei a sollecitarlo.
Però era terrorizzata dal leggerlo, perché temeva che la risposta fosse “Dovevi pensarci prima”. E se invece c’era “Tra un’ora sono lì da te”, come avrebbe reagito: contentezza o disappunto.
La confusione nella testa era totale, le pareva che fosse il mercato di Prato della Valle vociante ed assordante, dove a stento si riusciva a camminare.
Micaela si agitò nel letto appoggiata allo schienale col telefono in mano, mentre sentiva la camicia accarezzarle la pelle accenderle il desiderio.
Pigiò il tasto “leggi” e il messaggio comparve.
(Capitolo 11)

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