Una storia così anonima – parte undecima

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Bologna 21 febbraio 2015, ore 14

Quando Luca arriva al civico 16, sotto casa di Vanessa, la trova che lo sta aspettando.

“Potevi camminare più in fretta” lo redarguisce. “Sono qui da un’ora”.

Il ragazzo la guarda come se fosse una persona aliena. Non replica. Sbuffa, mostrando gli innumerevoli sacchetti di plastica, che tiene in mano. Vorrebbe soffiarsi il naso che gocciola come una fontana ma non può. É scuro in volto e più di una volta si è detto ‘Fanculo!‘. Adesso sta in silenzio.

“Per due borse!” dice Vanessa sarcastica.

“Due borse di mia nonna!” replica Luca con la mosca al naso, trattenendosi dal dire parolacce. “E le tre ore al gelo e in piedi, quelle non le conti?”

“Ora saliamo e così ti riscaldi, brontolone” fa la ragazza, mentre prende le chiavi dalla borsa.

Vanessa sorride e apre il portone senza aggiungere nulla. In silenzio salgono al secondo piano con l’ascensore. Luca tiene il muso. Gli pare essere preso per i fondelli e mastica amaro. Se non fosse per il manoscritto l’avrebbe già mandata a quel paese, mettendo le borse per terra.

“Posa le sportine della spesa sul tavolo” gli dice, mentre lo abbraccia e gli scocca un bacio sulla bocca come riparazione delle frecciate di prima.

Il ragazzo addolcisce il viso e si rilassa un pochino ma l’irritazione non è cancellata.

“Prepariamo il sugo coi pomodori acquistati, mentre si cuociono gli spaghetti integrali al kamut” afferma decisa. Prende dal cassetto sotto il piano di cottura due pentole che riempe di acqua.

Luca si è seduto e si massaggia le mani indolenzite e violacee per il freddo.

“Cosa hai trovato in Sala Borsa?” le chiede il ragazzo. “Mi dai Repubblica che leggo l’articolo?”

“No!” replica Vanessa seccamente. “Lo leggiamo insieme. Dopo. Con calma. In Sala Borsa? Un paio di libri, che ho preso in prestito. Non so quanto ci saranno utili”.

“Cosa pensi di Henry de Caron? Hai capito dalla cronaca dell’Anonimo, perché sta alle calcagna di Pietro? Io, no” fa Luca, mentre si soffia il naso vistosamente.

“Neppure io” fa Vanessa, mentre prende fuori dalla pentola in ebollizione i pomodori. “Sbucciali, mentre metto a cuocere la pasta”.

Luca comincia a togliere la pelle, mentre riflette sulla storia.

“Pare che il famoso cunicolo esista per davvero, stando al titolo della locandina” dice il ragazzo.

Vanessa non risponde subito, mentre taglia a tocchetti i pomodori pelati, che mette in una casseruola con olio d’oliva, uno spicchio di aglio e prezzemolo.

“Parrebbe di sì, se il testo conferma il titolo” fa la ragazza che mette sul fuoco la teglia. “Senti la pasta. Mi piace al dente ma non troppo”.
“Ma secondo te, Pietro raggiungerà la corte papale? Dovrebbe farcela, ha un salvacondotto” afferma Luca, mentre assaggia uno spaghetto.
“Non saprei se ce la fa. Il salvacondotto? Allora come oggi non conta nulla. Non badavano tanto alle apparenze di un pezzo di carta. Fair play, rispetto delle regole erano degli optional. Non credo che sia cambiato molto al giorno d’oggi” risponde Vanessa, che assaggia il sugo, dopo aver eliminato lo spicchio d’aglio. “La pasta?”
“Per me è cotta” replica il ragazzo. “Se Pietro ritorna sano e salvo dalla Francia, sicuramente sposterà il tesoro”.
“Non farti illusioni. Trovarlo, ammesso che esista o sia esistito, è come la ricerca di un ago nel pagliaio” afferma con decisione Vanessa, mentre versa gli spaghetti scolati nel sugo di pomodoro. “Lava un po’ d’insalata. E non stare lì impalato col viso meditabondo! Dati da fare, se vuoi mangiare!”
Luca prende due caspi di insalata gentile, uno verde e uno rosso. Toglie le foglie brutte e dopo averle sminuzzate mette il tutto nello scola verdure.
“Però secondo me Pietro non fa un viaggio inutile fino a Poitiers. La convocazione è un semplice pretesto” dice il ragazzo, mentre lava con cura l’insalata sotto l’acqua corrente.
Adesso c’è rimasto solo da cuocere le fettine di vitello‘ pensa Vanessa, mentre prende una tovaglia di cotone da un cassetto.
“Sgombra il tavolo. Passalo con la spugnetta umida. Poi metti la tovaglia, piatti, bicchieri e posate” fa la ragazza, che continua a dare ordini. “Anche secondo me. Se il papa voleva incontrarlo, poteva scegliere un momento più opportuno”.
Uffa! Sempre a comandare!‘ si dice Luca, mentre stende la tovaglia e mette quel che serve sul tavolo. Apre il frigo e prende acqua e il vino. Il pane è fresco. Tuttavia i suoi pensieri sono tutti rivolti a Pietro, che trova furbo come una faina. Ha scoperto il gioco sporco di Henry de Caron, l’ha fregato nella salita verso il Moncenisio e adesso chissà cosa ha escogitato per bidonarlo una seconda volta.
“Pietro è un furbacchione, abile con le parole e svelto col cervello. Mi domando se ha un’idea del motivo per il quale è stato convocato dal papa. É vero che lo conosce personalmente ma la situazione per i templari non si può dire ottimale. Inoltre rischia di assaporare le panche delle prigioni reali francesi” dice Luca, mentre sistema la tavola.
“Anziché chiacchierare, cuoci le due fettine di vitello. Vuoi senape o maionese?” gli domanda Vanessa.
“Solo un filo d’olio” risponde il ragazzo.
“Tieni alla linea?” lo canzona la ragazza. “Sì, Pietro è un tipo tosto. Dubito che finisca in una prigione francese. É troppo abile con le parole ed è sveglio con la mente per lasciarsi ingabbiare”.
“D’accordo con te. Ma quelli erano tempi bui e pericolosi per tutti” afferma Luca, che non risponde alla provocazione della ragazza. Mette sulla piastra le due fettine che cuoce con perizia.
“E adesso tutti in tavola. Bando alle ciance. Lavorano solo le mandibole” fa Vanessa, sedendosi.
Il ragazzo alza gli occhi verso l’orologio. Gli scappa un fischio.
“Che c’è, ora?” domanda la ragazza, che non ha afferrato il senso della sorpresa di Luca.
“Hai visto l’ora?”
“No”.
“Sono già le tre!” fa il ragazzo sorpreso.
“Embé? Devi andare da qualche parte?” esclama Vanessa con la bocca piena di spaghetti.
“No. Il tempo è volato oggi” replica Luca. “Buoni questi spaghetti”.
“Perché dubitavi?” dice la ragazza pronta a ringhiare, se lui avesse osato mettere in dubbio le sue qualità di cuoca. “Dove abbiamo lasciato i nostri eroi?”
“Ah! Ah!” fa il ragazzo, sghignazzando.
“Che hai da ridere, sciocca creatura!” afferma stizzita Vanessa.
“Hai detto che dovevamo mangiare senza pensare alla storia” la pungola Luca.
“Infatti, non parlo della storia. Volevo vedere se eri stato attento nella lettura” lo sfotte con sarcasmo.
Luca vorrebbe rispondere per le rime ma non gli va di rovinare il pranzo con battute e ribattute. Ha fame. Il giorno prima ha mangiato qualche panino annaffiato da litri di caffè. A parte il bombolone della mattina non ha messo sotto i denti nulla.
“Dove li abbiamo lasciati?” dice il ragazzo. “Pietro a … nel paesino dopo il valico e Henry de Caron all’Ospizio”.
“Cosa pensi che abbia scritto il nostro cronista anonimo?” fa Vanessa come se parlasse da sola.
“Non saprei” commenta Luca, alzando le spalle.
“Hai perso tutta la tua fantasia di scrittore?” lo punzecchia la ragazza.
“Ma… veramente io non sono uno scrittore. Non ho mai pubblicato nulla” si schernisce il ragazzo.
“Sei timido. Tutto qui” conclude Vanessa. “Io penso che il cronista punterà le sue fiches sull’inseguimento di Henry de Caron e sulla furbizia di Pietro”.
La ragazza si alza, toglie i piatti sporchi e mette in tavola i dolci.
“C’è un po’ di zuppa inglese” comincia la ragazza.
“Cos’è un residuato delle guerre puniche?” dice Luca, ridendo.
“Ma no. É di domenica scorsa”.
“E quindi cerchi il merlotto che la spazzi via” afferma il ragazzo con sarcasmo.
“E va bene. Me la mangio io. Preferisci il certosino o la ciambella che abbiamo comprato nel panificio?” prosegue Vanessa nell’elenco, senza replicare la battuta.
“Ciambella e vino” concorda Luca. “Sì, sì. Quando riprendiamo la lettura sicuramente troveremo l’inseguimento di Henry de Caron a Pietro. A proposito. Non è ancora il momento della lettura dell’articolo sulla Repubblica?”.
La ragazza mette in tavola la ciambella e la zuppa inglese e poi recupera il giornale.
“Posso assaggiarne un po’ di zuppa inglese?” chiede timidamente il ragazzo.
“Ma non è più il reperto archeologico?” fa di rimando la ragazza, che apre il giornale nella sezione di Bologna.
“’Quel tunnel segreto dei Templari nelle viscere di Strada Maggiore‘ titola un breve articolo” legge Vanessa. “Uffa! Appena poche righe!”.
“Leggile” suggerisce Luca, mentre sbocconcella la ciambella inzuppata nel vino.
“E va bene! Leggo”.
C’è un tunnel segreto dei Cavalieri Templari sotto i basoli appena posati in Strada Maggiore. Lo hanno individuato con il georadar gli archeologi durante i lavori per il Crealis: le analisi del sottosuolo ne hanno evidenziato la presenza in maniera chiara, anche se non è stato possibile toccarlo con mano. Si tratta di un cunicolo che parte dalla “Commenda”, la vecchia casa templare di Santa Maria del Tempio in Strada Maggiore al numero 80, localizzato a circa due metri di profondità. Vi si accedeva dalla vecchia chiesa che sorgeva all’interno della “Commenda”, quasi di fianco a dove oggi sorge la chiesa di Santa Caterina, e proprio per questo può darsi che conducesse ad una cripta sotterranea. Che i sotterranei di Bologna siano un vero reticolo di cunicoli medievali non è una novità, ma questo potrebbe servire a chiarire qualche dettaglio sulla storia dei Templari bolognesi, di cui si hanno ancora testimonianze frammentarie. E non è l’unica scoperta fatta dagli archeologi durante gli scavi in Strada Maggiore. I rilievi del georadar hanno fatto emergere anche la presenza di una cripta circa a metà del portico dei Servi, alla quale si accedeva dalla chiesa. Oltre alle fondamenta di Porta Maggiore e del palazzo dei dazi, dove si pagavano le tasse per l’ingresso delle merci –
Da La Republica – sezione Bologna – del 21 febbraio 2015 – Caterina Giusberti

“Contento? Non mi pare che dica molto. Conferma solo che il nostro cronista anonimo aveva documenti di prima mano e non semplici fantasie o fantasiose ricostruzioni. Nella stessa pagina c’è anche un intervista a un certo professor Cova sui templari. Però è troppo lungo per leggertelo. Lo farai da solo” dice Vanessa, allungandogli il giornale.
parte dodicesima

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Una storia così anonima – parte decima

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Bologna, 21 febbraio 2015, ore nove

Un suono insistente mette fine all’abbraccio dei due ragazzi, che sono profondamente addormentati sul divano.

Vanessa si scuote e si agita, svegliata di soprassalto da quel rumore fastidioso. Si guarda intorno cercando di capire perché Luca sta dormendo con lei su uno scomodo letto di fortuna. Si sfrega gli occhi verdi, ancora assonnati, nel tentativo di aprirli per bene.

“Chi rompe?” esclama ad alta voce, avvicinandosi al video citofono. Non aspetta nessuno, neppure il postino, che di solito arriva intorno a mezzogiorno. Guarda l’ora. Sono passate le nove da poco.

Quando osserva lo schermo illuminato, la rabbia cresce.

“Stronzo, dovevi pensarci bene stanotte a come parlavi” dice, lasciandolo suonare inutilmente. Adesso deve risolvere un altro quesito. ‘Che cazzo ci fa Luca sul mio divano?’ si dice, mentre un lampo le rischiara la memoria. La telefonata dell’amico nel cuore della notte, il litigio con Franz, la lettura del manoscritto del seicento, la storia dei templari bolognesi.

“Chi sta suonando con tanta insistenza?” domanda Luca, che si è messo ritto sul divano, cercando un improbabile appoggio.

“Uno stronzo” replica seccata Vanessa.

“E che vuole?” insiste il ragazzo, che finalmente sta eretto.

“Non lo so e non m’importa” risponde stizzita la ragazza. “Un caffè?”

“Nero e carico” fa Luca, che traballante si muove verso la cucina.

Il ragazzo si siede pesantemente sulla sedia e osserva Vanessa che appare piena d’energia. Lui si sente come uno straccio. La notte insonne l’ha messo a terra.

“Che facciamo?” chiede Luca, sbadigliando vistosamente.

“Quello che ci siamo detti” afferma la ragazza, mentre accende il fornello.

“Non ricordo” dice il ragazzo, che ha un vuoto di memoria. “Se me lo puoi dire, faccio un refresh delle sinapsi”. Ride della battuta non molto felice.

“Andiamo in Strada Maggiore” fa Vanessa, mentre mette sul tavolo due tazze, lo zucchero di canna e della panna fresca. “Ci sono dei biscotti nella credenza”.

“Uhm! Mi basta il caffè” replica Luca, sbadigliando senza ritegno.

Adesso ricorda tutto. La visita alla biblioteca Ariostea, le fotocopie del manoscritto di straforo, il tentativo di capirci qualcosa, la corsa a Bologna nel cuore della notte e alla fine il crollo per stanchezza. Riflette su quello che hanno letto. Il tesoro dei templari bolognesi è stato nascosto. Pare, senza averne la certezza, che non sia mai stato ritrovato. Ma esiste veramente o è uno dei tanti miti, che gli scrittori hanno alimentato? Si dice, mentre sorseggia in silenzio la sua tazza di caffè.

“Tu che pensi?” gli domanda Vanessa, che non lo ha ancora bevuto, perché pensa alla lettura del manoscritto antico.

“Non lo so. Mi sento confuso. Il tesoro è un mito oppure una realtà che i nostri occhi non vedono” risponde Luca, posando la tazzina vuota.

“Non sei di molto aiuto, a quanto pare” fa la ragazza, che si è decisa di bere prima che il caffè diventi completamente freddo.

Il ragazzo sorride storto. Adesso ricorda quello che si sono detti prima di cadere sul divano abbracciati. É stato un momento di dolcezza sentirla addormentarsi tra le sue braccia. Scaccia subito il pensiero ma il retrogusto dolce rimane.

“Volevo dire…” comincia Luca non troppo convito.

“Sentiamo quale cazzata ti sei inventato su due piedi, perché non credo che ci pensavi prima” fa Vanessa, raccogliendo le tazzine, che depone nel lavello insieme alle altre della notte.

“Volevo dire che ho le idee confuse su questa storia. Il francese ha un compito preciso da assolvere. Ma quale non l’ho intuito” dice Luca, improvvisando la battuta.

Vanessa ride, perché legge con chiarezza negli occhi del ragazzo che la risposta è stata messa in piedi come un frutto improvvisato. Adesso deve correre in bagno, se non vuole lasciare un ricordo umido sul pavimento. Per le battute ci penserà dopo.

“Mi faccio una doccia veloce. Puzzo come un caprone” urla la ragazza da dietro la porta. “Poi se vuoi, la puoi fare anche tu”.

“Che caprone meraviglioso vedo!” esclama Luca, ridendo.

Vanessa esce dal bagno, afferra un cuscino da una sedia e lo tira al ragazzo, che lo agguanta al volo. Poi si dilegua nella zona notte. Luca appoggia il cuscino sul tavolo e chiude gli occhi.

Alle dieci i due ragazzi scendono in strada e si avviano verso le due torri. É una giornata fredda priva di sole. Il cielo è coperto e spira un vento di tramontana. Arrivati in fondo a via Rizzoli, entrano nel bar all’angolo per fare colazione.

“Tu, da dove cominceresti le indagini?” gli chiede Vanessa, che si sta gustando una soffice brioche al miele.

“Dalla commenda” risponde pronto Luca con la bocca piena di un bombolone alla crema.

La ragazza ride, gettando indietro i riccioli rossi che erano scivolati sugli occhi.

“Io no” dice, scuotendo il capo.

Vanessa sorseggia un tè al gelsomino senza dire una parola in più. Luca beve l’ennesimo caffè e aspetta che la compagna parli. Lei continua a tacere.

“Mi chiedi da dove cominciare. Ti rispondo ma non sei d’accordo. Poi resti in silenzio” replica il ragazzo deluso, mentre si avvia alla cassa per pagare.

“Alla commenda non troviamo nulla. Tempo sprecato” dice la ragazza, prendendolo sottobraccio.

“Ma che ci andiamo a fare?” domanda Luca alquanto basito.

“Veramente l’hai chiesto tu stanotte” replica Vanessa sorridente, mentre le cade l’occhio su una locandina dell’edicola vicina.

“Certamente, l’ho chiesto…” comincia il ragazzo, mentre lei si ferma di colpo.

Luca non comprende il motivo dell’arresto improvviso e sta per chiederle il motivo, quando capisce tutto. ‘Quel tunnel segreto dei Templari nelle viscere di Strada Maggiore‘ recitava la locandina fuori dall’edicola. Non c’è nemmeno il tempo di focalizzare e metabolizzare la notizia che Vanessa è già entrata nella rivendita per comprare una copia di La Repubblica. ‘Adesso dobbiamo trovare un posto per leggere in santa pace l’articolo’ si dice il ragazzo guardandosi attorno.

“Vieni” fa la ragazza, strattonandolo. “Arriviamo fino a via Torleone. Il numero 80 è proprio sull’angolo”. Il giornale sparisce nella sua capiente borsa.

Strada Maggiore è un immenso cantiere polveroso e rumoroso. Già camminare è un bel problema tra strettoie e piccole deviazioni. In silenzio arrivano al numero ottanta e vedono un palazzo che li lascia delusi. Scialbo e di certo molto più recente rispetto agli avvenimenti, che l’Anonimo cronista ha trascritto, si presenta ai loro occhi. Leggono la targa ‘Opera pia poveri vergognosi‘. Niente riferimenti ai Templari ma una semplice ASP. Si guardano e per un tacito accordo decidono di fare retromarcia. Nessuna informazione, nessuna luce che si accende nella loro testa suscita la vista di questo palazzo davvero insignificante.

“Facciamo un salto in vicolo Ranocchi per comprare qualcosa da mangiare” dice con tono imperioso Vanessa, mentre guida l’amico per le vie strette del centro di Bologna.

“Posso aiutarti?” le chiede Luca.

“Non è domanda da farsi! É un obbligo. Devi aiutare” esclama la ragazza, infilandosi nel negozio di frutta e verdura.

Ormai è mezzogiorno passato, quando il ragazzo, sbuffando per le numerose borse di plastica che porta, sbuca in Piazza Maggiore, seguito da Vanessa che lo dirige a bacchetta.

“Bene. Finiti gli acquisti di vettovaglie per i prossimi giorni. Faccio un salto in Sala Borsa a vedere se c’è qualche materiale interessante sui templari e in particolare su quelli bolognesi” fa la ragazza, lasciandolo in mezzo alla piazza.

“Ma è aperta anche di sabato?” le urla dietro Luca. Le sue parole si disperdono con vento che soffia freddo sulla piazza. Lui, stanco di aspettare e gelato dalla tramontana, si ripara appena dentro a Sala Borsa. ‘Qui almeno non si gela’ si dice, incapace di soffiarsi il naso che cola come una fontanella.

Dopo quasi due ore Vanessa arriva allegra con sottobraccio diversi libri presi in prestito.

“Ho trovato questi” fa la ragazza, mostrandoli a Luca.

“Io non mi sento più braccia e piedi” replica indispettito il ragazzo.

“Quante storie! Eri qui al calduccio. Che vuoi di più?” dice la ragazza, canzonandolo.

“E ora di corsa a casa!” prosegue Vanessa, avviandosi con passo deciso verso via Indipendenza.

“Se vuoi correre, corri tu. Io arrivo, quando ce la faccio” fa Luca, uscendo di nuovo al gelo. ‘Corri, corri! Di grazia che non schiatti sulla piazza’ si dice, muovendosi con lentezza. Vanessa era ormai persa di vista.

parte undecima

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Una storia così anonima – parte nona

dal fotoalbum di Virgilio
dal fotoalbum di Virgilio

Ospizio del Mont Cenis, 5 novembre 1307, primo albore, anno secondo di Papa Clemente V
Pietro si sveglia al suono della campanella, che chiama a raccolti gli abitanti dell’Ospizio per le preghiere del mattino.
“Sveglia” dice il frate, scuotendo il giovane compagno. “Assolte le preghiere del mattino e mangiato qualcosa di caldo, si parte, tempo permettendo”.
Sbircia fuori nel buio, com’è la situazione. La neve continua a cadere, sia pur con minore intensità. Ha ricoperto il paesaggio sotto una spessa coltre di bianco.
“Frate Pietro, pensate che riusciremo a metterci in marcia?” chiede Philippe scettico sulla possibilità di farcela.
“Con l’aiuto di Gesù Cristo e la protezione di Santa Maria Maddalena, penso proprio di sì” risponde il frate, che infilata la tunica bianca si avvia verso la cappella.
“É ora di mettersi in viaggio” dice Henry, scuotendo i compagni, che per il fastidio grugniscono indispettiti.
Prende qualche pezzo di legna per riaccendere il fuoco e riscaldare un po’ la gelida caverna. Sente il sibilare del vento che fischia tra le rocce. Si avvicina all’apertura e impreca. Il panno è duro come il marmo, la neve accumulata all’esterno sarà alta almeno un braccio e mezzo. Non sarà facile uscire dalla grotta. ‘Di sicuro si sono rifugiati nell’Ospizio. Ritrovare le loro tracce sarà facile’ si dice Henry, mentre ritorna sui suoi passi. Riflette su frate Pietro. Non lo conosceva, nemmeno per sentito dire. Eppure gli sono stati sufficienti pochi scambi di battute per comprendere che sarebbe stato un osso duro da rosicchiare e rendere difficoltoso il suo incarico. Adesso è in ballo e deve ballare.
“Sveglia, dormiglioni. Tra poco si parte” esclama Henry, mentre si scalda vicino al fuoco, che crea sulle pareti ombre misteriose e strane.
Fatta una frugale e fredda colazione, spostano con difficoltà le rocce che avevano messo dinnanzi all’imboccatura. Uno spesso strato di ghiaccio le ha incollate tra loro e la parete. Una piccola valanga di neve, accumulata dal vento, precipita all’interno. All’esterno lo spessore è notevole e rende pericoloso il percorso, perché non si sa cosa si celi sotto. Con molta fatica e qualche apprensione escono per riprendere l’inseguimento.
Pietro si confessa e prende il sacramento della comunione, mentre il chierico lo guarda ammirato. Il frate ha sgomberato la mente da ogni pensiero terreno e rivolge il ringraziamento a Gesù Cristo per averlo assistito fino a quel momento. Di buon umore si sposta nel refettorio per prendere qualcosa di caldo e chiedere lumi sulla strada e sul tempo. Mentre è in attesa che lo servano, pensa al presunto confratello, Henry de Caron, e ai motivi per i quali è alle sue calcagna. Già gli era apparso subito strano che un templare, sfuggito alla retata del re di Francia, avesse rischiato la cattura durante il viaggio per raggiungere la magione bolognese. Perché? Si domanda. Sarebbe stato più logico che si fosse rifugiato in un luogo sicuro, invece di compiere un viaggio di centinaia di miglia per arrivare a Bologna. Deduce che deve avere un preciso incarico da portare a termine e che riguarda la sua persona. Però non trova un collegamento certo tra la presenza a Bologna e il successivo inseguimento, molto discreto nella forma. Anche il falso messaggio del Gran Maestro, Jacques de Molay, stonava nel complesso. ‘Poi dove l’avrebbe portato, se fosse riuscito a mettere le mani sul tesoro della nostra magione?’ si dice Pietro, mentre mangia la zuppa di cavoli e piselli. Troppi punti oscuri sono da dipanare per avere risposte certe.
“Fratello Guilloz sapreste indicarmi la strada per raggiungere il valico e poi scendere nella vallata sottostante?” Pietro chiede lumi al monaco che viene indicato come profondo conoscitore del tempo e delle strade delle Alpi.
Il monaco lo osserva stupito. Gli appare una pazzia mettersi in viaggio con un tempo simile e in particolare senza avere la chiara cognizione della via da percorrere.
“Intendete mettervi in viaggio?” chiede basito il monaco.
“Sì, devo valicare le Alpi e recarmi nella terra dei Franchi” risponde Pietro con calma.
“Ma è una pazzia! La neve è alta almeno du pass ēd trabuch!” esclama Guilloz.
Il frate lo guarda come se fosse un personaggio, uscito da un libro di storia.
“Cosa?” dice Pietro, spalancando gli occhi.
“Ma sì, equivalgono a due piedi liprando ma per noi sono due piedi di trabucco” prosegue il monaco, tutto infervorato a spiegare le misure lineari usate lì.
“Ho capito” fa il frate, fingendo di aver compreso, quanto vale quella misurazione. “Anzi, no! Ma non fa nulla. Intuisco che il manto nevoso sia sufficientemente spesso”.
Guilloz sorride ma prosegue per spiegare come l’impresa di valicare il passo sia un azzardo mortale.
“La strada è diventata invisibile e salire al valico è un’impresa pericolosa”.
Pietro scuote il capo. Nevica e sibila il vento, questo è vero, ma con un minimo di prudenza la salita è possibile, riflette il frate.
“Ma quanto dista?” domanda, tralasciando di approfondire il trabucco e il piede liprando e altre amenità del genere. Tanto non ne avrebbe ricavato nulla di buono a insistere. Meglio lasciar perdere e concentrarsi su altri dettagli.
“Non meno di cinque miglia” risponde il monaco.
“Dunque non siamo molto distanti” dice soddisfatto Pietro.
“No, in condizioni normali. Con la neve tutto diventa difficile. Sia trovare la strada, sia evitare di finire in una buca” afferma Guilloz, scuotendo il capo.
“Ma il tempo tiene oppure peggiora?” insiste il frate, deciso ad acquisire tutte le informazioni.
“Secondo me questo aquilone spazza via tutte le nubi tra un’ora o due al massimo ma le temperature diventano rigide e la neve diventa ghiaccio” sostiene il monaco.
“Grazie per le preziose informazioni” dice Pietro, che ha deciso di partire all’ora terza. Spera di ottenere qualche coperta di lana grezza per proteggersi dal freddo, un po’ di vettovaglie e una pertica per sondare il terreno.
Henry de Caron, prima di abbandonare la grotta, istruisce i due compagni di avventura.
“Messeri, fuori c’è neve in abbondanza e ritrovare la strada per il valico non sarà semplice. Però se voi mi seguirete con diligenza e attenzione, tutto si semplifica. Io starò in testa. Voi starete dietro di me, ricalcando le mie orme. Cammineremo a piedi, tenendo i cavalli per la briglia, facendo la massima attenzione. Ora in marcia”.
Con Henry alla testa del gruppo escono dalla fenditura con prudenza. Il cavaliere sonda il terreno con lo spadone che porta alla cintura alla ricerca del tratto piano tra le rocce. Procede con cautela. ‘Una volta tornati sulla strada, non dovrebbe essere complicato seguire le orme dei due frati, se, come immagino, si sono rifugiati all’ospizio’ si dice Henry che affonda pesantemente nel manto nevoso.
Il tempo scorre, mentre il vento spazza le nubi e mostra l’azzurro del cielo. Il sole fa la sua comparsa ma la temperatura diventa sempre più rigida. Henry de Caron fatica a ritrovare la via che aveva abbandonato ieri sera. Più di una volta è costretto a tornare indietro. Affonda nella neve per mezza gamba e stenta nell’avanzare. É l’ora nona quando intravvede in lontananza le mura dell’Ospizio. Deve decidere, se proseguire oltre col rischio di trovarsi con l’oscurità della notte per strada senza un riparo oppure fermarsi per la notte e riprendere il cammino la mattina successiva. Esiste il pericolo di trovarsi faccia a faccia col frate. Da come l’ha conosciuto, ritiene improbabile questa eventualità. Osserva il viso dei compagni e sceglie di fermarsi.
Pietro, ottenuto quello che voleva, comincia la salita finale verso il passo. La neve è profonda. Procedono a piedi, tenendo i cavalli per le briglie. Con la pertica cerca di intuire se il sentiero sia quello giusto e non presenti insidie nascoste. Sa che deve tenere il piccolo lago ghiacciato alla sua sinistra e il costone roccioso alla sua destra. Avanzano con circospezione, perché alcuni passaggi sono tutt’altro che facili. Come frate Guilloz aveva predetto, il cielo si sgombra dalle nuvole e la neve indurisce. Per un aspetto è un vantaggio, per un altro è un rischio, si dice Pietro. Vede solo roccia e cielo verso l’alto, mentre in basso c’è la conca che racchiude il lago. Superata strettoia, si trovano in un pianoro, dove si fermano per riposare. Osservando il sole, pensa che sia passata da poco l’ora sesta. Devono accelerare se vogliono affrontare la discesa con la luce.
Passato il valico, si dirigono verso il paese di Lens-le-Bôrg passando attraverso un fitto bosco. Il sentiero è ripido e ghiacciato e più di una volta rischiano di scivolare malamente. É buio, quando vedono le prime abitazioni di legno. Ormai sono arrivati. Bussano alla porta di una casa, dal cui camino si leva un filo di fumo.
“Siamo due viandanti diretti a Lugdunum” dice Pietro con la speranza di essere accolti. “Chiediamo ospitalità per la notte per noi e i nostri cavalli”.
Con cautela un montanaro con la barba bianca mostra il suo viso e li accoglie sospettoso. Il fatto che uno di loro porti una grande spada, non lo rende tranquillo.
“Se è per questa” fa Pietro, mostrando l’arma, “non abbiate timori. La lascio fuori dall’uscio. Ripagherò la vostra ospitalità con dei fiorini d’oro”.
Come per magia compaiono delle monete luccicanti nelle mani del frate, che le porge all’uomo.
Henry de Caron, non senza fatica, raggiunge il portone dell’Ospizio, che li accoglie per la notte.
Parte decima

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Una storia così anonima – parte ottava

dal web
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Val Segusium, 4 novembre 1307, ora prima – anno secondo di Clemente V

Pietro è sempre più inquieto. Quella sgradevole sensazione di avere alla costole dei misteriosi inseguitori diventa sempre più acuta. Il chierico Phillipe non avverte lo stesso pericolo e ammira le colline e i campi su i due lati della strada. I colori dell’autunno si mostrano prepotenti e affascinano la vista. La strada ha un fondo accettabile tale da tenere un buon passo.

Arrivati a Venaus, si fermano a una fonte e fanno bere e riposare i cavalli, che coprono con una panno di lana rustica a protezione del freddo che diventa sempre più pungente. Presa la carrareccia di destra, iniziano a salire verso l’abbazia di Novalesa, dove hanno deciso di fare una breve sosta prima di affrontare il tratto finale della salita. Per quanto cresca la voglia di non perdere ulteriore tempo, pensa che sia improbabile riuscire a superare il valico del Mont Cenisium prima del Vespro, perché fa buio presto e il tempo a disposizione non è molto.

É quasi l’ora sesta, quando, usciti dal bosco, ai due viandanti appare in cima a un rilievo le imponenti mura dell’abbazia, che occupa il loro orizzonte. Il complesso monastico, che agli occhi di Pietro si presenta come un blocco grigio sul cielo plumbeo, si sviluppa alla destra di una chiesa di modeste dimensioni. Superata la ripida salita che conduce alla porta del monastero, accedono a un primo cortile, contornato da un loggiato. Il frate guardiano prende in custodia i cavalli, mentre Pietro e Phillipe sono accompagnati al refettorio.

“Vedo nuvole basse e cariche di neve. Pensate che riusciremo a passare il colle e scendere al di là prima del vespro?” chiede il frate a un monaco benedettino che sta portando loro una zuppa di vegetali fumante.

“Se volete rischiare, penso di sì. Però vi suggerisco di fermarvi per qualche giorno. Il tempo migliorerà verso il cinque di novembre e potrete valicare il colle in tutta sicurezza” risponde deponendo innanzi loro due scodelle odorose e calde.

Pietro non risponde e riflette. Non possiamo sprecare diversi giorni, si dice, con la speranza che il tempo migliori e col rischio che l’eventuale neve caduta impedisca il passaggio. Scuote la testa. Il chierico pare estraniato dalla questione, mangia con avidità quella zuppa di vegetali calda, dove ha immerso tocchetti di pane stantio.

Si è alzato un vento gelido, mentre le nubi si fanno più spesse e più basse. Il frate chiede notizie sul sentiero da prendere.

“É possibile procedere a cavallo oppure solo a piedi?” domanda a un monaco, che gli hanno indicato come profondo conoscitore dell’area.

“La mulattiera è ripida e insidiosa per una cavalcatura, salvo che non usiate i nostri cavalli alpini, i comtois, dal garrese basso e dallo zoccolo ampio e ben modellato. La folta pelliccia li ripara dal freddo. Sono resistenti alla fatica e abituati alla neve” gli risponde il benedettino.

Pietro non è molto convinto dell’affermazione. I cavalli che stanno cavalcando, provengono dall’Appennino. Sono dei Bardi, forti e robusti, abituati a terreni scoscesi e duri. Possono tenere una buona andatura per molte ore senza stancarsi e non temono il freddo.

“Grazie per le informazioni. Se ci indicate la strada, pensiamo di partire al più presto” ringrazia il frate.

Il monaco si stringe nelle spalle. Non ama contrariare gli ospiti. Li ha avvertiti ma, se vogliono agire di testa loro, non sarà certamente lui a polemizzare per modificare quanto hanno deciso.

“La strada si snoda a tornanti fra l’abbazia e Ferrera Cenisio, nel folto del bosco che vedete alle vostre spalle. É coperta dal ghiaccio piuttosto che dalla neve da ottobre ad aprile. Esistono maggiori probabilità di trovar neve nel tratto successivo, che da Ferrera porta al valico. L’ambiente innevato e gli spettrali edifici abbandonati portano il viandante ad immergersi nell’alone di mistero che pervade montagna e via di transito, frequentata anche in pieno inverno da pellegrini a piedi” dice il monaco con grave enfasi.
“Mi hanno detto che esiste un Ospizio quasi in prossimità del passo. É vero oppure è abbandonato?” si informa Pietro.
“Lo trovate in prossimità di un piccolo lago alpino. Un piccolo edificio in muratura, dove potete trovare ospitalità per la notte o riparo in caso di una forte nevicata” conferma il benedettino.
“C’è il rischio di smarrirci?” domanda Pietro, mentre il chierico si avvicina con le loro cavalcature.
“Direi di no, se ascoltate bene quello che vi dico. Il primo tratto è obbligato. Non esiste il pericolo di perdervi nel bosco. Però giunti a Ferrera Cenisio ci sono molti viottoli e il rischio esiste. Arrivati in paese, vi spostate verso le baite raggruppate sulla sponda destra del torrente Cenischia. Qui superata la chiesa, le ultime case e il cimitero, imboccate l’evidente mulattiera, che è fiancheggiata da muretti a secco. Non potete sbagliarvi. Proseguite lungo il tracciato che avanza fra radure e boschi di abeti e larici, mantenendo sempre il fianco sinistro della valle, in direzione ovest. Passata una strettoia, entrate nella Piana di San Nicolas, dove incontrate un lago alpino. Proseguite sulla strada, che sta sulla sponda destra tra la montagna e lo specchio lacustre. Di lì salite verso il valico. La via in discesa è ripida e infida e vi conduce a Lens-le-Bôrg rapidamente, dove potete trovare alloggio” spiega con dovizia di particolari il monaco.
Pietro e il chierico, dopo aver caricate le provviste sui cavalli, escono dall’abbazia per imboccare la strada che conduce al valico. Percorse poche miglia e lasciatesi alle spalle le ultime case del paese di Novalesa, si trovano immersi nel folto del bosco e delle nubi basse. Superati un paio di tornanti, facendo attenzione a risparmiare i cavalli, Pietro avverte nuovamente la presenza oscura di qualcuno alle loro spalle. Visto un viottolo e zittendo il chierico con un dito, si nascondono nel folto di un roveto. Dopo non molto tempo vedono passare tre cavalieri, tra cui il frate riconosce quel Henry de Caron che si era presentato alla magione bolognese qualche giorno prima.
Dunque sono loro che ci stanno seguendo da Bologna. I miei sensi non mi hanno ingannato‘ si dice Pietro, mentre il chierico osserva quelle tre figure basito. Lui non si era accorto di nulla ma il suo compagno sembra avere anche dietro degli occhi e delle orecchie.
Lasciato trascorrere per precauzione un certo lasso di tempo, Pietro e Phillipe riprendono a salire verso Ferrera con cautela e in perfetto silenzio. Il frate comprende che non riusciranno a valicare il passo prima che faccia buio. Decide di raggiungere l’ospizio, dove si fermeranno per la notte. Fiocchi di neve cadano dapprima radi, poi più fitti, imbiancando la mulattiera. Gli zoccoli dei cavalli tendono a non aver presa sul fondo ghiacciato. I due viandanti smontano da cavallo e camminano al loro fianco. Perdere una cavalcatura in questi momenti potrebbe trasformare il loro viaggio in tragedia, perché non conoscono quanto il paese di Ferrara Cenisio disti. Il buio del bosco e le nubi sempre più basse, che scaricano neve, li rendono guardinghi. Devono fare attenzione anche ai tre misteriosi cavalieri che li stanno inseguendo da molti giorni.
Dopo l’ennesimo tornate, scorgono in lontananza le sagome imbiancate di case di legno. Il paese appare disabitato. Non un filo di fumo si leva dai comignoli. Pietro indica col capo a Phillipe di accostare verso un gruppo di abeti.
“I tre cavalieri, che abbiamo visto poc’anzi, potrebbero aspettarci tra le case di Ferrera e tenderci un agguato. Quindi propongo di attraversare il torrente e tenerci al coperto sulla destra, finché non imbocchiamo la mulattiera che ci porta al valico” dice il frate quasi bisbigliando.
Il chierico annuisce e lo segue. Sa che si può e di deve fidare di questo templare, che intuisce i pericoli e li schiva. In breve si portano sul lato destro del torrente, protetti dal bosco e puntano verso la chiesa che scorgono in lontananza.
Henry de Caron, arrivato in paese, scopre di essere stato beffato da Pietro. Si ferma e impreca. Nuovamente deve fare i conti con l’acutezza di questa persona, che pare dotato di una diabolica lungimiranza.
“Messeri, quel infernale frate ci ha gabbati. O ha cambiato strada oppure è alle nostre spalle” dice Henry con tono irato, guardando Pierre in cagnesco. Lui doveva seguire le tracce delle due prede ma a conti fatti non si è accorto che sulla neve fresca mancavano i segni del loro passaggio. Nel paese, abbandonato nel periodo invernale, il manto candido appare incontaminato, salvo qualche segnale del passaggio di una volpe.
“Cosa facciamo, messer Henry?” domanda Hugo, affiancandolo.
Il capo della piccola spedizione non risponde e medita. Tornare indietro è pericoloso. La luce del giorno, già fievole per le nubi basse e per la nevicata in atto, si sarebbe spenta, lasciandoli in mezzo al bosco. Dunque si deve avanzare almeno fino al lago, dove avrebbero trovato un riparo di fortuna in una delle molte grotte presenti.
“Si prosegue” dice Henry deciso, mentre sprona il cavallo in avanti.
Pietro e Phillipe procedono con cautela, seguendo un sentiero che non esiste. Scendono nel torrente per evitare di spingersi troppo dentro la macchia, risalgono la sponda destra, finché non ritrovano la strada oltre Ferrera Cenisio. La neve, che cade con maggior intensità, li avverte che hanno sopravanzato di nuovo gli inseguitori. ‘Siamo di nuovo a un bivio’ si dice il frate, riflettendo sul da farsi. Deve operare una scelta: rischiare di avere alle spalle quel terzetto, dei quali non conosce le intenzioni oppure aspettare che passino nuovamente davanti. Lì il bosco sta per lasciare il posto alle rocce, sia pure per un breve tratto. Pietro è indeciso ma Phillipe, intuendo il dilemma del frate, si affianca e gli suggerisce un’altra alternativa.
“Più indietro, a mezzo miglia da qui, ho notato un sentiero stretto, che porta verso l’alto nel bosco, quello che vediamo su quelle rocce. Forse ci consente di arrivare all’ospizio senza essere notati” dice il chierico.
“E se non conduce da nessuna parte? Oppure ci porta in qualche valle stretta e cieca? Rischiamo di perderci col buio ormai incipiente e la neve che scende copiosa” replica Pietro, non del tutto convinto che sia la mossa giusta.
Loro rimangono al coperto nella boscaglia. Il monaco benedettino era stato preciso nella descrizione. Devono imboccare una mulattiera con dei muretti a secco sul lato verso la montagna, che li avrebbe condotto in una piana. E nel grigiore confuso si notano questi manufatti più scuri rispetto alla strada.
Indecisi, se tornare indietro e avventurarsi per quel sentiero sconosciuto oppure prendere con decisione la mulattiera indicata, avvertono delle parole confuse col nitrito dei cavalli.
“Il Signore è con noi” sussurra piano Pietro, mentre osservano sfilare come fantasmi imbiancati i tre cavalieri. Aspettano, finché le voci non si perdono nella lattea oscurità delle nuvole.
Con cautela seguono quelle orme, tenendosi vicino al bordo della via, pronti a una fuga precipitosa. Procedono lentamente, mentre il buio diventa sempre più evidente. Pietro dubita di poter arrivare con un filo di chiarore all’ospizio, che non dovrebbe distare molto dopo la piana. ‘Ma alla piana quanto manca?’ si chiede, togliendo dalla criniera del cavallo la neve che si è depositata. Osserva le tracce lasciate dal terzetto e giudica che hanno mezzo miglio di vantaggio.
Il bosco si apre su un pianoro innevato dove spiccano nel bianco della neve i cavalieri, che piegano verso sinistra, abbandonando la strada.
“Gesù Cristo ha ascoltato le nostre preghiere, Chierico Phillipe. La strada ora è sgombra. I tre ladroni si sono spostati verso sinistra, mentre noi dobbiamo tenere la destra. Se abbiamo fortuna, tra non molto siamo al caldo” dice Pietro, sollecitando il cavallo, che affonda faticosamente gli zoccoli nella neve.
“Messer Henry, siete sicuro che questa via ci porti da qualche parte?” chiede spaventato Hugo. Il buio, la nevicata, che per effetto del vento appare più violenta della realtà, creano sgomento nel cavaliere.
“Sì” risponde secco la guida dei tre, indicando un punto della roccia.
Pierre stringe le palpebre per mettere a fuoco l’indicazione ma nota solo il bianco della neve, da cui affiorano rocce più scure. Tace. Non commenta, conoscendo il carattere brusco e iracondo di Henry.
Hugo vorrebbe replicare che non vede nulla. Solo rocce e neve, che si confondono con le nubi basse. Nevica e si sente bagnato nelle ossa. Avrebbe preferito dormire nell’ospizio o fermarsi nel paese deserto, che hanno lasciato alle spalle. Però il capo era stato categorico: nessuno deve vederci. Scuote il capo, togliendosi dal viso la neve.
Come per magia una fenditura abbastanza ampia appare nella roccia all’improvviso.
“Siamo arrivati” dice Henry, che accende una torcia con un acciarino, prima di infilarsi nello spacco, sufficiente al passaggio di un uomo a cavallo.
I due compagni lo seguono, ben felici di mettersi al riparo. É un’ampia caverna dal fondo sassoso e leggermente umido. In lontananza si ascolta il gocciolio di acqua che cadde. Si portano il più interno possibile per ripararsi dal freddo e dalla nevicata, che ha preso vigore. Con dei piccoli pezzi di legna secca creano un falò per asciugarsi e riscaldarsi un po’. Chiudono l’apertura della grotta con un drappo di lana spesso e pesante, che bloccano con alcune rocce.
Pietro e Phillipe hanno la strada libera e accelerano il passo per raggiungere l’ospizio. Non possono mettere al galoppo i cavalli, perché il sentiero è ricoperto da una spessa coltre di neve. Tuttavia riescono tenere un discreto passo. Superata la piana, si inerpicano su stretti tornanti, finché non appare la sagoma rassicurante della struttura in mattoni, che manda verso l’alto un filo di fumo. É un segnale che l’ospizio è abitato. Col vento contrario, che ghiaccia i fiocchi sul viso e sul corpo, Pietro e Phillipe raggiungono il portone. Bussano per farsi aprire. L’ospizio li accoglie e li riscalda. Domani dovranno affrontare il passo e poi scendere a valle nell’altro versante. Sono intirizziti dal gelo. Mangiano una zuppa di cavolo e fagioli calda e corroborante. Fuori nel buio la neve cade copiosa, mulinata dal vento.
“Speriamo che domani il valico sia transitabile” dice Pietro, mentre si avvia verso la cappella per le preghiere del vespro prima del sonno ristoratore.
parte nona

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Una storia così anonima – parte settima

dal web

Bologna, Placentia, Torino, 1 novembre 1307, primo albore – 2 novembre 1307, vespro, anno secondo di papa Clemente V

Pietro si reca da frate Giovanni per prendere congedo.

“Maestro, il frutto dei nostri sforzi è al sicuro. Per il momento riposa tranquillo. Io parto per Poitiers. Al mio ritorno lo sistemeremo in modo definitivo” dice Pietro, inginocchiato di fronte al precettore.

“Bene. Alzatevi pure” gli dice Giovanni.

L’anziano frate sospira. Non avrebbe desiderato che partisse per la Francia. Pietro è predestinato a reggere la magione, quando lui se ne andrà. Avverte che la fine non è molto lontana. Tuttavia il messaggero papale è stato categorico. ‘Deve partire senza indugiare oltre

“Avete avuto buon intuito con quel falso cavaliere che nel marasma attuale ha cercato di derubare la nostra commenda” afferma Giovanni.

“Fin dal primo istante ho capito che era un impostore ma erano solo delle sensazioni. Un formicolio alle punte delle mani, che si è rivelato giusto” replica Pietro, che freme di partire al più presto. Vuole tornare in fretta. La Francia per un templare non è posto sicuro. Il viaggio è lungo e l’attraversata delle Alpi potrebbe essere difficoltosa, se il tempo peggiora.

“Se voi non avete altro da aggiungere, io mi recherei nella mia cella per recuperare quanto mi serve per il viaggio” dice Pietro, mostrando impazienza per la partenza.

“Vi congedo e vi auguro che possiate ritornare presto tra noi” fa Giovanni, accompagnando le parole con un gesto della mano. Una sorta di benedizione.

Pietro si ferma nella chiesa della commenda a pregare e ricevere il sacramento della comunione. Sta albeggiando e il cielo è coperto da un sottile strato di nuvole bianche che diventano rosate, quando lui e il messo papale escono sulla strada Maestra. Devono aggirare la cerchia muraria più interna, ancora chiusa prima di prendere la via consolare Emilia. Il viaggio è lungo, molte centinaia di miglia e per nulla agevole. Sa che deve attraversare le Alpi e che le nevicate sono in agguato. Poi ci saranno le strade e le città francesi, che non promettono nulla di buono.

Non appena raggiungono la via consolare i due cavalieri lanciano al galoppo le loro cavalcature. Pietro conosce la strada e i pericoli del fondo dissestato e fangoso. Predica prudenza.

“Dobbiamo fare attenzione. La strada è infida. Non dobbiamo sfiancare i nostri cavalli e perdere qualche ferro, se vogliamo essere a Placentia prima del vespro. Quando siamo a Sce Domnine o a Floricum facciamo una sosta per rifocillarci e far riposare le nostre cavalcature” dice il frate al chierico.

Tuttavia una curiosità cresce in Pietro. ‘Chissà per quale motivo il papa ha pensato a me per avere notizie sui nostri confratelli francesi‘ pensa il frate, mentre galoppa verso Placentia. ‘Il chierico afferma di non conoscere il perché. E ci posso credere. Lui è un semplice messaggero. Tuttavia la curiosità è molta. Mi farà piacere rivedere il vecchio compagno di studi, diventato papa‘.

Ha chiesto al chierico, se conosce un cavaliere di nome Henry de Caron oppure lo ha incrociato durante il tragitto verso Bologna. La risposta non lo sorprende. ‘No. Non ho conosciuto un cavaliere con quel nome, né l’ho incrociato lungo la strada‘ ha replicato pronto. Il chierico ha mostrato sorpresa per questa domanda. ‘Gli ho spiegato che un cavaliere con quel nome ha bussato alla nostra porta, affermando di essere stato a Poitiers col gran Maestro, Jacques de Molay. Ha negato di aver mai conosciuto un templare con quel nome. Dunque sono certo che fosse un impostore‘.

Arrivati a Placentia, Pietro e il chierico trovano riparo nella commenda piacentina, da dove al primo albore avrebbero passato il Padus diretti a Torino.

“Chierico Phillipe, che strada avete preso per venire a Bologna?” chiede il frate per programmare la tappa successiva, dopo che si sono riposati.

Il giovane fa un lungo giro di parole per descrivere il suo viaggio.

“Quando sono partito da Poitiers erano giornate terse e limpide, fredde di notte ma tiepide di giorno. Sono sceso più a sud, sperando che il tempo si mantenesse buono. E così è stato. Ho attraversato le Alpi al colle del Monginevro. La strada era buona. Non ho trovato la neve né il ghiaccio. Le cime circostanti erano già bianche, innevate. Da lì ho raggiunto Torino. Da lì sono arrivato a Placentia e poi a Bologna” risponde il messo papale.

Pietro riflette sulla prima parte del viaggio del chierico. ‘Se prendiamo la strada del Mont Cenis, abbiamo due punti di riferimento in caso di maltempo. Novalesa con la sua abbazia e l’ospizio in prossimità della sommità della sommità del colle. La via del Monginevro non è praticabile, perché più rischiosa per la neve e perché si resta troppo in quota. Resterebbe la strada di Sigerico ma si allunga troppo. Arrivati nella magione di Torino, valutiamo quale strada prendere‘ si dice Pietro nel silenzio della cavalcata.

C’è qualcosa che non gli dà tregua da quando sono partiti da Bologna. Un sensazione inquietante che non è riuscito mai a dissipare. ‘Ho l’impressione che ogni nostro passo sia controllato, che qualcuno si segua con discrezione. Nonostante abbia più volte cercato di intercettare la misteriosa ombra che sta alle nostre spalle, non sono venuto a capo di questa situazione sinistra. Il chierico cavalca senza avvertire i pericoli che percepisco‘ ragiona quando ormai sono prossimi alla fine del viaggio.

Con sollievo vede le mura arcigne della commenda torinese che si trova all’imbocco della valle di Segusium. É una posizione strategica, perché due dei tre possibili itinerari del pellegrini diretti alla Terrasanta passano da lì. I cavalli sono allo stremo delle forze. Il frate decide di fermarsi un giorno intero per far riprendere fiato sia alle cavalcature che a loro. La traversata delle Alpi richiede che siano freschi e riposati.

Il precettore della magione, frate Bartolomeo, li accoglie con calore e dopo i convenevoli di rito si apparta con Pietro per discutere sulla convenienza di andare in Francia.

“Siete proprio certi di proseguire il vostro cammino nella terra dei Franchi?” gli chiede il precettore.

“Assolutamente sì!” risponde Pietro senza tentennamenti.

“Le notizie, che i viandanti e pellegrini in transito portano, non sono confortanti. Tutti i cavalieri del Tempio in Francia sono stati imprigionati e messi sotto tortura. Qualcuno, pare, ha confessato colpe gravissime. Solo pochi cavalieri sono riusciti a sfuggire alla cattura” insiste Bartolomeo.

“Lo so. Un certo Henry de Caron ci ha illustrato quello che è avvenuto nel mese di ottobre. Vi risulta che un cavaliere con questo nome sia transitato da queste parti?” replica il frate, sperando in una risposta positiva atta a fugare i suoi timori.

“No. Nessun cavaliere con quel nome ha trovato ospitalità presso di noi” dice il precettore di Torino.

Pietro, senza mostrare all’esterno quello che bolle nel suo interno, annuisce e domanda come sono le condizioni delle strade.

“Proprio ieri ha soggiornato un pellegrino che ha attraversato le Alpi al colle del Mont Cenis lungo la Via Mediolanensium, la Francigena del Moncenisio. Ha riferito che la strada è fangosa e viscida nelle ore centrali della giornata ma al mattino e al vespro diventa pericolosa per il ghiaccio che la ricopre”.

Pietro riflette su queste parole.

“Da qui per raggiungere il valico che strada devo seguire?” chiede il frate.

“Uscendo dalla commenda, tenete la via di destra che porta a Segusium. Arrivati a Venaus, prendete la strada che in mezzo ai boschi di lecci e frassini va verso nord ovest. Arrivati all’Abbazia di Novolesa proseguite il cammino per la ripida mulattiera che, attraverso Ferrera e costeggiando un lago, porta al valico e di qui potete scendere verso Lens-le-Bôrg, al di là delle Alpi, fino a Modane” lo informa il precettore.

“Ma come prevedete che sia il tempo nella giornata di domani?” domanda Pietro, interessato più alle condizioni meteo che allo stato della strada.

“Se volete, chiamo frate Dolce, che sa leggere il vento e le nuvole” risponde Bartolomeo.

“Sì” fa asciutto Pietro.

Il frate afferma, che secondo lui il tempo rimane buono per almeno la giornata seguente ma che potrebbe guastarsi tra qualche giorno. Niente cielo pulito ma sarà coperto di nuvole basse e compatte.

Dopo la giornata di riposo per le cavalcature, la mattina seguente Frate Pietro e il chierico Phillipe riprendono il cammino. Il cielo grigio e nuvoloso non promette nulla di buono come la sensazione di essere seguiti.

parte ottava

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Una storia così anonima – parte sesta

I templari a Bologna - Giampiero Bagni Edizione Penne e Papiri
I templari a Bologna – Giampiero Bagni Edizione Penne e Papiri

Bologna, 1 novembre 1307, ora terza delle Vigilie, anno secondo di Papa Clemente V

La notte è senza luce. Le nuvole coprono le stelle. Una leggera nebbiolina inumidisce la corte quadrata della magione di Santa Maria del Tempio. Un’ombra vestita di bianco scivola furtiva verso la chiesa di Santa Maria Maddalena, che si affaccia su un lato della commenda. Sulle vetrate colorate si disegnano diavoli e diavolesse. Entra da una porta laterale, dopo essersi accertato che nessuno lo stia osservando. L’interno è debolmente rischiarato dalle candele, mentre nell’aria si respira l’odore acre e fumoso della cera. Si inginocchia davanti all’altare, prima di sparire nella sacrestia. Apre un’enorme anta di un armadio che contiene paramenti sacri. Ne scosta alcuni, fa scivolare silenziosamente la parete di fondo. Spinge un pannello e si apre un buco nero. Il frate recupera due bisacce che tintinnano debolmente. Le mette sulla spalla e si avvia verso una botola, occultata da una finta lapide. Accende un grosso cero, mentre un secondo, sparisce sotto la tunica bianca. La sposta e apre un varco che appare nero.

Pietro scende i gradini umidi, mentre zaffate di stantio aggrediscono le narici del naso. Procede sicuro ma lento nel cunicolo che porta alla chiesa di Santo Homobono. Il percorso non è molto lungo ma deve procedere circospetto. Il peso delle bisacce e il fondo scivoloso lo invitano alla prudenza. Dovrà rifare questo viaggio almeno altre tre volte e dovranno essere terminati, quando la comunità dei frati inizia la nuova giornata al primo albore.

Ricorda il dialogo di poche ore prima col frate Giovanni, il precettore della magione.

“Pensi di fare tutto da solo oppure dico a frate Alberto degli Arienti di darti una mano?” gli ha chiesto Giovanni.

“Meno persone sono a conoscenza di questo segreto, più sicuro è il nascondiglio” ha ribattuto frate Pietro da Monte Acuto.

“Ma credi di riuscire a portare a termine il salvataggio del nostro tesoro?” ha insistito il precettore.

“Ce la devo fare” ha replicato il frate, chiudendo l’argomento.

Arrivato sotto una botola, ascolta se provengono dei rumori da sopra. Toglie un’asta di ferro arrugginita che cigola nel silenzio della notte. Spinge verso l’alto l’apertura non senza qualche difficoltà. Con cautela la solleva e si ritrova nella piccola chiesa deserta. Solo qualche cero arde ancora ma sono più le ombre che le luci. Si inginocchia davanti al piccolo altare e recita un Pater Noster. Avverte tensione, mentre si avvicina a una lapide che copre una nicchia. Non si sente tranquillo. La tasta, finché non avverte sotto i polpastrelli una leva, che sposta da destra verso sinistra. Il marmo si muove con un leggero rumore di sfregamento, lasciando intravvedere un grande spazio buio. Lo illumina col cero e introduce le bisacce. Richiuso il marmo, riprende la strada sotterranea, per prelevare altre bisacce e rifare il tragitto.

Il primo viaggio è andato bene ma la tensione non accenna a diminuire. É in allerta con tutti i sensi. Il momento topico sarà, quando riemergerà nella sacrestia. La porta della chiesa è sempre aperta e potrebbe trovare delle brutte sorprese. Si ferma prima di affrontare i gradini finali. Non percepisce nessun rumore ma questo non indica che non troverà qualcuno ad attenderlo. Mette fuori la testa ed esplora il locale, che appare tranquillo. Un profondo respiro gli scarica la tensione. Prende dal nascondiglio segreto altre bisacce e ricomincia il viaggio.

Manca poco alla prima ora, quando riemerge per l’ultima volta nella sacrestia della Chiesa di Santa Maria Maddalena. Ha completato il trasferimento del loro tesoro in un posto più sicuro. Pietro è stanco con la tonaca bianca chiazzata da piccoli sbuffi di fango, che stanno seccando. Sa che al suo ritorno dalla contea dei Franchi, dovrà provvedere a spostare dalla chiesa di Santo Homobono in altro luogo quello che ha trasportato con fatica durante la notte.

Adesso però si deve mettere in cammino il più velocemente il possibile. Il Papa l’ha convocato a Poitiers per ascoltare dalla sua viva voce quanto ci fosse di vero nelle accuse che l’inquisitore di Francia muove al consiglio dei cavalieri del Tempio. Non ha molto tempo per riposare. Il messo papale, il chierico Phillipe, gli ha consegnato la convocazione proprio ieri sera. Per questo motivo ha dovuto spostare in gran fretta il tesoro della commenda altrove e fuori dalla magione. Se fosse rimasto nascosto all’interno, avrebbe potuto finire male, se lui avesse tardato il rientro o non fosse ritornato per nulla. Il viaggio è lungo e ricco di insidie, specialmente in Francia. Le notizie provenienti da quel paese non inducono all’ottimismo.

Bologna 21 febbraio 2015, ore cinque

Vanessa interroga con gli occhi Luca, che strofina la mano sulla guancia ispida. La fatica della notte insonne sta chiedendo pedaggio.

“Il nostro anonimo è parco di notizie utile” fa la ragazza, che stringe le palpebre per la stanchezza.

“Uhm!” grugnisce il ragazzo, che si domanda dove è questo Santo Homobono. Nel manoscritto è descritto genericamente che è una delle quattro chiese, che i templari possedevano a Bologna. Nessuna indicazione della località ma solamente che è vicina alla magione.

“Ma tu sai dove si trova questa chiesa?” chiede il ragazzo.

“No! Mai sentita nominare” esclama Vanessa, scuotendo la chioma riccioluta.

“E noi da dove cominciamo a cercare?” si dice ad alta voce Luca.

La ragazza scoppia a ridire, perché, se ci fosse ancora, sarebbe già stata setacciata e rivoltata come un calzino. I templari sono stati un mito come le loro favolose ricchezze, che hanno fatto gola a regnanti e avventurieri. Lei dubita che la chiesa sia ancora in piedi.

“Ma visto che hai assunto il ruolo di leader, devi condurmi dove si trova questa benedetta chiesa!” la irride il ragazzo.

“E no! Devi collaborare e cercare notizie utili” dice la ragazza con la voce impastata dal sonno.

Sembra un accenno di baruffa fra i due ragazzi ma in realtà si divertono a fare ironia tra di loro. Provano a cercare la chiesa sul web ma risulta sconosciuta. Senza ulteriori indicazioni i due ragazzi non saranno in grado di localizzare il primo nascondiglio usato dal frate Pietro. La chiesa di Santa Maria Maddalena è scomparsa, perché distrutta durante la seconda guerra mondiale. Quest’altra è svanita nell’oblio del tempo. La loro ricerca parte subito con una salita ripida e ardua.

“Siamo in un cul de sac” esclama Luca. “Il web non ci viene in aiuto. Della vecchia commenda non è rimasto quasi nulla, almeno questo si ricava dai motori di ricerca. C’è un libro ‘I Templari a Bologna‘ che dobbiamo procurarci. Forse ci possiamo ricavare delle notizie utili”.

“Dubito che troverai una libreria aperta a quest’ora” chiosa Vanessa con la testa a ciondoloni.

“Tu cosa proponi?” chiede il ragazzo tra uno sbadiglio e uno sprazzo di lucidità.

“Domani mattina andiamo in Strada Maggiore al numero 80, dove sorgeva la vecchia commenda. Quella c’è di certo” fa la ragazza, stropicciandosi gli occhi.

“Dirai fra qualche ora. Sono le cinque passate. Fra non molto facciamo colazione e poi andiamo a vedere il numero 80” fa Luca con un sorriso ironico sulle labbra.

Uno squillo avverte Vanessa che è arrivato qualcosa sulla messaggistica. Si irrigidisce, controlla e sbotta.

“Stronzo! Chiedi scusa? Troppo tardi caro! Dovevi pensarci prima e contare fino al dieci prima di parlare” sbotta la ragazza che pare essersi svegliata di colpo. Gli occhi stanchi acquistano lucidità e intensità. Il verde dell’iride sembra mandare bagliori e lampi di ira fredda.

Luca la vede armeggiare con il Galaxy e resta in silenzio. L’atmosfera si è caricata di elettricità. ‘Che mongolo! Mandi alle cinque e mezza un messaggio! A cosa pensavi? Che lei fosse abbracciata a un altro? Non la conosci bene! Hai ottenuto il risultato opposto. Farla incazzare ancora di più‘ si dice Luca, mentre aspetta che la ragazza metta via lo smartphone.

“Che facciamo? Finiamo la lettura oppure facciamo un pisolino?” chiede Luca, che sbadiglia vistosamente.

“Proseguiamo” dice Vanessa senza tentennamenti. Il messaggio l’ha destata dal torpore della stanchezza e del sonno.

Parte settima

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Una storia così anonima – parte quinta

dal web
dal web

Bologna, 21 febbraio 2015, ore quattro

Luca sbadiglia e si alza dalla sedia. Adesso capisce qualcosa di più della storia che ha fotocopiato da quell’antico libro.

“Pensi che ci sarà scritto dove Pietro da Bologna ha nascosto il tesoro dei templari di Bologna?” domanda curioso a Vanessa.

La ragazza non risponde subito. Ha gli occhi luccicanti per l’eccitazione. Sta riflettendo. Vorrebbe proseguire nella lettura e nel comprendere cosa è successo dopo. Ritiene inopportuna l’interruzione di Luca ma si arrende.

“Non credo. Dubito che l’anonimo cronista abbia detto dove sono finiti monete e oggetti. Da quello che mi hai detto nel libro ci sono tante storie ma questa sicuramente era la più ghiotta. Avrebbe fatto gola a molti cercatori di tesori” dice con calma Vanessa.

“Che sbadato! Dimenticavo che in effetti il secondo documento in qualche modo racconta come un frate domenicano lo abbia cercato inutilmente” esclama Luca sorridente.

Vanessa vorrebbe riprendere la lettura ma l’amico si muove e si stiracchia.

“Caffè?” gli domanda.

“Sì, caffè” risponde pronto.

Insieme si spostano in cucina. Lui si siede, mentre lei lavora con la moka.

“Mi spiace che ti ho rotto le uova nel paniere” dice Luca.

Lei ride, gettando all’indietro quei capelli ricci e rossi, che incorniciano un viso ricco di lentiggini.

“Ma ci credi proprio?” gli chiede Vanessa, guardandolo fisso negli occhi.

“Beh! Insomma… penso che, se eri a letto con lui, non era per caso” risponde Luca centellinando le parole. Visto che è in buona, non osa toccare tasti che la facciano infuriare.

“Non ti facevo così prudente!” esclama la ragazza, mentre avvita la moka prima di metterla sul fuoco.

Luca fa un sorriso striminzito. La prudenza non è mai troppa. Conta fino a dieci prima di rispondere.

“Vedi” comincia con calma il discorso. “Vedi. Avresti avuto tutti i motivi per essere infuriata con me. Ti chiamo all’una di notte. Interrompo un amplesso intrigante…”

Vanessa ride. ‘Quant’è ingenuo, Luca! Proprio per questo vado d’accordo con lui‘ pensa.

“Ma chi ti dice che ero nel pieno di un amplesso mozzafiato?” gli chiede ridente.

Luca diventa serio, aggrotta le sopracciglia e poi spara la sua cavolata.

“Sentivo in sottofondo ‘Je t’aime… moi non plus‘, quella canzone con tanto di sospiri di Jane Birkin e Serge Gainsbourg. Non ricordi?”

“Direi di no! Non so chi siano questi due cantanti, né quali sospiri abbiano prodotti. Ma non sparare cazzate!” replica Vanessa, diventata seria tutto d’un colpo.

“E va bene! Sono serio. Però la colonna sonora l’ho ascoltata! Un splash, che assomigliava tanto a uno schiaffo”.

“Quello? Tutto qui? Se l’è beccato Franz, così un’altra volta non fa lo stronzo” dice Vanessa allegra.

Luca pensa che Vanessa si comporta come l’ape regina col fuco. Dopo averlo usato, lo uccide.

Sta per rispondere, quando sente il classico borbottio della moka e il profumo del caffè che inonda la cucina. Osserva la sveglia. Segna le quattro del mattino. ‘Un bella notte insonne. Ancora un piccolo sforzo e mi gusto il sorgere del sole’ si dice sorridendo.

“Dai beviamoci questo caffè e poi torniamo al manoscritto” dice Vanessa, che ha dimenticato le ultime parole che si sono detti.

“Ma tu che idea ti sei fatta della storia?” le domanda Luca, mentre sorseggia il caffè.

“Uhm!” borbotta la ragazza, che si è scottata la lingua. “Non sapevo che il palazzo di Strada Maggiore fosse l’antica commenda bolognese dei templari”.

“Potrebbe essere una buona idea andarlo a visitare” afferma Luca, dimenticando che già gli aveva accennato che in pratica era impossibile arrivarci per via dei lavori per il Crealis.

“Credo che sarà difficile per diversi giorni. La via è sottosopra per la preparazione al nuovo trasporto urbano”.

“Peccato! Perché sarebbe stato interessante vederlo”.

“Dubito che possa darci degli spunti interessanti. Ma se lo desideri tra qualche ora possiamo andare lì. Un’occhiata non fa mai male!” conclude la ragazza.

Luca si gratta la barba ispida che copre le guance. Non ha sonno ed è eccitato per la storia che stanno leggendo.

“Ma cosa ne pensi?” le chiede nuovamente, visto che non ha risposto.

“Mi piacerebbe andare alla caccia di quel tesoro, se in effetti sia esistito” risponde Vanessa.

“Pensavo anch’io di dare la caccia ma non osavo chiedertelo” fa Luca, riponendo la tazza nel lavello.

“Per me esiste e nessuno finora l’ha trovato” insiste la ragazza, che si alza per tornare nella sala.

Il ragazzo la guarda. Un vecchio flashback illumina la sua mente. É una trasmissione televisiva, di cui non ricorda il nome ma l’argomento trattato ‘il mistero del tesoro dei Templari‘. Città lontane con nomi esotici, viaggi oltreoceano. Un guazzabuglio di immagini e di parole che non lo conducono da nessuna parte. Si domanda se era solo fiction oppure se questo mistero era tale.

“Allora affare fatto. Tra poche ore ci lanciamo nella nuova avventura” dice Luca, tendendo la mano.

“Calma, ragazzo! Qui le danze le conduco io. Tu puoi funzionare da guardaspalle ma da leader no!” esclama compunta Vanessa, lasciando quella mano sospesa nel vuoto.

“Ma l’idea…” comincia il ragazzo, che aggrotta la fronte per il disappunto.

“Certo senza la tua imbeccata non ci avrei mai pensato. Ma non hai mai dato prova di avere senno. Ti butti nell’avventura senza riflettere” lo rimbecca seccamente la ragazza.

Luca mette il broncio. É quasi pentito di aver imbarcato Vanessa in quest’avventura pazzesca ma ormai è troppo tardi per modificare la situazione. Accenna ad altri argomenti per sviare l’attenzione.

“Ma quel Henry de … vattelapesca” comincia il ragazzo.

“Henry de Caron” precisa la ragazza.

“Sì, proprio lui. Dicevo. Di quel Henry che idea ti sei fatta? Mente per fregare il tesoro dei templari bolognesi oppure è in buona fede?” domanda Luca, che vuole a tutti i costi riguadagnare terreno su Vanessa.

“Secondo me, Pietro da Bologna ha intuito bene. Quel personaggio è viscido come una biscia e spera di mettere le mani sul tesoro. Ma come fa a sapere che nella magione ci sono bolognini e oggetti di valore? Questo dettaglio mi fa comprendere che manca qualche tassello per capire il ruolo effettivo di Henry de Caron nella vicenda” dice la ragazza, mentre si siede.

“Mentre formulavo la domanda, mi è venuto lo stesso dubbio di Pietro. Henry de …” Luca si interrompe perché ha già nuovamente dimenticato il nome.

“…Caron” precisa la ragazza ridendo. ‘Luca per i nomi, specialmente quelli stranieri, è una frana‘ riflette ridacchiando.

“…Henry de Caron è un furbacchione che spera di intascare un bel po’ di bolognini! Ma sono convinto che la chiave sarà nelle prossime pagine” dice Luca, sedendosi a sua volta.

“Cosa secondo te?” gli chiede Vanessa.

Il ragazzo aggrotta la fronte, si concentra prima di parlare. Riflette.

“Per me è un emissario di Filippo il Bello. Il grosso del tesoro della Torre del Tempio di Parigi si è volatilizzato e vuole scoprire dove è finito. Ma probabilmente sto lavorando di fantasia” fa Luca, scuotendo il capo.

“Interessante. Mi appare logica e razionale. Nessuno si sobbarca un viaggio di qualche migliaio di chilometri per finire nella magione di Bologna e tornarsene a casa con le pive nel sacco” dice Vanessa, che aspetta impaziente di riprendere la comprensione del resto del testo.

“Sì ma come pensa di portare con sé oggetti preziosi e bolognini d’oro e d’argento per tutti quei chilometri? Secondo me. Ha dei complici che lo stanno aspettando” aggiunge il ragazzo.

“Allora bando alle ciance e riprendiamo la lettura. La ricreazione è finita!” esclama sorridente la ragazza.

E i due ragazzi continuano a leggere quel testo antico.

parte sesta

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Una storia così anonima – parte quarta

Bologna, 28 ottobre 1307, ora seconda delle Vigilie, anno secondo di papa Clemente V

I cavalieri del Tempio sono da tempo riuniti nella cella del Maestro della magione bolognese per ascoltare il racconto di frate Henry. Frate Pietro da Bologna pone domande per valutare l’attendibilità delle informazioni.

“Perché il Gran Maestro è tornato a Parigi, pur essendo a conoscenza dell’ordine del re?” chiede Pietro curioso, che aveva lasciato la domanda in sospeso. Era in attesa di trovare il momento opportuno per porla.

“Esattamente non lo so. Ma Pierre de Boucle, un cavaliere che, come me era sfuggito alla cattura, durante la fuga verso il sud della Francia mi ha raccontato la sua versione sul rientro alla Torre del Tempio del Gran Maestro” comincia Henry.

“Ma questo cavaliere perché non è con voi?” chiede con tono incalzante frate Pietro.

“É stato scoperto e catturato a Lione, nonostante avesse tolto dal mantello le nostre insegne, si fosse rasato la barba e tagliato i capelli. É stato vittima di delatori, di cavalieri del Tempio rinnegati” afferma con enfasi Henry.

“Cavalieri rinnegati?” esclama il precettore Giovanni, scandalizzato che confratelli abbiano denunciato altri confratelli per denaro o sete di vendetta.

“Sì, sono cavalieri espulsi per indegnità ma poi reintegrati sotto la pressione del re di Francia o dello stesso papa. Questi per vendicare l’espulsione si sono posti agli ordini di de Nogaret, riferendo nomi, aspetti e quanto altro potesse servire alla loro identificazione. Erano le spie all’interno del Tempio” afferma il cavaliere francese.

Giovanni e Pietro si guardano, vorrebbero dire qualcosa ma preferiscono tacere. Il pensiero, che tra di loro ci fossero delle serpi pronte a iniettare il loro veleno, li raggela. Il templare francese si aspetta una domanda che non viene. Resta in silenzio ma alla fine riprende la narrazione.

“Giunti a Lione, io e Pierre eravamo alla ricerca di un ostello sicuro per la notte. Sfortunatamente lui si è imbattuto in un certo Hugo de Rimbrode, che era in giro per la Francia alla ricerca della dozzina di cavalieri, sfuggiti all’arresto del 13 ottobre. Riconobbe il mio compagno e lo arrestò. Io per mera fortuna sono scampato all’arresto e sono fuggito dalla città” conclude frate Henry.

“Ma come potete provare che anche voi non siete un cavaliere rinnegato?” fa Pietro non convinto della bontà dell’atteggiamento del narratore.

Henry lo guarda storto come se sia un insetto fastidioso. Gioca l’unica carta che possiede: quello di non giurare di essere un cavaliere del Tempio rispettoso della regola dell’ordine.

“Come? Semplicemente non posso. O mi date fiducia oppure me la negate” dice con tono di sfida solenne il templare francese.

“Proseguite nel vostro racconto” lo esorta il precettore Giovanni, che guarda di sbieco Pietro. Come per dire ‘lasciatelo parlare. I commenti e i dubbi usciranno dopo‘.

Il frate stringe le labbra e si avvolge nel mantello ma qualcosa gli suggerisce che il comportamento dell’ultimo arrivato suona falso come un orcio fesso. ‘Perché viene a raccontare tutto questo al Maestro della magione di Bologna?‘ si chiede, interrogando con gli occhi frate Alberto, che stringe le spalle in segno di ignoranza. ‘É verissimo che questa commenda è, insieme a quella romana, la più importante d’Italia. É vero che da noi dipendono tutte quelle poste nel centro nord della penisola italica. Ma questo non giustifica che un cavaliere sfuggito alla cattura abbia affrontato un lungo viaggio, pieno di pericoli in tempi normali, e figuriamoci ora, per finire a Bologna! Non comprendo il senso di tutto questo‘ conclude silenziosamente Pietro.

“Il gran Maestro Jacques de Molay era Poitiers per mettere a punto il ‘passagium’ ovvero la nuova crociata in Terrasanta per liberare il Santo Sepolcro. Pierre de Boucle faceva parte del ristretto gruppo che lo accompagnava da papa Clemente. Mi ha riferito che aveva chiesto al Santo Padre di svolgere un’accurata inchiesta sulle accuse che Guillaume de Nogaret aveva confezionato nei loro confronti” dice frate Henry.

Giovanni alza un sopracciglio di sorpresa, prima di chiedere quali erano le accuse.

“Jacques de Molay è accusato di eresia, blasfemia e sodomia. Con lui tutto il Tempio. Accuse pesanti, non c’è dubbio. Il papa era ammalato e l’inchiesta non sarebbe iniziata prima di metà ottobre. Ma in realtà il gran Maestro è stato arrestato con tutti i cavalieri del Tempio prima che questa fosse iniziata” spiega Henry.

“Ma voi siete sfuggito alla cattura. Dico bene?” domanda il precettore.

“Dite bene, Maestro. Il 13 ottobre eravamo riuniti nella grande sala delle adunanze, quando fummo avvertiti che Guillaume de Nogaret con cento soldati avevano fatto irruzione nella Torre del Tempio. Il gran Maestro preparò un certo numero di messaggi che affidò a una mezza dozzina di noi, affinché avvertissimo le altre commende fuori dalla Francia dei gravi pericoli incombenti” risponde con calma Henry.

Pietro adesso è più attento. Intuisce che il frate sta per effettuare un coup de théâtre. Forse dopo avrà più chiara la strategia di questo impostore. Si avvicina a Alberto degli Arienti e gli sussurra qualcosa. Lui annuisce per conferma.

“Dunque voi siete latore di un messaggio del gran Maestro, Jacques de Molay?” domanda basito Giovanni.

“Sì” risponde mentre estrae da un giustacuore un piccola pergamena, che allunga al precettore.

“Mentre il nostro Maestro Giovanni legge la lettera, vi accompagno nel refettorio per rifocillarsi un po’” dice a sorpresa frate Alberto, prendendolo per un gomito e trascinandolo fuori dalla cella.

Il precettore non dice nulla. Tiene in mano il piccolo rotolo, sigillato con la ceralacca. Osserva il sigillo. É quello del Tempio. Rotondo, con due cavalieri con lo scudo crociato racchiuso dalla scritta ‘Sigillum militum Christi‘. Pietro è impaziente di leggere, perché ha la quasi certezza che conterrà la soluzione ai suoi dubbi.

“Maestro, cosa c’è scritto?” domanda Pietro visibilmente curioso.

“Non siate curioso, fratello Pietro. Lo leggeremmo con calma”. Afferrato uno stiletto Giovanni fa saltare il sigillo e srotola la pergamena.

Il latore del presente documento è autorizzato a prelevare denaro e altri oggetti preziosi, che porterà in salvo nella terra di Albione. Jacques de Molay, Gran Maestro dell’ordine del Tempio

Pietro esulta, perché ha finalmente scoperto il gioco del falso messaggero. Giovanni è sconcertato dal messaggio.

“Maestro, ora è tutto chiaro. Questo falso cavaliere vuol depredarci di tutti i nostri averi e di quelli che tanti hanno affidato a noi. Direi di consegnargli dodici bolognini d’argento e qualche oggetto di scarso valore per soddisfare il messaggio. Per quanto lo ritenga un apocrifo” dice Pietro, rimettendo sul tavolo la pergamena.

Il precettore non risponde subito. Medita sul suggerimento del confratello e chiede maggiori spiegazioni.

“Vedete, Maestro. Nessuno affronta un viaggio così lungo e molto pericoloso per portarci un ordine del genere. Ma ancor più ricco di insidie sarà il ritorno con denaro e oggetti preziosi. Rischi del tutto gratuiti se non ci fosse un tornaconto forte. E quello è rappresentato dai nostri beni” afferma con calma Pietro.

Giovanni gioca con la pergamena. Tiene gli occhi chiusi e riflette, combattuto tra il rispettare il messaggio e credere alla logica di fratello Pietro da Bologna. Comprende che la proposta di dodici bolognini d’argento e di qualche oggetto di scarso valore ha un sottofondo di ragionevolezza. Vuole altre spiegazioni.

“Quanto abbiamo in cassa?” domanda per valutare il da farsi.

“Al momento ci sono duemila fiorini d’oro. Mille e cinquecento scudi d’argento. Tremila bolognini d’argento tosati. Gli oggetti non ricordo” risponde Pietro.

“Quindi proponete di mettere in salvo denaro e oggetti in un posto sicuro, che poi provvediamo a recuperare, quando la bufera s’è placcata?” dice Giovanni.

“Sì. Questo è il mio pensiero” afferma risoluto il frate.

Il precettore ragiona e lo trova plausibile.

“Come intendete procedere?” chiede Giovanni, rompendo il mutismo.

“Porterei nelle segrete celle, quanto si trova nella stanza del tesoro. Lasciando lì solo i dodici bolognini e qualche oggetto di poco valore” risponde Pietro.

“Sono d’accordo” dice Giovanni congedando il frate.

Giovanni, rimasto solo, riflette su gli ultimi avvenimenti. La notizia dell’arresto del gran Maestro e di tutti i cavalieri del Tempio in Francia l’ha scosso. Si domanda fino a quando riusciranno a restare liberi. Aveva ascoltato qualche voce che il papa aveva promulgato una bolla contro di loro. Tuttavia finché non l’avesse letta, rimanevano per lui solo parole senza fondamento. Mentre analizza la situazione, Alberto degli Arienti riporta l’ospite al suo cospetto.

“Ho letto il messaggio durante la vostra assenza” comincia frate Giovanni.

Frate Henry si guarda intorno perché c’è qualcosa che non va. Poi comprende. Manca quel frate curioso, di alta statura, che metteva in dubbio ogni sua parola. Si chiede dove sia finito e perché adesso non sia più presente.

Giovanni intuisce che il falso confratello ha notato l’assenza di Pietro da Bologna.

“Fratello Alberto, potete tornare alle vostre occupazioni serali. Rimango io con fratello Henry” dice congedando il frate.

Henry si trova incastrato nell’angolo. Non può chiedere le motivazioni per cui l’altro frate non c’è. Deve fare buon viso a cattiva sorte. Immagina che difficilmente riuscirà ad arraffare qualcosa di sostanzioso. ‘Se non ci fosse stato quell’impiccione, tutto sarebbe filato liscio come l’olio‘ si dice, abbozzando un sorriso.

“Volete prendere possesso del tesoro ora oppure aspettate domani mattina?” domanda il precettore con voce soave.

“Va bene anche domani” risponde Henry, che sa il grosso ormai è stato spostato altrove.

“Allora chiamo il frate guardiano per farvi accompagnare nelle vostra cella”. Giovanni tira una cordicella che risuona nel silenzio della notte incipiente.

Poco dopo un leggero bussare avverte che il guardiano è arrivato.

“Fratello Azzo, vi affido fratello Henry, un nostro confratello giunto dalla lontana Parigi. Lo fate accomodare nella zona riservata agli ospiti” dice il precettore al nuovo arrivato.

Rivolgendosi a Henry, gli augura la buona notte.

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parte quinta

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Una storia così anonima – parte terza

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Bologna, 28 ottobre 1307, ora prima delle Vigilie, anno secondo di papa Clemente V

Un cavaliere bussa al portone della magione di Strada Maestra. Porta un mantello bianco, che un tempo era candido, da dove si notano ancora i segni di una croce malamente strappata. Sotto s’intravvede un’armatura che appare impolverata e in alcuni punti lacerata.

Un frate socchiude il battente di rovere, mentre un servo illumina con una torcia l’esterno.

“Chi siete?” domanda, ponendo la mano sul pomo della spada che porta sul fianco.

“Sono fratello Henry de Caron e vengo dalla Torre del Tempio di Parigi e porto gravi notizie” risponde con tono affaticato.

“Perché non portate il mantello con le insegne dei Cavalieri del Tempio?” gli chiede, insospettito per l’orario e la mancanza dei segni consueti per riconoscere un confratello.

“É storia lunga e dolorosa. Non posso raccontarla qui fuori. Ci sono orecchie lunghe e gole profonde” replica il cavaliere, che accenna a smontare da cavallo.

“Chi c’è fuori, fratello Azzo?” dice una voce profonda dall’interno della magione.

“Un cavaliere afferma di venire da Parigi, recando gravi notizie, fratello Alberto” risponde il guardiano.

Il nuovo arrivato riflette se dare ospitalità al forestiero. Vista l’ora e il buio ormai netto, la nottata che si preannuncia gelida e l’aspetto di chi ha percorso molte miglia a cavallo, decide che la carità cristiana impone di dare ricovero al bisognoso.

“Fattelo entrare, dopo che ha deposto la spada fuori, accanto al portone” ordina deciso frate Alberto.

“Avete ascoltato, cavaliere?” dice fratello Azzo, poco convinto che la decisione sia quella giusta.

“Sì. Ho deposto l’arma accanto al battente. Il cavallo è sfinito. Avrebbe necessità di ristoro” ribatte il viaggiatore visibilmente sollevato.

“Non preoccupatevi. Presto sarà al sicuro nelle stalle insieme alla vostra spada” dice il guardiano, spalancando il portone, che si richiude rumorosamente alle loro spalle.

“Venite. Vi accompagno dal fratello Giovanni, il nostro precettore” dice Alberto, facendogli un cenno di seguirlo. ‘Così potete riferire la vostra ambasciata”.

Saliti al piano superiore, incrociano frate Pietro da Monte Acuto, che in silenzio si accoda alla coppia. Giunto sulla soglia della cella, frate Alberto degli Arienti fa un cenno al cavaliere di attendere fuori insieme al confratello.

Bussa alla porta e attende qualche attimo prima di entrare. Giovanni, il vecchio precettore della magione, alza gli occhi interrogativi, distogliendoli dalla lettura di una Sacra scrittura. Alberto avanza fino al modesto tavolo, illuminato da una grossa candela.

“Maestro Giovanni, fuori dall’uscio c’è un cavaliere che afferma di essere un nostro confratello della commenda primaria di Parigi, la Torre del Tempio. Porterebbe gravi notizie dalla Francia” dice il frate, attendendo una risposta.

Il precettore resta in silenzio per qualche attimo e accenna col capo che accetta di ricevere il messaggero.

Alberto accenna ai due, che aspettano fuori, di entrare.

Il cavaliere si inginocchia dinnanzi a Giovanni in attesa che il Maestro gli conceda la parola.

“Alzatevi e raccontate quello che avete da dire” fa il precettore.

“Maestro, io sono Henry de Caron, fratello di Raimbaud de Caron, il gran commendatore dell’ordine. Nel novembre dell’anno scorso siamo partiti da Cipro con il gran Maestro, Jacques de Molay, su ordine del nostro amato papa, Clemente V. Siamo stati ricevuti a Poitiers ai primi di maggio. Io facevo parte della ristretta cerchia che ha accompagnato il gran Maestro dal sommo pontefice”.

Giovanni gli fa un cenno di interrompere la narrazione. Non comprende, perché fratello Henry stia facendo questa lunga digressione. Pietro è sempre in silenzio accanto al cavaliere e ascolta con interesse il racconto. Aveva sentito delle voci in tal senso ma aveva dato scarso peso, perché le riteneva pettegolezzi di anime grette e senza rispetto verso il gran Maestro e il papa. Alberto è semplicemente annoiato, vorrebbe che il visitatore andasse al sodo senza lunghi giri di parole per tornare nella sua cella.

“Dunque voi avete visto il nostro Gran Maestro?” chiede frate Giovanni.

“Sì, ma ora è prigioniero nella Torre del Tempio, su ordine di Filippo IV, il Capeto, re di Francia con l’accusa di eresia e sodomia” risponde frate Henry.

Il gelo della cella si solidifica in un blocco di ghiaccio a sentire queste parole.

Frate Pietro è il primo a riprendersi dalla costernazione che la notizia ha generato nei tre monaci. Giurista, esperto in diritto canonico, aveva studiato nella università bolognese, dove aveva incontrato e conosciuto sia Rinaldo da Concorezzo, il vescovo di Ravenna, che Bernard de Got, l’attuale papa Clemente V. Gli sembra un’enormità questa notizia, che arriva per il tramite di un cavaliere, che sostiene di essere un confratello.

“Siete sicuro che il Gran Maestro si trova in stato di detenzione nella commenda parigina?” chiede con voce ferma ma incredula frate Pietro.

“Lo giuro sui Vangeli che, quanto ho detto, corrisponde a verità” ribatte il messaggero, sorpreso che qualcuno metta in dubbio le sue parole. Prima che Pietro possa porgli altre domande, prosegue nelle sue affermazioni.

“Perché dovrei raccontarvi il falso?”.

“Non fate spergiuri o la vostra anima sarà perduta per sempre tra le fiamme dell’Inferno” afferma il precettore Giovanni, attonito e sbigottito che il Gran Maestro sia accusato di reati infamanti.

“Vi prego, proseguite la narrazione” fa Pietro, dando per scontato che stia raccontando il vero. Non ha motivo di dubitare dopo quella reazione veemente.

“Dopo il rientro nella magione, al termine dell’incontro col sua santità, erano circolate molte voci malevoli, che avrebbero messo in apprensione chiunque ma non il nostro Gran Maestro. Lui ha continuato nelle sue normali attività come se non avesse ascoltato nulla”.

“Ma i Cavalieri del Tempio sono sotto la protezione del Santopadre. Il re di Francia ha commesso una grave scorrettezza” lo interrompe Pietro.

“Sì, il re ha ascoltato i suoi consiglieri, tra cui Guillaume Robert, il grande inquisitore di Parigi e non la voce dell’arcivescovo di Narbonne, Gilles Aycelin, che predicava l’attesa” conferma frate Henry.

“Ma il papa Clemente V che ha detto?” chiede Giovanni, che ascolta con attenzione il dialogo tra i due confratelli.

“Nulla. É all’oscuro di tutto o per lo meno lo era” ribatte il messaggero.

“Dicevate che il Gran Maestro ha rifiutato di fuggire e mettersi in salvo. Perché?” chiede frate Pietro da Bologna.

“Una storia lunga. Il 14 settembre nell’abbazia di Maubuisson il re e i suoi consiglieri avevano redatto un documento dove si parlava dell’arresto di tutti i Cavalieri del Tempio in Francia. L’operazione sarebbe stata guidata da Guillaume de Nogaret, che il re ha nominato guardasigilli il 22 dello stesso mese. Il nostro Gran Maestro ha avuto modo di leggere l’ordine ma ha preferito ignorare il documento” spiega frate Henry agli attoniti ascoltatori.

Pietro capisce l’errore del Gran Maestro, che anziché mettere in salvo gli altri cavalieri e se stesso sotto la protezione di Clemente V, ha preferito sfidare il re Capeto per dimostrare la sua superiorità. ‘Ha peccato di onnipotenza ed è stato punito. Così a trascinato nell’inferno molti altri cavalieri‘ riflette il frate senza esternare il proprio pensiero.

“Ma come è avvenuto tutto questo?” domanda Giovanni, che non comprende la portata dell’episodio.

“Il Gran Maestro era rientrato da Poitiers ai primi di ottobre per partecipare alle esequie di Catherine de Courtenay, la moglie di Carlo di Valois il 12 ottobre. Il giorno dopo Nogaret con una squadra di armigeri, guidati da Reginald Frey, ha fatto irruzione nella Torre del Tempio, arrestando quasi tutti i cavalieri che ivi erano residenti” dice Henry ai suoi ascoltatori, attenti a non perdere una sillaba della narrazione.

A Pietro qualcosa non torna. Jacques de Molay era Poitiers ma rientra a Parigi. ‘Perché?’ si domanda ma non lascia albergare il dubbio.

parte quarta

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Una storia così anonima – parte seconda

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Vanessa vive a Bologna in un grazioso trilocale nel centro città. É ancora single nonostante sia una bella ragazza. Non ha trovato ancora l’anima gemella. É uno spirito libero e scoraggia i vari pretendenti col suo carattere per nulla accondiscendente, un po’ ruvido. Ha avuto diverse storie ma nulla di importante. Laureata in filologia, svolge piccoli lavoretti senza un’occupazione fissa e dà qualche ripetizione ad alunni svogliati e poco predisposti allo studio. Questo le permette di sopravvivere senza l’aiuto dei genitori, anche perché ha ereditato dalla nonna materna l’appartamento dove vive, che loro hanno rimesso in ordine. L’edificio è un vecchio palazzo dell’ottocento, ristrutturato e messo a norma. La nonna, oltre alla casa, le ha lasciato un po’ di liquido, che utilizza con parsimonia.

Conosce Luca dai tempi delle medie, quando viveva a Ferrara. Si sono tenuti sempre in contatto e si sono frequentati, quando lui ha studiato a Bologna a Ingegneria. Laureatosi più o meno nello stesso periodo, la loro amicizia è diventata sempre più salda. Tra loro non è mai scattata la scintilla dell’innamoramento ma semplicemente la complicità nel finire in situazioni a volte sgradevoli e pericolose. L’ultima volta secondo lei si è superato il livello di guardia e per questo ha detto ‘basta‘.

É a letto col suo ragazzo, quando sente vibrare lo smartphone.

“Chi è che rompe?” dice Franz infastidito, interrompendo la loro intimità.

“Non lo so” ribatte Vanessa, ignorando le proteste del compagno. Ha visto benissimo chi la sta chiamando.

“Chiudi e non rispondere” fa il ragazzo, tentando di strapparle il telefono.

“No. Sento chi è” afferma con una punta di fastidio.

La ragazza apre la comunicazione, sistemandosi più comodamente.

“Sgrrr” grugnisce al saluto di Luca.

“Disturbo?” le chiede l’amico.

“Sì!” replica secca.

Luca rimane in silenzio e riflette. ‘Se disturbo perché ha risposto anziché far scattare la segreteria?’

“Te lo ho detto di non rispondere”. Sente una voce maschile dal inconfondibile cadenza bolognese, che sta rimproverando Vanessa. Luca non comprende perché l’amica, che evidentemente è in dolce compagnia, abbia risposto alla sua chiamata.

“Tu non intrometterti su quello che devo o non devo fare. Chiaro?”

‘Più esplicito di così si muore!’ pensa Luca.

“Non sono il tuo zerbino” replica Franz infastidito e alterato nella voce.

“Se non ti va, puoi uscire dal letto e andartene. Della mia vita dispongo io e non accetto prediche!” esclama infuriata la ragazza.

‘Diamine! Lo mette alla porta senza tante perifrasi’ ridacchia Luca. Vorrebbe dire qualcosa per chiudere la conversazione, quando ascolta il rumore secco di uno schiaffo. ‘Lei o lui?’ si domanda.

Risposta immediata. “Non ci provare una seconda volta! E adesso smamma! Togliti dai coglioni e non farti più vedere!” Ascolta la voce infuriata di Vanessa, che soffia come un gatto inferocito.

‘Amico, ti dò un consiglio. Ascolta il suggerimento, se vuoi tornare integro a casa! Tu non la conosci bene. Quando è in queste condizioni, conviene girarci al largo’ riflette Luca, che continua a ridere silenziosamente. Il ragazzo ode dei rumori e qualche parola non perfettamente percettibile. Il rumore di una porta che si chiude fragorosamente è l’ultimo suono percepito.

“Disturbo?” azzarda a chiedere a Vanessa.

“Disturbi? Certamente!” dice con la voce incollerita la ragazza.

“Per caso eri a letto?”

“Si dice di sì”.

“Uhm! Mi dispiace. Posso chiamarti anche domani mattina” replica con tono falsamente dispiaciuto Luca.

“Non farmeli girare anche tu! Che vuoi?” fa Vanessa, venendo al sodo.

“Uhm! Non so da dove cominciare” afferma l’amico, che cerca le parole giuste per introdurre il discorso.

“Senti, bel tomo! Ero a letto che facevo all’amore. Mi hai interrotto sul più bello. Ho litigato con Franz. E tu mi proponi degli indovinelli? Fuori il rospo. Ormai la voglia di sesso è passata. Dormire non se ne parla. Quindi parla e in fretta!” dice tutto d’un fiato la ragazza.

“Ecco. Ho trovato una storia interessante in un manoscritto del settecento…”.

“Alt! Non voglio essere coinvolta nei tuoi casini. Mi è stato sufficiente quel volume del seicento” lo interrompe bruscamente Vanessa.

“Ma Van…”.

“Ricordi quel che ti ho detto?”

“Certamente ma è tutto diverso” si schernisce Luca.

“Perché?”

“In primis il volume non ce l’ho materialmente. É in biblioteca a Ferrara” fa Luca, rinfrancato.

“E mi telefoni all’una di notte per dirmi questo?” esclama basita Vanessa.

“Veramente ho il testo trascritto nel mio PC”.

“E allora?” dice la ragazza con voce più addolcita.

“Chiedo se mi puoi dare una mano a leggerlo correttamente”.

“E mi rompi le scatole a quest’ora?”

“Non pensavo che stavi…” si ferma prudentemente Luca, prima di aggiungere qualche parola di troppo. Infuriata com’è, è più prudente non innervosirla ulteriormente.

“Devo mandarti un messaggio, pregandoti di non disturbarmi, mentre faccio all’amore? Sul tipo ‘Ripassa fra cinque minuti, quando sono venuta‘?”

“No, non volevo dire questo!” Luca sta in silenzio per qualche attimo e, prima che Vanessa risponda, riprende a parlare. “Ti chiedo se sei libera domani. Prendo con me il PC e lo leggiamo insieme”.

La ragazza riflette. Di dormire non se ne parla. Aspettare fino a domani neppure. La curiosità ha cancellato rabbia e nervosismo. Meglio battere il ferro quando è caldo. Gli lancia una proposta.

“Vengo io o vieni tu?” dice, lasciando intendere che se si muove Luca è meglio.

Il ragazzo intuisce che è meglio il ‘vieni tu‘. É già vestito. Basta prendere la macchina e in meno di quaranta minuti è a casa di Vanessa.

“Vengo io” replica pronto.

“Ciao” dice la ragazza, chiudendo la comunicazione.

Scende dal letto e cerca qualcosa da mettersi. In pratica non indossa nulla. Il resto lo aveva tolto, quando era arrivato Franz. Infila gli slip, una felpa e i pantaloni della tuta. Accende il riscaldamento, perché la casa si è raffreddata. Si rischia di congelarsi. A febbraio le notti sono ancora rigide. Prepara sul fuoco la moka, che accenderà all’arrivo di Luca. Apre il frigo e controlla, se c’è qualcosa da mangiucchiare durante la notte, che si preannuncia lunga e intrigante.

Nell’attesa accende la televisione. A quell’ora ci sono solo programmi hot o repliche della giornata. Fa zapping da un canale all’altro un po’ annoiata, scartando le tv che trasmettono film a luci rosse. Ripensa alla voglia di fare un po’ di sesso e di come è finita. Sarebbe solo un’inutile tortura.

É immersa in questi pensieri, quando sente squillare il campanello di casa. ‘É volato l’uomo!’ si dice osservando nello schermo del videocitofono il bel viso di Luca.

Un pensiero lussurioso si affaccia impertinente, che scaccia senza pentimenti. ‘Sarebbe incesto’ si dice, mentre lo apre.

É all’ingresso, quando lo vede comparire trafelato dalle scale.

“Ciao, bellissima”. Due casti baci sulle guance suggellano l’incontro.

“Ciao” fa senza ricambiare i baci. Il pensiero di finire a letto con Luca la sfiora ancora. É un ragazzo dal viso simpatico, gentile e premuroso. Molto di più di quella manica di uomini che le ronzano intorno, che hanno solo un’idea fissa: scoparla. ‘Van, non pensarlo più! Luca è tuo fratello e sarebbe incesto se vai a letto con lui’ pensa, mentre gli prende la mano per accompagnarlo in sala.

“Ti va un caffè?” gli chiede,

“Ottima idea!” risponde Luca, che si muove come se fosse a casa sua. Collega alla rete il PC. Si sistema sul tavolo con le stampe dei documenti, che ha ottenuto.

“Ho preparato qualche tramezzino, se per caso ci viene fame” dice Vanessa, che tiene in mano un vassoio.

“Quasi quasi ti sposerei!” esclama allegro il ragazzo.

“Guarda a come parli! Posso prenderti in parola!” replica divertita la ragazza, ponendo i piatti sul tavolo.

“Domani mattina vado in comune per le pubblicazioni” afferma serio Luca.

Vanessa lo stringe con affetto e lo bacia con trasporto. Un brivido corre tra le gambe.

“Dicevi che hai trovato dei documenti interessanti?” dice la ragazza, sedendosi accanto, per scacciare i pensieri lussuriosi che non l’hanno abbandonata.

“Sì ma non ci ho capito molto” dichiara Luca, assumendo un tono serio e compunto. Si sistema sulla sedia, scostandosi dal corpo di Vanessa. Certe tentazioni possono essere pericolose.

‘Sciocco! Se ci provi, l’incesto sarebbe consumato’ riflette la ragazza, mentre legge il documento.

“Mentre leggi, vado a recuperare il caffè” e in un attimo sparisce in cucina.

Vanessa si immerge nella lettura, mentre i pensieri arrapati svaniscono e si nascondono in un angolo. Luca dopo poco compare con due tazze che fumano e odorano di buon caffè. In silenzio le deposita sul tavolo. Non vuole togliere la concentrazione alla ragazza.

“Uhm!” Vanessa sorseggia il caffè e mostra interesse a quello che legge. “Si direbbe che sia una cronaca vecchia. Dei primi del trecento e per di più si svolge qui, a Bologna” dice, senza alzare il viso dai fogli.

“Sì. In strada Maestra. Sai dov’è?” chiede Luca, mentre beve il suo caffè.

“Certamente! Era il vecchio nome di Strada Maggiore”.

“Sarei curioso di vedere di persona il palazzo” dice il ragazzo.

“Ho l’impressione che vedresti poco e male. La via è un enorme cantiere per la nuova tramvia. Dubito che riusciresti ad arrivarci. Forse fra qualche settimana, ma oggi proprio no” asserisce Vanessa senza staccare gli occhi dal documento.

“Hai capito di cosa si tratta?” le chiede Luca.

“In linea di massima sì. É una storia che inizia nel dicembre del 1307 e che arriva al 1313”.

“Bene. La leggiamo insieme?”

“Va bene” dice Vanessa.

Parte terza

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