Una storia così anonima – parte ventunesima

hotel Bayrd Bellecour
hotel Bayrd Bellecour

Bologna, 22 febbraio, 2015, ore nove

Luca e Vanessa sono svegli dalle cinque e mezza. Non è che abbiano dormito un granché. Prima c’è stata quella telefonata inquietante, poi uno squillo del campanello e infine la visita che ha messo fine alla notte. Hanno letto delle altre pagine del manoscritto del settecento. Nuove informazioni, nuovi dubbi si affacciano nella loro testa.

Un caffè?” dice Luca, che si stiracchia vistosamente e sbadiglia senza ritegno.

Potresti metterti una mano davanti alla bocca, affinché non possa valutare la tua dentatura” fa Vanessa in tono di rimprovero.

Il ragazzo alza le spalle e si avvia in cucina. Questa è la seconda notte che dorme poco e male. Per l’educazione ci penserà un’altra volta. La ragazza lo segue, coprendosi per bene. Il riscaldamento è spento e la casa gela. ‘Dovrò riaccenderlo, se non voglio buscarmi un malanno’ si dice, mentre traffica con la caldaia. L’amico pare non sentire le punture di freddo. Cammina a piedi scalzi e indossa solo boxer e maglietta con le maniche corte. Lei lo ammira, perché sa di essere alquanto freddolosa. Questa volta è lui ad armeggiare con la moka. Si muove come se fosse a casa sua. Apre gli sportelli, cerca le tazze e lo zucchero di canna. Sbuffa, perché non lo trova.

Allora il nostro monaco guerriero è in Francia per una missione che non appare chiara. Tu pensi che andrà direttamente a Poitiers oppure farà una deviazione?” le chiede Luca, mentre chiude il gas e versa il caffè.

Uhm, uhm” mugola Vanessa, che tenta di bere senza scottarsi il palato.

Il ragazzo ride per la mancata risposta. Sorseggia il suo e rimanda a dopo la discussione. ‘Non risponderebbe. É troppo impegnata per ascoltarmi’ riflette. Tuttavia si sbaglia, perché un istante dopo depone la tazzina.

Non credo” dice la ragazza, che preferisce che il bollore si raffreddi. “Penso che la missiva contenga delle istruzioni precise sul cammino da intraprendere. Perché il messaggio era ancora chiuso col sigillo. Che senso avrebbe avuto tenerlo nascosto, se fosse stato un semplice ordine di arrivare a Poitiers?”

Anch’io mi sono fatto la medesima convinzione. Se non contenesse delle direttive particolari, Pietro non sarebbe rimasto stupito” ammette il ragazzo, che beve con calma a piccoli sorsi il suo caffè.

Luca depone la tazzina e ha un lampo negli occhi. “Cosa ne pensi se partiamo per Parigi e ripercorriamo la strada che il templare seguirà partendo da Sens?”

Quando?” chiede Vanessa con gli occhi che brillano.

Anche subito. Prepari i bagagli e passi dal bancomat. Poi un salto a Ferrara per raccogliere qualcosa per me. Si parte senza indugi per la Francia. Possiamo essere a Lione per la sera. Domani possiamo metterci sulle tracce di Pietro da Bologna” afferma deciso il ragazzo.

Ci sto!” esulta la ragazza.

Luca osserva l’orologio della cucina. Segna le sei. Fa un rapido calcolo. ‘Se si sbriga, alle otto siamo di partenza per la Francia’ si dice, finendo caffè.

Vado. Mi faccio una doccia e riempio il trolley” fa Vanessa, deponendo la tazzina nel lavello. “Tu nel mentre rigoverni la cucina, lavi le tazzine e la moka. Poi rifai il letto”.

Il ragazzo sbuffa e mentalmente la manda a quel paese. “Mi raccomando non mettere nel trolley l’intera casa” afferma sarcastico, mentre sistema le stoviglie usate nei pensili.

Spiritoso” urla, mostrandogli la lingua.

La speranza di partire per la Francia alle otto svanisce rapidamente: alle nove sono in partenza per Ferrara. Fanno una rapida sosta per recuperare qualche indumento da mettere in una borsa, una pen-drive, lo scanner portatile e la key per il collegamento a Internet. Di corsa all’ingresso dell’autostrada A13 di Ferrara Sud. Naturalmente sono oltre le dieci.

Dobbiamo volare e sperare di non trovare troppo traffico” dice Luca, che fa il primo turno di guida.

Perché?” domanda Vanessa, mentre smanetta inutilmente con la radio. “Che vecchio catorcio! Roba da museo delle cere”.

É quello che passa il convento. Non sono un possidente come te” replica il ragazzo ironicamente. “Perché dobbiamo volare? Sono all’incirca settecento chilometri. Tenendo la media dei novanta, servono più o meno otto ore senza fermate per pisciare o far rifornimento”.

La ragazza legge l’orologio digitale della macchina e fa un rapido calcolo.

Otto ore senza fermarsi? Sei un negriero! Questa bagnarola non ha nemmeno i servizi a bordo. Quindi, se non vuoi vederti allagato l’interno, ti fermerai, quando te lo ordino” afferma secca Vanessa.

Agli ordini, subcomandante Van!” esclama con grande ironia Luca.

Fai pure lo spiritoso ma chi comando sono io” dice con tono duro la ragazza.

Ma certamente! Il subcomandante sei tu! Io eseguo gli ordini” afferma con sarcasmo il ragazzo, portando la mano alla fronte. “Però dobbiamo volare lo stesso”.

Arrivati a Piacenza fanno una breve sosta per mangiare qualcosa con cambio di guidatore e per una visita ai servizi. Il viaggio prosegue tranquillo sulla A21 fino a Torino dove i due ragazzi si immettono sulla A32 per raggiungere il traforo del Frejus. Fa buio presto. La giornata in febbraio è ancora corta. Complice un cielo nuvoloso sembra che la sera sia arrivata in anticipo. Fanno una nuova sosta nell’area di servizio poco prima dell’imbocco del traforo. Un caffè, un rapido giro ai servizi, un nuovo rifornimento e poi via per l’ultimo balzo verso Lione.

Quanto manca per arrivare a destinazione?” chiede Vanessa, che si massaggia i glutei, prima di salire nell’auto.

Poco più di duecento chilometri. Circa tre ore di viaggio” risponde Luca, mentre imbocca il traforo.

Ma conosci la strada? Questo straccio di macchina manco il navigatore ha!” dice indispettita la ragazza.

Il navigatore? Non serve! É tutto qui!” esclama il ragazzo battendo con la mano la fronte.

Non farmi ridire! Ci scommetto che ti perderai cento volte” replica Vanessa ridendo.

Cosa metti in palio?” le domanda Luca.

Quello che vuoi” dice la ragazza, facendo spallucce.

Sicura?”

Come è vero che sono accanto a te”.

Bene” fa Luca, che aggrotta la fronte. “Se non mi perdo, prendiamo una matrimoniale. Viceversa due stanze singole. Qua la mano”.

Ma smettila di fare il buffone. Tanto vinco io per manifesta inferiorità dell’avversario. Comunque tu paghi tutti i conti, visto che l’idea di venire in Francia è tua” dice Vanessa sicura, mentre stringe quella del ragazzo.

Ma tu non hai opposto obiezioni, mi pare. Anzi eri più entusiasta di me. Quindi collabori” fa il ragazzo per nulla intimidito dalle affermazioni della ragazza.

Luca fischietta allegro. É sicuro di arrivare a Lione senza una sbavatura di percorso. Ha memorizzato il tragitto e poi non si è mai perso.

I due ragazzi restano per un po’ in silenzio, prima che Vanessa non lo rompa. “Ma hai già prenotato l’albergo?” fa, riscuotendosi dal quieto mutismo in cui era caduta.

No. E chi ha avuto tempo? E poi non conosco il francese” replica Luca.

Siamo messi bene! Il mio francese elementare sarà di scarso aiuto” dice Vanessa, ridendo.

Che problema c’è? Quando siamo a Lione, chiediamo informazioni oppure sfruttiamo la tecnologia” afferma sicuro il ragazzo. “Non mi pare un gran problema”.

Dove pensi di alloggiare? In centro o fuori?” prosegue la ragazza con le sue domande.

Se si trova qualcosa, nel centro. Almeno possiamo fare un giretto dopo il viaggio”.

Perché hai voglia di camminare a piedi?” domanda Vanessa, spalancando gli occhi verdi. “Io vorrei dormire e basta”.

A letto senza cena?” fa Luca ironico.

Beh! No. Qualcosina si mangia” ammette la ragazza.

Il ragazzo guida con attenzione, finché all’ennesimo casello paga il pedaggio.

Eccoci arrivati a Lyon, l’antica Lugdunum. Come vedi non mi sono perso. Stasera paghi dazio” fa Luca con un sorriso smagliante.

Ma non siamo ancora arrivati a destinazione” dice un po’ acida Vanessa, che non vuole ammettere di aver perso.

Certamente! Accosto e cerco l’albergo” afferma il ragazzo, trovando una rientranza. Prende il computer e cerca hotel a Lione. Sul sito Lyon-France trova la lista degli alberghi. Una rapida scorsa all’elenco e poi sceglie Hotel Bayard-Bellecour. «Idéalement situé en plein centre de Lyon, sur la place Bellecour, l’hôtel vous propose ses chambres familiales et ses chambres doubles en catégorie Charme, Deluxe Patio, Authentic Deluxe ou son unique chambre Prestige Deluxe.»

“Questo mi gusta!” esclama convinto, dopo aver visionato il sito di presentazione. “Questi cugini d’oltralpe parlano solo francese”.

“Fammi vedere” dice Vanessa, strappandogli il computer. “Ma no! Parlano anche in inglese. Dammi il tuo telefono che li chiamo”.

“Perché tu non ce l’hai?” chiede indispettito Luca.

“Sì, ma chiamo a nome tuo”. Ride la ragazza, mentre digita il numero. “Bonsoir. Hotel Bayard-Bellecour?”

“Oui”

“Je désire une chambre deluxe Bellecour pour une nuit”

Il est le dernier libre. Quand pensez-vous arriver?”

Nous sommes … Dove cavolo siamo?” chiede innervosita Vanessa.

“Boh! Pagato il pedaggio al casello, abbiamo preso la prima uscita. Indicava aéroport Lyon-Bron” risponde Luca.

La ragazza fornisce le indicazioni nel suo francese scolastico. Ascolta e finge di aver capito tutto. Infine saluta.

Il ragazzo ride sommessamente, perché capisce che Vanessa non ha compreso quasi niente delle spiegazioni per raggiungere Place Bellecour.

“La navigatrice cosa ordina” la sfotte Luca.

“Solito spiritoso! Oro ti voglio vedere raggiungere l’hotel” replica picata.

“Presto fatto” dice il ragazzo, che esamina con cura la mappa di Lione. “Si parte. Tra mezz’ora siamo a destinazione”.

Vediamo” fa Vanessa laconica. Finora non ha sbagliato nulla, si dice.

parte ventiduesima

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Una storia così anonima – parte ventesima

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Paris, Châtelet, 11 novembre, 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Guillaume de Nogaret osserva infastidito quella pergamena, suggellata dalla ceralacca rossa. Gli è stata consegnata poco prima da un messo dell’arcivescovo di Sens. Sigillo e firma sono autentiche, perché le conosce bene.

Legge nuovamente il testo. Non può mettersi contro Roland de Bernard, perché in questo momento il clero parigino è incerto e diviso sull’operazione, messa in moto il 13 ottobre nei confronti dei templari francesi. La posizione del guardasigilli non è ancora consolidata in modo stabile e lo scontro potrebbe rivelarsi pericoloso per lui. L’inchiesta sta muovendo i primi passi. É ancora gracile e ha necessità di sostegni forti e autorevoli. Mettersi contro le alte gerarchie della chiesa potrebbe rivelarsi controproducente in questo frangente. É vero che esistono molte confessioni ma sono prove deboli, perché estorte con la tortura e quindi possono essere ritrattate. É meglio agire con calma e lasciare libero il templare bolognese, perché tutto sommato è un pesce piccolo, che non avrebbe mai confessato o non avrebbe rilasciato dichiarazioni compromettenti contro il Gran Maestro, Jacques de Molay. Lo farà seguire con discrezione per osservarne le mosse. Ormai ha deciso. Rispetterà l’ordine dell’arcivescovo, Roland de Bernard, che lo vuole presso di lui entro il vespro.

Chiama il capitano delle guardie per disporre la liberazione di Pietro da Bologna. “Che sia trattato bene. Ridategli la sua cavalcatura e scortatelo fino a Sens. Poi lo affidate all’arcivescovo” ordina Guillaume. “Fate in modo che il prigioniero sia lì poco prima del vespro”.

Riflette su chi dovrebbe avere il compito di seguire il templare dal momento che lascerà Sens e il vescovado. É un compito delicato, perché non si deve far scoprire ma nemmeno perderlo di vista. Alla fine opta per Luis de Chavelier, un giovane abile e capace.

‘Perché questo frate è finito sotto la protezione dell’arcivescovo Roland? Quale missione segreta deve compiere?’ si dice, arricciando la barba. ‘Non si chiede a un templare lombardo di compiere un viaggio così lungo e pericoloso, se non deve portare a termine un’operazione importante e delicata. Di certo non è la parte del tesoro del Tempio, che Jacques de Molay è riuscito con molta abilità a trasferire altrove. Dev’essere qualcosa che un cavaliere può portare con sé senza dare troppo nell’occhio. Ma cosa?’

Mentre Guillaume de Nogaret tenta di comprendere il senso della missione di Pietro da Bologna, il frate sta pregando con la schiena voltata verso la porta della cella, nell’attesa di comparire dinnanzi al guardasigilli. Sente girare il chiavistello e cigolare i cardini ma continua nelle sue orazioni.

“Messere, siete libero” dice una voce alle sue spalle.

Pietro si gira con lentezza, pensando a uno scherzo del destino o a una fine trappola di Guillaume de Nogaret.

“Venite. Nel cortile interno vi aspetta il vostro cavallo e un drappello di scorta. Vi accompagnerà fino a Sens” continua quella voce che gli appare sconosciuta.

“Perché a Sens?” chiede il templare stupito e diffidente.

“Siete sotto la protezione dell’arcivescovo Roland de Bernard. Dobbiamo assicurarvi che giungiate a destinazione sano e salvo” risponde la guardia. “Andiamo. Non possiamo indugiare oltre se volete essere per il vespro a destinazione”.

Pietro è convinto che questa liberazione nasconda un tranello. Non si sente tranquillo. Tuttavia raccoglie le poche cose che ha nella cella, indossa il mantello e segue la guardia fino al cortile interno, dove trova il suo bardo e sei cavalieri, che lo attendono.

Usciti da Châtelet, il gruppo prende la strada per Sens, lasciando alle spalle Paris. Un cavaliere avvolto in un mantello grigio li segue a discreta distanza. Questa prima fase è agevole, perché sa dove finirà il gruppo. Il difficile comincerà dopo, quando avrà lasciato Sens. La destinazione più probabile è Poitiers, perché era la meta primitiva. ‘Sarà così?’ s’interroga il cavaliere senza trovare una risposta.

Sens, 11 novembre 1307, vespro – anno secondo Clemente V

Pietro è dinnanzi all’arcivescovo, Roland de Bernard.

Benvenuto nella casa del Signore” fa il prelato, che lo chiama a sé. “Siete stato trattato bene, frère Pierre?”

Sì, come può esserlo un prigioniero” risponde il frate, “mi è mancato molto il sacramento della comunione”.

L’arcivescovo sorride. Non è da tutti mantenere la serenità dopo aver conosciuto le prigioni francesi.

Quando volete, potete scendere nella mia cappella privata e comunicarvi” gli dice Roland.

Pietro vorrebbe scendere subito per mondarsi dei suoi peccati ma aspetta che l’arcivescovo gli conceda il permesso di allontanarsi.

Pazientate ancora un poco” fa il prelato, che prende da un cassetto una missiva. La apre e dopo una scorsa veloce riprende a parlare. “Sua eminenza, il cardinale Caetani, ha affidato nelle mie mani la vostra sorte e mi detto di consegnarvi questa pergamena”.

Prende dal cassetto un secondo rotolo, chiuso col sigillo papale. “Non ne conosco il contenuto ma si è raccomandato di consegnarvelo di persona”. Detto questo lo allunga al frate, che lo prende e controlla il sigillo. Pare intatto e autentico.

Nelle stanze, dove riposerete, troverete una vecchia conoscenza. Il chierico Philippe de Laurent, che vi terrà compagnia nel viaggio verso Poitiers” conclude l’arcivescovo, congedandolo.

Pietro infila il rotolo sotto il saio e dopo aver baciato l’anello vescovile, esce dalla stanza.

Alphonse de Mullins lo osserva con astio. É riuscito a origliare qualcosa ma non tutto. Non ha compreso se de Bernard abbia consegnato qualcosa di importante al frate oppure solo la missiva del chierico. Lo maledice, perché è stato la causa di una dura rampogna. Deve scoprirlo, perché il cardinale Colonna gli ha detto che al prossimo passo falso lui salta. ‘Devo recuperare la sua fiducia. Tornare a Annency? Non ci penso per nulla!’ si dice, seguendo con discrezione il frate.

Pietro ha notato le manovre del monaco e il suo sesto senso gli suggerisce che può essere una vipera. Finge di perdersi nei corridoi. Girando più volte su se stesso. Si nasconde dietro un tendaggio e osserva il monaco che si guarda intorno interdetto.

Cercate me?” gli dice materializzandosi alle sue spalle.

Alphonse ha un sobbalzo, come chi è stato colto con le mani nella marmellata. Borbotta qualcosa e si avvia scuro in volto verso la sua stanza ma il frate lo ferma con voce perentoria.

Non siete il segretario dell’arcivescovo, Roland de Bernard?” gli chiede, bloccando la sua fuga precipitosa.

Sì” risponde con un monosillabo.

Allora saprete sicuramente indicarmi la via della cappella privata dell’arcivescovo” dice con tono vagamente ironico Pietro.

Alphonse di malagrazia gli fornisce le indicazioni richieste e poi gli volta le spalle. Pietro sorride e si avvia verso la cappella. ‘Dovrò confessare anche questo peccato. Ho dubitato della buonafede del mio prossimo” si dice, facendosi il segno della croce.

Confessato e assolto dai peccati con la comunione, il frate si avvia verso la stanza assegnatagli. Si sente più leggero e vicino a Dio e a Maria Maddalena. Spera d’incontrare il chierico per abbracciarlo. Ha questi pensieri, quando ode alle sue spalle una voce che grida ‘Frare Pierre! Frare Pierre’. La riconosce, anzi la individuerebbe tra mille. Si gira e abbraccia con calore Philippe.

Non mi avete ancora accompagnato a Poitiers da Clemente V” dice Pietro allegro.

Avete ragione, Frare Pierre! Non ho mantenuto l’impegno preso: quello di condurvi alla corte papale. Ma presto colmerò questa lacuna” afferma il chierico.

Certamente, quando l’arcivescovo mi darà il permesso di partire, ci dirigeremo verso Poitiers, sempre che voi non dobbiate andarvene prima” replica Pietro.

Non avrei mai detto di potervi rivedere, dopo che ci siamo separati a Lugdunum” conclude Philippe.

Ma ditemi. Come avete saputo che ero finito a Paris?” gli domanda il frate, che cammina spedito verso le sue stanze.

Una storia lunga. Tuttavia dopo le orazioni della prima vigilia e il frugale pasto alla mensa dei poveri, vi racconterò tutto” gli dice il chierico. “Vedo che non avete perso buon umore e capacità di cogliere i particolari e schivare le insidie”.

Pietro sorride, pensando che anche Philippe avrà buon senso e furbizia con un po’ di esperienza.

Se l’istinto di sopravvivenza non funzionasse bene, sarei già morto da molto tempo” replica Pietro, mentre entrano nelle stanze loro assegnate.

parte ventunesima

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Un storia così anonima – parte dicianovesima

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Bologna, 22 febbraio 2015, ore 3

Decisamente non vogliono farci dormire” dice Luca, che accende il computer.

Sei il solito brontolone! Chi dorme, non piglia pesci” lo rimbecca Vanessa.

Ma chi vuol diventare pescatore?” afferma con ironia il ragazzo. “Mi basta dormire solo un poco. Il sonno del giusto”.

Dormiglione oltre che brontolone!” fa la ragazza che gli prende il PC e comincia a digitare sulla tastiera. Va alla ricerca da dove riprendere la lettura.

Sai” comincia Luca “trovo davvero strano sia la telefonata che lo squillo di campanello”.

Perché?” fa la ragazza, senza alzare gli occhi dallo schermo.

Il ragazzo la guarda basito. Si domanda il motivo, dice in silenzio, mi sembra ovvio il senso delle mie parole. E accenna a un moto di sorpresa.

Vanessa distoglie lo sguardo dal computer e fissa negli occhi Luca. Si aspetta una risposta che tarda ad arrivare.

Perché? Li trovo inquietanti. C’è una coincidenza insolita in quello che è accaduto stasera. Leggiamo un testo del settecento che riporta notizie vecchie di quattrocento anni. Una voce al telefono mi dice ‘lascia perdere’. Poi alle due di notte, qualcuno si diverte a svegliarci vestito come un templare” fa il ragazzo, che appoggia il mento sulle palme aperte.

La telefonata?” Vanessa fa una pausa prima di riprendere a parlare. “La telefonata è stata un errore”.

Sarà ma non ci credo. Cosa devo lasciar perdere?” replica Luca poco convinto delle spiegazioni della ragazza.

Se non lo sai tu, come faccio a indovinarlo? Forse hai rotto le scatole a qualcuno. Forse hai importunato una ragazza e il suo compagno ti minaccia. Anzi ti consiglia di darci un taglio. Sei uno specialista in questo genere di attività” afferma la ragazza.

Lui la guarda sorpreso e arrabbiato. La battuta non gli è piaciuta per niente. “Per tua norma e regola non rompo nessuno e non importuno nessuna tenera e dolce fanciulla!” rimbecca offeso.

Perché l’altra sera cosa hai fatto?” dice seria Vanessa.

Ma è stato a fin di bene! Ti saresti annoiata con quel bradipo!” fa Luca sarcastico.

Questo lascialo dire a me. Comunque hai finito di lamentarti?” domanda la ragazza che è tornata sul testo che stanno leggendo.

Il ragazzo scuote la testa. Con lei c’è poco da fare. Ha sempre l’ultima battuta. Si sistema accanto per seguire la lettura della cronaca di Pietro da Bologna.

Tosto il templare!” esclama la ragazza, mentre scorre la storia.

Sembri tu!” esclama il ragazzo, che non minimizza il tono ironico.

Mi stai prendendo in giro?”

Assolutamente no! Ti sto facendo un complimento! Mi pare che Pietro, nonostante tutto, tenga testa validamente a Guillaume de Nogaret senza perdere mai la bussola del ragionamento” dice Luca, abbassando il tono della voce.

Ti sei salvato in corner!” ride Vanessa. “Adesso bando alle ciance. Si legge e si cerca di capire dove cavolo è finito il tesoro della commenda bolognese”.

Non demordi, Van!”

E perché mai?”

Ridono e continuano la lettura. Non passa molto tempo, quando stanchezza e sonno aprono una breccia nelle loro menti. Si addormentano l’uno appoggiato all’altra, mentre lo schermo si oscura.

Luca si trova in una Parigi che non riconosce. La gente veste in maniera inusuale. Le strade sono fangose e non vede automobili circolare. Solo gente a piedi o a cavallo. Avverte una sensazione di essere nel luogo sbagliato in un tempo che non gli appartiene. Cammina invisibile tra persone che lo ignorano. Vede un edificio di pietra grigia che sovrasta le case basse. Ha una forma quadrata con quattro torri sui quattro spigoli, di cui una è leggermente più piccola. É imponente e altrettanto inquietante. Il cielo grigio carico di pioggia rende ancora più spettrale quella vista. Si domanda che edificio sia questo e a chi appartenga. É stato di recente a Parigi ma non ricorda di averlo visto. Si sta avviando verso di esso, quando si sente strattonare da qualcuno accanto a lui e chiamarlo per nome.

Luca, Luca!” Sente una voce familiare che attraversa i fumi del sonno. “Luca, svegliati!”

Il ragazzo si riscuote, si mette eretto un po’ barcollante e si guarda intorno spaesato. La visione è totalmente diversa da quella di pochi istanti prima. É in una stanza debolmente illuminata da un abat jour e accanto a lui c’è l’amica di tante avventure vissute insieme.

Luca, qualcuno tenta di entrare in casa!” grida Vanessa.

Questa frase lo desta completamente e gli fa ricordare che è a Bologna e non a Parigi. “Cosa?” dice il ragazzo con la voce impastata dalla stanchezza e dalla voglia di dormire.

Sento armeggiare intorno alla serratura” dice concitata la ragazza.

Luca scende dal letto e a piedi nudi si avvia all’ingresso. Adesso avverte anche lui rumori sospetti.

Chiama il 113, mentre io vado a vedere” fa il ragazzo che allontana.

Non fare l’eroe! Quelli di solito muoiono. Tu mi servi vivo” afferma premurosa la ragazza, mentre afferra il telefono.

Il ragazzo alza le spalle. ‘Quando ha bisogno di me, è tutto latte e miele. Non appena cessa il pericolo, mi rifila un calcione per mandarmi via’ si dice, mentre va verso l’ingresso. Accende le luci e si avvicina all’uscio per controllare. I rumori cessano. La sensazione è di udire un leggero scalpiccio di passi, che si allontanano. Dall’occhio magico vede solo buio. La tentazione di aprire la porta blindata e controllare, se ci sono segni esterni, è forte ma la prudenza lo ferma. ‘Ci guarderò più tardi, in mattinata’ riflette, mentre si assicura che tutto sia in ordine.

Tornato in camera, Luca trova Vanessa col telefono in mano e gli occhi sbarrati per la paura. Torna sotto le coperte accanto a lei.

Hai chiamato?” le domanda il ragazzo.

No”.

Bene. Lascialo impostato se dovesse servire. Ma credo che per stanotte dovremo essere tranquilli” afferma Luca con decisione.

Cosa te lo fa credere?” gli chiede la ragazza.

Sensazioni. Quando ha avvertito la mia presenza vicino alla porta, se ne è andato” dice il ragazzo con tono rassicurante. “Ora comprendi le motivazioni del mio turbamento per la telefonata e per lo squillo misterioso?”

Vanessa non replica. Sa di aver riso alle preoccupazioni dell’amico senza dare il giusto peso a quelle anomalie.

Mi chiedo chi possa essere?” riprende a esternare Luca “Chi conosce i nostri obiettivi? Come li ha scoperti?”

Non saprei come risponderti, Luke. Io non ho parlato con nessuno. Lo sai benissimo. Contatti con persone estranee zero, a parte la bibliotecaria di Sala Borsa. Proprio non saprei darti una risposta”.

Il ragazzo non è molto convinto della difesa dell’amica. Non perché creda, che in qualche modo si sia lasciata sfuggire il motivo delle loro ricerche ma perché sa che il suo numero di telefono non è facile da conoscere. Lui non ama fornirlo a tutti. Quindi a rigore di logica dovrebbe essere qualcuno della sua cerchia di conoscenze. ‘Ma chi?’ si dice. “La visita notturna potrebbe essere qualcuno che ha ascoltato le nostre chiacchiere e ha deciso di metterle a frutto” afferma. “Ma la chiamata non è casuale. E quel ‘lascia perdere’ non è stato detto così per caso. No, c’è qualcosa che sfugge alla mia comprensione”.

É un Luca dubbioso, ripiegato su di sé, quello che parla, Vanessa lo comprende chiaramente, mentre legge l’orario sulla radiosveglia.

Diamine, già le cinque e mezza!” esclama la ragazza. “Anche stanotte abbiamo dedicato al sonno solo qualche briciola di tempo. Che facciamo”.

“Un caffè per darci la giusta carica per la nuova giornata” la esorta il ragazzo.

Vanessa indossa sulla camicia da notte una vestaglia di flanella, mentre Luca infila i jeans e un maglione.

“Quel ‘lascia perdere’ continua a ronzarmi nella testa” afferma il ragazzo, che osserva l’amica nella preparazione della moka.

“Ma quella voce era maschile o femminile?” domanda la ragazza, mentre accende il fornello.

“Maschile, maschile. Era cavernosa e lontana” risponde Luca, che mette sul tavolo le due tazzine e lo zucchero di canna.

“Non mi dire che era un fantasma riemerso dal passato!” dice Vanessa, mentre versa il caffè nelle tazzine.

“Beh! A dire il vero ci avevo pensato” replica divertito il ragazzo. “Ma non mi risulta che personaggi vissuti settecento anni fa possano conoscere le moderne tecnologie! Però a questo punto sto cambiando idea”.

“Cerca di essere serio, almeno una volta!” esclama la ragazza, che agita i capelli rossi.

“Lo sono”.

Vanessa ride. É incorreggibile ma proprio per questo vado d’accordo con lui. Non perde mai il buon umore, si dice, mentre sorseggia il caffè.

“Non hai un’idea a chi hai pestato i piedi?” gli domanda la ragazza.

“Assolutamente no!” risponde Luca. “Anzi sì”.

“E chi sarebbe?” gli chiede curiosa Vanessa.

“Non ti metti a ridere, se te lo dico?” fa il ragazzo, diventato serio.

“Lo prometto” e mette gli indici incrociati sulla bocca.

“É un frate domenicano. Fra’ Bartolomeo da Ravenna” esterna compunto Luca.

“Un frate? E cosa gli hai fatto?” dice stupita la ragazza.

“Io nulla”.

Vanessa lo guarda come se di fronte a lei ci sia un alieno.

“Personalmente nulla. Ma l’ho risvegliato dopo un sonno di trecento anni” esclama il ragazzo sorridente.

La ragazza dopo un primo momento di smarrimento ride di gusto.

“E al frate cosa hai fatto di così grave da minacciarti?” gli chiede divertita.

“Ho letto la cronaca, quando nel settecento ha cercato invano il tesoro che Pietro da Bologna ha nascosto abilmente” risponde il ragazzo serioso.

Vanessa lo abbraccia di slancio. “Sei uno spasso!” gli dice, mentre lo bacia.

“Grazie! Tutti questi baci mi hanno fatto venire fame. Facciamo la colazione?” fa Luca, osservando l’orologio della cucina.

parte ventesima

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Una storia così anonima – parte diciottesima

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Sens, 10 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V
Il chierico Philippe è nella stanza del segretario dell’arcivescovo di Sens e attende di essere ricevuto. Il segretario, il monaco benedettino, Alphonse de Mullins, insiste per farsi consegnare il messaggio ma il chierico è irremovibile.
Sua santità, Clemente V” mente Philippe “si è raccomandato. Devo consegnarlo di persona. Nelle mani di Monseigneur Roland de Bernard”.
Ma Monseigneur Roland è impegnato con le orazioni mattutine. E poi…” continua ostinato il monaco.
Aspetterò tutto il tempo necessario. Anche l’intera giornata” tronca di netto il chierico, inginocchiandosi davanti all’effigie della Madonna per pregare.
Passano le ore e il chierico è sempre lì, genuflesso davanti all’effigie di Maria. Non demorde, è paziente. Sa che la sua costanza sarà premiata.
Il segretario lo osserva, non pronuncia parola. Gli ordini sono precisi e categorici: tutta la corrispondenza per l’arcivescovo deve essere intercettata, letta e copiata per essere trasmessa a Paris. L’ostinazione di questo giovane prelato lo sta innervosendo ma non può con la forza costringerlo a consegnare il messaggio. Rischia di scoprire il suo gioco e sa che nessuno verrebbe in suo aiuto. Chiamare un sicario per assassinarlo sarebbe la soluzione peggiore. Spera che il chierico, persa la pazienza, si rassegni ma vista la cocciutaggine di non voler cedere alle sue richieste dubita che riesca nel suo intento.
É l’ora nona e la situazione non si è sbloccata, quando un evento inaspettato sconvolge tutto.

Paris, Châtelet, 10 novembre 1307, ora terza, anno secondo di Clemente

Pietro da Bologna è di nuovo davanti a Guillaume de Nogaret e non ha perso la baldanza iniziale. Risponde e controbatte. Puntualizza e fa rettificare i verbali. Mette a dura prova la tenuta nervosa del guardasigilli, che pensava a una passeggiata, mentre si trova spesso in difficoltà.

Spero che nella notte abbiate avuto modo di riflettere sulle questioni di ieri. MI auguro che finalmente diciate la verità” afferma in modo sibillino Guillaume.

Ho sempre detto il vero. Se giuro sulla Bibbia, sono conscio che lo spergiuro sia un peccato capitale” ribatte senza abbassare la vista Pietro.

Eppure non siete sincero sulla cerimonia di iniziazione degli aspiranti monaci” insiste il guardasigilli.

Non credo. Quello che ho descritto è quanto conosco” replica con tono fermo il templare.

Guillaume capisce di essere in un vicolo cieco. Più si ostina a crederlo un mentitore, più Pietro si arrocca nella sua versione, che non ha modificato di una virgola rispetto alla prima volta. Deve trovare il modo per scardinare quella difesa tanto ostinata quanto efficace. Chiama il segretario per farsi consegnare un documento. Spera che sia l’arma finale per mettere fine a questo interrogatorio che non lo porta da nessuna parte.

Perché siete venuto a Paris?” gli chiede il guardasigilli, sapendo che non è vero.

Io non avevo nessuna intenzione di venire a Paris. Mi hanno costretto con la forza i suoi sgherri” risponde con pacatezza il frate, che non è caduto nel tranello.

Veramente non mi risulta così” esclama Guillaume, mostrando una sorpresa che non ingannerebbe neppure un bambino.

Pietro ride e pensa che trappole così infantili sarebbero scansate da chiunque. A volte mi sembra un ingenuo, altre un furbacchione maldestro, altre volte un misero idiota, si dice ma per contro non lo ritiene uno sprovveduto ma un abile commediante.

Ho forse fatto una battuta comica?” fa Guillaume visibilmente infastidito dal comportamento di Pietro.

No. Ma ho sorriso perché la ritengo una persona intelligente, dotata di una capacità cognitiva superiore alla media” dice il frate, riacquistando la seria compostezza che ha adottato dal giorno precedente.

De Nogaret accusa il colpo e sta per replicare velenosamente, quando entra nella stanza il segretario con diverse pergamene legate con un nastro di raso rosso. Rompe il sigillo di ceralacca che le sigillava.

…Una cosa amara, una cosa deplorevole, una cosa certamente orribile a pensarsi..” così comincia Guillaume a leggere con tono grave.

Pietro immagina che si tratta di un interrogatorio di un confratello ma non ne conosce l’autore. Si fa attento per cogliere ogni minima inflessione della voce.

…un crimine detestabile, un delitto esecrabile contro Dio e contro la natura. I fratelli del Tempio hanno operato come lupi, travestiti da agnelli. Abbiamo insultato sciaguratamente la religione e la nostra fede. Abbiamo tradito la veste che indossiamo e il giuramento che abbiamo fatto prendendo i voti. Abbiamo costretto i novizi, che aspiravano di entrare nelle Militiae Christi a sputare sulla croce…”. Guillaume fa una pausa di effetto per vedere le reazioni di Pietro. Lui è impassibile, attento e concentrato ma senza dare segni di scandalo. ‘Dunque è vero. Anche lui concorda con quanto ho letto’ si dice il guardasigilli soddisfatto.

Osservo che voi non negate quanto sta scritto in questo verbale di interrogatorio” esordisce Guillaume.

Ascolto con attenzione quello che state leggendo ma non sono d’accordo con quanto sta scritto” risponde con calma il frate.

De Nogaret trasale incredulo. Tutte le sue ipotesi sono smentite dalle parole che ascolta.

Pertanto negate che i novizi siano sottoposti a simili trattamenti?” esclama il guardasigilli visibilmente adirato.

Nego con fermezza che i novizi della provincia di Lombardia siano costretti a subire queste imposizioni” afferma Pietro con la calma dei forti.

Dunque negate tutto questo?” dice de Nogaret, che ha riacquistato la compostezza che il ruolo gli assegna. “Sapete chi ha firmato questo verbale?”

Immagino uno dei nostri confratelli. Se mi sforzassi di comprendere chi è, non lo capirei mai” conclude il frate.

Il guardasigilli ride. É convinto di averlo in pugno. Fa un cenno al segretario di avvicinarsi. “Consegnate questo al frate qui dinnanzi” fa con tono sprezzante.

Pietro legge. Alza un sopracciglio di sorpresa ma nasconde immediatamente lo stupore che lo pervade. Dubita però che la firma sia autentica. Se lo fosse, è certo che queste dichiarazioni siano state estorte con la tortura. Lui non conosce Jacques de Molay ma quello che è giunto alle sue orecchie è di tutt’altro genere. Duro, inflessibile e profondamente legato al giuramento fatto, entrando nell’ordine.

So chi ha firmato ma non conosco quale sia la sua firma” dice Pietro, soppesando le parole.

Guillaume de Nogaret trattiene a stento la collera. Quel frate dall’aria indifesa l’ha insultato con sottigliezza. Non mi ha dato esplicitamente del mentitore ma ha insinuato che potrei esserlo, pensa, mentre chiama il capitano delle guardie. “Accompagnatelo nella sua cella”.


Sens, 10 novembre 1307, ora nona – anno secondo di Clemente V

Chi aspettate, Philippe de Laurent?” dice una voce familiare alle spalle del chierico.

Nessuno. Attendo di consegnare un dispaccio urgete e riservato a sua eminenza, il vescovo di Sens” risponde il chierico, voltandosi.

Il prelato sorride. Sa quanto sia difficile consegnare di persona un messaggio per Monseigneur Roland, specialmente negli ultimi tempi da quando Alphonse de Mullins ha assunto il ruolo di segretario personale dell’arcivescovo.

Se me lo consegnato, proverò a metterlo alla sua attenzione” fa Bertrand de Mullon, tendendo la mano.

Grazie per l’offerta ma non posso tradire la fiducia del Santopadre” dice il chierico, che saluta con deferenza il nuovo arrivato.

Se non sono indiscreto, perché?” chiede Bertrand, che conosce bene, quanto Philippe sia ligio agli ordini ricevuti.

Il chierico si eleva per i suoi quasi quattro piedi di liprando, prima di iniziare a parlare.

Il Santopadre mi ha fatto giurare sulla Bibbia che avrei consegnato di persona queste pergamene, di cui ignoro il contenuto. Quindi la mia anima sarebbe dannata per sempre, se venissi meno al giuramento prestato”.

Bertrand sorride e prende per un braccio Philippe.

Siete troppo leale per rompere un giuramento” dice il prelato, che si avvia col chierico verso le stanze dell’arcivescovo sotto lo sguardo atterrito del segretario. “Venite con me. Vi accompagnerò di persona al suo cospetto”.

I due spariscono inghiottiti dai lunghi corridoi dell’arcivescovado.

parte dicianovesima

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una storia così anonima – parte diciassettesima

dal web
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Bologna, 21 febbraio, 2015 – ore 22

I due ragazzi sono rincasati da poco dopo la lunga sosta in pizzeria. Sono allegri e distesi, mentre chiacchierano di tutto e di niente. É stata una lunga giornata e la notte precedente è stata breve.
Cosa facciamo? Leggiamo altre due righe del tuo cronista settecentesco oppure riprendiamo domani?” dice Vanessa, mentre appende il piumino.
Luca guarda l’orologio e sbadiglia.
Per me va bene leggere ancora qualcosa” fa, mentre si stiracchia vistosamente.
D’accordo. Un’oretta e poi a nanna” conviene la ragazza.
Di ore ne passano almeno due ma hanno letto gli ultimi sviluppi della storia. Il ragazzo si appoggia allo schienale della sedia. Vanessa ha gli occhi verdi arrossati e lacrimosi.
Dunque Pietro deve compiere una missione. Quale?” dice Luca, intrecciando le mani dietro la nuca.
Uhm!” mormora la ragazza, che si sfrega con vigore le palpebre.
Pare un intrigo internazionale. Da un lato alcuni cardinali tramano. Dall’altro la fazione opposta intriga. Il re e i suoi accoliti si fregano le mani e dicono ‘grazie’. Pare di vedere la situazione attuale. Ma l’oggetto del contendere cos’è?” continua a interrogarsi il ragazzo, senza trovare una convincente risposta.
Forse riguarda il tesoro dei templari” azzarda questa ipotesi Vanessa.
Ma quale tesoro? Quello del Tempio oppure qualcosa d’altro che non conosciamo?” risponde Luca.
Mi pare azzardata qualsiasi tesi” replica la ragazza. “Ma noi non dobbiamo occuparci del tesoro nascosto dei templari bolognesi?”
Direi di sì! Ma ho la sensazione che sia legato alla convocazione di Pietro a Poitiers. Così a spanne, a intuito. Forse mi sbaglio ma non di troppo” fa il ragazzo, chiudendo il computer.
Vanessa non replica alle ultime affermazioni dell’amico. Dubita che sia tutto così semplice. Se il cronista riporta i verbali dell’interrogatorio, forse riusciamo a comprendere la vera natura del viaggio, si dice la ragazza, senza esternare i suoi pensieri.
Luca la osserva e si domanda a cosa stia pensando. Ci scommetto, si dice, che il suo pensiero è quello di mettere le mani sulle ricchezze dei templari bolognesi. Ma sono reali o solo virtuali?
Restano in silenzio, seduti sul divano, che la notte appena trascorsa è stato il letto di fortuna. Ognuno sta elaborando le proprie congetture, avendo il timore di dirle ad alta voce.
Stanno per cominciare a parlare, quando il telefono di Luca squilla, o meglio diffonde una breve melodia. Il ragazzo guarda il display ma con sorpresa è un numero sconosciuto, anzi oscurato.
Chi sarà?” sbotta il ragazzo.
Rispondi! E lo saprai” gli suggerisce di rincalzo Vanessa.
Luca apre la conversazione non del tutto convinto che sia la mossa giusta.
Pronto”.
Lascia perdere” dice una voce, che pare provenire dall’oltretomba.
Perdere cosa?” chiede Luca basito.
Lascia perdere” ripete lo sconosciuto prima di chiudere la comunicazione.
Il ragazzo guarda il display che mostra lo screen saver. Sta lì immobile e perplesso, perché è convinto di aver sbagliato nel rispondere.
Hai visto un fantasma?” gli chiede la ragazza.
Lui non replica. É come in trance. Si riscuote, armeggia con la lista delle chiamate: ‘numero privato‘ è l’unica indicazione.
Insomma che c’è?” domanda Vanessa inquieta. Non ha mai visto Luca così bianco, che pare un cadavere.
Il ragazzo si riscuote e riacquista l’uso della voce.
Inquietante” è l’unica parola che riesce a dire.
Inquietante? Perché? Spiegati. Sei bianco come un lenzuolo. Hai visto forse dei fantasmi?” dice la ragazza, che appare nervosa.
No!” fa Luca “Anzi sì!”
Non fare il tuo solito! Ti vuoi burlare di me?”
No, no! Sono serissimo. L’immagine dei fantasmi no ma la voce sì” afferma con calma Luca.
Visto che si tratta di fantasmi e i misteri mi piacciono, potresti dirmi in breve cosa ti ha detto?”
Niente” dice il ragazzo.
Come niente? Ti contraddici? Eppure ti ho sentito rispondere” esclama Vanessa, alzandosi in piedi leggermente indispettita.
Lascia perdere” replica Luca, scuotendo il capo.
Lascia perdere?” fa la ragazza, alzando il tono della voce “Mi dici o non mi vuoi dire cosa hai ascoltato di tanto sconvolgente?”
Lascia perdere” ripete con timbro monocorde il ragazzo.
Uffa! Sto perdendo la pazienza! Insomma quello o quella sconosciuta cosa ti ha detto?”
Lascia perdere. Due volte” fa Luca, riscuotendosi dalla trance nel quale era piombato.
Vanessa rimane a bocca aperta, senza parole. Adesso è lei, che soffre di afasia. Non riesce a credere a quello che ha udito.
Sì, ha detto due volte ‘lascia perdere‘, scandendo bene le lettere” afferma il ragazzo, che si sta riavendo dallo choc.
Ma chi era?” domanda incredula la ragazza.
Vallo a sapere!” replica il ragazzo.
Avrà pure un numero la chiamata” fa Vanessa, che si risiede sul divano.
E no!” esclama Luca. “Numero privato” aggiunge laconico.
Cazzo! Bel colpo! Ma la voce era maschile o femminile?” domanda la ragazza.
Lui sta in silenzio per qualche istante, come se volesse risentire quella voce, prima di parlare di nuovo.
Maschio, senza dubbio” fa il ragazzo con tono serio.
Vanessa comincia a innervosirsi per le lungaggini dell’amico. Sembra che debba togliergli con le tenaglie le parole dalla bocca.
Insomma, puoi sveltire il discorso e dirmi tutto senza che debba stimolarti le risposte?” chiede la ragazza, che appare nervosa. “Dunque ha detto ‘lascia perdere‘ due volte. É un maschio. Altre informazioni?”
Sì. La voce sembrava provenire dall’oltretomba senza inflessioni particolari” esclama Luca. “Mi domando come può avere il mio numero?”
Sull’ultima domanda del ragazzo rimangono in silenzio. Lui col telefono ben stretto nella sinistra. Lei con lo sguardo nel vuoto. ‘Inquietante’ si dice Vanessa ‘veramente inquietante è questa telefonata. Uno sconosciuto telefona nel cuore della notte e pronuncia due parole dall’oscuro significato. O forse no?’ La ragazza si riscuote e sorride.
Forse ho capito a cosa si riferisce quel ‘lascia perdere‘. Qualcuno non desidera che noi indaghiamo sul tesoro dei templari bolognesi” esclama la ragazza, guardando l’amico.
Luca si gira con lentezza verso di lei, mentre mette via il telefono. C’è qualcosa di poco chiaro in tutto questo e lui lo percepisce chiaramente.
Ammettiamo che tu abbia ragione. Ma mi domando come è a conoscenza che stiamo indagando su fatti avvenuti settecento anni fa? E poi come conosce il mio numero? E in particolare sulla seconda domanda che sto riflettendo” fa Luca, guardandola in viso.
Moh! Glielo avrai dato tu…” replica la ragazza.
A chi? A quale persona avrei consegnato il mio numero di telefono?” dice il ragazzo.
E come faccio a saperlo? Mica conosco tutte le tue interfacce!” ammette Vanessa, sorridendo.
La mia è un’esternazione a voce alta. Immagino che tu non conosca tutti i miei contatti ma una telefonata dopo la mezzanotte non è mica usuale. Dal tono della voce, ti assicuro, pareva che fosse a conoscenza che ero a casa tua”.
Ora non volare con la fantasia, scrittore! Prima dici che è un fantasma, adesso che sa dove ti trovi! Cos’è dotato di sfera di cristallo? Non sei convincente!” afferma la ragazza.
Hai ragione! Non sono stato per nulla chiaro! Ma la sorpresa della telefonata non mi ha fatto ragionare con lucidità. Quel ‘lascia perdere‘ mi ha destabilizzato!” conclude Luca. “Che ne dici se andiamo a dormire e domani riflettiamo con calma su tutto?”
Buona idea” fa Vanessa, che sogghigna “se fai il bravo, puoi venire nel lettone. Altrimenti ti rimane solo il divano”.
Se mai voglio dormire bene, devo fare il bravo per forza” esclama il ragazzo per nulla convinto sugli avvenimenti appena accaduti.
Dal tono della tua voce sto pensando di essere stata troppo incauta nella proposta” replica la ragazza.
Non ti fidi?” fa Luca, che si sta riprendendo. “Giurin giurella…”.
Non fare lo spergiuro. Dai, piaga, che andiamo a dormire” dice ridendo Vanessa.
Chiacchierano, finché la voce si affievolisce nel sonno.
Un trillo del campanello li sveglia.
Chi sarà?” chiede allarmata la ragazza.
Vado a vedere” fa Luca, alzandosi.
Non aprire, mi raccomando” si premura di suggerire Vanessa, che trasale osservando l’ora. La sveglia segna le tre di notte.
Certamente, no! Nemmeno se fossero i carabinieri” dice il ragazzo che a piedi nudi va a vedere il videocitofono.
Chi è?” domanda la ragazza, mentre infila le pantofole.
Non sono riuscito a vederlo bene. Sembrava in maschera con un mantello bianco. Siamo già in quaresima. Il carnevale è finito” afferma con ironia Luca.
Che facciamo?” chiede Vanessa.
Non ho più sonno” risponde il ragazzo.
Nemmeno io. Prendi il computer e torna a letto. Leggiamo qualcosa nell’attesa dell’alba” fa la ragazza, che si infila di nuovo sotto le coperte.
parte diciottesima

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Una storia così anonima – parte sedicesima

dal web
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Poitiers, 9 novembre 1307, primo albore, anno secondo di Clemente V

“Questa missiva va consegnata personalmente al vescovo di Sens. A nessun altro. Aspettate che vi riceva in privato. Siate paziente, finché non lo farà” fa il cardinale Caetani, porgendola al chierico Philippe.

“Sarà fatto, vostra eminenza” risponde con ossequio il chierico, un po’ infastidito da questa nuova missione. Se da un lato gli fa piacere essere il delegato di lettere riservate, dall’altro ne prova fastidio. Il precedente incarico per poco non si è tramutato in una disgrazia. Solo l’acume di Pietro da Bologna ha evitato guai maggiori. Capisce che anche questo ha come oggetto il frate bolognese ma il guardasigilli, Guillaume de Nogaret, è un osso ben più duro per i suoi denti. ‘Salvacondotti, lettere o altro in questo momento del regno di Filippo IV valgono meno di un pugno di terra, come osservava giustamente Pietro’ si dice il chierico, mentre si avvia a uscire dalla curia papale.

Philippe prende la strada per Paris. Lo attendono due giornate di viaggio, se tutto va bene. E non ha smaltito la stanchezza del giorno precedente.

Paris, Châtelet, 9 novembre 1307, ora terza, anno secondo di Clemente V

Pietro ha trascorso il resto della giornata precedente in una cella, da dove ha potuto osservare il lento fluire delle acque, intorpidite dalle piogge recenti, del fiume che scorre sul lato sinistro del castello. L’acqua e la neve sono stati gli elementi che hanno accompagnato il suo viaggio da Bologna alla terra dei Franchi. Il frate ha riflettuto su questi due elementi, che sono stati una costante compagnia senza giungere a particolari conclusioni. ‘In effetti siamo in autunno e le condizioni del tempo sono state rispettate’ si dice osservando il cielo che si inscurisce per la notte. Seduto sul pancone, ha esaminato la sua condizione attuale. É stato trattato bene come se fosse un ospite di riguardo ma è stato limitato nei movimenti, perché alla fine di prigione si tratta. Non è riuscito a formulare una linea difensiva per proteggersi dalle accuse, perché non conosce le motivazioni per le quali si trova rinchiuso in una cella. ‘Aspetto le domande e poi organizzerò la mia difesa’ pensa, mentre mangia una zuppa di cipolle e pane nero. Il giaciglio di paglia gli è sembrato pulito. Gli hanno messo a disposizione un bacile di acqua fresca con la quale ha fatto le abluzioni, che non faceva da due giorni. Inginocchiato verso est, verso Gerusalemme, ha pregato e chiesto perdono al Signore, invocando l’aiuto di Maria Maddalena.

Alle prime luci dell’alba, quando il cielo plumbeo, che minaccia pioggia da un momento all’altro, diventa più chiaro. Pietro si sveglia e va verso quell’apertura stretta e bloccata da una solida inferriata, che dà luce e aria alla sua cella. L’aria è pungente e umida per la notte. Si chiede, se il suo bardo sia stato trattato bene e se ha avuto nutrimento a sufficienza. La sua è una domanda senza risposta, mentre si accinge alle lodi del primo albore. Sente la mancanza della sua chiesa, del sacramento della comunione. Prega, osservando una cattedrale ancora in costruzione sull’isola che sta al di là di quel braccio di fiume. Si domanda come si chiama e perché sia incompiuta.

É immerso nelle preghiere e nelle sue fantasticherie, quando ode cigolare il chiavistello di apertura della cella. Non si volge per vedere chi entra. Non ha bisogno di sapere chi è, perché riconosce i nuovi entrati. Lo sferragliare delle armature fornisce la risposta ai suoi pensieri. Continua a salmodiare sottovoce, ignorando i nuovi arrivati, che restano interdetti.

“Messere vi attendono nella sala dei velluti cremisi” dice una voce alle sue spalle.

Pietro continua a pregare rivolto verso Gerusalemme, ignorando l’invito. Si sente toccare con il piatto della spada sull’omero.

Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedica” recita il frate, non mostrando impazienza di andare con loro.
Il capo degli armati comincia a spazientirsi per questo templare che disattende le sue sollecitazioni, quando lo sente cominciare una nuova preghiera.
Anguláris fundaméntum
lapis Christus missus est,
qui paríetum compáge
in utróque néctitur,
quem Sion sancta suscépit,
in quo credens pérmanet.”
Messere Guillaume de Nogaret non ama attendere. O ci seguite senza perdere ulteriore tempo o sono costretto a trascinarvi con la forza” ordina al frate, che però non pare molto intenzionato a seguirli.
Lo sente ansare, non per una corsa improvvisa ma perché non riesce indurre Pietro a cessare le sue preghiere. Si mette ritto, tuttavia resta in silenzio in piedi. Prima di ricevere un nuovo avvertimento, si volta e scandisce con calma un’unica frase ‘Sono pronto’. Percorrono un lungo corridoio e salgono le scale che portano al primo piano. Nel silenzio risuonano i passi degli armigeri che scortano il frate, che rimane impassibile come una sfinge.
Messere Pierre de Bologne” annuncia con enfasi il capo del gruppo.
Guillaume de Nogaret, seduto su uno scranno, appoggiato su una pedana, che costringe chi è al suo cospetto a guardare verso l’alto, lo fissa pensieroso. Non muove un muscolo della faccia con gli occhi, ridotti a fessure, che non promettono nulla di buono. Pare assiso sul trono.
Pietro avanza senza timori reverenziali verso quella piccola messinscena, guardandolo fisso negli occhi.
Buongiorno, Messere” lo saluta il frate, tenendo il busto ben eretto, avvolto nella tunica bianca, dove spicca chiara la croce rossa della Militia Christi.
Rimane in silenzio, aspettando che il guardasigilli parli. É in atto un sottile gioco psicologico per misurare le capacità dei due contendenti. Non si sente volare una mosca, mentre Pietro non distoglie lo sguardo da Guillaume. É una sfida lanciata dal frate senza timori reverenziali. Aspetta e riflette. ‘Non capisco il senso di mandare Henry de Caron a Bologna e poi inseguirmi, finché non sono stato arrestato dagli uomini di quest’uomo. Dunque conosceva che sarei venuto in questa terra, tanto pericolosa per i miei fratelli francesi. Ma quale missione devono impedirmi?’ Resta immobile sempre con gli occhi fissi sul guardasigilli, senza mostrare né timori, né spavalderia.
Guillaume cede per primo e comincia a parlare.
Mi hanno detto che voi conoscete bene le usanze della Militia Christi. Per questo motivo vi convocato al mio cospetto” inizia con tono insolitamente cortese il guardasigilli.
Pietro lo osserva e trae un profondo respiro.
É forse un interrogatorio quello a cui mi state sottoponendo?” dice il frate con voce calma e appena sussurrata.
Guillaume sobbalza. Non immaginava che il frate iniziasse a parlare in questo modo senza rispondere alla sua domanda. Si guarda intorno nel silenzio del salone. Oltre a loro c’è il capitano De Vaillard, che ha condotto il templare al suo cospetto. Era sua intenzione condurre un interrogatorio senza testimoni e poi fargli firmare un verbale, prima di consentirgli di proseguire fino a Poitiers, dove l’aspetta il papa e la curia papale. Il suo progetto è ben articolato. Da un lato accumulare prove e testimonianze per inchiodare Jacques de Molay e il suo gruppo nel processo che stava preparando. Dall’altro lato era capire le motivazioni di questa inconsueta convocazione papale. Il cardinale Colonna gli ha riferito che era rimasto sorpreso e non ne conosceva il motivo. ‘Una decisione improvvisa e urgente. Pochi di noi sanno chi sia questo frate. Un’unica certezza è stato compagno di studi di Bertrand de Got a Bologna‘ gli aveva comunicato con un messaggio in codice.
Dunque cosa c’era di tanto urgente, affinché compisse questo lungo viaggio, oltremodo pericoloso per lui? Si dice Guillaume prima di rispondere.
No, non è un interrogatorio. É una semplice chiacchierata” afferma in maniera subdola il guardasigilli.
Se era così, perché questa fretta di comparire al vostro cospetto?” gli domanda Pietro.
Guillaume comprende che rischia di finire in un vicolo cieco e cambia strategia.
Messer de Vaillard, faccia entrare il segretario de Hostome, affinché si possa verbalizzare l’interrogatorio con messere Pierre de Bologne” ordina il guardasigilli.
E cominciano le domande per Pietro.
parte diciassettesima

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Una storia così anonima – parte quindicesima

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Bosco della Borgogna, Chalon, 7 novembre 1307, ora seconda della vigilie, anno secondo di Clemente V

Pietro è scortato da quattro cavalieri, che tengono alte le torce accese per illuminare il sentiero. Sono dal vespro che cavalcano senza sosta e senza dire una parola, solo il rumore degli zoccoli sul terreno gelato. Avverte stanchezza e dolori ovunque ma non si lamenta: è dal primo albore che sta in sella. Quando percepisce che il cavallo sta faticando troppo ad avanzare, si rivolge a quello, che ha giudicato il capo della spedizione. Gli sta alle spalle a chiudere il corteo.

“Ho solo questo bardo. Se si accascia morto, non giungeremo a Paris. Io mi fermo a farlo riposare. Voi fate quello che volete” dice Pietro con tono fermo, mentre tira le redini del cavallo per arrestare la sua corsa.

Hugues non proferisce parola ma con la mano indica chiaramente che ha ascoltato le parole del frate. Il gruppo si raccoglie intorno ai due e non accennano a scendere dal cavallo. Aspettano ordini.

Pietro estrae dalla bisaccia, appesa alla sella, la coperta di lana grezza, che gli hanno dato i frati all’Ospizio del Mont Cenis, per coprire la cavalcatura, prima che il sudore geli. É una notte fredda e ventosa e la strada è coperta da un velo di ghiaccio. Accarezza la testa del cavallo, mentre gli allunga una carota, che la bestia divora con voracità. Sul palmo della mano compaiono della palline di zucchero, che gli mette davanti alla bocca. Dalla bisaccia prende altri due oggetti: un sacchetto, che appende sul muso, e un otre di pelle. Lo guardano per la calma e la serenità che sta dimostrando e sembrano increduli. Chiunque nella posizione di Pietro sarebbe in preda all’agitazione e al terrore ma lui dimostra una tranquillità interiore che sbalordisce il gruppo. Hugues comprende che non sarà facile per nessuno minare quella forza che emana dai gesti e dalle parole. Lo osserva ammirato ma non stupito. Aveva sentito delle voci a cui non aveva dato troppo credito ma si deve ricredere. Riflette che qualsiasi cavaliere, dopo aver cavalcato per molte miglia senza riposarsi, sarebbe crollato ma lui non ha emesso un lamento e si è preoccupato solo per il suo cavallo.

Pietro per molto tempo ha ascoltato il suono di acqua corrente e sa di aver percorso un sentiero che corre lungo un fiume, del quale ignora il nome. Si dirige verso quel rumore ma due cavalieri gli sbarrano la strada. Lui li guarda e resta in attesa del via libera. Dove credono che possa scappare, si dice, stringendo il mantello bianco per ripararsi dal freddo pungente della notte.

“Se non posso attingere l’acqua del fiume che scorre alla nostra destra, andate voi. Questo è il contenitore. Il mio bardo ha sete” afferma, allungando l’oggetto di cuoio.

“Prendete l’acqua per il suo cavallo e anche per i nostri” dice una voce autoritaria alle sue spalle.

Pietro torna dalla sua cavalcatura, che ha finito di mangiare il contenuto del sacchetto. Le scorte di cibo per il cavallo sono terminate e difficilmente saranno reintegrate prima del termine del viaggio. Spera di arrivare presto a Paris per far rifiatare il bardo. Non gli importa quale sia la sua sorte ma di quella del cavallo, sì. Sa che finirà in prigione come i confratelli francesi e si domanda, perché sia stato attirato in un tranello con la scusa della convocazione papale. Non ricopre incarichi prestigiosi, essendo un umile frate cappellano. Non è dentro ai segreti del suo ordine, essendo un semplice procuratore legale e neppure famoso. Qualcosa non torna ma non riesce a decifrarlo. Gli manca qualche tassello per comprenderne i motivi. ‘Perché?’ si chiede, mentre fa bere con lentezza il suo cavallo. L’acqua è fredda e la temperatura dell’aria è rigida. Deve usare prudenza per non compromettere la salute della sua cavalcatura. Spero di tornare col mio fedele bardo a Bologna, riflette, mentre ne accarezza il muso.

“Sono pronto” fa, issandosi sulla sella. Il viaggio riprende.

Lugdunum, 8 novembre 1307, primo albore, anno secondo di Clemente V

Il chierico Phillipe si affaccia sulla strada per osservare se ci sono facce sospette, che lo attendono. C’è via libera. Silenzioso raggiunge la stalla di Didier ed esce dalla città. Mette al galoppo il cavallo. Deve raggiungere al più presto Poitiers e riferire alla curia papale che Pietro da Bologna è stato intercettato dagli uomini di Guillaume de Nogaret e condotto a Paris. Al momento il suo compito è concluso. Adesso sono altri che devono muoversi. Lui è un minuscolo ingranaggio nel complesso della vicenda.

Con questi pensieri nella testa riesce a inquadrare nella giusta luce il motivo dell’inseguimento di quel cavaliere che per molti giorni è stato alle loro costole senza farsi notare. Dunque lui era un emissario di de Nogaret. Percepisce con chiarezza e pienamente quello che gli era apparso inspiegabile nel comportamento del frate, che aveva intuito lo scopo degli inseguitori. ‘Ha compreso la vera natura dei cavalieri alle nostre spalle. Ha tentato inutilmente di depistarli. Ma come ha fatto?’ si domanda, mentre tiene un buon passo nella marcia verso la sua meta.

La giornata è grigia e fredda. Il cielo coperto minaccia pioggia. Nuvole nere gonfie sono spinte dal vento di Mistral, che soffia gagliardo dall’Atlantico, abbassando le temperature. ‘Di sicuro in montagna questo si traduce in neve. Nella pianura in pioggia fredda e gelata’ riflette, mentre spinge il cavallo a divorare la strada che lo separa dalla curia papale.

Sempre in silenzio e sempre pensieroso si ferma per dare respiro al cavallo, che sta correndo senza lamentarsi.

Al vespro con il cavallo, che schiuma dalla bocca, entra in Poitiers per presentarsi al cardinale Caetani, che l’aveva inviato in missione a Bologna da frate Pietro.

Il porporato lo riceve. É scuro in volto per l’assenza del templare. Clemente V si era raccomandato che doveva presentarsi al più presto.

“Vostra Eminenza” comincia il chierico, inginocchiandosi di fronte a lui. “Frate Pietro da Bologna è stato arrestato a Lugdunum da gendarmi del re, che erano agli ordini del cancelliere guardasigilli, Guillaume de Nogaret”.

“E perché non avete mostrato il salvacondotto del papa?” lo rimprovera il cardinale.

“Il cavaliere della milizia di Christi non si fidava e ha provato inutilmente ad allontanarsi ma Hugues de Cambernet l’ha catturato lo stesso”.

“E dove si trova ora?” gli domanda con sguardo inquisitore.

“Non saprei ma ho sentito dire che lo stanno conducendo a Paris”.

Il cardinale lo congeda e medita in silenzio. Non era questo l’epilogo ma muovere le pedine nella tana del lupo è più complicato. Spera che il vescovo di Sens lo possa aiutare. Pietro da Bologna deve svolgere un compito delicato ma deve essere a Poitiers.

Prepara una lettera per il vescovo.

Paris, 8 novembre 1307, ora sesta, anno secondo di Clemente V

Il drappello arriva a Paris e si dirige verso rue Saint-Denis per entrare nel Châtelet, l’imponente edificio grigio, che si staglia sulla Senna sul Pont au Change, che collega Île de la Cité alla sponda destra. Qui ci sono le stanze di Guillaume de Nogaret al primo piano e nelle segrete le prigioni.

Hugues de Cambernet conduce il templare al cospetto del guardasigilli. É inusuale che un umile frate sia interrogato da un personaggio così in alto nelle gerarchie. Questo è il pensiero di Pietro, che si aspettava di finire nelle prigioni del palazzo. ‘Cosa vogliono da me? Quali informazioni sperano di ricavare? Sono un umile frate e lontano dai giochi di potere e dalla stanze che contano. Eppure…’ si dice, mentre viene introdotta in una grande sala.

Pesanti tendaggi cremisi impediscono alla luce di entrare prepotenti dentro. Sulle pareti ardono torce e grosse candele ma la maggior parte dell’immensa stanza resta in penombra. Un brutto e imponente tavolo di castagno sta al centro contornato da sedie di pelle. Su un lato sopra una pedana ricoperta di panno verde sta una specie di trono.

Hugues lo spinge di malagrazia verso quell’enorme sedia che troneggia lungo la parete.

“Inginocchiatevi e rendete omaggio a messer Guillaume de Nogaret” gli intima il cavaliere.

Pietro rimane ritto davanti a quel personaggio. “Non devo rendere omaggio a nessuno. Sono stato condotto qui contro la mia volontà. Non so quale colpa mi viene addebitata” afferma con voce per nulla incrinata dall’agitazione.

Hugues si avvicina e tenta di piegare quel frate, che ritorna sempre eretto. Guillaume ride alla scenetta e con la mano fa cenno al suo sottoposto di terminare quella commedia.

“Voi sapete che i cavalieri delle milizie di Christi sono stati internati perché sono accusati di eresia, sodomia e blasfemia?” gli domanda il guardasigilli.

“Ho sentito delle voci ma nulla più. Io appartengo alla provincia di Lombardia e vivo nella commenda di Bologna. Rispondo al papa e stavo recandomi da lui, quando voi mi avete arrestato” aggiunge Pietro con tono fermo e calmo.

Guillaume lo osserva e comprende che la dialettica non manca a questo frate. Decide di cambiare tattica.

“Voi siete stato condotto qui come testimone delle colpe dei cavalieri del Tempio. Non siete in arresto ma solo ospite” dice con voce melliflua Guillaume.

“Dunque posso andarmene e raggiungere Poitiers?” chiede Pietro col sorriso sulle labbra.

Il guardasigilli coglie la sottile ironia di quelle parole ma non replica come l’istinto gli consiglia di fare. Non vuole fare il gioco di questo templare e lasciarsi trainare su un terreno a lui non congeniale.

“Certamente. Dopo che avete risposto alle mie domande” fa Guillaume sornione, stringendo gli occhi. “Dopo che avete firmato il verbale della deposizione”.

Pietro sposta il peso del corpo sull’altra gamba e rimane in attesa delle domande.

La partita ha inizio.

parte sedicesima

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Una storia così anonima – parte quattordicesima

da wikipedia
da wikipedia

Lugdunum, 7 novembre 1307, vespro – anno secondo di Clemente V

É quasi l’ora del vespro. Henry de Caron arriva alla porta dl Lugdunum e chiede alle guardie, che presidiano l’ingresso al borgo, se sono passati due forestieri a cavallo. ‘Non sono entrati dei forestieri, nemmeno dei cavalieri’ dice il sergente. Il cavaliere ha un moto di stizza, perché intuisce di essere stato nuovamente beffato dal frate, che da preda è diventato il predatore.

Congeda i due compagni. “Cercate una locanda pulita e portate i cavalli nella stalla. Che siano strigliati a dovere” intima loro, mentre lui si reca a rapporto da Hugues de Cambernet, il capitano delle guardie del Re, distaccate a Lugdunum. In realtà lui è agli ordini di Guillaume de Nogaret e la sua missione è condurre Pietro da Bologna dal guardasigilli per essere interrogato.

“Messere, frere Pierre de Bologne è sfuggito al nostro controllo” dice il cavaliere con tono umile di scusa, quando viene ricevuto.

“Come?” esclama il capitano, visibilmente irritato. Questo intoppo non ci vuole, pensa il cavaliere. Spera di diventare il siniscalco di Lugdunum. Questa è stata la promessa di de Nogaret a missione conclusa.

“Li abbiamo seguiti fino a Camberiacum ma poi ne abbiamo perse le tracce. Gli abitanti non sono stati d’aiuto” prova a scusarsi Henry.

“Meritereste di essere messi ai ferri. Siete degli incapaci. Bastava seguirli passo passo” esplode di ira Hugues.

“L’abbiamo fatto” afferma con tono poco convincente il cavaliere.

“Se l’aveste fatto, frare Pierre non si sarebbe volatilizzato” conclude il capitano congestionato nel volto, mentre congeda bruscamente Henry de Caron. Chiama il sergente per ordinare che una dozzina di cavalieri siano pronti per uscire prima del vespro con lui alla guida.

“Ma Messere, tra non molto sarà buio” afferma timidamente il sottoposto.

“Tra mezz’ora si parte. Attrezzatevi per galoppare con l’oscurità” intima seccamente Hugues, lasciando la stanza.

É il vespro, quando il capitano e dodici cavalieri escono dalla porta che conduce a Camberiacum.

Il chierico Philippe incrocia dei cavalieri armati che escono dal borgo. Non ci fa caso e ne ignora le intenzioni. Il gruppo lo supera, senza degnarlo di uno sguardo. Non è lui il loro obiettivo. Il chierico sprona il cavallo per affrettare l’accesso a Lugdunum, prima che vengano chiuse le porte per la notte. Al sergente, che presidia l’ingresso, mostra il salvacondotto papale e ha via libera per entrare. Non si volge indietro per controllare, se Pietro da Bologna lo stia seguendo. É irritato per l’indecisione del frate e la mancanza di fiducia nel documento papale. Di conseguenza non può osservare che gli armigeri l’hanno preso in consegna.

“Sergente,” fa il chierico “potete indicarmi una locanda pulita e dove non si rischia di avere la gola tagliata?”

L’uomo ride rudemente prima di rispondere. “Sicuramente! La locanda al Cervo d’oro è conforme alle vostre richieste. Per il cavallo vi consiglio Didier, ottimo maniscalco e amante dei cavalli, che ha anche un stalla spaziosa e pulita, dove potete ricoverare il vostro stallone”.

“Grazie, sergente. Che Dio vi protegga” saluta Philippe, spronando il cavallo.

É stanco e impolverato. Desidera un bagno purificatore e poi un pasto abbondante. Nella giornata odierna non ha mangiato nulla, solo un po’ d’acqua di fonte. Scende nella sala da pranzo per cenare e trova un tavolo d’angolo, vicino al fuoco del camino ma defilato come posizione. Da lì domina la sala senza essere notato dagli altri. Una cameriera grassa e anziana lo informa su cosa la cucina offre e gli apparecchia il tavolo con una scodella di coccio e una brocca di vino nero.

Mentre aspetta la zuppa di ceci, fave, piselli e cipolla, riflette sullo strano comportamento del compagno di viaggio. ‘Per tutto il tragitto ha tenuto un comportamento guardingo e diffidente. Ha affermato che i nostri inseguitori erano dei volgari tagliagole. E qui forse aveva ragione. Ma non comprendo l’atteggiamento di poco fa. Aveva paura… Ma di cosa? Quando ho mostrato il salvacondotto alle guardie, tutti si sono mostrati gentili e non hanno sollevato problemi. Non percepisco a quale timore si appellava?’ si dice, mentre gli riempiono la scodella di zuppa fumante con un mestolo di rame. La cameriera versa sopra un goccio di olio ben giallo per insaporire il piatto. ‘Il profumo è veramente squisito’ riflette, assaporando la zuppa, che ha condito con tocchetti di pane secco di segale.

É a metà della scodella, quando osserva l’ingresso di tre cavalieri che sono gli stessi rimasti alle loro costole fino a Camberiacum. Il posto leggermente in ombra impedisce ai tre di riconoscerlo. Si sistemano in un tavolo più centrale ma sufficientemente vicino da cogliere brandelli di conversazione.

Col cappuccio del saio tirato sul viso si mette ad ascoltare le loro parole. Non comprende tutto, perché le loro voci salgono e scendono, e deve riempire i vuoti con l’intuito.

“… Hugues è un figlio di…” Ma non afferra il seguito. Chi sarà questo personaggio, si domanda, mentre la cameriera sostituisce la scodella con un piatto di carne di montone grigliata e insaporita con finocchio, salvia, senape nera e aneto. Il profumo avrebbe risvegliato anche un morto. Philippe addenta un pezzo di carne, che gli pare nettare degli dei. Forse è la fame, pensa, mentre afferra altri brandelli di conversazione. “…quel frate avrà il suo giusto, quando finirà nelle grinfie del guardasigilli…” dice quello che pare il capo. “…ho sentito dal sergente Dagobert Cluny, quello che presidia la porta orientale, che l’hanno preso mentre tentava la fuga” afferma l’altro, mentre un filo di zuppa gli cola da un angolo della bocca. Al chierico va di traverso il boccone e rischia di soffocare. Beve un calice di vino per non tossire vistosamente e attirare le attenzioni del terzetto. “… se così fosse, Hugues de Cambernet avrà la sua ricompensa. Ora mangiamo in silenzio. Non vorrei strozzarmi con le vostre chiacchiere” conclude Henry, strappando da una coscia di pollo brandelli di carne.

Philippe ripulisce il piatto con un pezzo di pane nero, mentre con la manica del saio si netta la bocca. É in fibrillazione. Il compagno di viaggio, che deve condurre a Poitiers, è stato preso in consegna da un gruppo di cavalieri e condotto chissà in quale posto. ‘In città oppure … Dove?’ si domanda angosciato, mentre sente riprendere la conversazione dal terzetto. “Sono tornati indietro con l’arrestato?” domanda Henry, mentre beve il vino. “No. Non credo. Il sergente Dagobert ha escluso che siano rientrati nella città” risponde quello che pare più informato dei tre.

La cameriera chiede al chierico se vuole dei dolci. “Ci sono dei confetti di anice da servire col vino speziato caldo oppure crêpes di mirtillo rosso?” gli spiega, mentre prende il piatto pulitissimo come se fosse stato lavato di recente.

“Vanno bene i confetti” conferma Philippe, smanioso di ascoltare le chiacchiere dei vicini di tavolo. Sente ridere il capo del trio e concludere a voce alta. “Sicuramente domani sarà al cospetto di de Nogaret a Parigi”.

La mente elabora il piano per il giorno successivo. Deve essere a Poitiers, a costo di far scoppiare il cavallo, domani per il vespro, si dice, mentre gusta confetti e vino caldo speziato. Ormai sa tutto e dove hanno condotto Pietro da Bologna. Adesso comprende le paure del frate e si domanda come ha intuito il pericolo che correva. ‘Se questo era il suo timore, perché è partito lo stesso da Bologna?’ riflette, mentre lascia sul tavolo un ducato d’argento.

Si alza, si cala il cappuccio ancor di più sul viso e si allontana silenzioso. Mentre sta uscendo dalla sala, ascolta un mozzicone di frase. “… ma quello non è il compagno di viaggio del frate?” Sa di essere in pericolo e si deve nascondere. Senza indugiare oltre, si presenta alla porta del vescovado e chiede di essere ospitato.

Domani al primo albore, prenderà la strada per Poitiers.

parte quindicesima

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Un storia così anonima – parte tredicesima

dal web - credit menupizza.it
dal web – credit menupizza.it

Bologna, 21 febbraio 2015, ore 15

Riprendono la lettura delle Chronicae bononiensia dell’anonimo scrittore del settecento e commentano le astuzie di frate Pietro.

“La sa lunga il nostro templare. Depista Henry de Caron con abilità. Allora non c’era il navigatore” dice Vanessa, ridendo.

“Mica facile trovare il sentiero giusto tra i mille possibili. Io mi sarei già perso” esclama Luca, che resta sbalordito per come riesce a seminare gli inseguitori senza perdere la bussola del viaggio.

“Mi chiedo se il nostro anonimo non abbia romanzato un po’ troppo questo tour?” si domanda la ragazza.

“Non credo. Abbiamo già trovato molti riscontri. Quindi niente voli di fantasia” replica sicuro il ragazzo.

“Ma ‘sto Camberiacum a quale città si riferisce?” chiede Vanessa.

Luca fa una ricerca. “É il vecchio nome di Chambéry” esclama sorpreso.

“Ma non faceva prima a scrivere il nome attuale?” dice ironicamente la ragazza.

Ridono. Sono allegri. La nottata in bianco non sembra aver intaccato il loro buon umore.

“Controlla a quale città corrisponde quell’altro nome astruso” gli chiede Vanessa, incuriosita di conoscere dove si trovavano il templare e i suoi inseguitori.

“Indovina un po’?” fa Luca divertito.

“Non ci provo nemmeno” replica lei.

“Lione! Leggo che qui sono nati diversi imperatori romani” afferma il ragazzo.

“Dunque Pietro è diretto a Lione. Leggendo la cronaca, ha quasi del miracoloso quel viaggio. Niente segnali stradali, niente autostrade o smartphone con GPS. Solo il senso di orientamento” dice Vanessa ammirata per come procede il cammino del frate e del chierico senza tentennamenti o dubbi.

Luca annuisce, mentre prosegue nella lettura, che sospendono, quando il frate Pietro da Bologna si avvia sotto scorta armata verso Parigi.

“Pausa?” implora Vanessa, che sente la necessità di camminare un po’.

“Cosa hai racimolato in Sala Borsa, Van?” le chiede Luca, stiracchiandosi senza ritegno, mentre ignora la richiesta.

“Due saggi di uno studioso bolognese, Giampiero Bagni, su Pietro da Bologna” dice la ragazza, mentre li estrae dalla capiente borsa, che pare contenere l’universo intero.

Il ragazzo prende il primo che capita. Templari a Bologna. Lo comincia a sfogliare a caso. Si ferma e legge a pagina 41 che è stata trovata un cassetta, contenente un abito da monaco rosso con croce bianca, scomparsa e mai più ritrovata.

“Dove?” chiede Vanessa.

“A Sasso di Lizzano in Belvedere” fa Luca, che prosegue a sfogliare. Gli pare di rammentare che si trova sull’Appennino bolognese, esattamente non lo ricorda.

La ragazza si risiede al PC, visto che la sua proposta è caduta nel vuoto, e compie qualche ricerca con la speranza di trovare qualcosa di interessante. Si imbatte in un documento dove è citata la chiesa di Sant’Homobono.

“Ho trovato un riferimento più preciso della chiesa” dice la ragazza.

“Dove? Qui parla genericamente dopo la magione sulla via Emilia, fuori dalla cerchia muraria” afferma il ragazzo.

“No. Parla di appartenenza alla parrocchia degli Alemani. Si potrebbe domandare al parroco, dov’è questa chiesetta” si domanda Vanessa.

Luca scuote il capo e non dice nulla. Dubita molto che quel luogo sacro possa essere di aiuto. Piuttosto ricorda che nell’articolo di Repubblica oltre al cunicolo, riconducibile alla chiesa di Santa Maria Maddalena, distrutta dalle bombe della seconda guerra mondiale, citava qualcosa d’altro. Prende il giornale, lo sfoglia febbrilmente e rilegge il breve articolo. ‘Sotto il portico dei Servi c’è una cripta collegata alla chiesa dei Servi. E se fosse questa la chiesetta che cerchiamo?’ pensa il ragazzo, che non sta ascoltando quello che Vanessa sta dicendo.

“Che ne dici, se facciamo due passi? Sento le gambe intorpidite” dice la ragazza, alzandosi con decisione.

“Buona idea. Dove?” chiede il ragazzo, mettendosi ritto.

“Dove ci portano i piedi”.

La città si sta animando per il sabato sera e accende le luci per rischiarare il buio, che cala velocemente. Le giornate sono corte e il cielo nuvoloso non aiuta. Camminano in silenzio, ognuno avvolto nei propri pensieri. Vanessa vorrebbe partire alla caccia del tesoro dei templari di Bologna. Ha letto che già nel passato ci avevano provato con scarsi risultati, anzi senza trovare nulla. Tuttavia lei è convinta che si trovi nascosto da qualche parte. ‘Ma dove?’ si domanda, aggrottando la fronte, mentre si stringe nel piumino. Il freddo della sera è pungente, perché quella brezza neppure troppo forte lo fa sentire ancora di più. Prova a ricapitolare le poche certezze che ha. ‘Il frate ha trasportato il tesoro in una chiesa. Quale? Sant’Homobono? Santa Maria dei Servi? No, questa no. Ho letto che è stata eretta nel 1346. Quarant’anni dopo. San Giovanni dei Celestini? No, troppo lontana. Il cronista ha parlato di un tragitto non troppo lungo. L’unica possibile è questa chiesa di Sant’Homobono. Ma esisterà?’ si dice, riflettendo sulle poche notizie in possesso.

Luca è meno smanioso di cominciare la caccia al tesoro, ammesso che esista. Quel ritrovamento sull’Appennino lo incuriosisce ma anche la scomparsa desta perplessità. ‘Quella cassetta di ferro dove è finita?’ si domanda. Non gli pare possibile che un reperto del genere svanisca come neve al sole. Qualcosa non gli quadra. ‘E se con la cassetta fosse stato recuperato altro, senza dichiararlo? Sarebbe possibile. Ma cosa? Dal saggio di Bagni, sfogliato velocemente, ha parlato di Monte Acuto che è la montagna che sovrasta Lizzano. Personalmente comincerei da lì. Ma c’è ancora qualcosa?’ riflette pensoso.

“Che ne dici di fermarci in pizzeria?” gli chiede Vanessa, rompendo quel silenzio pensieroso.

“Buona idea. Sai già dove?”

“Qui poco distante fanno pizze croccanti e sfiziose”.

“Aggiudicato” dice il ragazzo, seguendola.

Il locale è poco animato. É ancora presto. Non sono nemmeno le diciannove. Si sistemano in un tavolo d’angolo. Studiano il menù e alla fine ordinano una semplice margherita e birra. Restano taciturni senza scambiarsi una parola.

“A cosa stai pensando?” gli domanda la ragazza, vedendolo assorto.

“A nulla, in particolare. Però non sono riuscito a intuire il motivo del viaggio di Pietro in Francia. Tirava aria brutta per i templari ma lui è partito lo stesso. E infatti sta finendo a Parigi”.

“Ma c’era la chiamata del papa!”

Luca scuote il capo. “Non mi convinci. Rischia prigione e rogo, Pietro!”

“Anche questo è vero! Però i templari rispondono direttamente al papa. Quindi al capo si deve sempre obbedienza” fa Vanessa, mentre taglia la pizza.

“Sarà come dici tu ma sono convinto che il mistero sarà risolto nel proseguimento della lettura” dice il ragazzo, pulendosi la bocca dalla schiuma della birra.

“Non vedo l’ora di cominciare la caccia al tesoro” afferma la ragazza.

“Il tuo è un chiodo fisso!”

“Sarà ma quest’avventura mi affascina. Tu niente?”

“Sì. A dire il vero. Però…” fa Luca, arretrando la sedia.

La cameriera si avvicina circospetta come a far capire che è giunto il momento di liberare il tavolo. É una ragazza giovane da capelli castani. Tiene in mano un piccolo tablet, dove registra tavolo e ordinazioni. Vanessa la scruta. Non ha molta voglia di andarsene. ‘Sembra una studentessa che arrotonda la paghetta come cameriera alla sera’ riflette, osservandola con cura.

“Ci facciamo un’altra pizza e birra?” chiede la ragazza, mentre estrae dalla capiente borsa i due libri presi in biblioteca.

Luca capisce il motivo di una nuova ordinazione. Sarebbe già a posto con quella appena finita di mangiare ma annuisce per conferma. “Però prenderei una biancaneve1” dice il ragazzo.

“E sia per due biancaneve” fa la ragazza, chiamando con un cenno della mano la cameriera, che accorre prontamente.

Luca prende quello che aveva cominciato a sfogliare. Consulta l’indice e comincia a leggere nell’attesa della nuova pizza. Vanessa afferra l’altro ed esclama soddisfatta. “Finalmente un po’ di luce su questa misteriosa chiesetta!”

“Dov’è? Esiste ancora?”

“Uhm, forse no. O meglio credo che sia stata inglobata in un’altra struttura”.

“Non lasciarmi sulle spine” la prega il ragazzo visibilmente incuriosito.

“Secondo il Bagni era a ridosso della struttura conventuale dell’ordine dei Teutonici. Quindi a fianco della chiesa degli Alemanni. Però adesso non si distingue più dalla chiesa stessa” riferisce Vanessa con tono di leggera delusione.

“Quindi avevo ragione, quando dicevo che lì non c’è più nulla” afferma con tono trionfale Luca.

La ragazza non risponde e addenta un triangolo di biancaneve.

1La pizza biancaneve è una pizza di sola pasta e mozzarella e niente altro.

parte quattordicesima

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Una storia così anonima – parte dodicesima

dal web
dal web

Ospizio del Mont Cenis, 6 novembre 1307, primo albore, anno secondo di Clemente V

Henry de Caron si desta al suono della campanella dell’Ospizio, che annuncia una nuova giornata. Non è sua intenzione passare dalla cappella per ringraziare con le lodi mattutine il cominciare di un nuovo giorno. Gli interessa mettersi in viaggio il prima possibile. Ha una missione da compiere e non può perdere ulteriore tempo. Si alza e sveglia i compagni. Se vuole raggiungere Pietro, deve sbrigarsi a passare il valico. Probabilmente avranno trovato riparo nel paese al termine della discesa del passo. Il nome non lo ricorda ma non ha importanza. Dice a se stesso, mentre si veste. I compagni non comprendono tanta frenesia a partire, quando fuori l’albeggiare è ancora lontano.

“Si passa dal refettorio per mangiare qualcosa. Poi si affronta l’ascesa al colle” fa Henry con un tono che non ammette repliche.

Pietro si sveglia. Fuori c’è ancora buio. Philippe sta dormendo ancora. Si volge a est in direzione di Gerusalemme e inginocchiato recita le lodi del mattutino. Sveglia il chierico, che assonnato chiede il motivo di tanta fretta.

“Si parte subito. Il tempo di lavarsi e bere un po’ di latte appena munto, poi in sella verso la pianura” dice a bassa voce.

Esce e rompe il velo di ghiaccio dell’abbeveratoio per le abluzioni del mattino. Il fiato si congela in una nube di vapore. Il freddo intenso ha disegnato minuscoli ricami su qualunque oggetto, posto all’esterno. Le stelle stanno sparendo a una a una dal cielo. Le cime delle montagne intorno da nere diventano rosate. Le nuvole, che corrono veloci, si colorano. La giornata non annuncia neve o pioggia.

Salutato Simon, si mettono in viaggio. “Fatte attenzione. La strada non è bella, perché è gelata col freddo della notte” dice il vecchio, dopo aver dato loro il latte ancora caldo della prima mungitura della giornata.

Henry de Caron ha fretta. Non può permettersi che acquistino altro vantaggio. Hanno un vantaggio rispetto a Pietro e Philippe: affrontano la salita al valico di Mont Cenis e la discesa verso Lens-le-Bôrg con la luce del giorno. Hanno volato, rischiando più di una volta di finire in un dirupo. Ben prima dell’ora sesta entrano in paese. Attraverso le domande ai valligiani imparano che i due sono in viaggio dalla mattina verso Modane. Spronano i cavalli al loro inseguimento.

Li deve intercettare, seguire e poi bloccare. Le consegne sono queste. Il motivo non gli interessa. É pagato per rispettare gli ordini e non per contraddirli o per valutare se sono validi oppure no. Gli hanno suggerito di fare attenzione, perché è un personaggio carismatico e gode di ampie protezioni nella corte papale. Il frate conosce personalmente il papa, perché hanno studiato insieme diritto a Bologna. Riveste i compiti di procuratore per l’eloquenza e la preparazione giuridica acquisita. Ha saputo maneggiare con molta perizia grosse quantità di denaro che la Santa Sede ha destinato al sovvenzionamento della lotta contro gli Aragona, nel periodo dei Vespri Siciliani. Quando Bonifacio VIII intraprese la sua guerra personale con la potente famiglia dei Colonna, si adoperò affinché i Templari prestassero al papa un ingente somma in fiorini d’oro. Quest’attività lo ha portato in rotta di collisione con Filippo IV, il capetingio, perché il re si era schierato contro Bonifacio e a favore degli avversari.

Henry riflette, mentre affronta la strada di fondovalle lungo il fiume Arc, come le informazioni ricevute fossero esatte. Ragionamenti acuti e logici, parole sempre intonate al momento senza lasciarsene sfuggire una di troppo. Gli brucia ancora come nel tragitto tra l’abbazia di Novalesa e l’Ospizio del Mont Cenis sia riuscito a beffarlo. Si chiede come abbia intuito la sua presenza, visto che era rimasto sempre fuori della portata visiva. Immaginava che avrebbe preso la via più breve, anche se era la più rischiosa per il tempo, e aveva intuito giusto. Però nonostante tutte le sue precauzioni Pietro da Bologna l’aveva gabbato e aveva guadagnato molte ore di vantaggio. Adesso doveva correre per non lasciarlo fuggire.

Pietro e Philippe tengono un buon passo. Vogliono essere a Camberiacum prima del vespro. Il frate sa che Henry de Caron è alle sue spalle, anche se non lo vede. Lo sente sempre più vicino. Però i cavalli più di così non possono correre. Sono animali robusti, i bardi appenninici, resistenti alla fatica e al freddo ma non sono dei gran corridori. Potrebbe giocargli ancora una volta lo scherzo di farsi sopravanzare o di prendere un’altra strada ma rischierebbe di perdere troppo tempo. Lui è conscio, che prima arriva alla corte di Clemente V meglio è, e sarebbe al sicuro. Il salvacondotto del chierico vale meno di una pergamena usata e inservibile nella terra del re capetingio.

Pietro, mentre galoppa in silenzio, pensa che, se raggiunge Lugdunum prima di Henry, avrà ottime possibilità di sfuggirgli. Tuttavia è anche consapevole che difficilmente ce la farà prima del vespro odierno. ‘Deve aver sfiancato quelle povere bestie’ si dice, scuotendo il capo. La sensazione che siano ormai prossimi a raggiungerli si fa sempre più acuta. Le mura fortificate di Camberiacum si intravvedono in lontananza. I cavalli hanno la schiuma alla bocca per la fatica. Devono fare per forza una sosta. Pietro si sente relativamente tranquillo. Qui siamo nella contea Sabaudia, che non è vassalla del re francese, e forse la lunga mano di Filippo IV non riesce ottenere i risultati che desidera. Il borgo è piccolo, stretto intorno al castello. É poco prima dell’ora nona e il sole non è ancora tramontato. Chiede informazioni sulla via più breve e quella più facile. ‘Per Saint-Sulpice è la strada più breve ma dovete passare quella montagna là‘ gli dice il maniscalco, presso cui hanno ricoverato i cavalli a riposare e per essere ferrati di nuovo. Il monte appare arcigno. ‘Quella più facile ma vi allunga la strada di molte miglia è quella che passa per Bourdeau‘.

Pietro riflette che è più prudente la strada più lunga. Riprende il cammino verso Bourdeau. ‘Sicuramente Henry de Caron passerà per Saint-Sulpice‘ si dice. Forse ha trovato la maniera di beffarlo ancora una volta.

I tre cavalieri arrivano a Camberiacum quando ormai il buio è calato. Ritiene inutile proseguire. Sarebbe pericoloso continuare per una strada sconosciuta e con scarse probabilità di raggiungere Pietro e il suo compagno.

Ricoverano i cavalli presso il maniscalco del borgo.

“Sono passati due cavalieri forestieri?” domanda Henry de Caron all’uomo.

“Forse” risponde in maniera evasiva il maniscalco, che avverte qualcosa di ostile nelle parole di Henry.

“Sono passati oppure no, qui da voi due forestieri?” lo incalza con tono prepotente.

“No” ribadisce seccamente l’uomo. “La stalla è piena. Non potete lasciare qui i vostri cavalli”.

Henry de Caron scuro in volto esce. É sicuro che Pietro sia passato da lì. Dovrà cercare altrove le informazioni che gli servono. Cerca un locanda dove mangiare e dormire ma domani riprenderà la caccia. La contea di Sabaudia non è vassalla del re capetingio. Lo sa bene Henry de Caron e quindi non può minacciare nessuno.

Pietro e Philippe costeggiano il lago e dopo un lungo giro si fermano in un minuscolo borgo lungo il fiume Ain. Sa di aver perso molto del vantaggio sui suoi inseguitori ma spera di arriva a Lugdunum prima di Henry de Caron.

La strada è lunga, tra campi, neri e brulli, e piccole fattorie isolate. Dolci colline, dove si stagliano scheletri di alberi spogli, accompagnano il viaggio di Pietro e Philippe verso Lugdunum.

Al vespro del giorno seguente sono in prossimità delle porte del borgo fortificato, dove pensano di sostare per la notte. Si fermano per decidere la strategia da seguire, quando si presenteranno alle guardie che presidiano l’ingresso. É indeciso tra trovare un alloggio fuori dalle mura o entrare. ‘Se passo inosservato, significa che Henry de Caron non è ancora arrivato. Ma se…’ si dice incerto e dubbioso. Il suo sesto senso gli suggerisce che non sarà così.

“Abbiamo un salvacondotto di sua Santità. Nessuno ci oserà torcere un capello” afferma Philippe un po’ ingenuamente.

“Non contate su quella pergamena. Vale meno di un pugno di polvere” fa Pietro, mentre pensa che il suo compagno di viaggio è troppo giovane e candido per capire.

Il chierico lo guarda stranito e sprona il cavallo verso la porta. Il frate rimane incerto se seguirlo o ritornare sui suoi passi, quando vede un drappello di cavalieri venire verso di loro. Ritiene inutile darsi alla fuga. Il cavallo è stanco e rischia solo di essere ucciso. Lentamente segue il giovane compagno, avanti un centinaio di passi. Sa che sono venuti per loro.

Si ferma, circondato da una decina di armati. Quello che sembra il comandante gli intima di non muoversi. Pietro sorride. ‘Sono già fermo‘ si dice, rimanendo immobile. Spera che il chierico prosegua senza tornare indietro.

“Dovete venire con noi a Parigi” gli ordina quello che pare il capo.

“Ma il cavallo è stanco” risponde il frate, che con sollievo vede sparire in lontananza Philippe.

“Non importa” replica con ottusità il cavaliere. Al piccolo trotto prendono la via per Parigi.

parte tredicesima

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