Una storia così anonima – parte trentunesima

foto personale
foto personale

Rennes-le-Château, 27 febbraio 2015, ore quattordici

Luca e Vanessa tornano sui loro passi verso il punto, dove hanno parcheggiato la macchina. Il cielo si è coperto di nuovo. Le nuvole basse avvolgono il villaggio. Un vento gelido arriva da nord a pungere le ossa.

Fa freddo” dice la ragazza, che si stringe il piumino addosso.

Il ragazzo sorride. ‘Tanto freddolosa, quanto calorosa’ pensa.

La casa sembra vecchia ma solida. A Luca sembra una di quelle abitazioni di una volta costruita con muri a secco. Nessuna insegna, solo un campanello e una piccola targhetta ‘Au temps perdu’. Dopo aver suonato, li accoglie una signora, che li fa accomodare all’interno. Il ragazzo la osserva. Non gli pare né giovane né anziana, di quell’età indefinita che sembra essere lo stereotipo della mezz’età.

Avete delle stanze libere?” domanda Vanessa.

Sì” risponde la donna, “potete scegliere quella che volete. Al primo piano un’ampia stanza matrimoniale con terrazzo privato. Al piano di mansarda due stanze una più grande e una più piccola”. Lei li considera due giovani sposi. ‘Una bella coppia’ pensa, mentre li osserva con attenzione.

Benissimo” dice la ragazza “le prendiamo tutte e tre”.

La donna li guarda interdetta. Non capisce il senso della risposta. “Ho capito bene che le occupate tutte e tre? In quanti siete?” Le domande le sono uscite così senza sforzo. ‘Eppure mi sembrano talmente giovani che non possono avere più di un figlio’ riflette, mentre tenta di comprendere la richiesta.

Sì, signora! Ha capito perfettamente” afferma la ragazza sorridente. “Siamo solo noi due”.

Madame Monzon, la proprietaria della gite, sembra stordita. ‘Sono in due’ pensa, ‘e occupano lo spazio per sei persone. Perché?’ Li osserva con sguardo interrogativo, passando dall’uno all’altra.

Vanessa intuisce che la donna ha delle perplessità. Gli occhi si sono riempiti di stupore e di incertezze. Prima che ponga altre domande, ne spiega le ragioni. “Vogliamo essere tranquilli che nessun altro prenda le due rimanenti”. Si interrompe per qualche secondo prima di proseguire. “Non desideriamo condividere con altre persone il soggiorno presso di voi. Il posto ci piace. Ha un’atmosfera particolare, immersa nel suo silenzio”

Madame Monzon resta per un attimo muta, prima di domandare per quanti notti si fermano.

Per il momento fino a domenica” replica Vanessa. “Domenica decidiamo se prolungare di qualche giorno la nostra permanenza”.

La proprietaria è soddisfatta. Non capita tutti i giorni di fare il pieno in un periodo decisamente morto. Nel periodo estivo c’è la coda di persone disposte a tutto pur di avere una stanza ma d’inverno non arriva nessuno. La coppia le appare simpatica e avverte che sta nascendo un bel feeling con loro. É tentata di applicare un piccolo sconto e si aspetta che contrattino il prezzo. Spiega le condizioni, consegnando un documento, dove sono indicati gli articoli del contratto che sottopone a loro.

Luca prende il foglio, lo scorre con gli occhi e naturalmente non capisce nulla. ‘Ci penserà Vanessa a leggerli’ pensa, mentre li ripiega con cura soddisfatto.

Firmano i contratti, pagano la tariffa week end senza chiedere un euro di sconto. Così i due ragazzi bloccano le tre camere del cottage, dal cui terrazzo si domina l’intera vallata dell’Aude, la vecchia contea di Razès, quando c’è bel tempo. Scelgono la più grande, quella al primo piano. Prima di salire per depositare i bagagli, chiedono altre informazioni.

Possiamo lasciare l’auto nella piazzetta che è di fianco alla casa?” chiede Vanessa.

Certamente. In questo periodo non ci sono turisti. Quindi si può circolare e parcheggiare senza troppe restrizioni” risponde Madame Monzon. “In luglio e agosto è vietato entrare in paese”.

Luca osserva l’espressione del viso dell’amica. ‘Non devo spostarla’ si dice con un moto di soddisfazione.

Nel piccolo giro di ricognizione in paese” fa la ragazza “abbiamo visto solo un ristorante aperto. Ce ne sono degli altri?”

Se vi accontentate della mia cucina” la interrompe la donna “possiamo accomodarci tra mezz’ora nella sala da pranzo”.

Vanessa traduce a Luca le ultime parole. “A me sta bene” dice il ragazzo. “Mi sembra di stare a casa”

D’accordo. Sarà un onore per noi, assaggiare i vostri piatti” le risponde la ragazza.

Recuperato il bagaglio, occupano la stanza del primo piano. É ampia e arredata con gusto. “Non è male” fa Luca. “Sarebbe anche luminosa, se questa nuvolaglia se ne andasse”.

Una rapida rinfrescata, un cambio d’abito necessario ed ecco i due ragazzi pronti per assaggiare la cucina di Madame Monzon.

Una giovane donna li serve a tavola. Ha occhi scuri e capelli neri. Secondo Luca è di origini spagnole.

Mangiano in silenzio. Vanessa apprezza quel secondo accompagnato da uno strano purè di patate. “Che piatto forte e delizioso” fa la ragazza, complimentandosi con la cuoca.

É un tipico piatto di questa regione” risponde Madame Monzon, visibilmente contenta per gli apprezzamenti. “Cassoulet con aligot”.

Luca mangia in silenzio, ascoltando distrattamente le chiacchiere delle due donne. Parlano un linguaggio che non capisce.

Sistemiamoci nel salotto” dice la proprietaria, al termine del pranzo. “Vi offro qualche dolcetto della zona innaffiato con vin moscato di Saint-Jeans”.

Si stanno trasferendo, quando sentono squillare il campanello.

Elionor” dice Madame Monzon “vai a vedere chi vuole entrare”.

Si sistemano intorno a un tavolino basso, sul quale stanno dolcetti e una creme catalane, una bottiglia di vino e tre bicchieri. Poco dopo la ragazza torna. “Madame” fa in un francese con una forte inflessione catalana. “Un signore chiede una stanza. É nell’ingresso”.

La donna si alza per andare a parlare con la persona in attesa. Luca e Vanessa sentono una voce maschile, che chiede inutilmente di essere ospitato, e una femminile, che con altrettanta fermezza gli risponde negativamente. I due ragazzi sorridono, stringendosi la mani. “Henri, ci riprova” sussurra Luca. “Questa volta gli è andata male” replica Vanessa. “Ora sappiamo com’è la sua voce” aggiunge il ragazzo. Si ricompongono sentendo i passi della proprietaria.

Parbleu!” esclama la donna, rientrando nella sala. “Incredibile! Un’altra persona cerca una stanza! In questo periodo dell’anno non viene un turista manco lo costringessero con una pistola alla tempia!”

Luca trattiene il riso. “Ma cosa è successo?” domanda Vanessa con faccia compunta.

É incredibile!” afferma la proprietaria col viso basito. “Sembra di essere in luglio con la fila delle persone che cerca una sistemazione”.

Ah!” fa la ragazza, afferrando un dolcetto. “Dunque qualcuno ha bussato alla porta! Ma se il paese è vuoto. Non credo che abbia difficoltà di trovare un alloggio”.

La donna la guarda e annuisce. “É quello che le ho detto. Ma lui insisteva perché voleva dormire qui! Incredibile!”

Per i ragazzi è evidente che alla signora non dispiace aver perso un cliente o uno potenziale. Si lanciano uno sguardo e sorridono.

Tutto sommato” prosegue Madame Monzon, mentre versa il vino nei bicchieri, “non mi dispiace averlo messo alla porta. Mi dava dei brividi, mentre parlava”.

Sollevano i calici per una specie di brindisi. Madame Monzon è curiosa di conoscere i motivi del loro arrivo a Rennes-le-Château.

Volevamo metterci sulle tracce di un nostro concittadino” inizia a raccontare Vanessa, che con gli occhi rassicura Luca. “Pietro da Bologna, un monaco, che partendo da Bologna è arrivato fin qui”.

Il ragazzo finge di seguire la conversazione ma si sente tagliato fuori per la mancata conoscenza della lingua. Osserva i volti per intuire cosa stanno dicendo dalle loro espressioni. Vede che Madame Monzon è perplessa. ‘Chissà cosa avrà detto Vanessa’ si dice sospirando.

Non ricordo la presenza di un monaco in paese” afferma la donna. “Ma quando è venuto?”

La ragazza sorride per reprimere la risata. “Settecento anni fa” risponde Vanessa.

Ecco il perché non lo ricordavo” esclama Madame Monzon, mettendosi a ridere. I due ragazzi si uniscono nella risata, anche se Luca non comprende bene i motivi di tanta ilarità. ‘Si sa’ pensa il ragazzo, ‘ che il riso è contagioso’.

Mentre prosegue la conversazione tra Vanessa e Madame Monzon con Luca, convitato di pietra, Henri attende paziente l’uscita di Elionor. Vuol conoscere i motivi del rifiuto, che gli ha impedito di restare accanto a loro. La vede uscire.

Henri abborda la ragazza, che ha un sussulto. Non si aspetta di vedersi comparire di fianco la stessa persona che ha tentato inutilmente di prendere una camera da Madame Monzon. Ricorda che è stato messo alla porta in modo sbrigativo dalla padrona e finge di essere irritata.

‘É un bell’uomo’ pensa, osservandolo con cura. Poi si pente subito di avere avuto questo pensiero. Accelera il passo.

Non voglio sembrarle il classico uomo che tenta un approccio con una bella ragazza” fa Henri in modo diplomatico, mettendosi di fianco a Elionor. Rimane in silenzio e osserva le sue reazioni. “Non conosco bene il paese. Anzi, a dire il vero, è la prima volta che ci vengo”.

La ragazza si ferma un attimo e lo guarda negli occhi, prima di riprendere a camminare con maggior lena. ‘Che vuole questo da me?’ riflette, perché non capisce dove vuole arrivare.

Henri intuisce che lo sta ascoltando, anche se finge di essere irritata. Riprende il discorso interrotto. “Un conoscente mi ha indicato come gite a Rennes-le-Château ‘Au temps perdu‘ ma sembra che sia tutto occupato” dice l’uomo con tono dolce. “Ora non so dove pernottare. Lei, di certo, potrà suggerirmi un altro alloggio”.

Elionor riflette che sarebbe scortese non rispondere. ‘Alla fine chiede solo un’informazione’. Continua a camminare ma si ferma un breve istante.

0

Una storia così anonima – parte trentesima

Les Auberiaux, 16 novembre 1307, primo albore – anno secondo di Clemente V

Pietro ha dormito vestito, tenendo sempre un occhio aperto. Ha sistemato dietro la porta una sedia con sopra una brocca d’acqua. ‘Se qualcuno tenta di entrare’ ragiona il frate ‘il fragore della brocca che cade mi sveglierà di sicuro’. Manca poco al primo albore quando viene destato da un fracasso infernale nel corridoio. Si chiede cosa stia succedendo. Porte che sbattono, passi concitati, parole confuse e irate, strepiti femminili. ‘É un buon momento che sgattaiolare via senza essere notato’ si dice, infilando il mantello e raccogliendo la sacca da viaggio già pronta dalla sera. Apre la porta e osserva un grosso assembramento di persone qualche piede di liprando più avanti. In silenzio infila le scale buie ed esce nella strada illuminata da una pallida luna. Non gli interessa cosa sia avvenuto nella locanda. ‘Non sono egoista’ pensa ‘ma devo mettere molta strada tra me e il mio angelo custode, se voglio raggiungere l’obiettivo. La presentazione di Maria al tempio è fra cinque giorni. Non conosco la strada e devo prestare molta attenzione a non smarrirmi’.

Raggiunto il maniscalco, dove ha lasciato il suo bardo, lo chiama, si fa aprire e lo ringrazia per avviarsi a lasciare il villaggio. Sommariamente si è fatto spiegare quale strada prendere. Fatte poche miglia, si ferma ai margini di un boschetto per le orazioni del mattino che non ha ancora recitato.

Locanda de I tre cervi, 15 novembre 1307, ora seconda – anno secondo di Clemente V

Come vi chiamate?” chiede Louis de Chevalier alla donna, che giace sotto di lui.

Agnes” risponde col respiro affannato per il peso dell’uomo.

Bel nome, Agnes” dice l’uomo, che non le concede tregua.

La donna trattiene a stento le lacrime. Non si diverte per nulla, sopraffatta dal dolore al basso ventre. É da diverse ore che subisce senza fiatare, senza emettere un lamento. ‘Pare che le sue risorse fisiche siano inesauribili’ pensa Agnes, che riflette a come mettere fine al supplizio. ‘Il mio Claude dopo una volta crolla addormentato. Questo no. Continua, continua come un martello sull’incudine’. I cinque denari d’argento sono al sicuro a casa. Insieme agli altri risparmi consentirà loro di andare a Poitiers per aprire una piccola attività. ‘Certo se riuscissi a mettere le mani sulle due monete d’argento, sarebbe meglio’ si dice. Rimpiange che il suo Claude non l’abbia fermata, quando ne ha parlato con lui della notte. Le sembra che l’uomo abbia rallentato e si stia spostando per riprendere fiato. Trattiene il respiro e si sposta leggermente. Il dolore è acuto.

Dove credete di andare?” esclama irato Louis, mentre la afferra saldamente. “La notte non è nemmeno cominciata”.

Agnes capisce che sarà difficile uscire integra dalla stanza. “Da nessuna parte” afferma docile “volevo svuotare la vescica che mi duole”.

L’uomo ride, mentre la penetra con violenza. “Tra un po’ la svuoterete. Ora la riempiremo per bene” esclama Louis, che scarica dentro di lei i suoi liquidi.

Ad Agnes scivola una lacrima di dolore e di rabbia. ‘Questo mostro sta abusando di me’ ragiona ‘senza sosta e ritegno’. Sopporta, stringe i denti, non si lascia scappare un lamento. Deve fingere, se vuole avere una chance per fuggire da Louis. Stremata, dolorante in ogni parte del corpo aspetta che l’alba si presenti per farlo. Manca poco al primo albore, quando l’uomo cade addormentato, stanco per la maratona notturna. La donna silenziosamente e con destrezza si sfila dal corpo del suo aguzzino seminudo. Infila la veste rimasta sul pavimento. A tentoni cerca la borsa coi soldi, che afferra saldamente. Apre la porta che cigola con violenza e si lancia nel corridoio buio.

Dove volete andare?” urla Louis, alzandosi dal letto. Inciampa nel pitale, che produce un frastuono incredibile. Spalanca la porta semi aperta e cerca di capire dove si è diretta dal rumore dei passi. “Sgualdrina. Ladra” urla, mentre rovina rumorosamente a terra, inciampando nei mutandoni non trattenuti dai legacci. Si aprono le porte delle altre camere. “Cosa succede?” grida un uomo. “Dov’è la ladra?” chiede un altro, mentre Louis faticosamente si rimette in piedi, tirando su le braghe. “Non lo so” risponde. “Mi ha derubato, prendendo il sacchetto dei denari”.

Che succede?” dice la locandiera, svegliata dal rumore delle urla degli ospiti. Regge un moccolo acceso per far luce, mentre si avvia verso le stanze del piano superiore.

Hanno derubato questo cavaliere” fa una voce nel buio. “Quale cavaliere?” domanda stupita la donna, che illumina debolmente il corridoio. “Questo” indica un altro uomo immerso nell’oscurità. La locandiera si avvicina a qualcuno che sta bestemmiando. Lui continua a urlare frasi sconnesse.

Siete voi il cavaliere derubato?” fa la donna alzando la bugia per rischiarare il viso della persona. Riconosce in quel viso la persona che ha trescato con Agnes nella sala da pranzo. ‘Ben vi sta!’ pensa la locandiera con una smorfia di disgusto.

Sì” risponde Louis. “Se mi fate luce, corro a prenderla”.

La donna si mette di fronte minacciosamente. ‘Lui sarà grande e grosso. Ma io so dove ha il punto debole’ ghigna silenziosa. “Intanto spiegatemi chi vi ha derubato” fa lei.

La vostra serva” risponde sgarbatamente l’uomo.

Come potete affermarlo?”

Era nella mia stanza” replica Louis infuriato, perché la donna gli sta facendo perdere tempo prezioso.

E come mai era lì?” chiede inflessibile la locandiera. ‘Quella sgualdrina farà poi i conti con me’ riflette.

Doveva farmi un certo servizio. Ma ora spostatevi che la vado ad agguantare” dice l’uomo, cercando scostarla.

La donna non si sposta. Con decisione toglie la sua mano dal braccio. “Voi da qui non vi muovete, se non rispondete con umiltà alle mie domande”.

Louis è interdetto. Per la prima volta una donna gli tiene testa e lo mette in difficoltà. “Cosa volete sapere?” sbotta irosamente. “L’ho pagata per tenermi compagnia durante la notte. E lei cosa fa? Mi deruba e scappa!”

Una sonora risata si ode alle spalle dell’uomo. L’ilarità pare contagiosa. “Volevate pagarla in natura” esclama un altro, suscitando un nuovo scoppio di risa sguaiate.

Agnes non è una donna di malaffare. É onesta e pulita. Tornate nella vostra stanza e raccogliete le vostre cose. Andatevene al diavolo” gli urla la locandiera, che si avvia verso la sua stanza, lasciando al buio gli uomini. ‘Quella zoccola è l’ultima volta che tresca coi clienti per arrotondare la paga’ ragiona con fredda e lucida ira la donna. ‘Domani la caccio via’.

Agnes, lasciata la locanda, si precipita nella sua abitazione. “Claude, svegliati. Vestiti e raccogliamo le nostre cose” dice la ragazza, che infila un una sacca tutto quello che è a portata di mano. “Dobbiamo andarcene dal villaggio. Subito”.

Perché?” domanda Claude, che sta prendendo i suoi oggetti. “É ancora notte”.

Non perdere tempo. Ti racconto tutto, mentre camminiamo” replica Agnes, che aggiunge alla borsa sottratta a Louis, i loro risparmi.

Dopo poco escono dal villaggio, dirigendosi a piedi verso Poitiers.

Louis de Chevalier, infuriato per essere stato derubato e scornato per la figura misera che ha fatto, si veste e raccoglie tutti i suoi oggetti e lascia la stanza.

Se mi aprite, me ne vado” urla rabbiosamente l’uomo.

Un attimo” dice una voce poco femminile. “Tempo di scendere”.

Louis non vuole rinunciare ai suoi denari. ‘Non erano molti, per fortuna’ si dice, mentre impaziente aspetta la locandiera. ‘Il grosso è cucito dentro il farsetto’.

Con calma la donna si presenta e si avviano alla porta di uscita, che trovano curiosamente aperta.

Dove abita questa Agnes?” chiede Louis con scortesia.

Non sono tenuta a dirvelo” replica seccamente la locandiera, che si chiede il motivo che la porta sia aperta. É sicura di averla chiusa per bene la sera precedente.

Bestemmiando, il cavaliere esce nel buio della notte e si guarda spaesato intorno. ‘Non so dove abiti quella lurida ladra, né a chi chiedere’ riflette. Mentre ragiona sul da farsi, ha una visione che lo lascia basito. Tra gli uomini che si sono precipitati fuori dalle loro camere non ha riconosciuto il frate che deve seguire. ‘Per Giove, quel malefico monaco mi è sgusciato ancora un volta tra le mani’ pensa adirato. ‘Ha colto l’occasione di quella baraonda per fuggire indisturbato’. Lo scorno è doppio. Una nuova figuraccia nei confronti del cardinale e l’umiliazione patita per colpa di una donna. ‘Quella Agnes ricorderà per tutta la vita il piacere che le ho dato’ si dice, ridendo amaro. ‘Quelle poche monete d’argento se le è guadagnate’. Cerca di orientarsi per raggiungere la stalla dove ha il cavallo. Tra poco l’alba illuminerà la strada. Poi si metterà sulle tracce di Pietro. Non gli importa nulla di Agnes e dei denari rubati.

Louis arriva alla stalla, dove ha ricoverato il suo cavallo. Bussa alla porta con violenza per farsi aprire. Il maniscalco si affaccia alla finestra. “Chi è l’insolente che mi butta giù dal letto?” domanda, mentre cerca di mascherare l’ira sul viso.

Aprite. Mi serve il mio cavallo” replica il cavaliere con la voce alterata dalla collera. “E fate in fretta, se non volete finire appeso a quest’albero”.

Il maniscalco, un uomo grande e grosso, avvezzo a picchiare sull’incudine, non ha timore di quel villano. Apre, mostrando la mano armata con una pinza di generose proporzioni. Louis si calma a quella vista. Sa che finirebbe male, se continua le intemperanze. Sellato il cavallo, si informa sul frate.

É passato un monaco a ritirare la sua cavalcatura?” chiede con tono più dimesso.

Sì” replica il maniscalco.

Sapete dov’è diretto?” fa Louis, che gli allunga un denaro d’argento nella speranza che risponda.

No. Ha pagato e se ne è andato” dice l’uomo, chiudendo il portone alle spalle del cavaliere.

‘É andato verso oriente oppure verso il meridione?’ ragiona, mentre arrivato al fiume lo attraversa, puntando verso est.

Terminate le orazioni, Pietro sprona al galoppo il bardo, seguendo le indicazioni del maniscalco. Prosegue a tentoni, facendo lunghe deviazioni per evitare città e grossi villaggi, che possono costituire un pericolo per lui. Passano i giorni, senza avere la percezione se Rhedae sia vicino oppure lontana. il 21 novembre arriva in prossimità dei primi contrafforti dei Pirenei. La zona è avvolta nella nebbia.

0

Una storia così anonima – parte ventinovesima

foto personale
foto personale

Poitiers, 26 febbraio 2015, ore dieci

Intraprendente il nostro Pietro” chiosa Luca al risveglio. “Parte per il sud della Francia senza nemmeno avere un’idea dove si trova la meta”.

Vanessa non risponde. Vorrebbe dormire ancora dopo la maratona del giorno precedente e la lettura notturna. Si copre il viso con le lenzuola.

Toh!” esclama il ragazzo divertito. “La nostra mancata pescatrice!”

Luca consulta le mappe online per valutare quante ore servano per raggiungere Rennes-le-Château. Tuttavia adesso ha fame. ‘Ieri in pratica abbiamo fatto un solo pasto e molti chilometri’ si dice, mentre chiude il computer. ‘Una bella colazione a base di viennoiseries calde e caffè nero bollente ci vuole proprio. Ma posso abbandonare Van?’ Scuote il capo. Sa che, se lo facesse, glielo rinfaccerebbe per il resto della sua vita.

Pensa a Henri e allo scherzetto che gli hanno fatto. Dubita che lui non ritorni presto a seguirli come nei giorni passati. ‘No, no. Non ce lo abbiamo tolto dalle palle. É un mastino. Conosce il percorso di Pietro. Quindi ce lo ritroviamo a Rennes-le-Château di sicuro. Spero qualche giorno dopo il nostro arrivo’ riflette, mentre sta escogitando un sistema indolore per tirare giù dal letto Vanessa.

‘É una brava ragazza. Una vera amica, che non esiterebbe a gettarsi nel fuoco pur di salvarti. Però te la raccomando con quel caratterino che si ritrova’ ghigna Luca, che apre con delicatezza le imposte. La stanza viene inondata dai raggi del sole. La giornata, dopo diversi giorni, è serena. Alcuni la colpiscono in viso.

Sei impazzito” strilla Vanessa, mettendosi ritta con una mano sugli occhi.

Il ragazzo sorride. La mossa non gli sembra che sia stata particolarmente astuta. Non ha pensato alla giornata serena dopo tanto grigio e nuvole nere. ‘Dovrò pagar dazio’ si dice ‘ma almeno è sveglia’. Evita qualsiasi battuta per non peggiorare la situazione.

Non hai fame?” fa Luca sornione. “Io ho un buco nello stomaco”.

Ordina la colazione in camera” afferma con decisione la ragazza, che appare piuttosto irritata. “Ho sonno e vorrei dormire”.

Non ti ricordi che ieri sera ci hanno detto che non servono la colazione in camera?” dice il ragazzo. “E poi sono già le dieci. Le colazioni le servono fino alle nove e mezza”.

Vanessa sbuffa, scende dal letto per avviarsi al bagno. “Sei un negriero! Me la pagherai” afferma la ragazza, chiudendo la porta alle spalle. “Sono quattro giorni che mi fai girare come una trottola”. Urla per farsi sentire.

Luca sorride, perché alla fine non si è arrabbiata più di tanto. “Ci aspettano più di cinquecento chilometri e quasi otto ore di viaggio”.

Non ci penso proprio” strepita attraverso la porta chiusa. “Come minimo si spezza il tragitto in due tappe. Ho il culo piatto a forza di stare seduta in macchina. Almeno fosse comoda”.

Luca sorride. ‘Il culo piatto? No, è sodo e tondo come una zucca violina’ si dice, mentre si prepara per lasciare la stanza.

Si fermano in una sala da tè poco distante dall’albergo, dove hanno alloggiato. Fanno una ricca petit dejeuner, che costa più un pranzo. Mangiano senza parlare più di tanto. Hanno sempre la bocca piena. Non è da educati farlo.

Possiamo fare un tragitto breve oggi e uno lungo domani” fa Luca, mentre sta guidando verso Limoges.

La ragazza non risponde subito. Il breve per Luca significano centinaia di chilometri. Quindi non c’è da fidarsi.

Spiegati meglio” dice Vanessa sulla difensiva, controllando la voce.

Il ragazzo ride. ‘Diffidente, Van’ pensa. “Se ci fermiamo a Brive-le-Gaillarde” comincia Luca, subito interrotto da Vanessa.

Niente nomi. Spara chilometri e tempi” esclama la ragazza.

Ho capito, ho capito. Sta tranquilla che oltre alla località ti avrei ragguagliata con chilometri e ore” dice Luca.

Tranquilla, mica tanto. Sei un negriero. Mi svegli all’alba, mi fai fare migliaia di chilometri al giorno, mi costringi a leggere fino a notte fonda. Posso stare tranquilla con te?” fa Vanessa, per nulla convinta dalle parole del compagno.

Luca ride di gusto, mentre la ragazza schiuma di rabbia.

E va bene. Allora il tragitto breve di oggi è di duecento e diciannove chilometri. Poco più di tre ore di marcia. Mentre la tappa di domani, sono trecento e tredici chilometri con quattro ore di cammino. Più o meno. La tappa sarebbe a Brive-le-Gaillarde” fa il ragazzo, che aspetta commenti dall’amica.

La seconda opzione, quale sarebbe?” dice la ragazza con tono ironico.

Si prosegue fino a Cahors. Chilometri trecento e dodici. Oltre quattro ore di viaggio. La seconda tappa è di soli duecento e ventisette chilometri e circa tre ore” conclude Luca.

Vanessa spalanca gli occhi gli occhi verdi e scoppia in una risata.

Sono stato divertente?” chiede il ragazzo, contagiato dall’ilarità della compagna.

Sì!” fa la ragazza. “Ora pensa a guidare. Quando siamo quasi a …”

Brive-le-Gaillarde” suggerisce il ragazzo.

Ci siamo capiti” dice Vanessa che continua a ridere. “Decidiamo se farci un’altra ora di viaggio oppure no”.

La stanchezza e il buio consigliano di fermarsi a Brive-le-Gaillarde. Hanno trovato traffico, che ha rallentato la loro marcia. Sono quasi le diciotto quando entrano nella città.

La mattina seguente si mettono in viaggio per Rennes-le-Château. La giornata è grigia. Dense nuvole li accompagnano fino a Couiza, dove iniziano i primi contrafforti dei Pirenei orientali. Le nubi basse non permettono di vedere né il colle dove sta la cittadina, né le cime delle montagne che dovrebbero essere alle spalle. Si inerpicano per una strada che taglia in due un bosco, che appare spoglio in questo periodo. Scheletri con le mani verso il cielo immersi nella nebbia.

Sembra di essere a Ferrara in Novembre” chiosa Luca, immerso in una foschia densa e lattiginosa.

Pensa a guidare” lo rimbrotta Vanessa. “Non ti distrarre con accostamenti inutili”.

Fatto l’ennesimo tornante sbucano fuori dalla nuvolaglia e vedono davanti a loro una cittadina arroccata sulla collina.

Ecco!” esclama Luca “Siamo arrivati”.

Vanessa stringe gli occhi ma non riesce a vedere quasi nulla. Quello che nota tra i rami spogli di piante enormi sono delle creste di un bianco sporco, che elevano le mani verso il cielo sereno.

Ma dove?” chiede la ragazza.

Il ragazzo guida con prudenza. La salita non è ripida ma deve fare attenzione.

Ora si è nascosta” dice sollevando per un istante gli occhi verso l’alto. “Ma tra poco… Ecco si vede la torre e qualcosa che assomiglia a un castello”.

Vanessa scuote il capo. Osserva qualcosa che poi si nasconde. Dopo l’ennesima giravolta il paese si presenta davanti a loro. Sembra disabitato. Grandi parcheggi fuori il perimetro delle abitazioni vuoti. Non si nota nessun movimento. Né di pedoni, né di auto.

Ma sei sicuro che sia questo il posto?” domanda Vanessa per nulla convinta.

Sì” fa Luca che si ritrova dinnanzi al naso un cartello, che non riesce a comprendere.

dal sito di Rennes-le-Chateau
dal sito di Rennes-le-Chateau

I fogli sono interdetti?” fa il ragazzo con ironia. “Che cavolo vuol dire?”

La ragazza ride con le lacrime agli occhi, mentre Luca entra nel centro abitato. La guarda stupito, perché non comprende l’ilarità dell’amica. Scuote il capo. ‘Non conosco il francese’ pensa ‘ma mi hanno sempre detto che assomiglia tanto all’italiano’.

Vuoi sapere cosa vuol dire?” fa Vanessa, mentre Luca parcheggia in un piccola piazzetta circondata da case basse.

Non muoio dalla curiosità. Però se vuoi” dice il ragazzo interrompendosi.

Dice semplicemente che gli scavi nel territorio comunale sono proibiti” traduce la ragazza.

Ma non dobbiamo scavare un bel nulla” afferma Luca, che spegne il motore. “Ci facciamo quattro passi in questa metropoli?”

Vanessa annuisce. Infila il piumino nero e lo chiude per bene. Il freddo è pungente. Intorno la neve arriva a quote basse. Girano per le strade, che sono deserte. Sembra che tutti siano chiusi in casa. Un solo ristorante è aperto con un unico cliente.

Toh! Chi si vede!” esclama Luca, come se si aspettasse quella vista.

Chi?” domanda curiosa Vanessa.

Il nostro Henri” fa il ragazzo, accennando con la testa l’avventore solitario del locale. “Ha capito che l’abbiamo fregato e senza perdersi d’animo è arrivato qui”.

La ragazza si aggrappa al braccio dell’amico, come per rincuorarsi. “E ora che facciamo?” chiede.

Nulla” dice Luca. “Mi sono appuntato un paio di gite”.

Cosa?” domanda scandalizzata Vanessa.

Il ragazzo si schernisce. “Lo sai che il francese non lo mastico. Sul sito di Rennes compare questo nome les gites, che sono forniti di camere. Chambres, sono sicuro, vuol dire camere. Poi il numerino, tre, è chiaro e lampante”.

Vanessa ride, mentre si stringe ancora di più addosso a Luca. “Impara le lingue” chiosa la ragazza. “Gite significa alloggio. Probabilmente è un bed & breakfast. Dove si trova?”

Quasi di fronte a dove abbiamo parcheggiato” dice il ragazzo. “Però avrei fame”.

Hai il verme solitario?” lo rimbrotta la ragazza. “Sai dire solo ‘ho fame’. Andiamo a vedere se hanno camere libere. Poi ti accontento. Ti porto al ristorante”.

Come è buona lei!” replica sarcastico il ragazzo. “Se sono libere tutte e tre, le blocco. Così Henri rimane a bocca asciutta”.

0

Una storia così anonima – parte ventottesima

dal web
dal web

Poitiers, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Pietro rientra nella sua stanza, trovandola sottosopra. La sacca da viaggio vuotata sul pavimento e completamente stracciata. I ricambi degli indumenti ridotti in brandelli. Anche la camera appare devastata. Il pagliericcio, su cui ha dormito, devastato, la piccola poltrona di velluto squarciata. Uno spettacolo da lasciare allibiti chi avesse visto lo scempio.

‘Cosa cercavano?’ si chiede, osservando quella desolazione. ‘Ma è tanto importante, quello che ho stretto in cintura, da provocare queste rovine?’ si dice, cercando di ridare una parvenza di ordine alla stanza. Prima di mettersi in viaggio dovrà procurarsi una nuova sacca e degli indumenti di ricambio. Sa che il viaggio sarà lungo e pericoloso. Chi gli dà la caccia, non arretrerà di un pollice. Tuttavia per il mobilio non può fare nulla.

Mentre esce, s’imbatte in Philippe. “Qualcuno mi vuole male” fa Pietro, mostrandogli la camera.

“Ma chi?” domanda il chierico.

“Non saprei” afferma il frate, scuotendo la testa. “Passo dal cardinale per salutarlo”.

“Partite? Così presto?”

“Sì, la commenda di Bologna mi attende. Il viaggio di ritorno sarà lungo e disagevole per il tempo” dice Pietro, abbracciandolo con vigore.

Philippe resta in silenzio. Si era affezionato a questo templare rude ma sincero. Il pensiero che parta e che difficilmente lo rivedrà, gli lascia nell’anima un vuoto e una profonda amarezza. Vorrebbe seguirlo ma non gli è permesso. Lo vede allontanarsi a passo svelto, mentre lui ritorna nella sua stanza.

Pietro si avvia senza indugi. Non vuol mostrare l’emozione che l’ha colpito e gli volta le spalle. Cancella dalla mente questo addio e si concentra sulla missione da compiere. É consapevole che anche i muri hanno orecchie e occhi. Cerca di mostrarsi disinvolto, fingendo di ignorare che qualcuno lo possa seguire. Salutato il cardinale, al quale narra gli ultimi inconvenienti, acquistato nella cittadina, quanto gli serve per il viaggio, compresa una rudimentale mappa per orientarsi, esce da Poitiers all’ora nona. Inizia la nuova avventura verso quel posto sperduto nel sud della terra dei Galli, dove un tempo vivevano i Catari. Cavalca spedito, perché tra non molto dovrà fermarsi. Le giornate corte di novembre e il cielo cupo di nuvole gli danno solo un paio d’ore di cammino.

Riflette. ‘Anche se non lo vedo, di certo quel cavaliere mi viene appresso e dovrò fare molta attenzione. Sono in un territorio nemico, dove a ogni passo si nasconde un’insidia. Il cardinale mi ha concesso un salvacondotto. Tuttavia servirà a poco’ si dice, mentre, arrivato a un villaggio vicino a un fiume, si ferma per la notte nella locanda de I Tre Cervi.

Poitiers, studio del cardinale Colonna, 15 novembre 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V

Il cardinale Colonna riceve Louis de Chevalier e ascolta quello che gli dice. Tiene il capo appoggiato alla sua mano e pensa che questo cavaliere sia un incapace. Non mostra i suoi pensieri ma annuisce ogni tanto.

“Cosa proponete di fare?” gli chiede brusco, interrompendo la lunga litania di scusanti.

“Di seguirlo, se abbandona questo palazzo” risponde Louis, che ha compreso che il cardinale è di umore tutt’altro che buono.

“Non avete dato prova di grande abilità” replica acido Colonna.

Il cavaliere resta in silenzio. Senza dubbio ha ragione. Gli è sfuggito di mano in un tragitto abbastanza facile. ‘Non è che qui mi sia dimostrato abile’ si dice, ‘qualsiasi cosa dica a mia discolpa, appare come un’ammissione di incapacità’.

“Non siete riuscito nemmeno a ucciderlo al primo albore nel silenzio di una notte buia” continua il cardinale a infierire su Louis. “Sono certo che entro domani tornerete con la coda tra le gambe, perché lui vi ha seminato”.

Colonna è irritato. Quel Pietro da Bologna ha aiutato il nemico, Bonifacio VIII, nella guerra tra le due famiglie. Nuovamente è ricomparso, protetto dall’avversario, cardinale Caetani, che è riuscito a toglierlo dalle grinfie di Guillaume de Nogaret. Il viso è una maschera di ghiaccio ma dentro bolle come la camera magmatica di un vulcano in eruzione.

Louis intuisce i pensieri malevoli del cardinale e onestamente non lo può smentire. Ritiene che il silenzio sia la migliore difesa, Però rischia di irritarlo ulteriormente, facendolo esplodere.

“Col vostro permesso” dice Louis de Chevalier “uscirei dal palazzo per attendere la preda”.

Il cardinale fa un gesto con la mano infastidito. “Andate ma se tornate a mani vuote, vi farò giustiziare”.

Il cavaliere fa inchino e si prepara a seguire Pietro. Lo vede uscire e poi rientrare. Non comprende quel muoversi ma attende fiducioso. Si sta annoiando, osserva due giocatori di dadi e si distrae. Alza gli occhi e vede il frate in fondo alla via. Impreca, raggiunge il suo cavallo e si pone all’inseguimento. ‘Il cardinale aveva ragione. Rischio l’ennesima figura da incapace’ si dice col cuore a mille. ‘Dove sarà andato? Non lo scorgo più’ fa, bestemmiando contro se stesso.

Prova a ragionare con lucidità, mentre raggiunge la porta di uscita. ‘Se sta facendo ritorno in Lombardia, potrebbe puntare o a est o a sud. Se invece…’. Impreca per la sua dabbenaggine. Chiede al sergente delle guardie se ha visto uscire un cavaliere con un mantello bianco. “Sì” gli risponde. “Che direzione ha preso?” insiste Louis, che scalpita per mettersi all’inseguimento. “Quella strada lì” gli risponde, indicando un sentiero fangoso, che taglia un fitto bosco. Senza ringraziarlo, Louis parte al galoppo all’inseguimento di Pietro. Le tracce sono nette sul terreno molle per la pioggia della notte. Raggiunge un villaggio posto sulla riva di un fiume. Ormai è sera. Di sicuro il frate si è fermato lì. C’è un’unica locanda. Non ha molta scelta. Non conosce l’area.

“C’è una stanza per la notte?” chiede alla locandiera, una donna dalla corporatura robusta quasi obesa e dai capelli scuri e unti.

“Sì. Due denari d’argento” dice, pretendendo il pagamento in anticipo.

Louis scende nella stanza dove servono la cena. Una graziosa servetta gli serve una zuppa di cipolle, carote e ceci, condita con pane nero di segale. Il cavaliere le fa un cenno col capo. Mette sul tavolo in bella vista una moneta d’argento. La ragazza si avvicina, incurante degli sguardi della locandiera. “Volete altro” gli chiede, avvicinando la mano alla moneta.

“Sì. Un’informazione” fa il cavaliere, spingendo con un dito il denaro sotto il palmo della servetta, che lo afferra saldamente.

“Cosa?” domanda sottovoce.

“C’è un monaco tra i vostri ospiti?”

“Sì” risponde sibilando, prima di riacquistare il tono normale. “Cosa vi servo?”

“Il piatto della locanda” risponde Louis, mentre compare un denaro d’argento.

“Montone e cavoli” fa la ragazza, alla quale brillano gli occhi alla vista della nuova moneta. ‘Il mio Claude sarà felice’ pensa.

“Va bene” dice il cavaliere, facendola rotolare sul tavolo. Gli piace. É graziosa e pare smaliziata. Una compagnia durante la notte non sarebbe male per migliorare l’umore.

“Cosa vuole da te quel forestiero?” dice la locandiera, che ha seguito con sospetto la conversazione.

“Cosa c’è dopo la zuppa” risponde, andando in cucina.

Mentre la ragazza serve il montone, Louis le sfiora la mano, insinuando il denaro tra le dita. “Avete degli impegni per la notte?” le domanda, mentre afferra la carne.

“Potrei essere libera per due denari” replica la servetta, mentre si allontana.

Louis sorride. ‘Mica stupida la servetta’ si dice, mentre strappa un altro lembo di carne. ‘Due denari li vale. Ha un culo sodo e ben tornito. Credo che mi farà divertire stanotte. Avrò modo di interrogarla, senza avere addosso gli occhi di quella grassona’.

Terminata la cena, il cavaliere chiede un bicchiere di vino rosso speziato con qualche dolcetto, che gusta lentamente. Non ha fretta e vuole tenere sulle spine la ragazza, che gironzola irrequieta attorno al tavolo, dove in bella mostra stanno tre denari d’argento.

“Vi aspetto” fa Louis, mentre le tre monete cadono per terra. La servetta si ferma a raccoglierle e finge di restituirle. “A dopo” gli dice sorridente.

Louis con calma si alza e paga alla locandiera la cena consumata, prima di ritirarsi nella sua camera.

Passa qualche ora, quando ode un bussare discreto. “Avanti” dice il cavaliere disteso sul letto. Dalla porta vede sbucare il viso lentigginoso della ragazza, che scivola velocemente dentro.

“Credevo di non vedervi stanotte” dice acido l’uomo.

“Non ho potuto prima” risponde la ragazza, che fa scivolare a terra la veste di lana, rimanendo nuda.

“Venite qui o vi prenderete un accidente” fa Louis, facendole posto accanto a lui. “Però prima di divertirci, voglio qualche altra informazione”.

“Non era nei patti” replica risentita la ragazza, già pentita di avere accettato l’invito.

“Però l’accordo era per due denari. Io ve ne ho dati tre. Un quarto è per le informazioni” afferma il cavaliere con decisione, abbracciandola. “Il monaco, non l’ho visto in sala? Per caso è partito?”

La ragazza non si sottrae all’abbraccio. Tuttavia vorrebbe monetizzare quello che gli rivelerà. “Un altro denaro e vi racconterò tutto quello che vi interessa”.

Louis ride, mentre con le mani le fruga il corpo. “Siete troppo avida. Rischiate di non ottenere nulla” le dice senza smettere di toccarla. “Ora rispondete senza indugio, se volete evitare guai”.

La servetta vorrebbe sgusciare fuori dal letto ma le mani robuste del cavaliere la inchiodano sul materasso di paglia. “Non costringetemi a usare la forza” le sibila nell’orecchio, mentre si mette a cavalcioni su di lei.

La ragazza trema. Ha capito di essere stata troppo imprudente. Ha ragione il cavaliere nell’affermare che l’avidità potrebbe perderla. Sente l’uomo che si scarica dentro di lei. Prende coraggio e parla. Sa che non può fare altrimenti “Gli ho servito una frugale cena in camera”.

“Così va meglio” risponde Louis, che con le mani le blocca le braccia. “La sua stanza dove si trova?”

“Al vostro stesso piano. Tre porte avanti” dice con la voce incrinata dal pianto.

“Suvvia, siate allegra. Vi divertirete stanotte con me” esclama Louis. “Se vi dimostrerete docile, altri due denari finiranno nelle vostre tasche”.

0

Una storia così anonima – parte ventisettesima

dal web
dal web

Paris, 23 febbraio 2015, ore ventuno

Luca e Vanessa dopo la cena a Le Sarah Bernhardt passeggiano verso il ponte Pont au Change. Il ragazzo sa che dietro di loro si muove un uomo, sempre meno pronto a nascondersi. Non ha paura. ‘Perché dovrei averne?’ si dice sicuro di sé. ‘Ho l’impressione che ci segua per capire le nostre mosse. Cosa sappiamo del tesoro dei templari bolognesi. Non immagina come brancoliamo nel buio’.

Luca sorride al pensiero appena formulato, mentre cinge le spalle di Vanessa, che lo guarda in malo modo,

“Calma, giovanotto!” esclama la ragazza, che si sottrae alla presa. “Quello che è avvenuto stanotte è un episodio isolato, che non si ripeterà. Quindi niente atteggiamenti di possesso”.

Il ragazzo sottolinea la fine dell’affermazione dell’amica, battendo la mani. “Nessun possesso” afferma Luca “ho pensato che potesse darti sicurezza”.

“Hai pensato male” replica stizzita Vanessa, già pentita di essersi lasciata andare con l’amico.

Luca alza le spalle e si discosta dalla ragazza. ‘Meglio così. Nel caso che Henri voglia compiere qualche gesto strano, ho entrambe le mani libere’ ragiona, mentre arrivano sulla Ile de Cité. In silenzio arrivano davanti alla cattedrale di Notre-Dame, illuminata a giorno.

“Non si respira la stessa aria di quando Pietro era da queste parti” dice Luca, mentre osserva uno specchio che riflette chi sta alle loro spalle. Lo vede, disposto nell’ombra. ‘Non demorde Henri’ pensa con una punta di apprensione.

I due ragazzi girano per un po’ in silenzio, prima di fare ritorno all’hotel, dove alloggiano. Sono stanchi per le notti insonni a Bologna e per quella di follia a Lione, il lungo viaggio in macchina. Stremati si gettano nel letto e si addormentano subito.

Luca sogna in maniera convulsa gli avvenimenti nel quale si è trovato coinvolto. Osserva Henri vestito da templare, come gli era apparso a Bologna. Ha una strana voce. La stessa della telefonata. Lo ammonisce: “Rinunciate alle vostre ricerche”. Lui vorrebbe chiedergli il motivo ma cambia lo scenario. Si sente sussurrare qualcosa in un orecchio. “Luca, c’è qualcuno nella stanza”. Sta per dire qualcosa, quando una mano femminile gli tappa la bocca. “Sta calmo e non parlare. Vediamo cosa fa” continua quella voce familiare, bisbigliando con un filo di voce.

Luca si sveglia. Non è un incubo ma realtà, quando apre gli occhi e avverte il corpo caldo di Vanessa, appiccicato al suo. La mano della ragazza continua a premere sulle labbra. Si sta abituando al buio della camera, mentre avverte dei rumori, come se qualcuno stesse rovistando alla ricerca di qualcosa. Una figura indistinta sta esaminando il contenuto dei loro bagagli. Poi, come se fosse rimasto soddisfatto, furtivamente esce dalla stanza. Il ragazzo sa chi è. ‘É Henri, che ci ha fatto visita’ pensa, mentre avverte che il corpo teso di Vanessa si rilassa e si discosta.

“Mi piaceva” dice Luca, allungando una mano verso di lei, che pronta gli rifila un buffetto.

“Tieni le mani a posto” ringhia la ragazza, soffiando minacciosamente. “La prossima volta è un sonoro ceffone. Sono pronta a rifilartelo anche per meno”.

“Come sei permalosa” replica il ragazzo. “Potevo farlo mentre c’era Henri”.

“É meglio che tu non ci abbia provato” esclama Vanessa per nulla accondiscendente. “Va a controllare, se ha preso qualcosa”.

Luca mugugna qualcosa, accende la luce e ispeziona che tutto sia presente e in ordine. “Subcomandante Van, roger” afferma divertito il ragazzo. “Se cercava pc, chiavetta, scanner, è capitato male. Sono al sicuro nella cassaforte della stanza. Nelle nostre sacche ha trovato calzini e mutande e neppure puliti”.

Vanessa non è convinta del tutto. Era troppo soddisfatto, quando è uscito. ‘Qualcosa ha trovato’ si dice. ‘Ne sono certa’.

“Hai guardato bene?” fa la ragazza, che si solleva dal cuscino. “Ha rovistato a lungo. Però sembrava soddisfatto, uscendo”.

Luca sbuffa e scuote la testa. ‘Se non ci crede, San Tommaso’ pensa ‘ci guarda lei’. Ricontrolla con meticolosità tutto. Nella sua sacca non manca nulla. Nel trolley della ragazza non lo sa. “Non conosco cosa avevi preso con te. Per me è tutto in ordine” afferma Luca, leggermente infastidito. “Potrebbe averti sottratto delle mutandine. Ci sono dei depravati che collezionano mutande da donna, specialmente se usate”. Lui ridacchia per la battuta.

“Dai, brontolone. Vieni sotto le coperte a scaldarmi” dice Vanessa addolcita.

Il ragazzo rapido si infila nel letto, spegnendo la luce. “Però dovresti scaldarmi tu, dopo che mi hai costretto a raffreddarmi” esclama Luca, mentre si abbracciano.

Lo smartphone mette fine ai loro sogni. “Ma è ancora notte” esclama il ragazzo, che tiene la ragazza rannicchiata sul suo petto. Vanessa mugugna qualcosa, senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione. Lui è ormai sveglio e ha sbirciato l’ora. Sono le otto di mattina. ‘C’è tempo per alzarsi’ si dice, mentre riflette sull’incursione di Henry. ‘Apparentemente non ha preso nulla. Però ci credo poco che abbia corso questo rischio solo per la curiosità di esaminare i nostri bagagli’ pensa, mentre accarezza i capelli di Vanessa. ‘Se per caso ha messo una cimice con GPS per registrare le nostre conversazioni e monitorare i nostri spostamenti?’ Luca si ripromette di verificare, non appena si alza. Poi si ricorda di avere un’app sullo smartphone che permette di verificare la presenza di cimici. Lo afferra e la lancia. ‘Se c’è, emette un bip’ riflette.

Muove con lentezza il braccio in tutte le direzioni. Sente un suono acuto e due grevi. ‘Ci siamo’ si dice ‘qualcosa ha trovato’. Punta lo smartphone in altra direzione. La segnalazione cessa. Ritorna al riferimento che ha preso mentalmente. Il suono riprende. Stringe gli occhi per vedere cosa c’è in quella posizione. Il chiarore non gli permette di osservare con chiarezza l’oggetto. Intuisce solo che sono i loro bagagli. ‘Dunque ha messo qualcosa nelle nostre cose’ fa soddisfatto, chiudendo l’app.

Ricorda che avevano chiesto la colazione in camera. ‘Tra non molto la femme de chambre farà la sua comparsa’ ridacchia il ragazzo al pensiero della mattina precedente. Non ha finito di pensare a questo che sente un discreto bussare alla porta. Con delicatezza Luca sposta Vanessa, che appare immersa in un profondo sonno. Si alza, indossa un paio di jeans e apre la porta.

“Buongiorno” dice lui in italiano.

Bonjour, messieurs. Voici votre petit-déjeuner” risponde lei in francese, deponendo sul tavolo il vassoio.

Uscita la cameriera, il ragazzo si avvicina al trolley della ragazza per verificare quello che l’app ha segnalato. Con delicatezza passa la mano all’interno, scorrendo alla ricerca della cimice. In un angolo, ben nascosto avverte l’oggetto, che toglie con delicatezza e precauzione. É una piccola scatolina nera, facilmente occultabile. Un vero gioiello. ‘Devo fare attenzione’ si dice, mentre lo ripone sulla valigia ‘non deve credere che l’abbiamo individuata’.

Prende dal tavolo un blocco di carta dell’hotel e la biro. Scrive un messaggio per Vanessa. Lei continua a dormire. ‘Ci vuole delicatezza’ si dice, avvicinandosi. La scuote con dolcezza. “Van, la colazione è pronta” fa Luca, tenendo in bella vista il foglio.

Lei si gira, voltando le spalle. ‘Le maniere dolci non hanno effetto’ pensa ma non osa svegliarla bruscamente. ‘Il caffè freddo non mi piace ma berlo da solo ancora meno. Pazienza’ borbotta il ragazzo, che estrae il computer dalla cassaforte. Deve agire con prudenza. Ricorda che questi oggettini sono molto sensibili e captano anche i sospiri. Riprende lo smartphone per scoprire altro sullo scatolino. Sente Vanessa mugugnare. ‘Era ora che ti svegliassi!’ si dice, avvicinandosi a lei.

“Ciao! Buon giorno, Van” fa Luca, mostrando il biglietto.

“Azz!” borbotta, drizzandosi a sedere.

“Dormito bene?” chiede il ragazzo, vergando qualcosa d’altro sul foglio.

“Sì, un sonno lungo e senza interruzioni” replica la ragazza, che legge sul foglio ‘Brava! Ottima risposta’.

“Ti servo la colazione a letto?” fa il ragazzo, muovendo il capo per diniego.

“No. Mi alzo. La facciamo comodi al tavolo” risponde la ragazza, scendendo agilmente dal letto.

Chiacchierano, danno informazioni imprecise e banali, mentre quelle più importanti sono scritte sul blocco. Fatta la doccia, decidono di fare una giornata da turisti a Parigi. Louvre, i medaglioni del meridiano di Parigi, qualche bistrot e molto relax. Luca, usando vetrine e specchi, verifica se Henri li sta seguendo nelle loro scorribande parigine. Per prudenza hanno lasciato gli smartphone nella macchina. Ne hanno acquistato uno con una sim francese. Il computer è con loro.

La mattina seguente partono per Chartes, non prima di avere ispezionato la macchina, che appare pulita. Appena fuori Parigi, in una stazione di servizio, infilano la cimice nell’auto di un ignaro turista italiano e fanno un lungo giro prima di prendere la strada giusta.

“Ci scommetto che tra qualche giorno sarà alle nostre calcagna” dice Luca sorridendo “quando scoprirà che l’abbiamo beffato”.

“Dove pensi, che lo ritroveremo?” chiede Vanessa, che canticchia allegra.

“Credo a Poitiers” risponde il ragazzo.

“E se noi puntiamo subito lì?”

“Ma il labirinto di Chartres non me lo voglio perdere” afferma Luca. “Poi possiamo puntare subito su Poitiers, anche se si viaggia di notte”.

“La tappa successiva?” fa Vanessa, cercando una stazione sull’autoradio.

“Non lo so” risponde il ragazzo. “Dobbiamo leggere il seguito della storia”.

Alle nove della sera i due ragazzi sono in hotel a Poitiers, stanchi e affamati. Una veloce cena e poi la lettura del racconto di Pietro.

0

Una storia così anonima – parte ventiseiesima

dal web
dal web

Poitiers, 15 novembre 1307, primo albore – anno secondo di Clemente V

Pietro si alza al primo albore per raggiungere la cappella per le funzioni del mattino. La borsa di tela ricevuta a Autricum è sempre ben stretta al suo corpo. Non sa cosa contenga ma deve conferire col cardinale Caetani sul suo futuro. Attraversa il cortile interno. Sta scendendo una pioggia sottile e gelata, che penetra nelle ossa. La chiesa è illuminata dalle candele, mentre il freddo è pungente. Sono pochi coloro che assistono alla prima funzione della giornata. Pietro resta defilato in una zona d’ombra osservando l’officiante e i fedeli. Un paio di laici e due monaci benedettini sono nei primi banchi. Il sacerdote recita le preghiere in un latino stentato. Pietro vede un confessionale aperto e si confessa per la comunione. Al termine della funzione resta ancora qualche minuto per pregare in solitudine. Alza gli occhi per avviarsi all’uscita, quando nota un movimento furtivo. Qualcuno si è nascosto dietro una colonna. Finge di non averlo visto. Avverte un senso di pericolo. Sta coi sensi all’erta, mentre esce per ritornare alla sua stanza. La pioggia è cresciuta d’intensità e il buio è ancora netto. Avverte che quella persona cammina alle sue spalle, sempre più vicina. Sarebbe un ottimo momento per essere colpito a tradimento. Buio e nessuno a fargli da scudo. Allunga il passo e con rapidità infila il portone, nascondendosi in un angolo oscuro. Sembra un laico. Questo lo inquieta non poco. ‘Chi sarà? Per conto di chi agisce?’ si domanda, mentre osserva i movimenti dell’inseguitore. Se volesse, potrebbe piombare alle sue spalle e immobilizzarlo. Tuttavia vuole studiarne le mosse. Vuole comprendere quali sono le sue intenzioni e per chi agisce. ‘Sono arrivato ieri sera al vespro. Ho fatto una frugale cena al refettorio e poi mi sono ritirato nella mia stanza’ si dice, mentre osserva cosa fa e dove va ‘Non conosco nessuno a parte Philippe e il cardinale. Credo che il mio arrivo sia passato quasi inosservato. Ma forse mi sbaglio’.

Rimane nell’ombra in silenzio. L’uomo si muove silenzioso come un gatto. É incerto sul da farsi. La preda è svanita come una bolla di sapone. Impreca. Pietro lo legge sul labiale e aspetta la prossima mossa. Lo vede avviarsi verso il corridoio che conduce alla sua stanza. Esce dal buio e si trasforma da preda in cacciatore. Lo segue con passo felpato. Pare che solo loro due siano svegli nel palazzo apostolico.

Se l’uomo cammina senza il minimo rumore, Pietro è più silenzioso ed evanescente. Si muove nell’ombra di corridoi male illuminati senza perderlo di vista. Si ferma davanti a una porta, che riconosce come sua. Lo osserva maneggiare intorno alla maniglia, prima che sparisca dentro. ‘Ora so che non è un amico o un messaggero del cardinale’ si dice Pietro, rimanendo in una zona non illuminata. Aspetta che l’intruso se ne vada per seguirne le mosse.

L’attesa non tarda molto a essere soddisfatta. L’uomo esce visibilmente corrucciato. Si guarda intorno alla ricerca della preda che pare essere svanita nel nulla, prima di avviarsi verso una destinazione sconosciuta. Pietro con passo felpato lo segue con discrezione, sempre tenendosi al riparo dell’oscurità. Percorre corridoi che non conosce, scale che non sa dove portano. Esce nel cortile sotto il loggiato per entrare in una porta sconosciuta. Il frate memorizza tutto anche se il buio non lo agevola, prima di riprendere la strada della sua stanza.

Poitiers, 15 novembre 1307, ora seconda – anno secondo di Clemente V

Luis de Chevalier è irritato. ‘Per la seconda volta quel frate malefico mi è scivolato fuori dalle mani’ borbotta innervosito, mentre si avvia verso l’appartamento del cardinale Colonna. ‘Mi chiedo come ha fatto a Autricum a capire che ero alle sue spalle. Ma qui è ancora più inspiegabile. Nessuno era a conoscenza della mia presenza’ si dice, aprendo una porta per sedersi su una poltrona di raso rossa. L’appuntamento col cardinale è all’ora terza. Deve pazientare, mentre prepara il discorso difensivo. ‘Non sarà felice sapere che ho mancato la preda’ pensa. ‘Ma il compito che mi ha affidato Guillaume de Nogaret era più semplice. Seguire il frate e consegnare un messaggio. Non certamente quello di sicario’.

Poitiers, 15 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Pietro al rientro nella sua stanza la trova in completo disordine. ‘Quello che cercava, non l’ha trovato’ riflette sul possibile mandante e sui motivi. ‘É forse il contenuto di questa sacca di tela? Oppure era alla ricerca di qualche messaggio?’ Scuote la testa. Blocca la porta, prima di cominciare le orazioni del mattino. Per un lungo tempo è concentrato sulle preghiere senza pensare ad altro.

Il cielo è imbronciato di pioggia, lattiginoso e umido. La luce arriva smorzata nella stanza di Pietro, che con metodo la rimette in ordine. Riflette ancora sugli ultimi avvenimenti, che a un occhio distratto appaiono slegati tra loro. Anche se non l’ha visto in faccia è convinto che l’uomo è lo stesso, che l’ha seguito verso Autricum. ‘Mi domando, perché non ha provato a tendermi un agguato lungo la strada? Anche se l’ho seminato, sapeva dove trovarmi. Dunque l’ordine di uccidermi proviene dall’interno di questo palazzo’ si dice, sedendosi su una poltroncina di velluto verde. C’è qualcosa che lo turba. ‘La chiamata del Papa è strana. Non comprendo cosa di tanto urgente l’abbia spinto a convocarmi. Il viaggio è stato avventuroso e ricco di insidie. Sono finito tra le braccia del grande accusatore dei mie confratelli francesi. Ho rischiato molto senza l’intervento provvidenziale dell’arcivescovo di Sens. Il cardinale Caetani mi ha affidato un compito oscuro a cui teneva molto’. Tanti pensieri, tanti dubbi, quando udì un bussare discreto.

“Chi siete?” chiede Pietro, mettendosi sulla difensiva. Ormai diffida di tutti.

“Sono Angelo Capitanio, il cappellano privato del cardinale” mormora in maniera appena percettibile un uomo dalla classica inflessione romana.

“Quale cardinale?” replica Pietro che non comprende questa reticenza.

“Se mi fate entrare, ve lo dico”.

Il frate è incerto sul da farsi. Pensa a un trucco per fargli aprire la porta. Tuttavia da lì deve uscire, quindi il rischio di un’imboscata esiste sempre. Apre con cautela la porta e vede un giovane sacerdote dal viso roseo e nessun altro.

“Prego, entrate” gli dice Pietro, che non abbassa la guardia.

Il giovane entra velocemente e gli consegna un messaggio. “Viene dal cardinale Caetani” fa il cappellano, che si appresta a uscire.

“Aspettate. Non sono pratico di questo palazzo” dice il frate, trattenendolo per un braccio.

“Vi ascolto”.

“Uscendo da qui si arriva a un cortile interno” comincia Pietro, mentre il giovane annuisce con la testa. “Se faccio cinquanta passi verso manca, trovo un portone. Dove mi conduce?”

Il prete resta in silenzio prima di rispondere. “A cinquanta passi si accede agli appartamenti privati dei due cardinali italiani. Caetani e Colonna”.

Pietro sorride, prima di porre una nuova domanda. “In che rapporti sono i due cardinali?”

Il cappellano stringe le labbra come per suggellarle e non lasciare uscire parole di troppo.

“Capisco e comprendo la vostra ritrosia nel rispondere” fa il frate, che comincia a inquadrare meglio la situazione. “Rispondo io per voi. Se sono nel vero, annuite con la testa”.

Angelo fa segno affermativo col capo. Confermerà oppure no l’intuizione di Pietro.

“Dunque i due si guardano in cagnesco e tramano sgambetti. Le due famiglie stanno su opposti fronti. Lo so per certo. Una guerra che dura da tempo”.

Il giovane annuisce, mentre il frate prosegue: “Riferite al cardinale, che al primo albore qualcuno ha tentato di uccidermi”.

Il cappellano sguscia fuori rapido, mentre il frate richiude con dolcezza la porta. Apre il messaggio.

All’ora sesta andate a confessarvi

Lo brucia usando una candela e disperde le ceneri. ‘Dunque un nuovo mistero’ si dice Pietro, che si prepara a raggiungere il refettorio.

Nei suoi spostamenti non ha notato nulla di insolito né visi noti all’infuori di quello di Philippe. É relativamente tranquillo per il momento, quando all’ora sesta è di nuovo nella chiesa per confessarsi per la seconda volta. La cappella è più luminosa rispetto al primo albore e odora di incenso e cera che brucia. Non va subito all’unico confessionale. Le funzioni del mattino sono terminate, mentre la chiesa appare deserta. Pietro si sposta in modo visibile, prima di entrare in una zona poco illuminata. Finge di pregare ma osserva con occhi indagatori eventuali presenze sospette. Passano i minuti ma tutto appare tranquillo. Nessun movimento sospetto, totale assenza di fedeli o di officianti. ‘É giunto il momento di confessarsi’ si dice, avviandosi deciso verso il confessore. Si inginocchia e pronuncia le frasi di rito. Non sa chi sta dietro la grata. Aspetta che parli per capire chi è. É meglio usare prudenza, si dice, terminato il pater noster.

“Vi sento diffidente” mormora una voce nota.

“Vorrei tornare alla mia magione” risponde Pietro.

Al frate pare di udire una breve risata. ‘Forse è suggestione’ riflette. Resta in silenzio, lascia l’iniziativa al suo interlocutore. Finge di confessare i suoi peccati.

“Un’ultima missione vi aspetta. Recatevi a Rhedae. Un cavaliere vi consegnerà una cassetta di legno. Contiene un bene prezioso, che non deve cadere in mano di altre persone. Conservatela con cura. Se nessuno verrà a cercarvi, alla vostra morte il segreto del luogo dovrà essere trasmesso a persona fidata. Così nei secoli futuri, finché un nuovo messia non la reclamerà” dice la voce, scandendo con cura le parole.

“Ma questa Rhedae dove si trova?” chiede Pietro.

“Nella Linguadoca. Nella terra dei Catari, sui primi contrafforti della catena di montagne che ci separa dalla Spagna” risponde con pacatezza.

“L’oggetto di Autricum? A chi lo devo consegnare?” domanda il frate.

“É destinato all’abbazia di Chiaravalle. Il monaco Berthod se ne prenderà cura. Ora partite al più presto e in gran silenzio. Il cavaliere aspetterà il vostro arrivo fino al vespro del giorno che celebra la presentazione di Maria al tempio. Andate in pace” conclude la voce.

“Amen” replica Pietro.

0

Un storia così anonima – parte venticinquesima

dal web
dal web

Lione, 23 febbraio 2015, ore quattro

“Luca, Luca” dice Vanessa, scuotendolo.

Il ragazzo grugnisce. Vorrebbe dormire, anzi vorrebbe continuare quel sogno interrotto bruscamente dalla compagna.

“Che c’è?” domanda con la voce impastata dal sonno. “Qualcuno tenta di forzare la porta?”

La ragazza ridacchia sommessa. Nel buio agita i suoi capelli rossi. “No, no!”

“Beh! Allora che c’è?” esclama il ragazzo, alzando un poco il tono della voce. “É già ora di alzarsi?”

“Ma no” sussurra Vanessa, che si copre per bene.

Luca comincia a spazientirsi. ‘Mi sveglia. Gli pongo delle domande. Lei risponde con un banale no’ pensa, mentre sbadiglia rumorosamente. Gli viene un dubbio. C’è troppo buio per essere mattino. “Ma che ore sono?” domanda, credendo di conoscere la risposta.

“Sono già le quattro” afferma la ragazza.

Luca si sveglia di botto. ‘Già le quattro? Avrà voglia di scherzare?’ si dice arrabbiato.

“Come già le quattro? Dirai appena le quattro?” sbotta irritato il ragazzo. “Soffri di insonnia?”

Vanessa ride sommessamente. Lo percepisce infuriato e non vuole innervosirlo ulteriormente.

“Ma no, sciocchino! Stavi russando come un trombone” dice la ragazza.

“E per questo mi svegli nel cuore della notte?” replica Luca stizzito.

“Che altro potevo fare perché tu smettessi?” si difende Vanessa.

“Due tappi di cera nelle orecchie” afferma il ragazzo leggermente addolcito.

“Non li avevo”.

“Andavi a comprarli o li chiedevi alla reception” dice Luca, che ridacchia nemmeno troppo silenziosamente.

“Non ci avevo pensato” risponde la ragazza. “Visto che sei sveglio, voglio chiederti se ti sei fatto un’idea del nostro inseguitore”.

“Alle quattro del mattino?” fa il ragazzo. “A quest’ora le persone normali dormono e non pensano a degli energumeni. Non ci ho pensato, perché sognavo beatamente”.

“Cosa?” domanda Vanessa curiosa.

“Ti abbracciavo teneramente” dice Luca, ridendo.

“Allora sciocco, fallo! Mi è venuto freddo” fa la ragazza, coprendosi con le lenzuola.

Sono svegliati da un bussare discreto alla porta e dal trillo della radio sveglia.

“Uffa, chi è che rompe?” sbuffa Luca sciogliendosi dall’abbraccio di Vanessa.

“Femme de chambre” dice una voce femminile.

“Ma ce l’ho già” replica divertito il ragazzo, mentre lei, irritata dalla battuta maschilista, gli dà dei piccoli pugni sul petto.

“Non fare battute stupide! É la cameriera che ci porta la colazione in camera” lo redarguisce Vanessa. “Adesso apriamo”.

La ragazza spinge giù dal letto Luca, che dice: “Mica la posso aprire in mutande!”

“Mettiti qualcosa e sbrigati. Mi è venuta fame” afferma Vanessa, che si tira le lenzuola fin sotto il mento.

“Fare moto notturno” comincia il ragazzo, che ridacchia “stimola l’appetito”.

“Smettila con queste battute da caserma. Vai ad aprire” lo sollecita la ragazza.

Finita l’abbondante colazione a base di caffè, tè, brioche calde e marmellate varie, Luca mette le mani dietro la nuca.

“Ora possiamo discutere sulla questione posta alle quattro di notte” dice il ragazzo.

“Quale?” chiede Vanessa, fingendo di averla dimenticata.

Luca ride. Conosce il suo pollo. Lei non scorda nulla. “Non fare la finta tonta! Con me non attacca”esclama sornione il ragazzo.

Alla ragazza piace questo giochetto e rimane seria e compunta. “Ma alle quattro dormivo” afferma con solennità.

“Hai ragione. Alle quattro dormivo. Tu mi hai svegliato” dice il ragazzo col viso serio delle grandi occasioni. “Se non ti ho strangolata è perché ti voglio bene. Ma torniamo al quesito oppure ne vuoi parlare mentre siamo in viaggio?”

Vanessa ridacchia e gli scocca un bacio. Un amico così non lo può perdere. “Cominciamo adesso e proseguiamo in macchina” fa, mentre scende dal letto.

“Tornata la memoria?” chiede ironico Luca.

“Sì” replica, mentre si fionda in bagno. “Occupato”.

Il ragazzo scuote la testa. A volte è irritante in certi atteggiamenti, altre è deliziosa, riflette, mentre mette il vassoio sul tavolino della stanza.

“Allora, dimmi cosa ne pensi” dice la ragazza sotto la doccia.

Il ragazzo ragiona su quella misteriosa figura. É dalla notte precedente che ci pensa. Non è riuscito a inquadrarla per niente.

“In effetti vedo degli aspetti contraddittori” afferma Luca, mentre infila nello zaino quello che non gli serve per partire. “A volte mi sembra un personaggio del passato”.

“Perché?” lo interrompe la ragazza, che si sta asciugando.

“Quando l’ho intravvisto dal citofono, mi è sembrato che indossasse un mantello simile a quello dei templari” dice il ragazzo, che aspetta paziente la liberazione del bagno. “Se era lui al telefono, anche dalla voce pareva un personaggio del passato”.

Vanessa ride, mentre si asciuga i capelli. “Uffa! Non riesco a sistemarli!” fa innervosita.

“Forse c’è un parrucchiere nei paraggi. Come si chiamano in Francia?” fa Luca, mimando modi affettati.

“Coiffeur” suggerisce la ragazza seccamente, avvolta nel telo da bagno.

L’osserva attraverso la porta aperta. Non ne avrebbe bisogno ma è un rito per lui. Quei capelli rossi e quegli occhi verdi lo fanno impazzire. La figura esile ma tonica le conferisce un sex appeal fuori del normale. Se non fosse per il carattere, talvolta scorbutico e irritante, sarebbe perfetta. Si riscuote dai suoi pensieri e riprende il discorso sul misterioso inseguitore.

“Però a quanto pare sa guidare, telefonare e mangia pure” dice il ragazzo, ignorando la precisazione di Vanessa. “Tuttavia la domanda che mi assilla è come ha saputo delle nostre ricerche e dove abbia attinto l’indirizzo e numero di telefono”.

“Non saprei come aiutarti” fa la ragazza che lascia cadere sul pavimento del bagno il telo, rimanendo nuda.

É consapevole che Luca la sta guardando ma con fare indifferente torna nella camera per cercare l’intimo da indossare.

“No fare quello sguardo lussurioso. Mai vista una donna nuda?” fa Vanessa, che infila minuscole mutandine di pizzo nero.

“Sì ma lo spettacolo” esclama il ragazzo.

“Non farti venire idee malsane” lo interrompe la ragazza. “Basta e avanza stanotte”.

Vanessa mette un reggiseno che evidenzia i minuscoli seni. Completa la vestizione con una canotta nera, sulla quale infila una polo azzurra, e con un paio di jeans neri di Armani.

“Che fai lì, imbambolato?” lo rimbrotta la ragazza. “Tra dieci minuti siamo di partenza”.

Recuperata la macchina si mettono in viaggio per Parigi, sempre seguiti dall’ignoto inseguitore.

“Il nostro uomo è sempre dietro di noi?” chiede Vanessa che fatica a non voltarsi.

“Come l’ombra ci segue sotto il sole” risponde ridendo Luca, mentre escono dal centro di Lione.

“Che nome in codice gli diamo?” fa la ragazza.

“Henri de Caron, come il poco astuto inseguitore di Pietro” dice il ragazzo, sorridendo.

“Bene” annuisce la ragazza “Hai un’idea del tragitto da seguire?”

“Pietro ha detto che la strada costeggia un fiume. Credo che si riferisca alla Saône. Dunque puntiamo verso Chalon-sur-Saône, seguendo il fiume, come ha fatto settecento anni fa il nostro templare” conclude Luca, che pare avere il navigatore al posto della testa.

Dopo una buona mezz’ora di silenzio, Vanessa riprende il discorso sul misterioso inseguitore, che non li perde di vista.

“Nessuna idea su Henri?” chiede la ragazza, chiudendo un periodo di afasia totale.

“No” risponde laconico il ragazzo.

“Per caso non c’era qualcuno nella sala di lettura della biblioteca a Ferrara?” domanda la ragazza, che sta cercando un momento, dove le loro strade si sono incrociate casualmente con l’ignota persona che li segue.

“No, no” replica Luca, scuotendo il capo. “C’era solo una ragazza. Però non era interessata a me e a quello che facevo”.

Vanessa riflette su questo particolare. ‘Se la ragazza era concentrata sulla sua lettura, difficilmente era interessata a Luca’ si dice. Ripensa alla sala Borsa. Al massimo poteva essere noto il suo indirizzo e non il numero di telefono di Luca. Quindi è da scartare come ipotesi.

“Ma il volume l’hai preso da solo oppure è stato un bibliotecario a portartelo?” fa la ragazza, che pensa di essere sulla strada giusta.

É stato un bibliotecario, un inserviente a metterlo sul tavolo dinnanzi a me. Mi ha detto: ‘Fate attenzione‘”.

La ragazza sorride soddisfatta. “Ci scommetto che è stato quell’inserviente a mettere Henri sulle nostre tracce”.

“E come?” domanda stupito Luca.

“Di certo hai lasciato i dati del tesserino, dove ci sono di certo anche indirizzo di casa e telefono” esclama esultante la ragazza.

Il ragazzo ammette mentalmente che ha ragione. Non ci aveva pensato per nulla, dando per scontato che fosse un luogo neutro.

“Ti concedo questa affermazione. Potrebbe essere vera” dice il ragazzo, che si pone altri dubbi. “Come faceva a conoscere il contenuto delle cronache settecentesche che ho selezionato? Non era l’unica”.

“Te lo concedo” fa la ragazza con tono magnanimo “ma tra tutte ne hai scelto due. Quelle più interessanti e intriganti”.

“E va bene” concorda il ragazzo. “Come faceva a conoscere cosa avrei letto?”

Vanessa sorride soddisfatta. ‘Sì, è l’ipotesi giusta’ si dice e aggiunge ad alta voce: “Di certo la sala è monitorata. L’inserviente ha visto come armeggiavi con scanner e telefono. Due più due fanno quattro”.

“Ti concedo questo, che potrebbe spiegare l’inquietante telefonata” ammette rassegnato Luca. “Ma come conosceva il tuo indirizzo di Bologna?”

La ragazza resta in silenzio per qualche istante. L’obiezione dell’amico è pertinente e logica. Riflette per trovare una spiegazione plausibile. L’ha seguito da Ferrara? No, non è verosimile, si dice prima di arrendersi. “Su questo punto non riesco a trovare una spiegazione, salvo che ti abbia tallonato, quando di notte sei arrivato a casa mia” pensa a voce alta.

“Potrebbe essere” esterna il ragazzo “ma perché farsi vivo ventiquattro ore dopo?”

I due ragazzi rimangono in silenzio per un po’, finché Luca non lo interrompe.

“Come abbia fatto a scovarci, non l’abbiamo capito per intero. Tuttavia è il nostro angelo custode” dice, ridendo.

“A Parigi cosa facciamo?” chiede Vanessa.

“Arriviamo fino a Place du Châtelet, visto che il castello non c’è più. Ci cerchiamo un albergo per la notte e un ristorante per mangiare” risponde il ragazzo.

E Henri?” domanda la ragazza.

Ci seguirà come un cagnolino fedele” replica ridendo il ragazzo. “E adesso parliamo d’altro”.

Dopo una sosta a metà percorso sono quasi le venti, quando arrivano in Place du Châtelet, sistemandosi in un albergo nelle vicinanze.

L’uomo li segue dopo poco, prendendo alloggio nello stesso hotel.

Una stanza accanto ai signori prima di me” chiede cortese alla receptionist, che inarca un sopracciglio per lo stupore.

Vanessa e Luca non sanno che nella stanza accanto sta il loro inseguitore e si preparano per recarsi al ristorante.

0

Una storia così anonima – parte ventiquattresima

Autricum, 13 novembre 1307, ora dodicesima – anno secondo di Clemente V

Pietro è incerto, giunto dinnanzi all’imponente cattedrale dedicata a Notre-Dame, a Maria. É molto più grande di tutte quelle che ha visto finora con statue, rosoni e vetrate colorate. ‘La porta nord dov’è?’ si domanda, cercando un punto d’appoggio per orientarsi. Non può sbagliare, perché l’appuntamento salterebbe. Gira intorno a questa chiesa che appare smisurata. Osserva i simboli sui tre portali. Poi si incammina deciso verso quello che rappresenta la vita di Maria. Varca la soglia, si inginocchia per pregare. All’interno si sente l’odore di sego, delle candele che illuminano la navata, dell’incenso della funzione che si è appena svolta. Ai nasi più delicati è una mescolanza orribile, per Pietro è un odore familiare. Ricorda le parole del messaggio ‘percorrete la navata di destra verso il portale Ovest‘. Cammina con lentezza. Si sente solo il rumore del suoi calzari di cuoio. Nessun confessionale è aperto, nessun fedele è all’interno. La cattedrale appare agli occhi del frate in tutta la sua imponenza e ricchezza. Giunto in fondo, si gira verso Est, verso Gerusalemme. Si prostra di nuovo a pregare, prima di iniziare il percorso del labirinto.

Pietro si concentra: sa che deve percorrerlo per intero se vuol raggiungere il suo obiettivo: la placca centrale. Tuttavia deve fare anche il percorso inverso per tornare nel mondo dei vivi. I labirinti e queste chiese, dalle linee ardite e slanciate, sono il frutto dei suggerimenti dei suoi confratelli al ritorno della Terra Santa. Si sente a casa. Fatti pochi passi, gli sembra di essere già arrivato ma è solo un’illusione. La placca di rame centrale è lì a portata di mano ma il salto non è possibile. Deve seguire la via fino in fondo. Cammina con metodo. Passo dopo passo. A volte torna vicino al centro, a volte si allontana. Si ritrova accanto al punto di partenza. Pietro pensa di aver sbagliato qualche passaggio. ‘Forse ho saltato qualcosa’ si dice scoraggiato. Tuttavia la determinazione scaccia il pensiero di abbandonare l’impresa. Con maggior lena e risolutezza percorre un tratto che assomiglia a una foglia su un ramo prima del fiore. Sa che quel fiore è il punto di arrivo del suo pellegrinaggio. Vede le vetrate colorate dietro l’altare. Quello è l’oriente. Là c’è il tempio a Gerusalemme.

Qui inginocchiato, guardando il rosone davanti a voi, pregherete, prima di riprendere il cammino inverso‘ sono le parole che riaffiorano dalla mente. Dinnanzi a lui non ci sono rosoni. Si gira a sinistra verso il punto dove è entrato. Non è quello il punto di riferimento. ‘Come faccio a saperlo?’ si dice e si risponde da solo ‘Lo so e basta’. Continua la rotazione in senso antiorario, volgendo le spalle a Gerusalemme. ‘Eccolo’ esclama in silenzio. Si stende a terra e prega. Gli pare udire un rumore di passi. ‘Non può essere. La chiesa è deserta’ pensa, mentre riprende il percorso di uscita. Gli pare di rivivere la partenza del viaggio ma ben presto si accorge che la visuale è diversa, anche se ripercorre una via che ha già fatto.

É appena uscito dal labirinto e si sente più leggero come se si fosse appena confessato o fosse reduce dal pellegrinaggio in Terrasanta. Al suo fianco si materializza un prete, che lo affianca. Anche l’ultimo rigo del messaggio è diventato realtà.

Venite” gli sussurra il prete, che lo conduce a un confessionale immerso nel buio. “Vi confesserò e vi assolverò da tutti i peccati”. Mette la cotta sull’abito talare e ascolta Pietro, che si confessa.

“Mi perdoni, perché ho tanto peccato” fa il frate inginocchiato.
Il prete nel confessionale risponde: “In nómine Patris et Filii et Spíritus Sancti”.
Amen” aggiunge Pietro, che attacca col Confiteor.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístae, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sánctis et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatíone, verbo et ópere:” e si batte il petto per tre volte “mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptistám, Sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, ómnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum Deum nostrum”.  
Il prete lo ascolta in silenzio e al termine gli chiede di recitare tre atti di dolore, prima di impartirgli l’assoluzione.
Misereatur tui omnipotens Deus, et dimissis peccatis tuis, perducat te ad vitam æternam. Amen”. Quindi con la mano destra elevata in alto lo assolve.
Indulgentiam, absolutionem, et remissionem peccatorum tuorum tribuat tibi omnipotens et misericors Dominus. Amen.
Dominus noster Jesus Christus te absolvat: et ego auctoritate ipsìus te absolvo ab omni vinculo excommunicationis, suspensionis, et interdicti, in quantum possum, et tu ìndiges. Deinde ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen”.

La confessione sarebbe terminata con la formula di assoluzione dai peccati ma il prete si rivolge a Pietro in maniera inusuale.

Chinate la testa e allungate le mani” gli sussurra.

Il frate obbedisce senza fiatare. Sente le mani del prete posarsi sul suo capo, poi si ritrova tra le mani una bisaccia di lino.

‘Dunque è questa la missione che devo compiere’ si dice il frate, legandola in cintura sotto il mantello.

Andate in pace” conclude il prete.

Ha appena finito di ricevere l’ostia consacrata, quando il chierico Philippe lo chiama.

Sono qua” risponde Pietro “vi raggiungo e andiamo a mangiare qualcosa”.

Autricum, 14 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

É mattino, quando Pietro e Philippe si mettono in cammino per raggiungere Poitiers. Fa freddo e il tempo minaccia neve. Il frate con la sua carta bretone si è fatto spiegare dal maniscalco il percorso migliore. Vuole raggiungere in fretta la sua meta per non incorrere in brutte sorprese. Non si sente al sicuro, finché non avrà raggiunto la curia papale.

Pietro si avvolge bene nel mantello bianco per proteggersi dal vento gelido che spira da nord. Ha coperto anche il suo bardo. Ama la sua fedele cavalcatura.

Il nostro inseguitore?” gli domanda Philippe.

Ci inseguirà furibondo” dice sornione il frate “Quando arriverà a Autricum, noi saremmo a destinazione”. E partono decisi verso la loro meta.

Poco dopo l’ora nona e prima che l’imbrunire faccia sera, entrano stanchi e infreddoliti a Poitiers.

Ricoveriamo i cavalli presso un maniscalco e poi si presentiamo presso la curia papale? Oppure…” fa il chierico, subito interrotto dal frate.

No. Prima rendiamo omaggio al cardinale Caetani, il nostro mentore, e poi pensiamo a noi” taglia corto Pietro.

I due viaggiatori chiedono udienza al cardinale, che li riceve nello studio rosso. Dopo i rituali saluti, Caetani chiede loro delle informazioni sulle difficoltà del viaggio. Un giro di parole per arrivare al punto focale della conversazione.

Siete stato trattato bene da Guillaume de Nogaret a Paris?” domanda a Pietro.

Il frate riflette, non risponde subito. Vuole calibrare la risposta. Non ha gravi motivi di lagnanze a parte il fatto che è stato costretto con la forza a deviare il suo percorso.

“Se non fosse stato che sono privato della mia libertà e costretto a stare in una cella senza il conforto dei sacramenti, posso dire il trattamento è stato buono” fa il frate con tono sicuro.

Il cardinale ha sperato che il templare si fosse lagnato ma così non è stato. Sente ostili tutti gli uomini del re. Vorrebbe indurre Clemente V a essere più deciso nel contrasto con le mire reali attraverso testimonianze e lagnanze. Però al momento ha un altro impellente necessità: vuole conoscere, se l’incarico ricevuto sia stato portato a termine e cerca un modo per giungere sull’argomento senza citarlo. Pietro intuisce che le domande hanno un secondo e più sottile fine e preferisce rompere gli indugi.

“Quando abbiamo lasciato Sens, ho confuso le strade. Ci siamo incamminati verso ovest, giungendo nella città di Autricum” comincia la narrazione il frate.

“Dunque vi siete persi?” chiede il cardinale, che trae un sospiro di sollievo, perché il frate sta affrontando l’argomento che desidera conoscere.

“Non esattamente, così” riprende Pietro. “Abbiamo allungato la strada. La colpa è mia, perché non ho voluto chiedere suggerimento sulla strada da seguire”.

Philippe non vuole permettere che il frate si prenda la responsabilità della deviazione. “In realtà siamo in due ed ero io la guida che doveva conoscere la strada”.

Il cardinale sorride, perché entrambi vogliono la loro parte di colpe. Però in questo momento la questione non gli interessa. Preferisce sapere se il frate ha ritirato l’oggetto a Autricum.

“É lodevole il vostro impegno di assolvere il compagno di viaggio. Tuttavia non è questo il nostro obiettivo. Era ed è quello di essere presso questa corte papale” dice Caetani per tagliare l’accenno di contrapposizione dei due protetti.

“Abbiamo visto l’immensa cattedrale Notre Dame, ricca di statue, vetrate e guglie. Qui ho potuto confessarmi e ricevere la sacra comunione”.

Il cardinale sorride. Il messaggio del templare è chiaro ‘sono stato nella cattedrale e ho ricevuto un oggetto segreto. Di questo solo io ne sono a conoscenza‘. Adesso li lascia liberi di riposare dopo la lunga cavalcata, perché quello che voleva sapere, lo sa.

“Vostra Eccellenza, vi chiedo umilmente dove possiamo ricoverare le nostre bestie, stanche e bisognose di cure?” gli chiede Pietro.

“Chiedete di Monsieur Bertrand, il mio maniscalco. Lui accudirà i vostri cavalli meglio di chiunque altro” dice il cardinale, affidandoli al suo segretario.

Poitiers, stanze del cardinale Colonna, 14 novenbre 1307, ora del vespro – anno secondo di Clemente V

Il cardinale Colonna è irritato e nervosamente si muove nella stanza. Non è riuscito a conoscere il testo del messaggio del suo arcinemico. ‘Quell’idiota di frère Alphonse non l’ha letto. Ha trovato mille scuse per giustificare la propria inettitudine. Non mi ha nemmeno informato che Philippe de Laurent stava tornando con un templare’ si dice, borbottando tra i denti.

Si domanda come questo frate sia sfuggito alle retate delle guardie del re. ‘Chi è?’ si domanda curioso ‘Chi è da godere delle protezioni di Roland de Bernard? Perché Lui l’ha ricevuto senza farlo attendere un solo istante?’

Il cardinale non vuole nominare nemmeno nei pensieri quel nome tanto odiato. Aspetta da un momento all’altro il ritorno di padre Georg con notizie fresche su questo monaco, che pare protetto da troppe persone. Sente bussare discretamente alla porta. “Avanti” dice con tono minaccioso e vede spuntare il viso del suo segretario.

“Entrate” esclama, accompagnando le parole con un gesto eloquente della mano. “Vi ascolto”.

“Non sono riuscito ad avere molte informazioni sul templare. Tutti tengono la bocca cucita, come se temessero chissà quali tempeste”.

Il cardinale sbuffa e pensa di essere attorniato da una serie di parassiti senza la spina dorsale. Raccolgono notizie inutili e mai quelle che gli interessano. Gli fa cenno di essere conciso. Padre Georg riprende la narrazione.

“Qualcuno dice che sia un templare famoso, quanto il gran maestro, Jacques de Molay. Altri dicono che deve assolvere una missione. Nessuno è stato in grado di dirmi chi sia esattamente. Pare che sia lombardo ma parla un latino forbito. Una fonte assicura che sia un intimo amico del pontefice. Ma è un solo chiacchierare e basta” conclude il discorso il segretario.

Il cardinale si siede sulla sua poltrona preferita. Medita sulle scarne e contraddittorie notizie. ‘Sì, forse è un templare ben introdotto nella curia papale’ riflette il cardinale. ‘Probabilmente è amico di Bertrand de Got. Questo potrebbe spiegare certe protezioni’. Però deve conoscere l’identità di questo templare. “Insomma avrà pure un nome questo monaco guerriero” esclama Colonna spazientito.

“Sì ma…” comincia padre Georg.

“Non riesci a eliminare dal tuo lessico i ma e i forse?” fa il cardinale, che sta perdendo la pazienza.

“Ho sentito dire questo nome: frère Pierre de Rodalis” afferma il segretario.

Colonna sta per replicare piccato, quando sente bussare alla porta. Fa un cenno a Padre Georg di andare a vedere chi è. Poco dopo ritorna con un messaggio.

“Proviene da Sens” fa in modo asciutto.

Il cardinale si siede alla scrivania per rompere il sigillo e leggerne il contenuto.

Sbianca e si lascia sfuggire una bestemmia.

0

Una storia così anonima – parte ventitresima

dal web
dal web

Lione, 22 febbraio 2015, ore 19

Siamo stati seguiti da Ferrara” dice sottovoce Luca “Non voltarti! É fermo dietro di noi a circa duecento metri. Finge di guardare una cartina”.

Vanessa, che istintivamente si sta girando, si ferma a quell’ordine imperioso, lanciato dal compagno.

Sei sicuro?” fa la ragazza, allungando il collo verso lo specchietto laterale.

Se te lo dico, devi credermi” esclama sommesso il ragazzo.

E perché non hai detto nulla fino a questo momento?” lo rimprovera Vanessa un po’ acidamente.

Saresti stata male solamente. Non saresti stata capace di non voltarti indietro per vedere se era dietro di noi. Così l’abbiamo illuso di non esserci accorti di lui” fa Luca, che ha finito di studiare il percorso per raggiungere l’hotel.

Come ti permetti?” dice la ragazza d’istinto ma si corregge quasi subito. “Mi conosci bene. É vero, non avrei resistito alla tentazione di girarmi”.

Il ragazzo sorride, perché per una volta lei ammette di avere torto. Trova questa ammissione sorprendente. Quasi non la riconosce e si domanda quale finimondo meteo succederà tra poco. Neve? Pioggia? Vento? Lei invece è stizzita, perché confessare pubblicamente di non aver ragione non fa parte del suo ego. ‘Ormai l’ho detto e non posso rimangiarmelo’ si dice un po’ innervosita.

Cosa pensi di fare?” gli chiede Vanessa, cercando di mantenere un tono calmo.

Nulla. Raggiungiamo l’hotel, andiamo a mangiare e domani si parte per Parigi. Sulle tracce di Pietro” afferma Luca, avviando l’auto. “Mi raccomando, non voltarti”.

E lui?”

Non me ne frega nulla” afferma il ragazzo sorridente.

Sistemano i bagagli nella camera, che soddisfa visibilmente la ragazza. Elegante, raffinata e molto spaziosa. Luca, collegato al WiFi, rintraccia un autentico bouchon lyonnais, Les Culottes Longues, che è a due passi dall’albergo.

Authentique bouchon lyonnais, Les Culottes Longues est situé à deux pas de la place Bellecour dans le quartier d’Ainay, ancien repère des antiquaires. Dans un cadre convivial et rustique, difficile de passer à côté de cette magnifique culotte encadrée au mur. L’accès à la salle qui se trouve à l’étage se fait par un escalier en colimaçon tout en bois au centre de la pièce.
Créé en 1995 par François Paillet, David Cano a d’abord travaillé comme commis dans ce restaurant. Puis il a monté les différents grades et est ensuite devenu chef. C’est alors qu’il a décidé de racheter le bouchon en 2005. Ce défenseur de la tradition culinaire lyonnaise essaie sans cesse de nouvelles choses pour s’améliorer et progresser.
Impossible de ne pas succomber à sa salade lyonnaise, son saucisson ou son foie de veau. Réputé pour sa bonne chère, les maîtres mots de ce bouchon sont terroir, saison et région. Ambiance chaleureuse et traditionnelle sont de mise dans ce lieu si sympathique.
“Questo mi piace” dice Luca alla ragazza, che scorre ‘Suggestions du soir‘, la lista del menù.
“Ma sei sicuro di non aver preso una cantonata da turisti?” borbotta indecisa Vanessa.
“Fidati! Il mio sesto senso non sbaglia mai! Ho forse ciccato l’albergo?” domanda sornione il ragazzo.
“No, direi di no” replica la ragazza, che non gli vuol dare la soddisfazione di aver scelto un hotel di suo gradimento. ‘Ammettere due volte in una sera, che ha ragione, è troppo per il mio ego’ si dice per nulla soddisfatta.
“Quindi anche questo bouchon sarà ottimo” chiude il discorso seccamente Luca.
Fatti quattro passi, i due ragazzi si siedono a un tavolo del locale e si lasciano consigliare dallo chef David Cano per la sera.
“Ma esattamente bouchon cosa vuol dire?” chiede la ragazza.
“Sei tu che conosci il francese” si schernisce il ragazzo “ma secondo il sito dovrebbe essere l’equivalente di una nostra trattoria tipica, dove servono piatti regionali, certificati da www.lesbouchonslyonnais.org. Più o meno. Questo locale, sulla base di quello che sta scritto, ha un pezzo di carta che garantisce di non tradire le tradizioni lionesi dei bouchon. Cosa voglia dire in soldoni, non ne ho la più pallida idea”.
“Da noi le trattorie sono più alla buona” dice Vanessa, che si mostra sorpresa. La sala è accogliente e calda. Il personale è professionale.
Nell’attesa degli Entrees ordinati riprendono l’argomento del pedinamento.
“Il nostro uomo ci ha seguiti anche qui. Per l’hotel è rimasto fregato, perché abbiamo preso l’ultima stanza libera” fa Luca sornione.
La ragazza sobbalza e sta per fare una panoramica della sala, quando il ragazzo le prende il viso per scoccarle un bacio.
“Lasciami!” dice inviperita.

“Certamente, se mi prometti di guardare solo me. Per stasera. Domani hai libertà di scelta” fa Luca, senza accennare a sbloccare la faccia dalle sue mani.

Vanessa capisce che l’amico non scherza, è determinato nella sua azione. Nelle ultime ore non ha sbagliato un colpo. Non può ammettere di essere stata sconfitta. Ne va del suo orgoglio.

“Va bene. Ma adesso lasciami” dice con tono remissivo.

“Così mi piaci. E ora pensiamo solamente alla cena” fa Luca, liberandole il viso.

Il cameriere arriva con due piatti di antipasti differenti. Il ragazzo li osserva con cura. In realtà immaginava qualcosa di diverso. “Metà del mio piatto per te e metà del tuo per me” dice, dividendo i peperoni rossi immersi in una salsa dal colore indefinito.

“D’accordo!” afferma decisa Vanessa. “Quella salsa deve essere migliore rispetto a questa”. La sua Ou salade de Chevre chaud en feuille de brick sembra meno appetitosa di quella di Luca.

Mangiano di buon appetito, praticamente in silenzio, che Luca interrompe.

“Mi sto domandando perché quel simpatico bontempone, che pare un armadio, ci stia pedinando” sussurra appena il ragazzo “posso comprenderlo a casa nostra ma in trasferta no”.

Vanessa sorride ma non ha una risposta. ‘Dunque il misterioso pedinatore è facilmente riconoscibile’ si dice soddisfatta.

“Non riesco a formulare un’ipotesi accettabile” fa la ragazza “eppure un senso dovrà pure averlo”.

“Comunque pare avere un discreto numero di informazioni su di noi” continua Luca “telefono, domicilio, conoscenza delle nostre ricerche. Ora che la sua fisionomia è ben impressa nella mia mente, non mi pare che ci abbia pedinato sabato quando abbiamo girato nelle mattinata per Bologna. É talmente inconfondibile che lo ricorderei”.

Saldato il conto, si chiudono nella loro stanza. La stanchezza ha il sopravvento.

0

Una storia così anonima – parte ventiduesima

dal web
dal web

Sens, 13 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Pietro e Philippe sono di partenza. Passano dall’arcivescovo per accomiatarsi.

Dòminus vobiscum” augura loro il prelato, impartendo la benedizione.

Deo gratias, allelùia, allelùia” rispondono quasi all’unisono, baciando l’anello vescovile.

Si avviano a uscire da Sens. Il frate nota uno strano cavaliere che staziona accanto alla porta, fingendo di conversare col comandante delle guardie. Non li degna di uno sguardo, resta immobile al loro passaggio, rimane assorto nella discussione ma è sempre vigile e attento a chi esce dalla città. Pietro non crede che Guillaume de Nogaret l’abbia lasciato andare senza mettergli alle costole un angelo custode. Quel cavaliere non ha le ali ma di certo è interessato a dove loro si dirigono. Nel messaggio il cardinale Caetani gli ordina di fare una deviazione e incontrare un prete di campagna, che lo attenderà tutti i giorni all’interno del labirinto. Il cardinale lo riceverà a Poitiers. Per eseguire l’ordine deve prima liberarsi dell’intruso. Si domanda se deve coinvolgere anche Philippe nei suoi piani. Ci sarà tempo, si dice, per capire come muoversi. Adesso il problema è il cavaliere.

‘Come far perdere le nostre tracce?’ si chiede Pietro. Lui si è procurato una mappa della zona, scritta in bretone. Senza le spiegazioni di qualcuno pratico dei luoghi e dei toponimi non è in grado di orientarsi, perché conosce solo vagamente i nomi latini. Superato il largo fiume che scorre a ovest di Sens, si avvia lungo una strada, resa fangosa dalle piogge dei giorni precedenti. Non è sicuro che sia la via giusta. Pietro sa che deve puntare verso ovest, verso la costa. Lui si sta muovendo in una regione ricca di boschi e di paludi, di fiumi e di laghetti ma totalmente sconosciuta.

Non è la strada che ho seguito per raggiungere Sens” mormora con timidezza il chierico.

Davvero?” dice Pietro, fingendo sorpresa. “Non sono pratico delle strade, né conosco la zona. Ma voi che sentiero avete preso?”

Con precisione non saprei dirvelo” replica Philippe. “Mi pare che puntasse più a meridione di questo”.

Tornare sui nostri passi non mi sembra il caso. Rischiamo solo di perderci. Al prossimo villaggio, facciamo una sosta e chiediamo informazioni” fa il frate, sapendo di mentire.

É l’ora sesta, quando raggiungono quattro case di legno, disposte lungo il sentiero, immerse nel bosco. Sono abitazioni molte povere, ricoperte da un tetto, che non appare molto stabile. Pietro scende da cavallo e bussa alla porta di quella che ritiene la più qualificata per ottenere delle risposte. Alla sua vista gli appare la migliore. Una selva di occhi di fanciulli si assiepano dietro le due finestra dell’abitazione. Lo scrutano incuriositi e timorosi. Non vedono troppo frequentemente dei cavalieri passare per il loro villaggio. Quello che li attrae maggiormente è quel largo mantello bianco con una croce rossa, cucita su una spalla. Non ne hanno mai visto uno. La porta si apre cautamente. Il viso di un uomo, incartapecorito dalla vita all’aperto, si sporge quel tanto necessario per osservare chi ha bussato.

Buona giornata, Messere” dice Pietro, facendo un profondo inchino. “Io e il compagno di viaggio, il chierico Philippe, vi chiediamo di poter entrare nella vostra dimora, perché abbiamo necessità di avere informazioni sul nostro viaggio”.

L’uomo rimane in silenzio, come se meditasse, incerto se richiudere l’uscio o spalancarlo. Tuttavia la curiosità ha il sopravvento. “Entrate” fa l’uomo con voce scontrosa, aprendo la porta.

Mentre il frate e il chierico, assicurati i cavalli alla staccionata, si apprestano a varcare la soglia, il piccolo villaggio pare animarsi all’improvviso. Volti e occhi compaiono alle finestre e dalle porte di tutte le case. Osservano incuriositi questi stranieri, vestiti in maniera singolare secondo la loro ottica. É tutto un domandarsi ‘chi sono? Da dove vengono? Dove sono diretti?’. Un cavaliere, che seguiva la coppia, si ferma al limitare del bosco, invisibile alla loro vista. Rimane immobile nell’attesa che riprendano il viaggio.

Dòminus vobiscum” dice il frate con un profondo inchino.

L’uomo lo guarda sbigottito. Non capisce il latino, a malapena conosce il francese. L’essere ossequiato come un re lo destabilizza. É la prima volta che qualcuno gli rende omaggio.

Monsieur,” fa ossequioso il frate “io mi chiamo Pietro e lui è il chierico Philippe. Forse ci siamo perduti”.

L’uomo è basito. ‘Mi chiama monsieur! Io umile contadino vengo trattato come il signor conte, che è il padrone di tutto quello che possiedo’ si dice, aprendo la bocca senza articolare una parola.

Chiamatemi Gustave” fa finalmente, quando la voce esce dalla gola.

Pietro sorride. Ha compreso l’imbarazzo del suo interlocutore. Sa di essersi conquistato la sua deferenza. Adesso è venuto il momento di abbassarsi al suo livello. Philippe guarda il frate e resta in silenzio. É ammirato per la sagacia del compagnio di viaggio.

Grazie, per avermi concesso la vostra amicizia.” fa il frate “Come vi ho detto, crediamo di esserci persi. Dobbiamo raggiungere prima Autricum, poi Limonum. Siamo sulla strada giusta?”

Gustave li guarda stupito, perché sono due nomi assolutamente sconosciuti. Scuote la testa in segno di diniego.

Non posso aiutarvi, messeri.” afferma contrito l’uomo “L’unica cosa, che posso dirvi, è che questo sentiero porta a una grande città con le mura merlate. Lì portiamo una volta al mese i prodotti della nostra terra che vendiamo al mercato e dove compriamo quanto ci necessita per il quotidiano”.

Pietro sorride. Dunque non mi sono sbagliato, pensa, sono sulla strada giusta.

Ma quanto dista questa città?” domanda con tono garbato il frate.

Se partite tra un’ora, la raggiungete prima del vespro” risponde Gustave.

Rischiamo di perderci nella foresta?” fa Pietro, che sta pensando a come depistare il cavaliere che è alle loro costole.

No. C’è un unico punto difficile a due ore di cammino da qui. La strada maestra si divide in tre, che portano in località differenti. Voi dovete prendere la via mediana” spiega l’uomo “Poi proseguite dove il sole tramonta. Non potete sbagliarvi. Il sentiero è ben tracciato. Non si presta a sorprese sgradite”.

Pietro è soddisfatto. Adesso sa dove costringerà il cavaliere a proseguire nella direzione errata.

Un ultimo favore, vi chiedo, Gustave” dice il frate “se avete acqua fresca e fieno per le nostre cavalcature. Vi ricompenserò per il disturbo con due monete d’argento”.

Philippe è sbalordito. Invece di chiedere cibo e acqua per loro, paga per dissetare i cavalli. Non hanno molte provviste e conservarle sarebbe meglio. ‘Come diavolo ha fatto a nascondere delle monete d’argento durante la prigionia?’ si domanda basito.

Acqua e fieno per le vostre cavalcature? Sarà un onore per noi fornirle. Ma se vi fermate posso offrirvi un semplice pasto che mia moglie e le mie figlie stanno preparando” dice Gustave con tono energico.

Non posso abusare della vostra cortese ospitalità. Ci sono sufficienti quanto necessita per i nostri cavalli” replica con tono gentile Pietro.

Il chierico sente i morsi della fame e al pensiero di partire senza mangiare nulla lo fa stare male. Tuttavia non osa contraddire il compagno di viaggio. Spera solo che cambi idea e accetti l’offerta dell’uomo.

Mi sentirei offeso e con me tutta la mia famiglia se un ospite se ne andasse, senza fermarsi al nostro desco” dice Gustave con tono impermalito.

Pietro, che vorrebbe ripartire subito, comprende che non può sottrarsi dallo stare a tavola con loro. “Non era mia intenzione apparire offensivo verso la vostra generosa ospitalità. Accettiamo di buon grado dividere il vostro cibo. Però vogliate prendere queste tre monete d’argento come ricompensa per la vostra gentile disponibilità” fa il frate, facendo comparire tre bolognini, come un prestigiatore alla fiera.

L’uomo osserva i tre pezzi e rapidamente li fa sparire in un sacchetto, legato in cintura. Ordina ai due figli maggiori di accudire alle due bestie, legate alla staccionata e alle figlie più piccole di apparecchiare la tavola.

Dopo essersi rifocillati e aver chiacchierato un po’ per non apparire scontrosi e scortesi, Pietro e il chierico si mettono in marcia, seguiti come un’ombra dal cavaliere a debita distanza. L’inseguitore controlla nel fango le tracce dei due cavalli.

Il frate resta in silenzio, finché non giunge al punto dove la strada si divide in tre direzioni, come aveva spiegato Gustave. Il monaco fa segno a Philippe di rimanere in silenzio e di seguirlo senza fare domande. Scende di sella, stacca delle frasche da un arbusto e indica al chierico di avanzare, mentre lui cancella le tracce alle loro spalle. Poi si dirige verso il bordo erboso della strada, avendo l’avvertenza di non lasciare impronte visibili.

Aspettatemi qui” dice sottovoce a Philippe, mentre raggiunge attraverso il bosco il sentiero che punta a meridione. Lo percorre per qualche centinaia di piedi di liprando, prima di ritornare nel bosco verso il punto, dove lo attende il chierico.

Ora procediamo nel bosco fiancheggiando la strada al piccolo trotto. Tra non molto riprendiamo la via maestra e ci mettiamo al galoppo per recuperare il tempo perduto” fa Pietro “Non chiedete nulla ora. Vi spiegherò tutto”.

Il cavaliere avanza con lentezza, perché non c’è la necessità di stare troppo vicino alla coppia da sorvegliare. La strada non presenta sorprese. É un sentiero largo e ben tracciato. Arrivato alla biforcazione, si chiede quale direzione hanno preso. Osserva le tracce sul terreno e nota che si dirigono verso meridione. ‘Se devono raggiungere Limonum, questa è di certo la via giusta. Le orme dei cavalli si dirigono verso quella direzione’ si dice, imboccando la via a sinistra. Il sentiero non presenta biforcazioni importanti. Quando dopo due ore di cammino ne incontra una, ha l’amara sorpresa di essere stato ingannato. Sul terreno non ci sono tracce recenti del passaggio di cavalli.

Impreca e ritorna sui suoi passi fino al punto della precedente biforcazione. Ha perso molte ore ma in particolare il buio è calato velocemente, rendendo difficoltoso l’esame del fondo del sentiero. Non trova tracce né in quella mediana, né in quella di destra. ‘Dunque sono entrati nel bosco per confondere le tracce’ ammette irritato per essere stato beffato ‘col buio di certo non sono in grado di capire verso quale direzione sono andati. Mi conviene tornare al villaggio e chiedere ospitalità per la notte. Domani mattina al primo albore riprendo la caccia’.

Pietro, quando arriva in prossimità della città merlata, spiega al chierico tutte le manovre misteriose che ha compiuto.

Dovete sapere che, da quando abbiamo lasciato Sens, un angelo custode ci ha seguito come un ombra, ovunque noi andassimo”.

Ma come lo sapete? Perché non me ne sono accorto?” domanda incredulo Philippe.

Non potevate accorgervene, perché siete giovane e con scarsa esperienza. Quando Guillaume de Nogaret mi ha lasciato libero a malincuore, per non urtare la suscettibilità dell’arcivescovo, immaginavo che mi avrebbe messo alle costole qualcuno. Così è stato” fa Pietro, avvicinandosi alla porta d’ingresso in città.

Ma voi come avete potuto accorgervene?” domanda stupito il chierico.

Mentre stavamo uscendo da Sens, ho notato un cavaliere che in modo discreto osservava chi entrava o usciva. La conferma l’ho avuta, quando ci siamo fermati per una breve sosta. Ho ascoltato il rumore di zoccoli alle nostre spalle. Attraverso il bosco sono ritornato indietro. Lui era fermo in attesa che noi ripartissimo. Dunque i sospetti erano fondati. Nel punto della via, nel quale mi avete visto fare strane manovre, l’abbiamo gabbato. Ora si starà chiedendo quale strada abbiamo preso. Però l’oscurità gli impedirà di mettersi in fretta alla nostra ricerca. Domani siamo a destinazione senza averlo alle nostre spalle”.

Perché siete stato in silenzio?” chiede Philippe, leggermente offeso.

Era inutile mettervi in apprensione” esclama Pietro, entrando in città. “La destinazione è Poitiers. Ci stanno aspettando”.

Il chierico mastica amaro. Avrebbe preteso maggior coinvolgimento negli avvenimenti. Tuttavia deve ammettere che il frate agisce con prudenza e non mette a repentaglio la sua vita.

Mentre voi cercate un maniscalco con stalla per i nostri cavalli e una locanda pulita e sicura, io vado a mondare i miei peccati nella Cattedrale, che si erge riconoscibile davanti a noi.” dice Pietro “Vi attendo lì”.

Il frate si avvia verso il luogo dell’incontro. Non sa se il prete ci sarà ad attenderlo. Nel messaggio del cardinale c’era scritto cosa doveva fare e nulla più. Ricorda a memoria il contenuto. Non ha chiaro quando questo avverrà.

Entrate dalla porta Nord e percorrete la navata di destra fino al portale Ovest. Volgetevi verso Est per iniziare il percorso del labirinto fino al punto centrale. Qui inginocchiato, guardando il rosone davanti a voi, pregherete, prima di riprendere il cammino inverso. All’uscita un prete vi affiancherà

cap. 21 cap. 23

0