Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore dodici.
“Allez-y, les enfants” urla Madame Monzon dal piano terra, “est servie”.
Anche se non ha capito nulla di quello che ha urlato la donna, intuisce che la pappa è pronta. Luca osserva Vanessa con sguardo interrogativo come dire ‘andiamo?’.
“Eureka per cosa?” gli chiede la ragazza, incerta tra scendere per il pranzo e restare in camera per comprendere quella strana esclamazione.
“Ci siamo” dice Luca con gli occhi che brillano per soddisfazione. “Ma possiamo parlarne anche a pancia piena. Il mio stomaco brontola”.
Vanessa scuote la testa, perché, quando si tratta del mangiare, Luca comprende tutto al volo. “Stai bene?” gli domanda, perché non è sicura, che l’amico abbia sciolto l’enigma, e pensa che voglia prendersi gioco di lei.
“Mai stato meglio di così!” afferma il ragazzo, accennando una smorfia di dolore. Si era dimenticato del taglio in testa.
“Sei un buffone” gli dice la ragazza, prendendolo sottobraccio. “Speriamo che il pranzo sia più leggero rispetto a ieri”.
In effetti è meno pesante con grande sollievo dei due ragazzi. Una garbura, la tipica zuppa di verdure casalinga, agnello con fagioli di Tarbes e la crème catalane per finire.
Vanessa non vede l’ora di terminare per rinchiudersi nella stanza con Luca. Quell’esclamazione di gioia continua a ruminarle nella testa. ‘Io non ci ho capito nulla’ pensa, mentre velocemente mangia la sua porzione di crème catalane. ‘Come ha fatto, Dio solo lo sa!’ Dà segni di irrequietezza, mentre Luca fa il gigione con la servetta. Vanessa lo guarda in tralice e gli molla una pedata.
“Ahi!” esclama il ragazzo, squadrandola male.
“Scusa” dice Vanessa, fingendo dispiacere, mentre con gli occhi gli fa segno di muoversi. ‘É ora di togliere il culo dalla sedia’ gli trasmette visivamente.
Luca ride. Ha capito il messaggio ma il caffè lo vuole bere prima di alzarsi. Madame Monzon li guarda e scuote la testa. ‘Ha detto che è solo un amico’ si dice, mentre accenna a Elionor, la ragazza che l’aiuta nella gestione della gite, di preparare in salotto caffè e l’amaro alle erbe. ‘Eppure bisticciano come due innamorati’.
Luca pare divertirsi a tenere sulle spine l’amica, che mostra impazienza nelle parole e nei gesti. Vanessa è furibonda, con gli occhi, che sembrano due lanciafiamme. Si accomoda nel salotto sul divano, mentre Luca si siede sulla poltrona di fronte. Poco dopo sul tavolino compare il vassoio con caffè e bicchierini di liquore. La stanza, ampia e luminosa con l’ampia vetrata, che guarda il giardino, che in questo periodo è brullo, le appare poco invitante.
”Potevi risparmiarmi quel calcione” le sussurra, mentre con il braccio sulle spalle di Vanessa salgono in camera.
“Te ne rifilo un altro, se non togli quella zampaccia” ringhia la ragazza, senza ottenere nessun effetto concreto.
Luca prende il computer dalla borsa, prima di sistemarsi sul divano. Vanessa è in tensione, perché la curiosità di conoscere cosa significano quelle lettere cresce di secondo in secondo.
“Dimmi” gli dice, sistemandosi meglio accanto a lui, “come hai fatto a decifrare il messaggio”.
“L’idea me l’hai lanciata tu” ghigna il ragazzo, mentre avvia il computer.
Vanessa strabuzza gli occhi incredula. ‘Io?’ si dice, cercando di ricordare quello ha detto prima di scendere. “Cosa avrei detto?” domanda la ragazza, aggrottando la fronte.
“Hai parlato di un codice cifrato” la rimbecca il ragazzo con un sorriso ironico.
Vanessa scuote il capo. ‘Il colpo in testa l’ha rincoglionito del tutto’ pensa. ‘Per aver pronunciato un’affermazione ovvia, lui pretende di avere capito tutto’. Si adagia sullo schienale. ‘Luca non si smentisce mai’ riflette, perché ha compreso che stanno navigando ancora al buio.
Il ragazzo sorride soddisfatto. ‘Sono sulla strada giusta’ si dice, facendo l’occhiolino all’amica. ‘Un piccolo sforzo e ci siamo’. Armeggia un po’ coi motori di ricerca, prima di riprendere a parlare.
“In quel periodo mi sa che non ci fossero molti modi per cifrare un messaggio” comincia Luca, prendendo una via molto alla lontana. “Così ho pensato…”.
Vanessa sbuffa insofferente. “Cerca di non spiegarmi tutta la cronistoria dei codici cifrati” dice, stringendo le labbra per reprimere l’ira che sta salendo. “Se ne ho voglia, vado su Wiki per studiarli con calma”.
“Quanta fretta, Van!” fa Luca sornione, strizzando gli occhi. “Pensavo…”.
“Pensa poco e concretizza” dice Vanessa, chiudendo e aprendo la mano sinistra nel segno inequivocabile di sintetizzare.
“Uffa” sbuffa il ragazzo. “Cercherò di essere breve”.
“É meglio per te” afferma poco conciliante la ragazza.
“Dunque dicevo” riprende il ragionamento Luca. “Nel trecento credo che il codice di Cesare fosse quello più gettonato. Ma chi ha scritto il messaggio non l’ha usato”.
Vanessa si sistema meglio sul divano, avvicinandosi al computer. “Perché?” domanda curiosa, sbirciando lo schermo.
“Sai come funziona?” le chiede, mettendosi si traverso per osservarla meglio.
“No”.
“Ti spiego” comincia Luca. Digita una parola ‘ARA’. “Se avesse usato quel codice, troverei ‘CUC’ o qualcosa di simile a seconda della traslitterazione usata”.
“Translitterazione?” esclama Vanessa, spalancando occhi e bocca. “Che roba è?”.
Luca ride, osservando il suo viso sorpreso e sbigottito. “Ho usato il codice tre che prevede lo slittamento di tre posizioni nell’alfabeto. A diventa C, B è D, e così via. Nel nostro messaggio non si legge nulla che possa adattarsi a questa codifica”.
Vanessa rilegge la stringa e ammette mentalmente che la logica di Luca è ineccepibile. ‘Eppure ha gridato EUREKA, come se avesse scoperto tutto’ si dice per nulla convinta che l’amico abbia la soluzione in tasca. Lo guarda mentre scrive qualcosa alla ricerca di una dritta. Almeno secondo lei.
“D’accordo” fa Vanessa, allungando le gambe, “ma cosa è stato usato?”
Luca non risponde subito, continua a lavorare col computer. “Diciamo un qualcosa di simile” comincia cauto, mentre scrive alcune righe di codice di programmazione. “Diciamo la tavola di Vigènere, anche se questa è arrivata duecento anni dopo”.
Vanessa strabuzza gli occhi. ‘Che cavolo va dicendo?’ pensa interdetta. ‘La botta gli ha fatto molto male!’ Lo guarda senza essere ricambiata, prima di sbottare. “Insomma cosa dice quella stringa?”
“Pazienta un attimo” risponde Luca con un sorrisino sulle labbra. “Devo mettere a punto questo programmino”.
La ragazza si sposta verso una sponda del divano, irritata e silenziosa. ‘Mi ha fatto credere di aver risolto il grattacapo, invece…’ riflette, leggendo la stringa.
“Credo di esserci” dice Luca con il viso soddisfatto. “L’alfabeto è quello latino e la chiave è ‘RHEDAE’. Ingegnoso il nostro scribacchino”.
Vanessa torna vicino al ragazzo visibilmente curiosa di scoprire il senso della frase. “Ma chi l’ha scritta” dice ridendo, “non aveva i nostri mezzi! Tanto di cappello”.
Luca solleva un sopracciglio, prima di immergersi nel suo computer. Dopo qualche minuto distende le braccia dietro la testa, soddisfatto del risultato. “Non sei curiosa di sapere cosa c’è scritto?” domanda il ragazzo.
“Sì” replica Vanessa che pare seduta su un rosaio tanto si dimena per trovare una posizione comoda.
“Ecco il testo decifrato ‘SUB ARA VOS REPERIETIS CINERACEA PETRA INFERA LIGNEA THECA DOMUS‘. Soddisfatta?”
La ragazza è allibita. La frase ha un senso compiuto ma non è persuasa, che sia la soluzione.
“Se fosse vero quello che hai decifrato” dice, alzandosi, “dovremmo trovare riscontri sotto l’altare”.
Luca ride di gusto. “Pensi di trovare qualcosa?”
“Sì” afferma decisa Vanessa, che si veste per uscire.
Rennes-les-Bains, 28 febbraio 2015, ore quattordici.
Pierre esce dal centro medico con un vistoso cerotto sulla guancia e la bocca un po’ storta.
“Mi raccomando” gli ha detto il medico che l’ha curato. “solo cibi liquidi e usi una cannuccia. Il taglio alla lingua è profondo”.
“Per quanto tempo?” si è informato l’uomo, parlando a fatica per i punti di sutura.
“Domani l’aspetto qui per la medicazione” gli ha risposto, eludendo la sua domanda.
Guida con prudenza verso Rennes-le-Chateau. Il dolore non è scemato, anzi tende a crescere man mano che la puntura di anestesia locale perde di efficacia nei suoi effetti. ‘Quella gatta ha degli artigli non male’ si dice, mentre parcheggia vicino a Le dragon de Rhedae. “Però quel caprone del suo compare non è da meno come testa dura’. Non ha appetito e rinuncia a salire nella sua stanza. Decide di passeggiare per il paese per raccogliere le idee. La giornata non è ideale per camminare. Nuvole basse e qualche accenno di pioggia sconsiglierebbero chiunque ma non Pierre, che deve fare il punto della situazione in silenzio.
‘Il Gran Maestro è stato categorico su un punto’ si dice, mentre percorre le vie strette senza marciapiede del piccolo paese. ‘Devo scoprire cosa sanno sul tesoro dei templari e poi bloccarli. Come?’ Scuote la testa ma fitte dolorose gli fanno rinunciare quasi istantaneamente al movimento. La lingua duole con fitte acute che penetrano nervosamente nel cervello. I graffi, per nulla superficiali, fanno sentire la loro voce. L’effetto dell’anestesia è svanito, riattivando tutti i dolori assopiti. Si ritrova nello spazio vicino al complesso di Saunière a osservare la vallata dell’Aude, grigia come il cielo. Le cime dei Pirenei sono occultate da nuvole scure per effetto della luce calante del giorno.
‘Quella gatta mi ha fregato’ pensa, cercando di dominare il pulsare del dolore nelle ferite. ‘Mi ha fatto credere quello che ha voluto lei. Ma è stato quel grido Henri a mettermi in crisi’. Poi si avvia lentamente verso lo stradello che conduce alla chiesa. Erbacce crescono ispide ai lati e il prato non è messo molto meglio.
Vede qualcosa dinnanzi a lui e si irrigidisce.