L’amica Elena mi ha messo in contatto con un’amica che dipinge che gli ha preparato un bozzetto per il suo nuovo libro.
Incuriosito ma anche per fare una copertina fuori dagli usuali canoni ci siamo scambiati un paio di email per metterci d’accordo.
Ecco i due bozzetti che mi ha preparato.
La mia preferenza è caduta sulla copertina 1 che mi è piaciuta fin dall’inizio.
Quando Simona, questo il suo nome, mi presenterà il bozzetto definitivo, lo condividerò con tutti voi. A voi cosa piace.
Il nuovo libro uscirà non appena la copertina sarà pronta. In realtà avevo programmato di pubblicare la quarta e ultima avventura di Puzzone ma sono troppo indietro per farlo.
Lizzano, 7 febbraio 1310, ora sesta anno quinto di Clemente V
Elisa e Alberto accolgono con calore Pietro e Domenico, che appare intimorito da tanta familiarità. Lui vorrebbe scappare subito ma i genitori di Lucia sono irremovibili.
“Partirete domani mattina al primo albore” dice Alberto. “Metterò il vostro bue nella stalla. Starà un po’ stretto ma al caldo e avrà fieno in abbondanza”.
Detto questo esce per staccare la bestia dal carro e portarla al riparo.
Elisa prepara qualcosa di caldo per i due ospiti, che hanno il viso rosso per il freddo. Il viaggio è stato difficoltoso tra gelo e nevicate e pareva non finire mai. La copertura li ha protetti dalla neve ma non dal vento che condensava il loro fiato.
Lucia sta in silenzio in un angolo. Aspetta di essere interpellata e rispondere con il consenso dei genitori. Avrebbe molte cose da raccontare sul nonno ma le tiene gelosamente per sé.
Pietro vorrebbe chiedere di Giacomo ma i segnali del lutto recente sono troppo visibili per domandare. Non vuole acuire il loro dolore che si legge sui loro volti tristi e tirati. ‘Ci sarà il momento per parlarne’ si dice Pietro. ‘Forse aspettano che l’ospite se ne vada’.
Passano il pomeriggio a parlare del tempo, di animali e dei lavori nei campi durante la bella stagione. Dialoghi stentati e del tutto banali per far arrivare sera.
Elisa prepara la stanza al pianoterra, accanto a quella occupata da Giacomo. Lucia va a dormire nel sottotetto, perché ha ceduto la sua camera a Pietro.
“Non è giusto” protesta Pietro con ardore ma inutilmente. “Posso dividere la stanza con Domenico”.
Elisa è irremovibile. “Non abbiamo una stanza per gli ospiti” fa, scuotendo la testa. “E voi sei importante per noi. Non possiamo mettervi nella stanza dei malati, quella dove è morto Giacomo”.
Pietro non è d’accordo senza successo. “La stanza dei malati va benissimo” dice il frate, che vorrebbe toccare quella pietra che custodisce il suo segreto.
“Sono abituata a dormire nel sottotetto” afferma con foga Lucia, felice di cedere il suo letto a quella persona che ha sognato tutte le notti.
Il mattino seguente Domenico, dopo un’abbondante colazione calda, parte verso casa con un po’ di provviste per il lungo viaggio di ritorno. Il tempo è ancora incerto. Non nevica ma fa meno freddo. Pietro lo prende in disparte e gli consegna un piccolo sacchetto di cuoio pieno di bolognini d’argento.
“Grazie, Domenico” dice il frate, stringendogli le mani. “Che Gesù e Maria Maddalena siano sempre con voi”.
Partito Domenico i genitori di Lucia parlano di Giacomo per esternare il loro dolore.
“Se ne è andato la scorsa settimana” dice Alberto con gli occhi tristi e umidi per le lacrime, che vorrebbero uscire. “L’abbiamo portato via tre giorni fa”.
Pietro resta in silenzio. Non riesce a trovare le giuste parole per consolarli per il dolore della perdita di Giacomo. Ha paura di ferirli, dicendo qualcosa di troppo.
“Sarei stato lieto di riabbracciarlo un’altra volta” mormora Pietro, quasi in un sussurro.
“Il nonno chiedeva sempre di voi” dice Lucia, che parla senza aspettare il consenso dei genitori. “Anche l’ultima sera che è stato con noi, ha chiesto di voi. Abbiamo sperato che poteste arrivare in tempo”.
Gli occhi nocciola della ragazza si riempiono di lacrime e scappa nella sua stanza.
Pietro rimane in silenzio, mentre ascolta Alberto.
“Giacomo” esordisce il padre di Lucia, “aveva una predilezione per Lucia. Erano sempre vicini. Lui, così burbero e di poche parole, si scioglieva come neve al sole, quando Lucia gli era accanto. Diventava un’altra persona”.
Alberto si interrompe, perché la voce è incrinata dal pianto, che a stento reprime.
“Che ci fosse una simbiosi speciale tra Giacomo e Lucia” dice Pietro, che ha riacquistato la parola, “lo avevo intuito l’ultima volta che sono stato qui. La dolcezza della ragazza, che lo accudiva con amore, era ricambiata dall’affetto profondo di Giacomo verso di lei, che si poteva toccare con mano”.
Il silenzio piomba nella stanza, mentre tutti guardano il fuoco che scoppietta nel camino. Lucia è sulla soglia della cucina e ascolta le parole di Pietro. Un amaro sorriso affiora sulle sue labbra, perché il frate ha colto l’essenza del suo rapporto con Giacomo ma il nonno non c’è più. C’è un vuoto dentro di lei che difficilmente sarà colmato.
Alberto si riscuote dal torpore conseguente a quanto ha detto Pietro. Il frate, rimasto un paio di giorni presso di loro due anni prima, aveva intravvisto quello che era sotto i suoi occhi e che lui non vedeva. Non aveva compreso la vera natura del rapporto speciale tra nonno e nipote. È stato cieco per tanto tempo. Solo adesso capisce il dolore della figlia.
Lucia in silenzio si siede al fianco di Pietro. Il frate intuisce che si deve spezzare quell’atmosfera cupa di dolore. Tutti si guardano muti, incapaci di parlare. Si deve cambiare argomento.
“Non vorrei abusare della vostra pazienza e della vostra ospitalità” dice Pietro, volgendo lo sguardo sui genitori di Lucia. “Ma allo stesso tempo non vorrei apparire a vostri occhi come un ingrato che pensi solo a sé, andandosene senza lenire il vostro dolore”.
Alberto tenta di abbozzare una risposta ma lascia cadere le braccia lungo il corpo senza dire nulla. Elisa è rimasta taciturna. Tra lei e suo suocero non c’è stato mai feeling, perché le rimproverava di essere entrata nella famiglia senza una dote adeguata. Giacomo non era stato contento, quando il figlio gli ha detto che l’avrebbe sposata. Avrebbe preferito la figlia di un fittavolo, che aveva un piccolo podere confinante col suo. Però Alberto era stato irremovibile. Giacomo alla fine aveva accettato la scelta del figlio ma era rimasto quel sottile muro che l’aveva diviso dalla nuora. Anche la nascita di Lucia aveva accentuato il suo disappunto verso Elisa, che non mancava di rimarcare. Nessuno sgarbo o cattiva parola ma solo freddezza e frasi di circostanza. Aveva sperato in un maschio ma era arrivata una femmina. Un maschio avrebbe aiutato nei lavori quotidiani. Una femmina se ne sarebbe andata e avrebbe richiesto una dote. Questo aveva accentuato le distanze tra Elisa e Giacomo, né è diminuita col passare del tempo. All’inizio la sua natura burbera e aspra da montanaro si era palesata nei confronti di Lucia con indifferenza e astio. Poi la natura vivace e allegra della nipote aveva conquistato quel cuore dolce, che batteva sotto la dura scorza del carattere. Quando poi è stato costretto a stare seduto senza la possibilità di muoversi, Lucia gli è stata accanto, aiutandolo e facendogli compagnia con una dedizione disinteressata. Il legame tra loro è diventato sempre più solido, fino a diventare una simbiosi, come aveva notato Pietro.
“Devo affrontare un lungo viaggio” dice Pietro, che ha osservato gli sguardi incerti di Alberto ed Elisa. “Quindi ho pensato di prendere commiato da voi”.
“No” fa Lucia, che non vorrebbe che il frate parta. “Rimanete con noi anche la giornata odierna, facendoci godere della vostra presenza. Domani di buon ora partirete con nostro dispiacere”.
“Ha ragione, Lucia” afferma Alberto, che nota un segno di assenso da parte di Elisa. “La vostra presenza allevierà il nostro dolore”.
Pietro si alza per abbracciare prima Elisa e poi Alberto. Un abbraccio sincero e pieno di calore. Il suo sguardo incrocia quello di Lucia. Non c’è bisogno di parole. I loro occhi si trasmettono un muto messaggio d’intesa. Sa che può fidarsi di questa fanciulla posata e più matura dei suoi vent’anni. Pietro non ha potuto verificare che la cassetta sia integra e al suo posto ma ne è quasi certo. Se prima il custode era Giacomo, adesso questo ruolo lo può assumere Lucia.
La ragazza intuisce che il segreto custodito dal nonno passerà a lei. Lo sguardo di Pietro è stato più eloquente di mille parole.
“In che modo posso rendermi utile” esordisce Pietro, distendendo le rughe della fronte.
“Siete nostro gradito ospite” dice Elisa, che finalmente parla dopo essere rimasta muta tutta la mattinata. “Presso di noi gli ospiti sono riveriti e serviti. Venite, Lucia. Andiamo nella dispensa a preparare un lauto banchetto per onorare Pietro”.
“Vi ringrazio, madonna” fa Pietro. “Mi è sufficiente una zuppa calda di verdure con pane di segale”.
“Come volete” risponde Elisa, mentre si avvia a preparare il pranzo.
Pietro vorrebbe andare nella stanza di Giacomo a controllare se la pietra è rimasta al suo posto ma adesso non lo può fare. Quindi conversa stancamente con Alberto.
“Il vostro bardo” dice Alberto, “sta magnificamente. Un animale docile e per nulla impegnativo”.
“Il mio debito” chiede Pietro, “a quanto ammonta? Fieno e avena costano”.
Alberto sorride e scuote il capo. “Vorrete scherzare?” fa l’uomo, diventato serio. “Siamo noi debitori nei vostri confronti. Dei bolognini d’argento ne sono rimasti un bel po’”.
“Teneteli voi, come ricompensa per l’ospitalità” dice Pietro.
Alberto vuol replicare ma Elisa annuncia che il pranzo è pronto. Mangiano senza parlare molto, mentre il cielo minaccia altra neve.
“Siete sicuro di voler partire domani?” chiede Lucia, che ha timori per il viaggio di Pietro.
“Sì” risponde il frate, che sta accanto al camino insieme agli altri. “Non posso tardare ulteriormente. Il percorso è lungo e pieno d’insidie”.
“Ma di neve ne è caduta un bel po’” insiste Lucia, alla quale dispiace la partenza del frate, “e forse ne cadrà stanotte un’altra montagna. In paese dicono che le strade siano impraticabili e i lupi scendano dai boschi per la fame. Ne hanno avvistato un branco vicino al paese. Tutti abbiamo timore di essere attaccati e per il nostro bestiame”.
Pietro sorride per le parole di Lucia. Pensa che abbia ragione ma non può permettersi altri ritardi. Il viaggio verso Paris è lungo e pericoloso. Dovrà percorrere strade sconosciute ed evitare il maltempo, se gli è possibile.
“Siete tutti molto gentili ma marzo è vicino” dice Pietro. “Per quell’epoca devo essere a Paris. Il periodo per viaggiare non è il migliore”.
Alberto comprende che sarà inutile convincere il frate, che ha deciso di partire con qualsiasi tempo, sfidando la fortuna.
“Stanotte dormirò al piano terra” afferma Pietro, che guarda Lucia. Si scambiano un muto messaggio. ‘Ti aspetto’ sembrano dire gli occhi del frate. ‘Verrò’ rispondono quelli di Lucia. “Non mi pare giusto che Lucia si sacrifichi ancora a dormire nella soffitta. In quella stanza ho già riposato e ci starò benissimo”.
Fa buio presto, mentre fuori infuria una bufera di neve e di vento. Cenano frugalmente in silenzio e si preparano per la notte.
“Non preoccupatevi, se accendo una candela” fa Pietro, lanciando un messaggio a Lucia che comprende. “Alla prima vigilia devo recitare le mie preghiere”.
‘Dunque’ si dice Lucia, ‘quello è il segnale’. Sa che deve rimanere sveglia in attesa di quel debole bagliore.
Restano alzati ancora un po’, mentre il fuoco sta morendo nel camino.
“Ho messo un braciere nel vostro letto” dice Lucia a Pietro. “Così le lenzuola non saranno di ghiaccio”.
“Vi ringrazio, Lucia” fa Pietro con un bel sorriso. “Siete una fanciulla dotata di gran cuore”.
Ognuno si ritira nelle proprie stanze. Pietro resta alzato, aspetta che il silenzio cali nella casa. È la prima vigilia. Accende il cero e attende. L’attesa dura poco, perché il passo leggero di Lucia scende con cautela la scala di legno. Lei era rimasta nel letto con la porta semi socchiusa per notare il lieve chiarore del segnale. La ragazza non avverte il freddo, anche se è coperta solo da un camicione di lana pesante e cammina a piedi nudi. L’eccitazione di ascoltare Pietro la riscalda.
Trova il frate sulla porta aperta della stanza dei malati. ‘Dunque è come pensavo’ si dice, seguendolo. Pietro si ferma in un angolo della stanza. Osserva la quarta pietra. È esattamente come l’ha posta due anni prima. Nessuno l’ha spostata e un filo di polvere nasconde che non è fissa.
“Vedi questa pietra?” le sussurra Pietro, mentre la sposta. “Qui ho nascosto una cassetta, avuta in custodia. Fino a una settimana fa era il nonno a custodirla”.
Lucia annuisce, mentre avverte che i piedi stanno congelandosi per il freddo del pavimento. ‘Devo resistere’ pensa la fanciulla. ‘Devo resistere finché Pietro non ha spiegato tutto’.
“Affido a voi la custodia” prosegue Pietro, “finché non la verrò a recuperare”.
“Se non tornerete?” domanda Lucia con lo sguardo triste.
“Qualcuno saprà farsi riconoscere” dice con un filo di voce Pietro.
“Come?”
“Non lo so” fa il frate, rimettendo la pietra al suo posto “ma di certo troverà il modo”.
Un abbraccio suggella il patto.
La mattina seguente Pietro saluta Lucia e suoi genitori. Durante la notte è caduta molta neve, più di tre piedi ma il frate è deciso. Deve partire a ogni costo. Prende il bardo, che copre con la coperta regalata da Lucia. Si avvolge nel suo mantello bianco pesante e si gira per vedere quegli amici per l’ultima volta. Non sa se sarà un arrivederci oppure un addio ma i confratelli lo aspettano a Paris. Un impresa ardua ma Pietro l’affronta con spirito libero e indomito, sicuro di essere dalla parte della giustizia.
È un processo sommario quello, che il re di Francia, Filippo IV, e Papa Clemente V stanno allestendo contro il Gran Maestro e oltre cinquecento templari. Pietro, quando sarà a Paris, reclamerà con vigore il passaggio a un processo ecclesiale. Questa sarà la sua linea difensiva, perché l’ordine è da “sempre” una prelatura personale del pontefice. Tale situazione ha consentito ai Cavalieri del Tempio di rispondere solo ed esclusivamente al Papa per le loro azioni.
Pietro comprende benissimo che sarà difficile sostenere questa tesi ma la fede lo sorregge.
Affrontano la lunga salita del Col de Larche tra due imponenti ali di neve. Il valico è stato riaperto da poche settimane. Rivoli di acqua come minuscoli torrentelli attraversano la strada. Il tempo pare che voglia volgere al brutto. Il sole è coperto da una nuvolaglia grigia.
“Dove siamo?” chiede Vanessa, che è rimasta in silenzio, impegnata a umettarsi le labbra.
“In Francia” replica secco Luca, senza muovere un muscolo della faccia.
“Grazie per informazione” fa Vanessa, stirando le labbra in un sorriso amaro.
“Se il navigatore non sbaglia” dice Luca, indicando il vecchio Galaxy inserito nel suo supporto, “tra una decina di chilometri siamo in Italia”.
“Ma questi tornanti non finiscono mai?” domanda Vanessa con lo sguardo opaco e lo stomaco sotto sopra.
Luca sorride, perché immagina che nello stato, in cui si trova, non deve essere semplice resistere ai conati di vomito. ‘Purtroppo fino al valico è in pratica impossibile fermarsi’ pensa. Guida con dolcezza, cercando di non accentuare le curve. Stanno correndo tra due muri di neve alti un paio di metri, mentre grossi TIR scendono a valle. ‘Molto spettacolare in altre condizioni’ si dice, ‘ma Van non può apprezzare la bellezza dei luoghi’. Sa che in pochi minuti sarebbero in cima al valico ma tiene un’andatura moderata per mitigare il senso di mal d’auto della ragazza.
Si ferma al termine della salita per far rifiatare Vanessa, che è terrea in volto. Gli occhi sono spenti, acquosi e il rosso dei capelli opaco. L’aria fresca dei quasi duemila metri le dà un po’ di ristoro. Camminano tra cumuli di neve sporca, mentre due camion di passaggio lasciano dietro di loro una puzza di nafta che stimola il vomito della ragazza. Provano a entrare nel locale, anche se Luca immagina che l’odore di chiuso non avrà effetti migliori per lei.
Come previsto la ragazza esce di corsa. ‘Meglio fuori e sentire il puzzo dei motori surriscaldati’ si dice, ‘che l’odore di stantio, di sudore e di mangiare del locale’. Cammina un po’ goffamente, perché la mancanza delle mutandine si fa sentire. Aveva sperato di mettersele nei servizi della baita ma sarebbe una missione impossibile resistere al chiuso.
Luca vede di fianco al bancone una bottiglia d’acqua minerale italiana, Sant’Anna, e la compra. ‘Lo so che Van proprio non sopporta la Evian’ pensa, mentre paga, ‘ma in Francia c’è solo quella in pratica’.
“Ripartiamo oppure preferisci restare all’aria aperta ancora un po’?” fa Luca, prendendola sotto braccio.
Vanessa mugola qualcosa d’indefinito ma punta verso la macchina. Sono quasi le diciassette e la luce tende ad affievolirsi. “Meglio mettersi in moto” dice la ragazza col volto bianco per il malessere.
“D’accordo” fa Luca, aprendo le portiere. È preoccupato nel vederla ridotta a uno straccio. La fronte è corrugata e le labbra sono serrate.
Luca guida con prudenza nell’affrontare la discesa per nulla agevole, neppure migliore della salita. Prende le curve con dolcezza. Usa i freni solo quando è strettamente necessario o incrocia quegli articolati che salgono verso il valico emettendo pennacchi di fumo nero a ogni sgasata. Vanessa lo guarda in silenzio, perché ha capito che Luca sta usando tutte le precauzioni per non farla sentire peggio. Ha aperto la nuova bottiglia e continua a umettarsi le labbra. Scendono a valle. Alle diciotto entrano in Cuneo.
“Dove alloggiamo?” chiede Vanessa, che sta sognando un bagno e un letto.
“Credevo che lo sapessi tu” fa Luca ironico per strapparle un sorriso.
“Non cambi mai” dice la ragazza, scuotendo i riccioli rossi.
“E perché dovrei cambiare?” replica il ragazzo con una smorfia che dovrebbe mostrare gioia. “Cerca un Hotel. Purché sia in centro”.
Vanessa ride con gli occhi. “Per caso è una metropoli?”
“No” dice col viso serio delle grandi occasioni Luca. “Ma in centro è meglio”.
La ragazza scuote la testa. Cerca qualcosa. Le piace un palazzo storico. “Favoloso!” esclama.
“Favoloso?” chiede spalancando gli occhi Luca.
“Stavo leggendo” replica Vanessa, che pare avere ritrovato un po’ di buon umore.
“Bene. Prenota. Tra pochi minuti ci siamo” conclude Luca.
Si fermano davanti a una vecchia costruzione dove campeggia una insegna luminosa. Luca storce il naso. L’esterno non promette nulla di buono. Parcheggia nelle vicinanze. Nessun segnale di divieto di sosta. Dunque è buono.
“I signori Felici” dice Luca alla receptionist, una bionda ossigenata. “Abbiamo appena prenotato”.
La ragazza controlla ma scuote il capo. “È sicuro?” chiede con gentilezza.
“Ma certamente” afferma Luca, mentre Vanessa è distratta a osservare gli interni in stile classico. “Ha telefonato cinque minuti fa”.
“Ho solo una signora Vanessa Medici” replica la receptionist.
“Proprio quella” esclama Luca con un largo sorriso sulla bocca. “Si diverte a dare il nome da ragazza”.
“Ah!” è l’unico suono che esce. Prende una chiave e l’allunga a Luca. “Secondo piano. L’ascensore è vicino alle scale”.
“Grazie” fa Luca, mentre recupera Vanessa.
Saliti in camera, Vanessa si spoglia completamente e si fa una doccia.
“Mangi o saltiamo la cena?” dice Luca, che saggia il letto. La notte precedente ha dormito su un divano e per poche ore. Non ha molto appetito ma aspetta una risposta da Vanessa.
“Dici che mi farà male?” chiede la ragazza con l’asciugamano a mo’ di turbante sulla testa e nient’altro.
“Sei deliziosa” dice Luca, che la osserva con occhio lascivo.
“Non mi incanti” risponde Vanessa, che è alla ricerca di un intimo pulito. “Non farti cattive idee e rispondi alla mia domanda”.
“D’accordo” fa il ragazzo, che riflette. ‘Un riso bollito e qualche verdura cotta non dovrebbe procurare sconquassi’ riflette prima di rispondere.
“Direi di no. Penso che qualcosa di leggero possa andare bene” dice Luca. “Mi faccio una doccia anch’io. Puzzo come un caprone. Poi cerchiamo una trattoria vicina”.
“Ma ho visto che c’è il ristorante interno” obietta Vanessa.
“Okay” concorda Luca, senza nessuna voglia di discutere. La stanchezza sta scendendo implacabile.
Consumato un pasto leggero, tornano in camera. Sono distrutti e desiderano solo dormire.
Decidono di fermarsi anche il giorno successivo per riprendersi. Ripartiranno dopo avere smaltito stress e adrenalina. Allegri si mettono sulla via di casa. Dopo tre settimane di pellegrinaggi in giro per la Francia avvertono la nostalgia delle loro case.
“Ti accompagno a casa” dice Luca, entrando in Bologna. Sono quasi le diciotto.
“Non ti fermi a mangiare una pizza con me?” gli chiede Vanessa con gli occhi che dicono ‘e poi stai a dormire da me’.
Dopo aver condiviso il letto con Luca durante viaggio nella terra dei Franchi, stasera preferisce averlo accanto. Le dà sicurezza. La paura di Henri non è ancora svanita. ‘Tutto sommato’ si dice sospirando, ‘è stato come compagno di letto molto meglio di tanti altri’.
“Mi fa piacere” risponde Luca, che anche lui non ha voglia di passare la serata da solo. “Allora parcheggio bene e ti aiuto col bagaglio”.
“Vuoi lasciare il tuo in macchina?” fa Vanessa con gli occhi dolci.
Luca sorride. Ha capito al volo l’affermazione. “No, di certo. Non si sa mai che lo rubino” dice col viso disteso da angioletto.
Abbracciati come due amanti, salgono in casa di Vanessa senza tanta voglia di uscire. Una pizza express può andare bene.
Entrati, Luca controlla con minuziosa attenzione l’appartamento. Non vuole avere sorprese. Per il momento tace.
“Ma il tesoro dei templari?” fa Vanessa, che è accasciata sul divano, mentre Luca arieggia la casa.
“Cosa?” replica il ragazzo, fingendo di non aver capito. “Il tesoro? Chissà dov’è finito! Però sarei curioso di conoscere il contenuto della famosa cassetta di Pietro”.
“Domani andiamo a Lizzano a controllare” dice Vanessa con gli occhi chiusi.
“Domani?” esclama Luca, spalancando le palpebre per la sorpresa. ‘Ha ancora voglia di avventure?’ si dice il ragazzo, scuotendo la testa. ‘Non le sono bastate tre settimane?’
“Domani dormirò tutto il giorno” conclude Luca. “E poi prima ci dobbiamo sbarazzare di Henri”.
Vanessa si alza in piedi, mentre con lo sguardo percorre la stanza.
“Tranqui, Van” fa Luca con un sorriso maligno. “Tra un po’ sloggia”.
Dignes-le-bains, 10 marzo 2015 ore quindici
Pierre ha telefonato al Gran Maestro e ha ancora le orecchie assordate per le urla che ha sentito. ‘Così infuriato’ pensa, mentre assiste al montaggio delle due ruote posteriori della Mini, ‘non l’ho mai percepito. Di solito non alza la voce. Parla pacato, anche quando è arrabbiato. Ma prima era fuori sé. Se avesse potuto mi avrebbe strangolato. Poi quella chiusa al tuo arrivo a Oak Island facciamo i conti, mi ha messo i brividi’.
L’unico modo è recuperare la cassetta di Pietro e portargli i due ragazzi. ‘Mica impresa da poco’ conviene, mentre riparte verso Nizza. ‘Due personaggi da prendere con le pinze. Pieni di risorse e d’inventiva. Li aspetterò sotto casa a Bologna’.
Guida fino a notte inoltrata e si apposta nelle vicinanze. Dopo due giorni di attesa paziente li vede arrivare. ‘Finalmente’ sospira Pierre. ‘Aspetterò il buio per entrare in azione’.
Sta mangiando un panino e bevendo una birra, quando sente picchiettare sul vetro. Sono due carabinieri. Uno armato di mitraglietta. Abbassa il finestrino. “Dite” afferma Pierre cortese in un italiano da straniero.
“Scenda” dice uno dei due. “Con le mani bene in vista”.
Pierre è sorpreso. Non capisce il motivo ma fa come gli hanno ordinato. Si guarda intorno smarrito e alza gli occhi verso una finestra. Un viso beffardo lo saluta, mentre viene caricato sull’Alfa blu dei carabinieri.
Fiume Reno, 31 gennaio 1310 – ora sesta anno quinto di Clemente V
Pietro sta camminando da diverse ore sotto una copiosa nevicata. Non sa con precisione se è sulla strada giusta per l’appuntamento con Domenico ma la fede lo spinge a proseguire nel suo cammino. Le indicazioni sono state vaghe. ‘Troverete un capanno non molto grande andando verso la sorgente. È posta su un’ansa del fiume. Non potete sbagliarvi’. Aveva detto Tonio, l’unico servitore rimasto nella magione. Il frate ripensa a quelle parole ma non è detto che la direzione sia quella corretta.
‘Ma il fiume è il Reno?’ si chiede, riparandosi gli occhi dagli aghi pungenti dei fiocchi nevosi con una mano. Il cappuccio lo ripara ma il viso è esposto al vento e alla neve. Pietro si domanda con quale mezzo andrà verso Lizzano. Il tempo inclemente non favorisce gli spostamenti ma ha fiducia nella sua guida, che conoscerà presto. Almeno questa è la sua speranza. Mentre prosegue la marcia, ripensa agli avvenimenti degli ultimi due anni.
‘È stato un periodo burrascoso quello trascorso’ si dice Pietro, liberando con la mano il viso dalla neve. ‘Quel frate domenicano…’ e si interrompe un attimo. Non vuole pronunciare il suo nome, perché avverte crescere la collera dentro di sé. ‘Ci ha reso la vita dura. Non abbiamo potuto contare sulle nostre proprietà. Ha ostacolato i rifornimenti. Di fatto ci ha messo in prigione’. Pietro si ferma e dice qualche orazione. I pensieri lo hanno fatto peccare e si deve mondare, se vuole godere dell’appoggio di Gesù e di Maria Maddalena.
Riprende a camminare. La neve ha quasi smesso di scendere ma il cielo è latteo e il frate affonda per circa un piede nella coltre bianca. Ci sono solo le sue impronte sul terreno dietro di sé, mentre davanti il manto nevoso è intatto.
‘Fino a settembre dell’anno appena trascorso siamo stati sotto il giogo dell’inquisitore’ ricorda Pietro. ‘Poi la situazione è cambiata. Rinaldo da Concoregio, il nostro arcivescovo, ha assunto il comando, consentendo un miglioramento del nostro status’.
Mentre sta riflettendo su questo, gli pare di scorgere in lontananza tra gli sterpi imbiancati una costruzione scura. ‘È il capanno?’ si chiede, fermandosi un attimo per mettere a fuoco quell’immagine. Si inginocchia verso levante per ringraziare Gesù e Maria Maddalena per l’aiuto ricevuto. Riprende il cammino con maggiore lena, dopo essersi scrollato mantello dalla neve.
Un nuovo dubbio lo assale ma lo scaccia subito. ‘Devo avere fede’ si dice, accelerando il passo. Non ha un’idea da quanto tempo è in marcia. ‘Potrebbe essere l’ora terza come la sesta’ pensa Pietro. Il capanno appare come un miraggio. Pare essere lì a portata di mano ma non si avvicina mai. Il fiume sembra un serpente in preda alle convulsioni.
Il cielo si schiarisce e non nevica più. Bussa alla porta per annunciarsi.
“Avanti” dice una voce dall’interno.
Pietro non riesce a quantificare l’età della persona. Entra in un ambiente gelido, appena mitigato da un misero braciere.
“Pensavo” fa un uomo dalla barba folta, avvolto in una pelle di agnello, “che avesse rinunciato, visto le condizioni del tempo. Stavo per andarmene”.
“Sono desolato” esordisce Pietro. “Ho pensato più volte di essermi perso. Il cielo coperto e la tempesta di neve mi hanno impedito di arrivare più in fretta”.
Domenico spegne il fuoco, immergendolo nella neve.
“Andiamo” dice, avviandosi verso la campagna.
“Dove?” chiede il frate, che non ha compreso dove si stanno dirigendo.
“A casa mia” fa Domenico, scendendo con prudenza dall’argine. “Stasera stiamo al coperto. Domani di buon ora si parte”.
Pietro segue in silenzio la sua guida. Attraversato un boschetto spoglio ma carico di neve, vede una costruzione bassa in muratura dal comignolo della quale esce un filo di fumo bianco. Tutto intorno un bianco candore immacolato.
“Bianca” urla Domenico, entrando in androne buio. Si toglie la neve dalle calzature, battendole contro un supporto di ferro. “Siamo arrivati. Prepara qualcosa di caldo. Siamo infreddoliti”.
Pietro lo segue ma prima si toglie il mantello incrostato di ghiaccio. La cucina è accogliente con il suo tepore. Sul focolare sta una pignatta. L’ambiente è ordinato. Un tavolo rustico, qualche sedia di legno, un canterano semplice in ciliegio, dove si conserva la legna, una madia in un angolo. Una donna sfiorita mescola il contenuto della pentola.
Domenico si siede vicino al tavolo e fa cenno a Pietro di fare altrettanto. Da una brocca sbeccata si versa in un boccale di terracotta del vino, che tracanna tutto d’un fiato. Poi taglia da una forma al centro del tavolo un pezzo di pane nero di segale, che mette intero in bocca, masticando rumorosamente.
“Ho fame, Bianca” dice Domenico con la bocca piena, mentre qualche frammento di pane scivola sul petto.
Pietro lo guarda allibito. In un attimo ha bevuto un boccale di vino. Ha ingurgitato un pezzo di pane enorme e adesso chiede a gran voce qualcosa d’altro da mangiare. Lui aspetta una scodella di zuppa di verdure, che sta bollendo sul fuoco.
La donna si affretta a portare in tavola del formaggio di capra stagionato e una caraffa di vino caldo, due ciotole lucide e due boccali di stagno. Pietro prende un pezzo di formaggio e si versa due dita di vino caldo, che profuma di spezie.
Domenico ride vedendo il frate che non mangia nulla e beve pochissimo. Lui non si fa pregare per finire tutto. Fuori è calato in fretta il buio. Il freddo fa gelare la neve caduta.
Al primo albore Domenico e Pietro si mettono in viaggio su un carro coperto da un telo di canapa, trainato da un bue. Procede lento e fatica a salire, perché il freddo della notte ha trasformato la neve in ghiaccio e le zampe dell’animale tendono a scivolare.
“Ci metteremo diversi giorni” esordisce Domenico, sollecitando la bestia, che fuma per freddo, “e non sarà una passeggiata”.
“Non ho fretta” mente Pietro che avrebbe voluto essere già tra i suoi monti ad abbracciare Giacomo e Lucia. “Ci metteremo tutto il tempo che serve”.
La lenta andatura, il silenzio della natura ricoperta dalla neve invogliano il frate a riflettere sugli ultimi avvenimenti. Rinaldo da Concoregio è stato ospite della magione per due mesi. Il tempo per svolgere il concilio bolognese su di loro. La tensione si è allentata in quel periodo, perché l’inquisitore è stato meno asfissiante. Le vettovaglie erano più abbondanti, i controlli meno pignoli. Loro potevano muoversi con maggiore libertà. Così quando un messo papale gli ha portato la notizia che avrebbe dovuto mettersi in cammino per raggiungere Paris e difendere i confratelli imprigionati, ha potuto organizzare il viaggio con maggior tranquillità.
Il vescovo nel lasciare la commenda ha dato ordine che venga fornito per tutti, compreso Tonio, il domestico, beni e denaro, affinché possano avere una vita dignitosa. L’inquisitore si era opposto ma ha dovuto cedere. Pietro aveva conosciuto Rinaldo ai tempi dello Studio bolognese. Il ricordo dell’antica amicizia gli aveva permesso di parlare liberamente durante il soggiorno presso la loro domus. Pietro è convinto che anche senza questa conoscenza Rinaldo si sarebbe dimostrato umano e comprensivo verso di loro. Durante le lunghe sere di veglia avevano discusso di quello che era successo in Francia e di riflesso in Lombardia. Erano giunti alla conclusione che Filippo IV, il Bello, aveva commesso un sopruso ma Bertrand de Got, il loro papa, si era dimostrato troppo arrendevole. Loro si sentivano impotenti di fronte a questi avvenimenti. Tuttavia Rinaldo non ha voluto calcare la mano come Tascherio, l’inquisitore, aveva preteso.
Il viaggio dura una settimana, perché la neve e il ghiaccio impediscono una marcia più spedita.
Il sette febbraio Pietro bussa alla porta della casa di Giacomo. Anche questa volta Lucia viene ad aprire il portone. È vestita di scuro, coi capelli raccolti a crocchia. Non ha il viso allegro di quando era partito due anni prima. Pietro intuisce che Giacomo non c’è più.
“Frate Pietro!” esclama la ragazza che sorride alla sua vista. “Attendevo con impazienza il vostro arrivo”.
Li fa entrare, mentre chiama i genitore. “È arrivato Pietro!”
Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici
Pierre si muove con furia ma si ritrova col viso nella polvere e la pelle graffiata dal roveto. Qualcosa è finito tra le sue gambe. Un ramo? Un arbusto? Non riesce a decifrarlo subito, né gli importa in questo momento. Sente strappare i pantaloni mentre le spine gli graffiano il polpaccio. Avverte dolore e impedimento. Bestemmia, appoggia le mani sul terreno che avverte umido e maleodorante.
“Porca miseria” esterna Pierre, che ha capito di essere finito sull’urina di Vanessa.
Nuove esternazioni poco educate contro la ragazza. L’ira gli fa perdere il controllo dei nervi. Schifato si alza in piedi e si pulisce nei pantaloni. Non ha tempo da perdere, se vuole riacciuffare la fuggitiva.
“Dove pensa di andare, quella puttana?” sbotta irato, mentre riprende la corsa.
Sente il rumore di un auto. Gli viene il dubbio che sia corsa verso la Mini e l’abbia messa in moto. ‘La chiave è rimasta inserita’ pensa Pierre, preso dall’affanno. ‘Se fosse vero, sarebbe un bel guaio’. Si ferma per guardare in direzione della Mini, che intravvede tra gli alberi. Tira un sospiro di sollievo, subito represso.
“Ma è il rumore di un motore!” esclama Pierre, che intuisce che non si tratta della sua auto. Un dubbio lo assale. “Il suo compagno?”
Scuote la testa, correndo verso la sua auto. Non riesce a comprendere come quel diavolo possa essere arrivato fino lì. ‘Non può avermi seguito’ pensa, colto dal dubbio che la ragazza avesse un dispositivo per segnalare la sua presenza. ‘Non poteva di certo immaginare dove fossi e dove ero diretto’. Rinuncia a proseguire l’inseguimento e si fionda verso la Mini. Con un calcio chiude la portiera lato passeggero e inizia la retromarcia per mettersi all’inseguimento.
Avverte qualcosa di strano nel retrotreno. La macchina sbanda vistosamente. Accelera ma è costretto a correggere bruscamente col volante la direzione di marcia.
“Che cazzo ha!” esclama inviperito, mentre procede a zig zag, rischiando più volte di finire contro un albero. Un altro colpo di gas e una nuova sbandata. L’occhio cade sullo sterrato, perché sente degli strani tonfi sotto la macchina. Nota dei pezzi di copertone tra la polvere sollevata dalle ruote.
Nuova bestemmia e nuova imprecazione da scaricatore di porto. Si ferma e scende per controllare. Il battistrada non esiste più ma è disseminato alle sue spalle. Il cerchione posteriore destro è deformato. Fine della corsa. È impossibile proseguire in quello stato. Imprecando contro Dio, i Santi e la Madonna, cambia la ruota. Ormai sa che i due fuggitivi sono imprendibili.
“Non solo” esclama Pierre col volto rosso, congestionato dall’ira. “Ma non ho neppure un’idea della direzione che hanno preso”.
La logica gli suggerisce che hanno puntato verso la costa, dove comode e scorrevoli strade li porteranno in Italia. Tuttavia il vantaggio è incolmabile, salvo che non voglia rischiare multe e sequestro dell’auto. Sa dove abitano e questo gli è sufficiente.
Adesso ha un altro pensiero. Deve avvertire il Gran Maestro che la preda è fuggita. L’appuntamento ad Annency è saltato. Inutile andarci. Gli vengono i brividi al solo pensare che dovrà spiegare che è stata colpa sua, perché non l’ha perquisita, non ha preso nessuna precauzione. Ha dimenticato le più elementari regole sulle sicurezza. Si è comportato da grosso ingenuo, convinto che nessuno avrebbe saputo mettere un po’ di sale sulla sua coda. Una tragica sottovalutazione delle loro capacità d’interagire e di soccorrersi.
“Ma che cazzo poteva avere indosso?” dice Pierre, avviandosi verso la N85. Non riesce proprio a immaginarlo.
Si dirige verso Nizza, rifacendo il percorso all’incontrario rispetto alla mattina. ‘Punto verso Bologna’ pensa Pierre, tenendo un’andatura regolare e prudente. Alla prima città importante si deve procurare una nuova ruota di scorta. ‘Sarebbe imprudente affrontare questo lungo viaggio senza’.
Dopo una decina di minuti decide di chiamare il Gran Maestro per informarlo della situazione. Ha già commesso troppi sbagli nel passato. Un nuovo passo falso è da evitare. ‘Alla prima piazzola o spiazzo mi fermo’ si dice, mentre ne avvista una a circa trecento metri.
Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici
Vanessa corre a perdifiato verso il punto indicato con gli occhi da Luca. Il suo arrivo è stato provvidenziale, togliendola dagli impicci. Se l’era vista brutta e ormai disperava del suo arrivo. ‘Al suo amico’ pensa con un largo sorriso sul viso, ‘dovrei fare un monumento per ringraziarlo. Senza la sua app sarei stata senza speranze’. Vede la sua auto col muso diretto verso la strada nazionale. ‘Luca sembra tontolone’ si dice Vanessa con gli occhi che luccicano per la contentezza, ‘ma è previdente e assennato. Non sbaglia un colpo’. Mentalmente gli manda un bacio.
Si infila nel lato passeggero, mentre avverte un notevole bruciore tra le cosce. La mancanza delle mutandine, il senso di sporco e di umidiccio contribuiscono a questa sensazione dolorosa. La corsa, l’adrenalina, che l’ha spinta in questi frangenti, le hanno fatto dimenticare questo tormento, che non la ha abbandonata da quando ha ripreso conoscenza.
Sente il fiatone di Luca, che s’infila nell’abitacolo senza degnarla di uno sguardo. Accende il motore e parte a razzo per immettersi sulla N85. Rallenta solo un po’ per vedere chi arriva dalla sua sinistra, prima di accelerare con violenza.
“Poi andare piano adesso” dice Vanessa, aggrappata alla maniglia col viso bianco per il terrore. “Potevi arrivare prima”.
“Allaccia le cinture” risponde Luca, mentre anche lui sta compiendo questa manovra. “I francesi sono pignoli su questo versante”.
La ragazza annuisce, mentre completa l’operazione. Lui, nel frattempo modera l’andatura per rispettare i limiti. Gli hanno detto che la gendarmeria francese è inflessibile, quando ne beccano uno. ‘Meglio non rischiare’ pensa Luca.
“Dove sei stato?” lo rimbecca Vanessa di nuovo aggressiva.
“A comprarti brioche e acqua” replica Luca sereno come un cherubino, stringendole un occhio. “Nel vano portaoggetti c’è una bottiglia di Evian…”.
“Lo sai che non mi piace” fa Vanessa, storcendo il naso.
“Non sei obbligata a bere” risponde per le rime Luca. “Se cambi idea, la bottiglia è sempre lì”.
“Ma io ho una sete bestiale” dice Vanessa, umettandosi le labbra.
“Il convento passa solo questo” fa Luca, ridendo. ‘Né ho intenzione di fermarmi per comprarti qualcosa di differente. Se hai sete, anche l’Evian va bene”.
La ragazza vorrebbe replicare ma le labbra secche, la bocca che sembra carta vetrata la convincono che è meglio adattarsi per il momento. Per protestare e pretendere un altro genere di bevanda, ci sarà tempo. Brioche e cibarie posso aspettare ma l’acqua no. Si impone di bere a piccoli sorsi. Ricorda che dissetarsi troppo velocemente potrebbe darle il senso di vomito. In pratica è come se Henri le avesse praticato un’anestesia totale. Dopo la prima sorsata i succhi gastrici arrivano velocemente in gola. Li ricaccia giù con decisione. Lo stomaco vorrebbe ribellarsi. Quello che temeva, si è verificato.
“Ci sono anche dei bicchieri plastica” dice Luca, indicando col capo lo zaino alle sue spalle. “Con un fazzoletto di cotone ti umetti le labbra. Bere non è igienico. Non vorrei fermarmi per farti scendere. Mi rugherebbe molto sentire l’odore del tuo vomito in macchina”.
Vanessa annuisce. La voglia di espellere quello, che non c’è, è in agguato e il suggerimento di Luca è intelligente. ‘Non mi toglie la sete’ si dice, ‘ma almeno non corro il rischio di rigettare l’anima’. Si volta e prende dallo zaino un bicchiere ma qualcosa di cotone forse ce l’ha nel suo bagaglio.
Luca con la coda dell’occhio la vede in difficoltà. “Nello zaino c’è un mio fazzoletto”. “Pulito” fa puntualizzando.
“Grazie” risponde Vanessa, le cui priorità in questo momento è ammorbidire le labbra screpolate e la lingua ruvida.
Versa un po’ d’acqua nel bicchiere, inumidisce il fazzoletto e se lo passa sulle labbra. Un piccolo sollievo c’è ma la sete resta intensa. Si deve fare forza per non bere.
Luca guida, dirigendosi a Dignes-les-bains. Lì deve decidere se puntare verso la costa oppure inerpicarsi tra le montagne dell’Alta Provenza. Mentre sta facendo queste riflessioni, Vanessa sospende di umettarsi le labbra.
“Perché non sei arrivato la sera stessa del mio rapimento?” lo aggredisce verbalmente la ragazza.
“Perché?” chiede Luca con la faccia seria delle grandi occasioni.
“Sì, perché?” ribadisce Vanessa con lo sguardo incattivito. Deve sfogare la rabbia, repressa per quasi una giornata.
“Avevo fame e sonno” risponde col viso da angioletto il ragazzo.
Vanessa emette un urlo. Si trattiene dal piantargli le unghie sulla faccia, solo perché sta guidando.
“Stai male?” le domanda Luca.
“No!” esclama infuriata Vanessa. “Se non guidassi, ti caverei gli occhi! Io in balia di un bruto. Io, che rischiavo di essere stuprata. E tu? Hai pensato a mangiare e dormire. Tanto…”.
Luca a stento si trattiene dal replicare subito. Sapeva in anticipo quale sarebbe stata la sua reazione ma è sempre uno spasso vederla infuriata.
“Perché dovevo partire subito?” dice con un sorrisino ironico il ragazzo, mentre sta entrando in Dignes-les-bains. “Sapevo dove rintracciarti. L’app mi teneva informato”.
Vanessa bolle, si agita. Il problema sete è per il momento accantonato. Questo ingrato merita una lezione, dimenticando che l’ingrata è lei.
“E se Henri avesse gettato il mio Iphone in un cestino?” domanda la ragazza col viso rosso congestionato dalla rabbia.
“Henri sarebbe stato doppiamente coglione” dice Luca, che ha deciso di affrontare le montagne. Più lento il viaggio ma meno rischi di essere intercettato da Henri.
“E perché?” fa Vanessa, sgranando gli occhi per la risposta, che le appare singolare.
“Perché? E te lo domandi?” replica Luca. “In primis non si butta nel cesso uno smartphone da settecento euro. Al massimo avrebbe tolto la sim e buttata questa. A questo punto doveva fermarsi, aprire l’Iphone e buttare la scheda. Io me ne sarei accorto subito e sarei arrivato come un fulmine”.
Vanessa ammette che il ragionamento di Luca non fa una grinza. Ricorda più o meno vagamente che l’app è molto intelligente, in grado di segnalare anche il minimo spostamento o rallentamento della velocità. Tuttavia non gli può dare per vinto la spiegazione.
“Capito perché ho mangiato e dormito con tranquillità?” fa Luca, che sa invece di essere rimasto sulle spine, finché non si è fermato a Tende.
“Dove stiamo andando?” gli chiede Vanessa, accantonando per un attimo le schermaglie sul mancato soccorso immediato.
“Verso i monti” dice Luca, fischiettando. ‘Un momento di tregua’ pensa, ‘per distrarmi. Ma poi torna alla carica’.
“Come verso i monti?” esclama sorpresa Vanessa, che si aspettava di arrivare sulla costa.
“Quando Henri si metterà alla nostra caccia” fa Luca, mentre affronta con prudenza la strada, “penserà che andiamo verso Nizza e da lì a Mentone. Non immagina che invece affrontiamo un percorso alpino”.
Luca le chiede di verificare lo stato delle strade. L’inverno è stato nevoso e potrebbe trovare qualche strada chiusa.
“Tutte le strade sono aperte con l’uso di pneumatici da neve” sentenzia Vanessa. “Ma tu li hai?”
“Ma certamente” risponde Luca, ridendo. “Continental TS. Nuovi di zecca… o quasi”.
Le cime sono ancora innevate. Il punto peggiore è il Col de Larche, al confine con l’Italia. Un valico tosto e piuttosto alto.
“Però potevi muovere il culo” riprende Vanessa decisa a portare l’affondo. “Mi potevi risparmiare l’umiliazione della pisciata nel bosco”.
Luca ride, mentre Vanessa freme per la rabbia. Sembra che lui si voglia divertire con lei col suo atteggiamento ironico. ‘Ma…’ comincia a pensare Vanessa, ‘in effetti l’unico modo per bloccare Henri sarebbe stato far intervenire la gendarmerie. Ma forse senza costrutto’. Però non poteva ammettere pubblicamente il suo pensiero.
“Però l’ho mosso, quando è stato necessario” fa Luca sorridente.
“E va bene” ammette sconfitta Vanessa, “ma almeno hai controllato se è alle nostre calcagna?”
Luca fischietta allegro. Questa volta è tranquillo. Henri non è alle loro spalle.
“Credo che in questo momento” dice Luca con tono piatto, “abbia altre priorità rispetto a inseguirci”.
Vanessa spalanca gli occhi verdi per lo stupore. L’affermazione è troppo forte per non incuriosirla.
“Quali altre priorità, di grazia?” chiede la ragazza, volgendosi verso di lui.
“Ha una gomma squarciata” dice Luca col sorriso sulle labbra. “Ma forse dovevo tagliargli anche una seconda ruota. Per stare sul sicuro”.
Vanessa si allunga per dargli un bacio sulla guancia, prima di avvertire nuovamente il doloroso sfregamento dei jeans tra le cosce.
“Ora riprendi a umettarti le labbra” fa Luca, mentre affronta un tornante. “Non ci si ferma finché non siamo a Cuneo”.
“A Cuneo? Sarai impazzito” sbotta Vanessa che vorrebbe infilarsi mutande e collant. “Ma è lontanissimo”.
“No” replica Luca. “Perfettamente sano. Sopporterai un pochino ma voglio lasciarmi alle spalle queste montagne. E poi in un paio d’ore ci siamo”.
In effetti non ha un’idea del tempo ma gli basta per calmarla.
Mugugnando, Vanessa riprende a bagnarsi le labbra. Sa che Luca non cederà di un millimetro dalle sue decisione.
Bologna, 31 gennaio 1310, prima ora delle vigilie, anno quinto di Clemente V
È ancora presto per il mattutino. La notte è appena cominciata. Il cielo plumbeo minaccia altra neve dopo quella della sera. Una figura scivola veloce sulla candida coltre che si è adagiata sul prato. Lascia le impronte del suo passaggio. Apre la porta della chiesa, che lascia filtrare le luci delle candele.
Il frate cappellano è in attesa per iniziare l’ufficio della messa e intonare i salmi del mattutino, anche se in molto anticipo.
Forte si leva la voce per l’inno che precede le preghiere
Veníte, esultémus Dómino, iubilémus Deo salutári nostro.
Poi l’officiante comincia, mentre Il nuovo arrivato si inginocchia davanti all’altare. Ha una veste bianca con la croce rossa su una spalla. Tiene la mano sul pomo della spada che pende di fianco, infilata in un fodero di cuoio. Prende la comunione, perché vuole il conforto del corpo di Cristo per il lungo viaggio che sta per iniziare.
Quando esce dalla chiesa, scendono piccoli fiocchi di neve. Silenzioso rientra nella sua cella. Si inginocchia per l’ultima preghiera. Si toglie la tunica per mettere sotto di questa quella da viaggio, indossa un mantello di lana grezza pesante col cappuccio, chiuso con un fermaglio di ferro. Appende al cinturone di cuoio una bisaccia che contengono molti bolognini d’argento, qualche reliquia sacra. Li ha recuperati dal nascondiglio della chiesa di Sant’Homobono.
Frate Alberto gli ha detto: “Prendili. Ti serviranno per il viaggio. Non puoi appoggiarti alle nostre commende, che dovrai evitare”.
Pietro avverte sulle spalle un forte responsabilità per l’ingente somma, che rappresenta il tesoro della magione. Dovrà tenere una dettagliata descrizione delle somme spese da rendicontare al suo ritorno. A questo pensiero un brivido percorre la sua schiena. Sa che sarà in costante pericolo sia durante il viaggio che al suo arrivo a Paris. Deve affrontarli con lo spirito di sacrificio che lo anima secondo le regole dei templari.
Dà un ultimo sguardo alla sua cella, prima di porre sulla spalla sinistra una pesante sacca con quello che gli serve. Chiude dietro di sé la porta della cella e si avvia verso la sacrestia della chiesa della commenda. Si guarda intorno tutto tace, mentre dal cielo scendono fiocchi di neve copiosi.
Pietro è riuscito a mandare a Lizzano un messaggio breve per Giacomo. ‘Tra qualche giorno sono da voi’ tramite Tonio, il fedele servitore della coomenda. Spera d’incontrare di nuovo il vecchio amico e sua nipote Lucia. Deve recuperare il fedele bardo, che ha lasciato lì e controllare che la cassetta sia ancora al suo posto.
Si infila nel passaggio segreto che lo condurrà a ridosso della terza palizzata, la cinta difensiva di Bologna più esterna. Deve fare molta attenzione in questa fase, perché in agguato ci sono molte difficoltà.
Nel marzo di due anni prima era tornato alla commenda ma molti episodi hanno segnato questo periodo di tempo. Il 24 agosto del 1308 finalmente il frate Tascherio, un domenicano, ha coronato il sogno di arrestare tutti i templari della magione di Bologna. È l’inquisitore per la Lombardia meridionale ed è un loro nemico giurato. In realtà i frati erano già di fatto prigionieri, perché entrare o uscire dalla commenda era quasi impossibile. Un presidio di uomini armati stazionava giorno e notte davanti agli ingressi. Veniva controllato tutto. Nessuno sfuggiva all’occhio vigile di quei soldati. Solo Tonio aveva minori difficoltà nell’attraversare quei controlli.
Pietro ricorda quei momenti di tensione, mentre avanza nel passaggio segreto che lo condurrà alla terza palizzata. Anche adesso deve fuggire come un malfattore. ‘Eppure’ si dice il frate, quasi arrivato alla fine del cunicolo, ‘il papa mi ha chiesto di difendere il Gran Maestro, Jacques Molay, e gli altri cinquecento sessanta templari. Il processo si terrà a marzo a Paris. Spero di poter arrivare in tempo per salvarli dalla pena capitale’.
Pietro scuote il capo, perché nonostante tutto sarà un viaggio molto più pericoloso di quello affrontato due anni prima. Allora c’era ancora molta confusione ed era possibile trovare qualche alleato tra il clero e i nobili. Adesso pare che la situazione sia peggiorata in maniera considerevole. I templari sono considerati eretici e blasfemi. Non c’è paese dell’Europa che non ha imprigionato i suoi confratelli e sequestrato i loro beni, come è avvenuto a Bologna.
Nuovi ricordi affiorano nella mente di Pietro. I delegati dell’inquisitore Tascherio, Guidone Bontalenti e Francesco de’ Mussoni, hanno eseguito il sequestro di quanto era presente nella commenda. Magro è stato il loro bottino. Pietro sorride nel rammentare questo episodio, mentre esce nella sacrestia della chiesa di sant’Homobono. ‘Ci sono rimasti male’ si dice il frate con un sorriso ironico. ‘Si aspettavano grandi ricchezze. Invece hanno trovato poco o niente’.
Adesso dev’essere guardingo e silenzioso. La terza palizzata non è completa ma gli hanno riferito che ci sono guardie armate che perlustrano di notte i varchi. ‘Devo scattare’ si dice Pietro, ‘quando sono appena passati. Prima devo rimanere ben nascosto’. Lo strato nevoso è sufficientemente alto per affondare per mezzo piede. Nei pressi dell’apertura scelta per uscire dalla città c’è un casolare in pietra che può offrire un comodo riparo. La zona pericolosa è di una ventina di pertiche bolognesi ma la neve ostacolerà la corsa del frate, appesantito dalla bisaccia e dalla spada. Se ci riuscirà e se non noteranno le sue orme, tutto filerà liscio. ‘Quanti se!’ esclama in silenzio Pietro, acquattato dietro un angolo del casolare.
Vede passare il corpo di guardia e comincia a calcolare il tempo impiegheranno per tornare. ‘Uno, due, tre…’ conta il frate. ‘…cinquanta, cinquantuno, cinquantadue…’. L’attesa e la tensione lo tengono in ansia. ‘Uhm!’ si dice. ‘Non ho molto tempo a disposizione. Alla prossima ronda scatto e che Maria Maddalena mi protegga’.
La nevicata è diventata più fitta. Pietro spera di confondersi meglio con la tunica bianca. È pronto a balzare fuori dal riparo e correre oltre il varco. Vede passare la pattuglia. ‘Uno, due e tre’ e si alza di scatto per passare la cerchia muraria. Incespica, poggia una mano sul terreno indurito dal gelo. Si rialza e riprende la corsa. Cade ancora. Questa volta più rovinosamente. Avverte un dolore al ginocchio ma riprende la marcia verso l’esterno. Sembra che le pertiche siano diventate infinite, mentre avverte l’affanno del respiro. ‘Ancora un piccolo sforzo’ pensa Pietro, che non osa voltarsi indietro. L’obiettivo, un piccolo bosco, è proprio lì a portata di mano, quando avverte il passo cadenzato delle guardie. Si getta per terra con la speranza che non lo notino. Sente le loro voci, le loro bestemmie per il turno di guardia con un tempo così infame. Trattiene il respiro, non osa alzare lo sguardo verso di loro. Poi i passi si allontanano. Si leva con cautela e li vede allontanarsi. Non c’è tempo per togliere la neve, perché deve infilarsi nel bosco. Ancora pochi passi e poi sarà in salvo.
Si appoggia a un tronco di carpino per rimettersi in sesto. Il respiro è corto, affannato. Deve riprendere il controllo del proprio corpo. Adesso lo aspetta una camminata verso la montagna.
Non sa con esattezza per quanto deve proseguire. Ha una vaga indicazione del luogo. Dovrebbe raggiungere il fiume Reno e proseguire lungo l’argine per diverse miglia. Il numero esatto non lo conosce ma anche se lo sapesse, sarebbe stato difficile calcolare la distanza. Il cielo nuvoloso non l’aiuta. Si affida all’istinto.
Tonio ha dato solo vaghe indicazioni. “Uscendo dalla terza palizzata lungo Strada Maggiore, piegate verso destra fino a raggiungere il fiume Reno” ha detto il vecchio servo. “Lo seguite per circa cinque o sei miglia e troverete un capanno in legno. Una postazione usata per controllare le piene del fiume. Qui vi aspetta Domenico, un mio lontano cugino, che vi porterà fino a Lizzano”.
Pietro scuote il capo, perché non ha idea, se sta andando nella direzione giusta. Cammina, mentre il vento fa mulinare i fiocchi, che si insinuano sotto il cappuccio. Dopo un tempo che gli appare lungo e snervante intravvede in lontananza un argine e sente scorre l’acqua. ‘Forse è il Reno’ pensa Pietro, affrettando il passo, ‘ma potrebbe essere anche uno dei tanti canali che attraversano Bologna’.
Raggiunto il culmine del terrapieno, che impedisce all’acqua di uscire, si dirige verso quella che secondo lui è la montagna. Si ferma un attimo. Si inginocchia e recita le preghiere del mattutino, prima di avviarsi alla ricerca del capanno.
Pierre trova uno spazio tra due alberi e parcheggia la Mini.
“Siamo arrivati” dice, rivolgendo un sorriso sarcastico a Vanessa.
“Vedo” replica la ragazza, stringendo gli occhi. “Se mi fa scendere…”.
“Perché?” esclama Pierre divertito. Si vuole godere lo spettacolo della ragazza che lo implora.
Vanessa lo guarda incattiva. Se solo potesse avere le mani libere gli farebbe vedere chi è lei. Adesso deve abbozzare. Deve scendere oppure tra un istante se la fa addosso. ‘Che vuole?’ si dice, stringendo i denti per trattenerla. ‘Mi vuole umiliare? Ah! Se ci fosse Luca’.
“Le chiedo ancora una volta” fa Vanessa, cercando di moderare il tono. “Mi fa scendere?”
Pierre ride e gongola vedendo la ragazza che con umiltà lo supplica. Adesso deve pensare a come impedirle di sparire nel bosco, una volta libera. ‘Potrei metterle una manetta al polso e l’altra al mio’ pensa Pierre. L’idea gli sembra buona.
“Va bene” dice Pierre, aprendo la portiera per uscire.
Gira intorno alla macchina per aprire quella dove sta Vanessa. Lo fa con calcolata lentezza. Vuole assaporare la vendetta, che va servita fredda. ‘E con lentezza’ si dice. Osserva lo sguardo terrorizzato della ragazza che si contorce e stringe le gambe nel tentativo malriuscito di trattenersi dal bagnarsi ulteriormente. Finge di guardarsi intorno come se cercasse un posto dove lei possa svuotare la vescica. In realtà lo fa con deliberato scopo di umiliarla, di farle assaporare che lui l’ha in pugno. Alla fine apre la portiera.
“Scendi” fa Pierre, sapendo che non può.
Uno sguardo sadico illumina i suoi occhi.
“Se mi togli questi cosi dalle braccia” replica Vanessa inviperita, “posso scendere”.
Pierre ride con le lacrime che gli bagnano il viso.
“Che hai da ridere, brutto scimmione!” esclama Vanessa, passata al tu, mentre non riesce a reprimere la rabbia.
Pierre si gode la scena. La osserva in tralice con un ghigno maligno. ‘Ti lascio lì, a pisciarti addosso’ si dice, pregustando l’umiliazione che le vuole riservare: osservarla mentre fa pipì. Gira intorno alla macchina per tornare al posto di guida.
Vanessa lo guarda terrorizzata. Sente delle fitte al basso ventre e qualche goccia torna a inumidire il cavallo dei jeans. ‘Non è il tempo’ pensa la ragazza, stringendo le labbra, ‘d’insultarlo. Non ci ricaverei nulla. Solo dileggio e basta’. Resta in silenzio, mentre accavalla le gambe. Un po’ per aiutarsi a trattenerla, un po’ per alleviare il senso di fastidio tra le cosce.
Pierre si siede e aspetta che Vanessa torni a pregarlo. I secondi scorrono lenti ma la ragazza rimane muta. I suoi occhi puntano verso il bosco, inespressivi. Un silenzio innaturale fa comprendere a Pierre che Vanessa è determinata a tacere. Il divertimento è finito. Esce nuovamente dall’abitacolo e sgancia una manetta dal sedile per fissarla al suo polso. ‘No, così non va’ pensa Pierre, accorgendosi che rischia di essere attaccato dalla ragazza, quando si protende per sganciare anche l’altra manetta. Le blocca il braccio, mentre riposiziona il braccialetto dove stava prima.
Pierre si gratta il mento, avvertendo la barba non fatta questa mattina. Ispida e fastidiosa è la peluria che la sua mano sente. ‘Se sgancio quella accanto alla leva del cambio’ si dice, ‘il problema resta. Se però le libero la mano, posso controllarla meglio’. Torna al posto di guida e libera la mano sinistra.
Vanessa, fingendo di grattarsi il seno, tocca un tasto dell’Iphone, non vista da Pierre, che sta tornando dalla sua parte. ‘Spero che Luca sia in ascolto’ pensa, mentre la mano si infila tra le gambe ben strette.
Adesso può scendere. Muove qualche passo incerto, un po’ barcollante. Il suo braccio destro è unito a quello sinistro di Pierre. ‘Mica può pensare che mi tolga i jeans in sua presenza’ riflette Vanessa, tornata al lei.
“Ora” esordisce Pierre, “se vuoi, sei libera di pisciare”.
Vanessa lo guarda storto. “E dove?”
“Qui” indica Pierre un cespuglio dietro un albero.
La ragazza sta per rispondere male ma si trattiene. Deve allungare il colloquio per consentire a Luca di arrivare in suo soccorso.
“Veramente” inizia Vanessa, muovendo il braccio destro, “con questo coso non riuscirei a fare nulla”.
“Perché?” chiede Pierre sorpreso da questa uscita.
“Non sono come voi, uomini” afferma la ragazza, che sente una nuova ondata del bisogno di minzione, “che vi basta un albero e state in piedi”.
“E come pensi di fare?” le chiede Pierre, che ridacchia.
“Mi tolgo i jeans” dice Vanessa, “e mi accuccio. Poi mi detergo con una salvietta”.
“Quale salvietta?” fa Pierre sempre più divertito.
“Voi date una scrollatina e via” rimbecca la ragazza. “Non tiene dei fazzoletti Tempo in macchina?”
“No!” risponde Pierre, che non riesce a trattenere il riso.
“No?”
“No!”
Vanessa si guarda intorno, mentre sente un po’ di liquido scorrere sulla gamba. Non è più il tempo di schermaglie dialettiche. Deve trovare un posto per mingere. Il cespuglio potrebbe andare ma deve liberare il braccio.
“Mi toglie la manetta?” chiede con tono remissivo Vanessa.
“E perché dovrei farlo?” fa Pierre sorpreso dalla richiesta.
“Non vuole mica assistere alla mia pisciata?” esclama Vanessa. “Poi con una mano sola fatico a togliere i jeans. Pensa che scappi? E dove? Ora ho solo una necessità impellente. Urinare”.
Strada nazionale N85 10 marzo 2015 – ore dodici
Luca è fermo quasi di fronte al viottolo, dove presume si sia fermata Vanessa. Deve decidere cosa fare, mentre le auto strombazzano inviperite per quel inatteso ostacolo sulla carreggiata. Il ragazzo alza le spalle infastidito dai gesti poco cortesi degli altri automobilisti. Il segnale è fisso da un po’. Dunque sono fermi. Allunga una mano nel vano portaoggetti e prende Victorinox, il coltellino svizzero multiuso. ‘Potrebbe servirmi’ si dice, mentre prende la decisione.
Con mossa audace invade la corsia opposta, mentre sta arrivando a discreta velocità una Twingo. Il guidatore, una giovane donna, spalanca gli occhi per la sorpresa e il terrore, vedendosi arrivare contro una vecchia Fiat.
Luca frena e con rapidità innesta la retromarcia, infilando a tutta velocità il sentiero. La ragazza si attacca ai freni, perché dalla parte opposta sta arrivando un TIR e rischio di finire peggio. Chiude gli occhi, immaginando il botto. Le gomme lasciano un bel po’ di battistrada sull’asfalto, quattro lunghe strisciate nere ma non sente l’urto. Li riapre e non scorge più l’auto di quel kamikaze. Sparita, volatilizzata. Sudando e imprecando riprende la marcia. Tra poco potrà raccontarlo al suo ragazzo che per un pelo non è finita al creatore.
Luca percorre a discreta andatura il tratturo in terra battuta per un centinaio di metri sempre in retromarcia, prima di fermarsi. Una rapida occhiata allo smartphone. Il segnale è stabile. Scende non prima di avere afferrato i due Samsung. Tiene in mano quello con l’app, mentre l’altro sparisce in una tasca. Fa scattare la lama del coltellino svizzero e si avvia a piedi verso un punto non molto distante. Consulta il programma, che indica a trecento metri l’Iphone di Vanessa.
‘Se Henri vuol tornare indietro’ si dice Luca, che si muove in silenzio, ‘troverà una sgradita sorpresa. La strada bloccata’. Mentre sta pensando questo, l’app si illumina. Ha ricevuto un impulso dal programma gemello. ‘Ottimo’ riflette Luca, ‘Van è funzionante’. Intravvede tra gli alberi la Mini blu di Henri. ‘Occhio, Luca’ si dice, ‘non devi farti scoprire’.
Sente la voce di Vanessa ma non comprende le parole. La risposta di Henri pare uno scoppio. Una risata stridula. Ormai la distanza è minima. Osserva l’auto tra due alberi, Vanessa di spalle e Henri di profilo. Si ferma per valutare cosa fare. Il vento muove le fronde appena spuntate con un sibilo piacevole. Deve evitare qualsiasi rumore. Adesso ascolta le parole di Vanessa, che chiede a Henri di liberarle una mano. ‘Dunque’ pensa Luca, ‘sono uniti da qualcosa. Ma cosa?’
La Mini ha le portiere aperte, mentre i due sono fuori dell’abitacolo a una decina di metri. Luca, protetto dal tronco di una quercia, si avvicina al retro dell’auto e rapidamente squarcia la copertura posteriore.
“Mi togli questo coso?” dice Vanessa, agitando la mano destra. “Devo togliermi i Jeans”.
“Se vuoi” replica sarcastico Pierre con un sorriso cattivo sulle labbra, “lo posso fare io”.
“Provaci” esclama furiosa Vanessa.
Luca si mette una mano davanti alla bocca per trattenere una bella risata. ‘Bella carica, Van!’ pensa il ragazzo, che cerca di capire le mosse. Vorrebbe mostrarsi alla ragazza ma teme di essere visto da Henri. Rimane al coperto dietro la quercia. Sente un click metallico e vede Vanessa che si massaggia il polso.
“Voglio vederti” dice Pierre con qualcosa di luccicante al polso.
“Al massimo la testa” replica Vanessa che va verso un grosso cespuglio di more.
Luca intuisce cosa sta avvenendo e si sposta con rapidità verso il punto che segnala l’app. Deve mostrarsi, non visto da Henri, alla ragazza e invitarla a correre verso la sua macchina, che è aperta. Lui in qualche modo lo terrà impegnato. Mentre si sposta, trova per terra un ramo, che raccoglie. Mette in tasca anche il secondo Galaxy, che adesso gli è solo d’impiccio.
Vanessa si toglie i jeans e si accuccia con un sospiro di sollievo. Sembra interminabile la pipì, mentre tiene i pantaloni ben in alto per mostrarli e per non bagnarli.
“Mi vedi?” dice la ragazza, che alzando gli occhi incrocia quelli di Luca.
Un dito sulle labbra del ragazzo le impone di tacere, mentre Vanessa spalanca la bocca per la sorpresa. Non si aspettava di vederlo lì, a due passi. Quasi potrebbe toccarlo.
“Sì” replica Pierre, soddisfatto. “Tieni le mani in alto e ben in vista”.
Vanessa non risponde, perché cerca di capire le istruzioni di Luca. Un gesticolare concitato. ‘Benedetto ragazzo’ si dice. ‘Non ci ho capito una minchia! Cosa dovrei fare?’
“Hai capito?” esclama spazientito Pierre che accenna a muoversi verso il cespuglio.
“Fermati, dove sei” dice Vanessa, che ha intuito le mosse di Pierre dallo sguardo allarmato di Luca. Dal suo gesticolare intuisce alla fine che deve correre alla macchina. ‘Alla faccia! Se uno doveva capire’ pensa la ragazza che si è spostata di lato al piccolo laghetto che ha fatto.
“Mi infilo i jeans” fa Vanessa, che adesso mostra la testa e parte della schiena.
“Niente scherzi” dice Pierre per nulla tranquillo per l’arrendevolezza della ragazza. Tanto battagliera fino a pochi minuti prima, tanto remissiva adesso.
“Dove vuoi che corra?” aggiunge Vanessa, che con calma infila i jeans, mentre osserva le istruzioni di Luca.
“Che stai facendo?” esclama Pierre, reso sospettoso dalla lentezza della vestizione. “ora vengo a prenderti”.
“Se ci riesci” fa Vanessa, correndo in direzione del sentiero.
Bologna, 20 marzo 1308, ora dodicesima – anno terzo di Clemente V
Pietro era partito da Lizzano tre settimane prima. Un lungo viaggio a piedi verso Bologna. Ha messo in sicurezza quella cassetta, della quale ignora il contenuto. Sa di averla lasciata in buone mani. Spera di tornare presto tra i suoi monti a riprendere il fedele bardo e la cassetta e di rivedere Giacomo e Lucia. Il viaggio avrebbe potuto essere più breve ma ha evitato paesi e borghi, dormendo all’addiaccio. Il bosco non offre molte risorse in questo periodo, quindi ha sfruttato le case coloniche isolate per comprare qualcosa. Ha seguito il corso del fiume Reno come guida verso Bologna.
Giunto in prossimità della terza cerchia muraria, Pietro si è fatto più guardingo, evitando qualsiasi contatto. Deve entrare nella chiesa di Sant’Homobono non visto per affrontare il passaggio segreto che lo avrebbe condotto nella magione. Immagina che gli armati stazionino ancora davanti all’ingresso e non desidera essere notato.
Le ombre si sono fatte più prepotenti, coprendo gli ultimi raggi del sole, quando Pietro si introduce nella chiesetta. È minuscola, una piccola oasi di pace. Tenendosi nell’ombra, lontano dai pochi ceri che ne illuminano l’interno, esplora con gli occhi l’altare maggiore e le panche vuote. Si avvicina al ripostiglio, dove ha celato le ricchezze della magione. Prima della sua partenza per Paris, il frate col consenso di Giovanni, il vecchio precettore della commenda, aveva prelevato una bella somma in bolognini d’argento e fiorini d’oro. Gli hanno fatto comodo durante il lungo viaggio nella terra dei Franchi. Senza quelli non sarebbe riuscito a sfuggire a tutti gli agguati. Adesso non ne sono rimasti molti. Li riconsegnerà al precettore, che spera di riabbracciare.
Con la mano aziona la molla che apre la cavità nella parete. Allunga il braccio per tastare il contenuto. Al primo tatto non gli pare che manchi nulla. Non conosce la sorte e lo stato della magione ma pensa che dovrà ricorrere a quando sta nel ripostiglio segreto nei prossimi mesi. Un clac che rimbomba nel silenzio della chiesa lo avverte che la lapide si è richiusa. Furtivo si reca nella sacrestia, che gli sembra in stato di abbandono, come se fosse da tempo che nessuno vi abbia messo piede. La stanza è vuota e polverosa come il mobilio che appoggiato alle pareti. I paramenti sacri spariti. Sembra che siano stati rubati. A Pietro stringe il cuore per come trova la stanza. Scaccia i pensieri negativi, mentre si avvicina all’anta dell’armadio dove è celato l’ingresso al passaggio segreto. Prima afferra due grossi ceri, che giacciono su un tavolo. Ne accende uno e poi si guarda intorno. Nessun rumore o presenza umana. Si intrufola rapidamente dentro, tirandosi dietro il battente. Fa attenzione a non appiccare il fuoco o a far gocciolare la grossa candela. Non vuole lasciare tracce del suo passaggio. Fa scorrere la parete di legno, finché non viene messo allo scoperto l’ingresso. Alza la botola che lo immetterà nel passaggio segreto. L’odore di chiuso e di muffa lo assale in modo brutale. Pietro fa attenzione ai gradini, resi ancora più scivolosi dall’umidità delle piogge e delle nevicate dell’inverno. Richiude il coperchio sopra la sua testa e comincia a scendere.
La luce del cero infastidisce qualche ratto, che corre a nascondersi nella sua tana. Pietro avanza con cautela, mentre l’aria viziata di chiuso impregna il suo mantello. Arrivato in fondo al cunicolo, saggia con prudenza la botola che immette nella sacrestia della chiesa di Santa Maria del Tempio. È libera ma ignora se ci sia qualcuno nel locale. Tende l’orecchio senza percepire suoni. Lentamente la solleva. ‘Via libera’ si dice, issandosi fuori, prima di far scorrere il pannello dell’armadio dei paramenti sacri. Socchiude l’anta, tendendo l’orecchio per intercettare i rumori della stanza. Niente di sospetto. Solo oscurità e freddo. Anche questa non sembra godere di buona salute ma almeno non si avverte il senso di desolazione della chiesa di Sant’Homobono.
Pietro sa che adesso arriverà la parte più difficile. Quella di raggiungere frate Giovanni, ammesso che non sia morto, senza essere visto. La chiesa della commenda appare deserta. Nessuno che sta officiando i riti serali. Pietro si rattrista. Il senso di abbandono sta sospeso nell’aria. Sono passati pochi mesi dalla sua partenza ma il clima è peggiorato sensibilmente.
Esce da una porta secondaria per raggiungere la cella del precettore ma Alberto degli Arienti lo intercetta.
“Pietro!” esclama, spalancando gli occhi per la sorpresa. Non si aspettava d’incontrarlo. Nessuno lo ha avvertito del suo ritorno.
“Alberto” dice Pietro, abbracciandolo. ‘Chi sono quegli armati fuori del portone?”
Vuole prevenire domande scomode e finge di essere entrato dalla strada. Non gli deve lasciare l’iniziativa.
“Ho faticato a entrare” fa Pietro, prendendolo sotto braccio. “Frate Giovanni, come sta?”
Il viso di Alberto accenna a una smorfia di dolore. “Ci ha lasciato da due settimane fa”.
Pietro resta in silenzio. La notizia lo rattrista. “Ma il nuovo precettore?” gli domanda con la voce rotta dall’emozione.
“Lo dobbiamo cercare tra i superstiti della commenda’ dice Alberto, mentre si avviano verso il refettorio. “Siamo rimasti in cinque. Con te facciamo sei. Tutti i servi se ne sono andati fuorché il vecchio Tonio, che è rimasto con noi. Non avrebbe saputo dove andare. Non ha nessuno fuori di qui”.
Pietro saluta gli altri fratelli che stanno mangiando una misera zuppa di verdura. Il clima è dimesso e il focolare è spento.
“Ma raccontatemi, Alberto” fa Pietro, sistemandosi sulla panca.
Alberto degli Arienti scuote la testa. “C’è poco da raccontare” esordisce. “Due mesi dopo la vostra partenza il frate dominicano, Nicolò Tascherio, l’inquisitore, ha impedito qualsiasi movimento a tutti noi, mettendo delle guardie armate all’ingresso. Quelle che avete visto anche voi. Di fatto siamo prigionieri, anche se ufficialmente possiamo muoverci. Da febbraio i controlli sono diventati ferrei. Non può uscire nulla dalla commenda ma è difficoltoso anche entrare. Non so come avete fatto a eludere il presidio”.
“Ma come avete fatto con i viveri?” domanda Pietro, che si guarda intorno. Finge di non avere udito il dubbio di Alberto. Non saprebbe come rispondere in modo convincente.
Alberto fa un gesto con la mano come per dire ‘è stata dura’. Non insiste con le domande. Si accontenta di quello che dice Pietro.
“Ormai i granai sono quasi vuoti. La dispensa è polverosa e i tini secchi” fa Alberto da Bronzano, sollevando la testa dalla scodella. “Se non fosse per qualche anima pia e caritatevole, saremo morti di fame e d’inedia. Quel domenicano non aspettava occasione migliore per metterci in difficoltà”.
Il silenzio nello stanzone è tangibile. Nessuno parla. Chi sta mangiando, ha smesso. Pietro osserva i confratelli con occhio lucido. Li vede demotivati, incerti. Le privazioni hanno fiaccato il loro spirito. Ne capisce i motivi. ‘Essere reclusi’ pensa Pietro, ‘senza conoscere le motivazioni e cosa li aspetta nel futuro, è davvero frustrante’. Li passa in rassegna. Alberto degli Arienti è quello meno depresso, quasi sollevato, pensando di condividere con Pietro le cure della magione. Alberto da Bronzano e Giovanni Bono invece mostrano preoccupazione, temendo che una bocca in più da sfamare possa ridurre le razioni quotidiane, già scarse al momento. Solo Gherardo da Bologna non mostra inquietudine per quello che li aspetta nei prossimi mesi. Ha un’aria distaccata. Bartolomeo Tencarari appare sollevato. La presenza di Pietro lo rassicura, perché sa che prenderà il posto del vecchio precettore.
Paris, 1 aprile 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V
Louis è al cospetto di Guillaume de Nogaret con gli occhi bassi. Sa di avere fallito e non ha scusanti. Aspetta che il guardasigilli dica qualcosa per tentare di mitigare le proprie colpe. Il clima è teso. Guillaume ha il viso corrucciato. Non ammette sconfitte.
“Avete seguito il frate?” gli domanda Guillaume, fissandolo negli occhi.
“Sì” risponde Louis, riabbassandoli verso terra.
“Cosa ha fatto? Dove è andato?” lo incalza il guardasigilli. Ha avuto informazioni al riguardo ma preferisce ascoltarle dalla viva voce di Louis.
“Ha girato per la Francia” dice il cavaliere, senza guardarlo. “Dal settentrione verso mezzogiorno. Fino ai monti che ci separano dalla Catalogna”.
Guillaume si gratta il mento. La risposta gli appare sibillina. Senza senso. ‘Perché avrebbe girato in Francia, sapendo di essere in pericolo?’ pensa, mentre socchiude gli occhi, come a concentrarsi sulla prossima domanda. ‘Un templare importante come lui sarebbe filato dritto in Lombardia, al sicuro, anziché girare in un territorio ostile e sconosciuto. Senza appoggi e in pericolo a ogni istante’. Immagina che aveva da compiere una missione, che Louis non è stato in grado d’intercettare o comprendere. Questo pensiero gli fa corrugare la fronte. ‘Cosa?’ si chiede.
Louis cerca di parlare il meno possibile e rispondere solo su sollecitazione. Non vuole correre il rischio di fare affermazioni inopportune. Sa che la sua vita è appesa a un filo. Dipende da quanto riuscirà a essere convincente. Quindi attende in silenzio che il guardasigilli parli.
I due si fronteggiano tacendo. Guillaume ha capito che il suo cavaliere non dirà nulla di più di quello che conosce già. Il templare ha toccato molte città e di certo ha incontrato persone. Qualcuna la conosce come il cardinale Caetani, altre sono avvolte nel mistero. Non immaginava che trovasse tanti alleati ma adesso era tornato in Lombardia fuori della sua portata. Pietro gli è apparso insignificante, quando l’ha incontrato. ‘Mi sbagliavo’ pensa Guillaume. ‘L’ho sottovalutato’.
Il guardasigilli batte le mani. Louis capisce che la sua sorte è segnata. Due guardie armate lo affiancano e attendono un cenno da Guillaume, che col capo indica di portarlo nelle segrete.
Luca cammina sul marciapiede tra cumuli di neve sporca, che lasciano rivoli di ghiaccio ancora più neri. Aspetta che la vita nella cittadina riprenda a pulsare. Sono quasi le sette e il profumo del pane appena sfornato sollecita il suo appetito. Entra nel forno per acquistare una baguette. Se la fa tagliare in tre parti e riempire con formaggio e salumi. Prende da un dispensatore una bottiglia di Evian e caccia il tutto nello zaino che porta a tracolla.
Cammina di nuovo sotto le finestre de Le Miramonti, mentre Pierre apre la finestra. Si ferma. Luca l’ha riconosciuto. Si sposta rasente al muro, abbassando la testa nel tentativo di sfuggire allo sguardo di Henri. Non vuol farsi scoprire. ‘Dunque ho intuito giusto’ pensa Luca, andando alla ricerca del garage dell’albergo, che trova poco oltre. Gongola e sorride. Sa che sarà un cane da caccia implacabile nell’inseguire la preda.
Poco più in là sta sollevando la saracinesca un bistrot. ‘Ottimo’ si dice, pregustando un caffè e una brioche calda. Si sistema in un tavolo vicino alla vetrata, da dove può tenere sotto controllo la porta del garage.
“Un caffè forte e due croissant alla marmellata” ordina al gestore ancora assonnato.
Sorseggia il caffè nero caldo bollente, mentre sbocconcella i croissant, leccandosi le labbra. Controlla l’ora. Sono ormai quasi le otto e tra non molto vedrà sbucare la Mini blu. Si fa incartare una mezza dozzina di croissant, ancora caldi. ‘Ne prendo qualcuno per te, Van’ si dice Luca con lo sguardo sorridente, mentre paga il conto. Poi scoppia in una risata alla sua battuta sotto lo sguardo incredulo del barista. ‘Mi prende per matto’ pensa Luca, mentre finisce il caffè.
Sente un pulsare nella tasca del giubbotto pesante. ‘Si è messo in moto’ pensa, avviandosi con calma verso la porta. Ha mosso qualche passo verso la sua macchina, quando intravvede uscire dal portone del garage la Mini blu. Sussulta, perché vede Vanessa muovere il maniera strana la testa, come svenuta. ‘Se hai torto un capello a Van’ urla in silenzio Luca arrabbiato con una smorfia del viso, ‘ ti levo i peli a uno a uno e ti scortico vivo. Il supplizio di Bragadin è nulla in confronto’.
Sale in macchina, posiziona gli smartphone ed estrae il computer dallo zaino. Mette la bottiglia di Evian nella console sotto il cruscotto. Poi si mette in moto per seguire il segnale.
Riprendono la strada verso la costa. ‘Non ho capito il senso d’infilarsi a Tende’ pensa Luca, mentre segue a debita distanza la Mini blu. ‘Se l’intenzione era di passare in Italia, quello era il posto giusto. Ma se doveva puntare altrove, era quello sbagliato’. Prova a ragionare sul comportamento di Henri. Non lo trova logico a meno che non abbia ricevuto ordini di puntare verso una località francese successivamente al suo arrivo a Tende. Solo questa ipotesi avrebbe giustificato il dietrofront di Henri. ‘Quale?’ si domanda curioso, mentre la mappa lo informa che, superato Sospell, stanno viaggiando verso Nice. Si preoccupa, perché questo potrebbe complicare la liberazione di Vanessa. Deve intuire dove si sta dirigendo. ‘Nizza’ riflette Luca, aggrottando la fronte e arricciando le labbra, ‘ha un porto e un aeroporto. E sarei fregato, se usasse uno dei due posti’.
La Mini blu è avanti sempre di circa trecento metri, mentre il segnale è chiaro e stabile. Arrivati in prossimità di Nice, entra nella A8 a Nice Est verso l’aeroporto. A Luca vengono i sudori freddi. ‘Sono fregato’ si dice, osservando la mappa sul computer. Però dopo l’uscita di St. Isodore prende il Boulevard du Mercantour in direzione Grenoble. ‘Grazie, Henri’ gli dice Luca con le rughe che spariscono dal viso, tirando un sospiro di sollievo. Né porto, né aeroporto. Tuttavia non è tranquillo. Stanno costeggiando il Var e non è improbabile che possa fare una deviazione. Si tiene fuori del campo visivo della Mini. Il segnale lo sta guidando.
Luca allunga una mano per prendere un croissant e beve un sorso d’acqua. Adesso è più sereno stanno puntando verso Grenoble, costeggiando le Alpi ormai da un paio d’ore. Fa una ricerca sugli aeroporti della zona, pubblici oppure privati. Ce ne sono diversi nell’aerea ma potrebbero essercene altri non censiti. È il suo terrore. Se imbarcano Vanessa su un aereo, lui è fregato. ‘D’accordo che il telefono di Van’ si dice Luca, facendo attenzione allo smartphone e alla strada, ‘continua a segnalare la posizione. Ma che me ne faccio?’ La riflessione è amara, mentre tallona la Mini blu.
‘Sono stato un asino’ pensa Luca, quando vede rallentare il segnale. ‘Non ho capito che Henri era alle nostre costole nel viaggio verso Mentone. Non ho fatto attenzione alle macchine che ci seguivano. Ha avuto buon gioco nel cogliere Van con le braghe in mano’. Sorride, perché mai metafora è stata così reale. Ha compreso il motivo del rallentamento. Sta entrando a Digne-les-Bains. Accelera un po’ per portarsi più vicino. ‘Henri’ riflette Luca, ‘non fa una sosta. Povera Van! Chissà come si lamenterà!’ Ridacchia, pensando a quando era di fianco a lui.
Ringrazia mentalmente Manetta, l’amico hacker per questa app, che permette di essere in collegamento con Vanessa. Senza sarebbe stato in grossa difficoltà. È veramente furba, si dice, facendo attenzione al segnale. Gli ha spiegato che riesce a mantenere in vita la comunicazione per oltre cento ore e anche di più, se la batteria è in buono stato. “Sia Android che IOS sono dei fottuti bastardi” gli ha detto, mentre la installava. “Lavorano solo per Google e Apple e consumano un sacco di energia semplicemente per spiarti. Quando la batteria scende sotto un livello di sicurezza. Diciamo il 25%, l’app iberna il sistema, tenendo in vita solo il kernel, che usa poco o nulla della potenza della batteria. Anche il programma è parco di energia. In questo modo con un livello basso il segnale è vivo per almeno cento ore. Se qualcuno tenta di riattivare il telefono, lo fa solo se è in carica. Altrimenti niet!”
Luca sorride, perché per almeno quattro giorni può inseguire la sua preda. ‘Posso chiedere il tempo residuo’ pensa, mentre addenta un altro croissant, ‘ma non voglio correre rischi’. Si allarma, perché il segnale indica un rallentamento in un’area senza abitazioni. Accelera per avvicinarsi, perché ha lasciato la N85, dirigendosi verso una località sconosciuta. Luca è in fibrillazione, dopo che si era rilassato per il viaggio che procedeva tranquillo. La mappa non dà indicazioni precise. La velocità della Mini è prossima a fermarsi. Segue le indicazioni e si trova pochi minuti dopo di fronte a un viottolo di campagna, che si perde in un bosco. La Mini è ferma adesso.
“Che faccio?” dice Luca indeciso se infilare lo stradello in terra battuta oppure spostarsi più avanti e attendere che Henri e Vanessa ripartono. “E se questa fosse la destinazione finale?”
Le Miramonti, 10 marzo 2015 ore otto
Pierre trasporta Vanessa nel garage sulla Mini, prima di passare dalla reception a saldare il conto.
“Niente colazione?” chiede il receptionist.
“No” risponde secco Pierre. “Abbiamo fretta e siamo in ritardo”.
L’addetto lo guarda strano. Vede solo lui ma ha parlato al plurale. Guarda il registro. È segnato Pierre Martini e signora. ‘Dunque sono in due’ pensa e sta per chiedere dov’è la signora, quando viene preceduto.
“È già in macchina che mi aspetta” dice Pierre, che ha intuito le perplessità del receptionist. Non vuole domande scomode e si allontana senza salutare.
Uscito dal garage, punta il navigatore della Mini su Annency con alcuni aggiustamenti.
Pierre, quando ha infilato i pantaloni a Vanessa, ha tastato le tasche alla ricerca del telefono senza trovarlo. Non ha pensato che la ragazza lo tenesse in una custodia di cotone colorata sotto la maglietta poco visibile dall’esterno. Non l’ha perquisita, perché non voleva correre rischi. I suoi capelli rossi le conferiscono una sensualità che colpisce. Pierre non avrebbe resistito dal palpeggiarla, se l’avesse fatto. Una regola del Oak’s Priorate impedisce violenze sessuali. Infrangerla costerebbe caro.
Uno sguardo sommario gli ha detto che non teneva oggetti nascosti. Questo l’aveva tranquillizzato. Aveva abbassato la guardia per fortuna di Vanessa.
Fatto il pieno si è messo sulla strada, seguendo le indicazioni del navigatore col rispetto dei limiti di velocità e con una guida prudente.
La ragazza sembra dormire tranquilla. Pierre ha bloccato i polso di Vanessa al sedile per evitare che faccia gesti inconsulti al momento del risveglio. Stanno viaggiando da oltre due ore, quando lei dà segni di risveglio. ‘Forse ho abbondato con lo spray’ si dice Pierre con un sorriso cattivo. ‘Meglio! Almeno sono stato tranquillo’.
Vanessa ha gli occhi chiusi. La mente pare riemergere da un buco nero, da un sogno in una notte oscura senza stelle né luna. Non riesce a coordinare i pensieri né a comandare i sensi e i muscoli. Avverte in bocca una sensazione di secco come se la lingua fosse disidratata. Le labbra sono riarse, spaccate. Non riesce a comandare l’apertura degli occhi che rimangono incollati alle palpebre. Non è sdraiata come si aspetterebbe ma avverte delle strane oscillazioni, dei sobbalzi. E ripiomba nel limbo di un sogno senza colori e senza immagini.
Poi riprende coscienza. Sbatte le palpebre ferite da una luce improvvisa. Sente una voce. ‘Non è quella di Luca’ riesce a pensare. Prova a muoversi ma qualcosa impedisce alle mani di obbedire ai suoi comandi. Anche il corpo pare imprigionato da qualcosa che la tiene appoggiata a uno schienale. Non realizza dove si trova. Cautamente riapre le palpebre. Una spira di sole le colpiscono, mentre le richiude. Cerca di portare la destra davanti agli occhi ma avverte dolore sul polso. Qualcosa la blocca. Sospira, mentre un piccola fessura consente agli occhi di osservare dove si trova.
“Buon giorno, signorina” dice una voce sconosciuta. “Dormito bene?”
Vanessa ruota con lentezza il capo verso quel suono. Inquadra un viso che non è quello di Luca. ‘Quando ho bisogno di lui’ si dice con uno sforzo, che le provoca un dolore alla testa, ‘non c’è mai’.
Richiude gli occhi e cerca di rilassarsi. Intuisce che la situazione non è piacevole. Deve riacquistare un minimo di lucidità, che al momento le manca.
Avverte una strana sensazione tra le cosce. Uno sfregamento che produce dolore. Non comprende il motivo. In compenso avverte la necessità di svuotare la vescica, che pulsa dolorosamente. A causa dei sobbalzi qualche goccia di urina inumidiscono la stoffa. Sono tutte sensazioni strane che non riesce a catalogare. Ha un vuoto nella memoria. Un buco nero che non riesce a riempire. Si affloscia in semi incoscienza. ‘Mi devo rilassare’ pensa Vanessa, riaprendo con cautela le palpebre. ‘Devo riacquistare lucidità’.
Il tatto le indica che le mani appoggiano su un tessuto che assomiglia alla pelle. L’udito percepisce un rumore sordo. Quello di un motore di una macchina. L’olfatto le porta l’odore di una persona profumata. ‘Non è quello di Luca’ si dice, avendo la conferma di avere accanto una persona sconosciuta. L’unico senso che funziona male è il gusto. Ha in bocca un sapore orribile e una sete incredibile. La vista le mostra immagini insolite. Si trova su una macchina nuova, molto meglio del catorcio di Luca. Il paesaggio non lo conosce. Alla sua destra ci sono montagne, alla sua sinistra un fiume. Tuttavia il vero terrore è il profilo dell’uomo che guida. ‘Henri’ pensa, dopo averlo riconosciuto. ‘Come diavolo sono finito con lui?’
“Siamo svegli?”
Di nuovo ascolta quella voce mai sentita prima. Finge di non aver sentito. Si lamenta come se stesse sognando. Deve ritrovare il pieno possesso delle sue facoltà. È ancora torpida nella mente. Vorrebbe bere ma l’impellente bisogno di urinare la induce a mentire. Poi comincia a focalizzare i motivi delle sensazioni tra le cosce. ‘Ho i jeans ma non gli slip’ si dice, senza capire il perché. Poi qualche scampolo di memoria la riporta a Mentone, all’albergo. ‘Mi ero tolta jeans e mutandine’ ricorda Vanessa, ‘perché come ora avevo necessità del bagno’. Adesso deve ricucire i ricordi per ricostruire cosa è avvenuto a Mentone.
La mente di Vanessa non è ancora lucida e ripiomba in quel limbo che sta tra la veglia e l’incoscienza. Ancora sogni senza colori, senza immagini senza suoni. Poi riemerge nello stato vigile senza mostrarlo apertamente. ‘Ora ricordo’ si dice Vanessa, tenendo gli occhi chiusi e respirando come se dormisse. ‘Ero in bagno con jeans e slip in mano, quando ho avvertito dei rumori dalla porta della camera. Poi solo buio profondo. Henri mi ha colta di sorpresa e mi ha narcotizzata. Ma dove sono? Dove stiamo andando? Perché Luca non è intervenuto?’ Mentre riflette e ricostruisce gli ultimi momenti prima del grande sonno, avverte nell’incavo del seno il morbido tessuto che tiene il suo Iphone.
“Siamo svegli?” dice quella voce, che suona odiosa alle sue orecchie.
Non risponde ma presto dovrà farlo. La necessità di minzione diventa sempre più urgente, mentre avverte nel basso ventre i dolori causati dalla ritenzione dell’urina nella vescica. Sente che sono sempre più labili i comandi di trattenersi. Qualche goccia torna a bagnare i jeans.
Apre gli occhi, che rimangono accecati dalla luce per qualche istante e articola debolmente poche parole.
“Dovete fermarvi” implora Vanessa. “Devo fare pipì con grande urgenza”.
Pierre ride. “E se non lo facessi?” dice, rallentando la velocità.
“La farei qui dentro. Su questo sedile” replica dura la ragazza.
Pierre scorge a trecento metri un viottolo sulla loro sinistra. Mette fuori la freccia per infilarlo. Si addentra in un bosco abbastanza fitto. Percorre qualche centinaia di metri per occultarsi alla vista dalla N85, prima di fermarsi.
Bologna, 1 marzo 1308, ora terza – terzo anno di Clemente V
Pietro è in Strada Maggiore ma non osa avvicinarsi al portone, che pare presidiato da guardie armate. Potrebbe entrare dal cunicolo segreto che dalla magione porta alla cerchia muraria più esterna, la terza. ‘Ma non posso abbandonare il mio fedele bardo’ si dice, allontanandosi senza fretta.
Ha un motivo in più per sfuggire alle guardie: la cassetta che trasporta da Rhedae. ‘Devo custodirla con cura per quando qualcuno non la reclamerà’ si dice Pietro, memore della raccomandazione del cardinale Caetani. Deve trovare un posto sicuro per il bardo e per la cassetta. Ritorna sui suoi passi, verso porta Sant’Isaia che da sul contado.
Riflette, dopo essere uscito dalla palizzata esterna che forma la terza cerchia, verso quale località dirigersi. ‘I possedimenti della magione’, pensa Pietro, mettendo al piccolo trotto il bardo, ‘di certo saranno sotto controllo. Quindi è meglio evitarli. Monte Acuto o Lizzano in Belvedere sono lontani ma sicuri’.
La giornata è fresca e il cielo è pulito. Le montagne sembrano vicine, quasi a portata di mano. Senza fretta Pietro si mette in marcia seguendo il corso del Reno verso la sorgente.
È l’ora nona con la giornata che va verso il tramonto, quando decide di fermarsi a Kainua nella locanda al Marzabòt, che conosce bene. Dopo aver sistemato il bardo, si reca nella piccola chiesa del paese per le funzioni serali. La quiete e il silenzio della cappella lo inducono a restare seduto negli ultimi banchi a riflettere. Si domanda se la sua vita da templare sia stata esemplare oppure no. Ricorda quando nel 1282 il precettore della Lombardia, Guglielmo de Novis lo ha ammesso nell’ordine. Era un giovane di diciannove anni e pieno di speranze per il futuro. Bologna gli è apparsa una metropoli rispetto al paese dove aveva vissuto fino a quel momento, tra Lizzano e Monte Acuto. La frequentazione dello Studio bolognese, dove ha conosciuto Bertrand de Got, il suo attuale papa, Rinaldo da Concoregio, l’arcivescovo di Ravenna e tanti altri, è stata proficua. ‘È stata un’esperienza incredibile’ si dice, osservando il tremolio delle candele. ‘Mi ha permesso d’intrecciare relazioni e rapporti con tutti i potenti fino a diventare il procuratore generale dell’ordine. Per questo sono finito a Paris e lì ho rischiato di rimanere imprigionato’. Il resto è storia recente. Si segna devotamente prima di uscire per tornare alla locanda.
Il mattino successivo al primo albore, consumato un modesto pasto, riprende il cammino verso Lizzano. Quando il torrente Silla si getta nel fiume Reno, Pietro segue questo corso d’acqua, salendo verso la montagna. All’ora nona avvista una costruzione in sasso, una modesta casa di cui conosce il proprietario, Giacomo, da quando era adolescente. ‘Era già anziano allora’ si dice Pietro, bussando alla porta. ‘Sarà ancora in vita?’
Niente è cambiato dai suoi ricordi. Muri a secco, tipici della zona. Piccole finestre chiuse da imposte di legno. Il tetto, ricoperto di ardesia grigia, ricavata dalle cave della zona, è spiovente per far scivolare verso terra la neve, che d’inverno cade copiosa. Un curioso camino tondeggiante. La piccola stalla dove stanno le capre durante il periodo invernale. L’orto, adesso spoglio, nel tratto pianeggiante del prato che circonda la casa.
Dalla porta di ciliegio, inscurita dal tempo, emerge una ragazza. ‘Avrà vent’anni’ pensa Pietro, temendo che il vecchio amico sia morto. Lo sguardo della giovane è stupito. Non si aspetta visite. La persona, che ha bussato, le è sconosciuta. Rimane incerta se chiedere chi è o tornare dentro, serrando la porta.
“Sono Pietro Roda, da Monte Acuto” dice il frate, distendendo i lineamenti del viso nel tentativo di apparire amichevole. “Cerco messer Giacomo. Giacomo Ferri”.
Il viso di quel monaco le ispira fiducia ma non si muove dall’ingresso. Non decide cosa rispondere, quando una voce anziana ma ancora forte chiede ‘Chi ha bussato, Lucia?’.
La ragazza si volge verso l’interno. “Nonno, cercano voi. Un frate. Pietro Roda da Monte Acuto” dice senza spostare il corpo dall’uscio.
“Fatelo entrare” esclama quella voce possente. “Un vecchio amico che non vedo da oltre vent’anni”.
Muta, Lucia si leva dalla stretta apertura per consentire l’ingresso di Pietro.
“Posso legare il mio bardo alla staccionata?” chiede il frate, prima di entrare.
La giovane annuisce. Sembra che abbia perso il dono della parola. Lo guarda affascinata dall’aura che trasmette.
“Accendete quel lume” ordina Giacomo alla fanciulla. “Voglio vedere in viso questo amico ritrovato”.
Pietro si avvicina a una sedia, accanto al focolare, che manda gli ultimi bagliori. Osserva il vecchio che nonostante l’età avanzata appare ancora energico. Il viso è lo stesso di tanti anni prima. Rugoso e secco, i capelli bianchi si sono diradati, il corpo pare più minuto. Una coperta di pelli di capra gli copre le gambe.
Commosso Pietro lo abbraccia in silenzio. “Non invecchiate mai” esclama il frate, staccandosi da Giacomo.
“Magari” fa l’anziano, il cui occhio si è inumidito. “Lo spirito c’è ma il corpo no. Gli anni mi costringono su questa sedia, quando non sono nel mio giaciglio”.
Lucia taciturna sta in piedi accanto a una tavola rustica, coperta da una tovaglia di canapa. Conoscendo il nonno, trova che la presenza dell’ospite abbia avuto il potere di addolcire la ruvidezza del carattere. ‘Non mi pare che sia così vecchio da frequentarsi in gioventù’ pensa la fanciulla. ‘Potrebbe essere coetaneo di mio padre piuttosto che del nonno’.
“Muovetevi” le dice Giacomo con tono ruvido. “Portate una brocca di vino buono, due boccali e qualche fetta di pane di segale. Dobbiamo salutare Pietro”.
Lucia a quell’ordine si muove silenziosa verso la dispensa.
“Messer Giacomo” inizia Pietro in modo circospetto, una volta rimasti soli, “ho bisogno del vostro aiuto. Vi affiderei il mio bardo e devo nascondere una cassetta”.
“Ne parliamo dopo con calma. Ora raccontiamoci qualcosa” dice Giacomo, scuotendo il capo. “Vi fermate con noi stasera?”
“Se voi lo volete” fa Pietro, guardando in viso l’anziano, “sarà un onore per me stare alla vostra tavola”.
Giacomo allunga una mano per stringere il braccio del frate. Sembra ringiovanito di colpo, lasciando sorpresa la nipote che pone la brocca di vino sul tavolo.
“Nonno, ecco il vino. È quello delle occasioni speciali” dice la ragazza. “Oltre al pane ho portato del formaggio di capra stagionato”.
Il camino è più alto del pavimento di una fila di mattoni a costituire una pedana. Un’apertura al livello di terra raccoglie le ceneri della legna bruciata. Serviranno per la notte a riscaldare le coperte.
Pietro si siede di fianco al camino con le spalle al fuoco, vicino a Giacomo, mentre Lucia si apposta sull’altro lato. La ragazza ascolta le chiacchiere dei due amici. La giovane è stupita, perché ricorda il nonno come una persona di poche parole. ‘Non ho mai sentito il nonno parlare così fittamente come stasera’ pensa Lucia, senza perdere una parola dei loro discorsi.
Al vespro, col rientro dei genitori, l’atmosfera diventa ancor più calda e nella stanza risuonano voci e risate. Lucia ascolta senza poter intervenire nelle loro conversazioni. Parlano di argomenti sconosciuti, quando lei non era ancora nata.
“Lucia” fa il nonno, traendola accanto a lui, “se abbiamo questa solida casa, è tutto merito di Pietro, che ha perorato la nostra causa presso i suoi genitori”.
Lucia è affascinata dal frate, che ha un viso franco e che ispira fiducia. Potrebbe essere suo padre ma giacerebbe volentieri con lui. Lo osserva, lo scruta con attenzione e sente dentro di lei crescere un sentimento. ‘È solo una fantasia di fanciulla’ si dice Lucia, abbassando gli occhi. ‘Però ha trasformato l’atmosfera della casa. Allegra, serena. Sembra che sia entrato un raggio di sole a fugare le nuvole’.
Dopo la frugale cena si radunano intorno al focolare, dove ardono ciocchi di quercia. La stanza è calda, mentre fuori la temperatura è rigida. Il vino caldo riscalda il viso e il cuore di tutti. Solo Lucia e sua madre non bevono, come è usanza da quelle parti.
“Lucia, prepara la stanza vicina alla mia, al piano terra” ordina Giacomo, che vuole avere vicino Pietro per la notte.
“Subito, nonno” dice la ragazza, avviandosi verso la camera.
Elisa, la madre, la segue per aiutarla. Prende con sé un grosso cero per fare luce. La stanza è polverosa e umida, un ripostiglio dove sono ammassati mobili dismessi e suppellettili vecchie. Un locale di fortuna, usato quando il nonno sta male. Le due donne preparano il letto, tolgono un po’ di ragnatele e mettono nel centro un grosso braciere per riscaldare l’ambiente e togliere umidità. Recuperano un pagliericcio da un armadio e mettono lo scaldino di terracotta nel prete per riscaldare le lenzuola.
“È pronta la stanza, nonno” gli annuncia Lucia, sedendosi ancora con la schiena al focolare.
“Venite” dice Giacomo, facendosi aiutare dal figlio a camminare. Pietro si mette di fianco al vecchio, che si appoggia sulla sua spalla.
Sistemato Giacomo nel suo letto, il frate si siede di fianco, mentre un grosso cero illumina la camera. Il vecchio mette un dito sulla bocca per suggerire a Pietro di non parlare della sua richiesta.
“Ditemi” fa Giacomo, volgendosi verso il frate. “Cosa mi raccontate. Sono passati tanti anni da quando siete partito da queste montagne per la pianura”.
Pietro gli prende la mano rugosa e parla a lungo di quello che ha visto e sentito in tutti quegli anni. I rumori nella casa diventano sempre più flebili, finché non regna il silenzio.
“Ora potete dirmi” dice Giacomo in un sussurro, “quello che mi avete chiesto”.
“Messere” inizia Pietro, avvicinandosi al volto del vecchio, “devo nascondere una cassetta, di cui ignoro il contenuto. Ma dev’essere prezioso, visto che ho dovuto scansare molti agguati”.
Giacomo annuisce, per suggerire di proseguire.
“Poi non so dove mettere il mio bardo” fa Pietro. “La magione è inaccessibile normalmente e perderlo mi dà dispiacere. Spero tra qualche tempo di tornare per recuperare entrambi”.
Giacomo ha il viso ancora più rugoso e pensa alla cassetta. Per il cavallo non c’è problema. La stalla può contenere sia il bardo che le capre. Poi distende il viso. Fa segno a Pietro di avvicinarsi.
“Vedete quell’angolo?” dice il vecchio, mentre il frate annuisce. “La quarta pietra dal basso è solo appoggiata. Dietro c’è una cavità. Se la cassetta passa, è il nascondiglio ideale”.
Pietro si avvicina. Tocca la pietra, che estrae dal suo posto. Valuta l’apertura. Gli appare idonea a far passare l’oggetto che tiene sotto la tonaca.
Mentre i due uomini parlottano, Lucia, che fatica a dormire, scende dal letto. Il frate l’ha stregata. Non ha mai visto una persona così affascinante. Apre con cautela la porta, che cigola sinistramente. Si ferma. Ascolta il russare di suo padre e il sonno pesante della madre. Esce dalla sua stanza e scende i gradini di legno che portano al piano terra. Le sembra che facciano un rumore infernale ma forse è solo una sensazione. Col cuore in gola per il timore di essere scoperta sosta in un angolo buio. Intravede la schiena del frate senza comprendere cosa stia facendo. Ascolta dei rumori sordi che il silenzio ingigantisce. Vorrebbe avvicinarsi di più ma il timore di essere vista la paralizza. ‘Cosa sta facendo il templare?’ si chiede immobile, trattenendo il respiro.
Pietro abbraccia Giacomo e si ritira nella sua stanza. Il buio è praticamente totale. Lucia trema sia per la paura che per il freddo. I piedi scalzi sono gelidi. Abitua gli occhi all’oscurità e a tentoni raggiunge la scala, cercando di evitare gli ostacoli. Con la punta del piede nudo urta il gradino. Si morde la lingua per non gridare. Poi col cuore in gola Raggiunge il suo letto, dove si rannicchia sotto le coperte. Trema per il freddo, mentre scivola nel dormiveglia.
La mattina seguente, al primo albore, Pietro è già in piedi. Si inginocchia verso levante per le orazioni del mattino. È in questa posizione, quando Lucia sbircia nella stanza. Rimane a bocca aperta. Non ha mai visto un frate pregare. Ascolta parole che non conosce. Il prevosto parla la loro lingua.
“Che fate, Lucia?” dice una voce familiare alle sue spalle. È Elisa, sua madre, che sta andando a preparare la colazione del mattino per tutti.
“Ascolto delle preghiere che non conosco” risponde la ragazza, sussultando per lo spavento.
“Ma è il Pater Noster” fa la madre, sorridente. “Venite”.
Lucia la segue malvolentieri. Avrebbe voluto rimanere in adorazione del frate. Anche Giacomo viene alzato. Sono tutti riuniti nella grande cucina col fuoco del camino che riscalda la stanza. I genitori di Lucia si preparano per portare le capre nel pascolo, il nonno a trascorrere la giornata in compagnia della nipote nella monotonia di poche parole. La presenza di Pietro ha vivacizzato l’ambiente ma sanno che presto prenderà la strada verso la pianura.
Il frate ringrazia Elisa e suo marito per l’ospitalità ricevuta e li abbraccia con calore.
“Non preoccupatevi per il vostro bardo” dice l’uomo. “Sarà trattato come un principe”.
“Grazie” replica Pietro, allungando un sacchetto dove risuonano dei bolognini d’argento.
“Non li voglio” fa l’uomo, mettendo le mani dietro la schiena.
“Tenete” dice il frate, infilando il sacchetto nella cintura del padre di Lucia. “Vi serviranno. Non so quando potrò tornare a riprenderlo”.
Marito e moglie si avviano con le capre. Pietro li osserva, mentre entrano nel bosco, prima di rientrare nella casa.
“Partite?” chiede Lucia con l’occhio lucido.
“Sì” risponde il frate. “Il tempo di salutare Giacomo e poi mi aspetta un lungo tragitto a piedi”.
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