La mia storia – mini esercizio di Scrivere creativo n.ro 2

Il mio albero - foto personale
Il mio albero – foto personale

Scrivere creativo lancia una nuova sfida. Non un racconto ma due! E come Osserva la fotografia e cosa vedono i due protagonisti? Due visuali diverse ma la foto è solo una. Solite 100 parole esatte per ciascuna storia. Dovrebbe essere allegra. Boh.. lascio a voi il compito di giudicare
Punto di vista di Hugo
“Guarda bene” disse Hugo.
“Perché?” fece Conchita, alzando gli occhi dal display. “Non vedo nulla”.
Hugo allargò le braccia, prima di abbassarle sui fianchi. Non c’era maniera di far capire a questa testa dura di donna, che il telefono è telefono.
Conchita lo guardò dispiaciuta ma quel rettangolo nero proprio non voleva parlare.
“Ascoltami, bene” riprese Hugo con pazienza. Ma poi si fermò. Era inutile per quanto si sforzasse. Aveva provato e riprovato ma Conchita continuava a trattare quell’oggetto come se fosse infetto.
Si avvicinò e sbirciò sopra le sue spalle.
“Pigia quel tasto, Conchita. Non vedi che è spento?”
Punto di vista Conchita
“Parla, parla” fece spazientita Conchita, agitando il telefono. “Hugo è inutile non vuole parlare”.
“Perché dovrebbe parlare?” chiese curioso il suo uomo.
Gli occhi della donna cercarono quelli di Hugo. Poi si abbassarono sul display. ‘Accidenti, è sempre buio’ pensò delusa Conchita. ‘Eppure…’.
Lo girò e lo rigirò ma il display era sempre nero. Si alzò, tenendo in mano l’oggetto del diavolo. Le avevano detto che avrebbe fatto tutto. Ma proprio tutto.
“Ho speso mille pesos” piagnucolò Conchita. “Mi hanno imbrogliata”.
Hugo si avvicinò con un sorriso ironico.
“Testona” fece l’uomo.
“Non offendermi!” replicò inviperita. “Mi hanno fregato mille pesos”.

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La mia storia – miniesercizio di scrivere creativo n.ro 1

addobbi natalizi - foto personale
addobbi natalizi – foto personale

Nuova sfida di Scrivere Creativo. Osserva con gli occhi di un bambino questa immagine. usa solo 100 parole. Esatte esatte.
I signori danzano. I domestici portano l’ombrello. La pioggia danza con loro e loro danzano con lei.
Scende e sale la musica che ci avvolge nel suo velo sonoro. Colori e gocce. Il quadro è appeso alla parete.
Che c’è di tanto strano? Forse non hai visto una coppia che volteggia mentre qualcuno li segue con l’ombrello?
Fermati e ascolta. Guarda e pensa. Cosa vedi in quel quadro?
Nulla dice l’adulto, che pare infastidito. Lo strattona ma lui resta lì incantato dai suoni e dai colori. E vola la fantasia.
Sognano gli occhi incantati di un fanciullo che ci osserva.

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Racconto da B+55. Una sfida

Gianni ha proposto una sfida scrivere un racconto che contenga la lettera B pù di 55 volte. Poiché mi solleticano eccomi col mio raccontino. Non si vince nulla ma provarci mi piace

Foto personale
Foto personale

Una battaglia. Sì, proprio una balorda guerra era quella che aveva opposto Bernardo a Beatrice. Non era chiaro il motivo del litigio dei due amanti. Tutto era iniziato nel bosco nel bel mezzo di una passeggiata, che fino a quel momento era trascorsa lietamente, tenendosi per mano.
«Sei un babbeo» aveva bofonchiato Beatrice, all’improvviso.
«E tu sei un allocco» disse Bernardo, scuotendo il capo. Si pentì quasi subito di avere aperto la bocca. Lui non aveva voglia di litigare con le parole, perché sarebbe finita in baruffa. Era il filo conduttore della loro relazione. Lo sapeva e non riusciva a frenare la lingua.
«Allocco dici a tua madre!» reagì Beatrice aggressiva.
Bernardo batté un piede per terra. Si fermò e frenò la frecciata tranciante che aveva pronto sulle labbra. Lui le scoccò una sguardo torvo e riprese a camminare, come se non avesse sentito la frase.
Beatrice gettò sul sentiero il bastone che teneva in mano con un gesto teatrale. Bollò il compagno come uno, che non meritava la sua attenzione. Le bruciava quella parola “allocco”, dimenticando che lei aveva innescato il litigio, dandogli del “babbeo”. Rimase ferma sul posto, in mezzo al sentiero.
“Sarebbe da beoti litigare per una parola fuori luogo” borbottò Bernardo infastidito. Non ricordava perché gli aveva dato del babbeo. “Non mi fa né caldo, né freddo quel suo biascicare parole in libertà”. Era deciso a non dare seguito al litigio.
Beatrice era basita, perché lui, invece di fermarsi e confrontarsi con lei, aveva scelto di camminare, piantandola in mezzo al sentiero.
«Bernardo!» urlò lei, facendo volare via un paio di uccelli.
Lui si girò di malavoglia. “C’era bisogno di urlare così?” si chiese, mentre pensava alle baggianate che doveva sorbirsi quasi tutti i santi giorni per giustificare le sue intemperanze. Fu investito da una babele di parole senza un filo logico. Pareva un uragano tropicale o forse il crepitare di una mitragliatrice.
«Smettila di fare del baccano inutile!» fece, tentando di moderare il tono. Lo sguardo non prometteva nulla di buono.
Lei spalancò gli occhi. «Baccano?» rispose coi pugni piantati sui fianchi. «Sei un vecchio bacucco! Un baciapile, capace solo di baciare delle zucche bacate!»
Bernardo perse il lume della ragione e la scosse con violenza. «E tu chi credi di essere?» le urlò nelle orecchie. «Una bisbetica irrancidita!»
Detto questo riprese il sentiero. Dentro di lui bolliva l’ira. “Questa è la sua ultima piazzata!” mormorò fra sé. “Ha chiuso con me!”
Lei lo guardò impietrita allontanarsi. Corse a perdifiato fino a raggiungerlo.
«Pace?» e lo baciò sulla bocca.

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Il mazzo di fiori – seconda parte

Eccoci con la seconda parte, la prima la trovate qui. Per il momento mi fermo ma non è improbabile che la possa continuare seguendo un’idea pellegrina che mi ha sfiorato. Dunque non ci saranno altre prosecuzioni e ritenetela conclusa.
 

La segue con l’occhio vigile e lucido, poi con le gambe. La può lasciare correre avanti in tutta tranquillità, perché sa perfettamente dove sta andando. Ludmilla è un libro aperto, come quelli che compra in libreria.

Quando la vede scomparire nell’ingresso dell’azienda dove lavora, accelera il passo, perché deve tornare in ufficio.

La ragazza non si è accorta di nulla, assorta nei suoi pensieri, ma non le era possibile perché ignora l’identità di quella misteriosa persona. Passata la portineria, sale le scale e entra nell’ufficio ancora vuoto. Si siede e osserva il mazzo con cura come se una folgorante ispirazione la guidasse a capire da dove arriva. La carta è anonima, la confezione potrebbe essere di un fiorista qualsiasi.

“Di sicuro non viene da un posto remoto tramite un servizio tipo Interflora. Di negozi di fiori non ce ne sono molti in città. Sono rimasti in pochi. Ma quale sarà?” si domanda, riafferrando il biglietto che era scivolato fuori dalla tasca.

Torna a guardare le rose, che non paiono soffrire la mancanza di acqua. Le sembrano vive, pronte a sorriderle, forse in modo enigmatico.

“Stasera come le porto a casa?” riflette, ricordando che non ha vasi adeguati. Non ci pensa per nulla di lasciarli in ufficio ad appassire.

«Rimane il problema dove collocarli. Comprare un vaso non ci penso proprio. Ma come faccio?» riflette, mentre un brivido le corre lungo la schiena.

“Ciao”.

Ludmilla sobbalza per lo spavento.

“Ti ho fatto paura?” domanda Teresa visibilmente dispiaciuta.

“Ero soprappensiero” risponde sollevando gli occhi.

“Non sei andata a casa?”

“No, non ne avevo voglia. Sono rimasta in città a gironzolare un po’…”.

“E a fare lo Sherlock Holmes!” soggiunse la collega.

Ludmilla arrossisce e non replica.

“Trovato qualcosa?” le chiede Teresa.

“No”.

“Eppure in qualche modo sono arrivati fin qui. Di certo non in volo”.

“Sì ma non capisco il gesto”.

“Un tuo ammiratore segreto!”

“Tanto segreto che non so come ringraziarlo” conclude Ludmilla con una punta di inquietudine.

Le viene un dubbio perché a presidiare la portineria si alternano due gruppi. Quello del mattino stacca alle 14 e quello del pomeriggio stacca alle 22.

“Forse sono arrivati ieri sera” dice in un sussurro, abbandonandosi sullo schienale della poltrona.

“Cosa?” domanda Teresa che non ha ben compreso quello che la collega stava borbottando.

“I fiori”.

“Come sono arrivati?”

“Non lo so ma vado a sentire il secondo turno, quello pomeridiano” dice alzandosi di scatto per precipitarsi fuori.

Arrivata in portineria trova due guardiani differenti rispetto alla mattina.

“C’eravate voi ieri pomeriggio?”

“Certamente. Come tutti i giorni di questa settimana” risponde uno dei due.

“Per caso hanno consegnato dei fiori per Ludmilla Cherchi?” domanda speranzosa.

“Sì. Perché?”

“Ah!” esclama felice. “Chi li ha consegnati?”

“Non saprei dirlo con certezza. Era un ragazzo coi capelli lunghi”.

“Ma no! Hai visto dei film!” esclama il collega. “Era una ragazza talmente magra che avrebbe potuto essere scambiata per un ragazzo”.

“Ma non ha detto nulla?” richiede con la speranza di scoprire qualcosa.

“Solo questo ‘Devo consegnare questo mazzo di rose alla signorina Ludmilla Cherchi’ e io l’ho accompagnata nel suo ufficio, perché pensavo che fosse ancora dentro”.

“Accidenti. Ieri pomeriggio ero in permesso” borbotta delusa.

Ringrazia i due guardiani e ritorna a capo chino in ufficio.

“Allora Sherlock?” le domanda ironica Teresa.

“Ne so quanto prima. E’ venuta una ragazza ieri pomeriggio alle diciotto. Chi sia e da quale fiorista sia stata incaricata non lo sa nessuno” replica affranta e delusa.

“Ha scelto un orario curioso per una consegna” nota con un pizzico di ironia la collega.

“Sì. Insolito e ben scelto per rimanere anonimo. I guardiani, non avendomi visto uscire, hanno pensato che fossi in straordinario e l’hanno accompagnata fino al nostro ufficio, trovandolo vuoto”.

“Per forza! Ero uscita un quarto d’ora prima. Però non sono convinta della casualità della consegna”.

Ludmilla rimane in silenzio e riprende a lavorare, anche se distratta dal pensiero di scoprire l’anonimo ammiratore.

Mentre la ragazza è immersa in mille congetture, un’altra persona sorride beffardamente.

“Immagino che sia in preda di mille dubbi nel tentativo vano di scoprire chi le ha mandato quel mazzo di fiori”.

Una telefonata interrompe le sue riflessioni che riprendono al termine della lunga conversazione.

“Ti conosco troppo bene per fare passi falsi. So quali sono i tuoi orari, quando sei in ferie. Non c’è angolo della tua vita che mi sia ignoto. Ti ho studiata, analizzata. Voglio rendere la tua vita…”.

Un nuovo squillo mette fine a questi pensieri.

Ludmilla alle cinque esce come al solito con un grande mazzo di rose. Prende la Bianchi e posa nel cestino davanti i fiori. Pedala con calma per evitare che cadano per strada.

Una macchina si stacca dal marciapiede e la segue a distanza.

Si muove lenta nel traffico cittadino, quando all’improvviso si ferma di schianto contro il muro del giardino Pareschi.

“É morta!”

“No, respira ancora!”

“Ti dico che è morta!” ribadisce una donna. “Guarda quando sangue esce dalla testa e scivola di lato dalla bocca”.

Sirene e lampeggianti blu appaiono sulla scena. Si fermano e prestano soccorso.

“Servono i pompieri!” dice concitato uno del 118.

Ludmilla pedala tranquilla, ignorando che una macchina la seguiva e adesso è immobile sul marciapiede contro un muro.

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Ludmilla e Un mazzo di fiori – parte prima

Ludmilla scrive in data 24 settembre 2013 un bel post grazie dei fior e al termine chiedeva lumi ai suoi lettori. Un po’ tutti hanno detto la loro ma tra Ludmilla e Swann il botta e risposta è sfociato in una specie di sfida ovvero nella scrittura di un racconto che Swann ha postato sul suo blog. Molto interessante e bello. Letto e commentato, finché Swann mi ha chiesto di produrre una mia versione del post oginario di Ludmilla. Detto e fatto. Di seguito quello che la mia immaginazione ha creato.
O.T. Naturalmente ci sarà un sequel, che pubblicherò più avanti.
Buona lettura.
“Un mazzo di fiori?” esclama Ludmilla, quando dopo la corsa mattutina in bicicletta entra nell’ufficio.
Si avvicina curiosa e trepidante, perché ha visto anche il classico biglietto appuntato con la spillatrice al cellophan della confezione.
«Può un gesto bastare più di mille parole?»
Rimane interdetta e piacevolmente sorpresa. Fiori e parole per lei vanno a braccetto.
Ludmilla è una bella ragazza solare e allegra ma poco disponibile a dare troppa confidenza a chiunque. Nutre una certa diffidenza verso chi le da del tu al primo incontro, che le rifila pacche sulle spalle e le parla come se si conoscessero da quando si sono trovati una accanto all’altro nella nursery dell’ospedale.
“E no! Lasciami almeno il tempo di capire chi sei! Poi sono pronta a concederti tutta la fiducia che vuoi ma al buio no!” Era questa la classica riflessione che faceva quando incontrava per la prima volta una persona che si comportava così.
Tutte le mattine, inforcata la Bianchi da gran Turismo, fa i due chilometri che la dividono dall’ufficio. Immancabilmente sia col sole, sia con la nebbia. Con la pioggia e la neve ricorre al bus, che lei aspetta pazientemente alla fermata vicino a casa.
Alle sette la sveglia la tira giù dal letto e con gli occhi assonnati e semichiusi si dirige in cucina per mettere sul fuoco la moka per il primo caffè della giornata.
“Se avessi un compagno…” riflette appoggiando il capo sul bancone, pronta a schiacciare un nuovo pisolino nell’attesa di sentire il gorgogliare che profuma di caffè. “Se avessi un compagno, me lo porterebbe a letto. Invece…”. Un nuovo lungo sospiro accompagna l’aroma inconfondibile che risveglierebbe anche una morta di sonno come lei.
Dopo la solita trafila del bagno per i trucchi e del rovistare nell’armadio alla ricerca di qualcosa da indossare scende nel box per recuperare la Bianchi dalla tipica livrea azzurra e farsi i due chilometri che la separano dall’ufficio.
Tutte le mattine di ogni mese, estate e inverno, è la consueta pedalata che la sveglia totalmente, sentendo il frusciare del vento sulla pelle del viso.
“Oggi è il 20 settembre ed è venerdì. La settimana si chiude qui e domani è il primo giorno d’autunno” dice Ludmilla che sta entrando nell’ufficio, scoprendo che un ignoto ammiratore le ha fatto un omaggio floreale. Rosse rosse e bianche con qualche rametto di verde a far da cornice.
Si volge verso Teresa, la compagna con la quale condivide quello spazio, per interrogarla sull’ipotetico spasimante, perché nel suo immaginario pensa immediatamente al più classico dei principi azzurri, che arriva sul destriero bianco. Istantaneamente scaccia questa fantasia improbabile, perché finora del mitico principe azzurro non ne ha scovato le tracce. In realtà finora non ha incontrato nessuno di suo gradimento.
“Chi ha portato il mazzo?” le chiede con un filo di voce appena tremolante.
“Non lo so” risponde candida. “Era già qui, quando sono arrivata”.
“Eppure non può esserci arrivato da solo” replica Ludmilla con tono più rinfrancato.
“Chiedi in portineria. Forse loro lo sanno. Di certo è passato di lì”.
Detto e fatto: fa un salto all’ingresso ma la curiosità rimane intatta. Nessuno sa nulla. Nessuno ha visto entrare un mazzo di fiore. Nessun fattorino ha consegnato fiori.
“Forse” azzarda uno degli addetti. “Forse era nascosto sotto un impermeabile…”.
“Ma non è presto?” domanda stupita.
“Qualcuno lo porta già” risponde pronto.
“Chi sono i freddolosi?” chiede con tono incalzante Ludmilla.
“Non lo so” replica infastidito, alzando le spalle.
Delusa ritorna sui suoi passi. Il mistero continua. Anzi diventa più fitto.
“Non è possibile che si sia materializzato da solo” ragiona, rileggendo quel cartoncino color crema, dove una mano ignota ha vergato «Può un gesto bastare più di mille parole?» con una penna stilografica e inchiostro color seppia, perfettamente intonato al biglietto.
“Chi può essere?” si domanda nuovamente rigirando tra le mani quel rettangolo di carta di Pineider, raffinato e importante.
Si siede e tenta di concentrarsi sul lavoro. Niente da fare, il pensiero è fisso come un chiodo nel muro. Osserva colleghi e colleghe, quando entrano per conferire con lei nella speranza di cogliere un segno, un impercettibile indizio della mano misteriosa che ha vergato quella frase, che continua a frullare nella testa.
Qualcuno entra, lanciando un’occhiata distratta al mazzo che sta in modo appariscente sulla scrivania. Altri non lo notano per nulla come se fosse trasparente. Alcuni sorridono e azzardano un commento sul tipo «Compi gli anni?».
Nemmeno le telefonate sono d’aiuto. Tutte impersonali, distaccate, nessuna battuta o commento. Nulla di nulla. L’ansia di sapere cresce senza che uno spiraglio la illumini.
La mattina scorre lenta come se il fiume impetuoso, che scandisce il tempo, sia diventato un rigagnolo appena accennato, dove l’acqua ristagna tra i sassi.
Finalmente scocca l’ora della pausa pranzo. Ludmilla di solito inforca la sua Bianchi e con pedalate eleganti e decise torna nell’appartamento da single dove abita. Oggi però non ne ha voglia, preferisce fermarsi nel bar sotto l’ufficio a farsi un tramezzino e un bicchiere di vino bianco. Vuole camminare, riflettere, smaltire la curiosità. E pensa, mentre oziosa percorre i portici del Duomo. Le vetrine non la catturano, le persone sono fantasmi, mentre cerca di dare un senso a quel biglietto.
“Chi conosce la mia morbosa passione per la lettura?” si domanda, rigirando per l’ennesima volta quel biglietto.
Nessuna risposta fa capolino. Nell’ambito lavorativo nessuno è a conoscenza questo suo smodato amore per i libri. Mai una volta ha portato con sé al lavoro un volume, nemmeno tenendolo nascosto nella capace borsa che porta a tracolla. Nessuno di sua conoscenza l’ha sorpresa a leggere né di nascosto né apertamente.
Alla ricerca del biglietto fruga di nuovo nelle tasche, dove l’ha riposto. Si siede su una panchina all’ombra di una maestosa quercia e lo esamina con attenzione.
“Questa grafia è maschile o femminile?”
Nota le lettere arrotondate senza svolazzi, ordinate e precise. Consonanti e vocali sono unite tra loro, esattamente allineate come se posassero su un ipotetico filo perfettamente diritto.
“Potrebbe essere un uomo come una donna. Nessun indizio dichiara il sesso dello scrivente”.
Continua a pensare al maschile, non disdegnando una mano femminile.
“Chi usa ancora la stilografica?” si domanda incredula. “Ma sì! Solo un uomo potrebbe farlo! Solo un uomo sui quarant’anni potrebbe avere il vezzo di utilizzarla come indice di originalità e distinzione”
Di nuovo ripone con cura nella tasca interna della borsa il prezioso cartoncino e riprende la via dell’ufficio.
Mentre cammina assorta e dubbiosa, un viso la osserva e sorride.
“Quante volte ti ho vista entrare da Feltrinelli e sederti nel salottino a leggere qualche pagina di un libro. Quante volte sei uscita dalla libreria con un romanzo sotto il braccio” riflette sorridente. “Un mazzo di fiori ti ha spiazzata”
 
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