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a cominciato camminando, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti. Uno di seguito all’altro.
Una maratona e poi di colpo, lo scatto: i fianchi che spingono verso l’alto, i muscoli delle gambe che si rattrappiscono e si slanciano in avanti.
Le suole disfatte dalle scarpe di tela che battano l’asfalto rugoso. I gomiti sollevati che oscillano avanti e indietro.
Non ha mai corso così. Non ricorda di averlo mai fatto. Non ricorda niente.
Ogni tanto, l’ululato di un clacson da un’automobile in corsa la sferza e la fa barcollare. Un urlo prolungato che si smorza e muore in avanti, in quel punto imprecisato dell’orizzonte verso il quale la donna corre.
Non solleva mai lo sguardo da terra. Vede la punta corrosa delle vecchie scarpe di tela bianca apparire e scomparire davanti a sé.
Simona continua a correre finché il fiato la sorregge, perché sa che deve allontanarsi il più possibile da quel luogo, dove è rimasta paralizzata dalla paura.
Cosa c’era in quel posto da incutere angoscia? Non lo sa nemmeno lei, è consapevole che là sta il male o meglio un uomo che personifica il male.
Perché si è recata da sola e a piedi nel deposito di uno sfasciacarrozze, avendo ben chiaro che quell’uomo avrebbe tentato di aggredirla e stuprarla?
“Sei stata una sciocca ragazza, mia cara Simona.” farfuglia col fiatone per la lunga corsa disperata “Lo sapevi che Mark voleva una cosa sola: il tuo sesso. E lo voleva con le buone o le cattive, lo voleva e basta! Cosa ti è venuta in mente di andare il quel deposito? Non avevi capito che il luogo era solitario e disabitato? Pensa alle indicazioni che ti ha dato alla mattina nel Central Park? Ti ha detto: ‘Vai alla stazione delle corriere Amtrack e prendi l’autobus per New Haven. Quando sei a New Rochelle scendi alla terza fermata dopo il paese. Fai cento passi oltre la fermata, sulla tua sinistra c’è un piccolo viottolo che porta ad un fabbricato. Io sarò lì ad aspettarti. Ricordi bene le istruzioni?’ Cosa pensavi che ci fosse lì? Il paradiso terrestre? O l’inferno? Ricorda che ti aveva detto come vestirti: una camicetta bianca leggera, una gonna corta e sotto solo slip in miniatura. Con un abbigliamento del genere dove credevi di andare? Ad una festa danzante? Sei stata una grossa ingenua non pensare che lui ti voleva fottere!”
Simona ricorda con terrore la faccia contratta dal ghigno di Mark che l’afferra per le spalle per sdraiarla sull’erba sudicia di olio e benzina pronto a sollevare la gonna e strappare lo slip di dimensioni ridottissime.
C’era quasi riuscito, ma ha perso tempo con la cerniera dei pantaloni e lei si era rialzata di scatto ed era corsa via dietro una pila di carcasse di gomme. Questa è stata la sua salvezza.
Mark ha cominciato ad imprecare nello slang del Bronx mentre cercava dove si era nascosta. Lei lo sentiva vicino man mano che si spostava, cercando l’uscita in quel labirinto di carcasse arrugginite e corrose dal vento e dalla pioggia, di portiere e gomme accatastate in pile instabili, che parevano crollare al suolo ad ogni refolo di vento. Il cuore batteva impazzito per il terrore di finire nelle mani dell’uomo, deciso a farla sua a tutti costi.
Poi quando era in prossimità dell’uscita, che vedeva come il miraggio della fata Morgana, aveva capito che Mark era lontano da lei si era affrettata a correre sulla strada, dove non era al sicuro, ma poteva contare sugli automobilisti di passaggio.
Dopo la lunga corsa col cuore in gola e la paura come ombra dietro di lei è finalmente arrivata alla fermata dell’autobus, dove era discesa allegra e fiduciosa un’ora prima.
Scruta in lontananza la strada, pregando che la corriera gialla si stagli all’orizzonte.
Sente la camicetta aderire al seno, zuppa di sudore, che scivola lento verso la gonna, lo slip e ancora più giù verso le cosce, mentre i capezzoli scuri e duri si stagliano netti sulla stoffa bianca. Il sudore lascia una scia di odore animalesco, ma forse anche mascolino per la paura e la lunga corsa.
Si sente sporca dopo essere stata sbattuta sul lurido prato dello sfasciacarrozze, anche se non riesce a vedere la schiena e i capelli. Però viste le condizioni della gonna, anche la camicia sarà ancora peggio ben imbrattata di grasso nero.
Si torce le mani in preda all’ansia perché la corriera tarda a venire, mentre le macchine sfrecciano davanti a lei. Finalmente la sagoma amica del bus si profila in lontananza sul lungo rettifilo nero ed argenteo approssimandosi alla fermata.
“Avanti!” sussurra ansiosa Simona “Muoviti! Tu sei la mia salvezza! Dio, ti prego, fa correre quella lumaca!” mentre vede il grosso lampeggiante giallo in azione, perché l’ha vista e si appresta ad accostare.
La porta anteriore si spalanca come una grande bocca per accoglierla sicura dentro il grande ventre della corriera, mentre scorge in lontananza la macchina di Mark, che lentamente sta scrutando i bordi della strada alla ricerca della preda sfuggita.
Infilata la moneta nella feritoia, si rannicchia sul sedile centrale per nascondersi alla vista del cacciatore, perché non è ancora in salvo. Spera che a Mark non venga in mente di salire sull’autobus ad una delle prossime fermate, mentre cerca di trovare un sistema per mettere più strada possibile tra loro. Gli occhi cadono sulla mappa dei trasporti urbani, che evidenziano che alla prossima fermata potrebbe scendere e prendere la metropolitna fino all’appartamento nelle vicinanze di Times Square a Manhattan.
Sbircia dietro e davanti nel tentativo di scorgere la Buick nera di Mark, poi allunga lo sguardo alla fermata. Tira un respiro di sollievo, forse riesce a farcela a tornare nel Residence Inn Marriot dove alloggia da quando è arrivata a New York.
Quaranta minuti dopo è al sicuro nella sua stanza al 10 piano, che gurada il Bryant Park. Si guarda allo specchio: è in condizioni terribili. Toglie la camicetta, strappata in alcuni punti e nera di grasso, di fango ed altri sudiciumi, che getta nel cestino, come la gonna.
Rimane in mutandine, mentre controlla tutte le abrasioni del corpo prima di mettersi sotto la doccia bollente a togliersi odori e sozzure raccattati dallo sfasciacarrozze.
Era la fine di giugno, quando Simona era giunta a New York con un volo Air France via Parigi tre sere fa per incontrare Mark, con cui aveva chattato per oltre un anno. I genitori non volevano che volasse in America ad incontrare uno sconosciuto incontrato sul web, ma lei ormai aveva quarantanni e viveva single da una vita. Si era presa due settimane di ferie per andare a New York. Il viaggio e il soggiorno erano costati relativamente poco per via del dollaro debole e per di più si faceva una bella vacanza in una città per le mitica.
Finita la doccia ristoratrice, controlla i danni fisici subiti, mentre ripensa che ha fatto benissimo a non fornire a Mark l’indirizzo dell’alloggio a New York, altrimenti sarebbe già in preda all’ansia e al timore di vederselo sbucare dalla porta d’ingresso.
Dopo l’arrivo aveva trascorso i primi due giorni per sistemarsi e riprendersi dalle differenze di fuso orario, aveva contattato telefonicamente Mark, che con insistenza voleva sapere dov’era alloggiata, ma lei prudentemente aveva fatto finto di non capire la domanda. Si erano dati appuntamento in Central Park per la mattina e fare la prima conoscenza dopo tanto chiacchierare in inglese via chat.
L’incontro non è stato dei migliori, anzi piuttosto deludente per via di Mark, che immaginava più alto e più giovane. La conversazione ha languito a lungo, perché lui mostrava più interesse alle forme di lei che a parlare, non faceva altro che toccarla un po’ ovunque con grande imbarazzo di Simona, che non si aspettava questa aggressività sessuale che gradiva poco almeno in questa fase della conoscenza.
Il suo viaggio non era un tour gastronomico sessuale, ma desiderava incontrare una persona dopo averla conosciuta solo virtualmente, ma sembrava che questo desiderio dovesse rimanere tale dopo l’esperienza del pomeriggio.
Si domanda perché si è cacciata in questa avventura che assomiglia più ad un maledetto pasticcio che a qualcosa di stimolante.
Ripensa a tutti gli uomini della sua vita che tra meteore e stabili sono stati invero troppi. Roberto con cui ha avuta la relazione più lunga è stato la persona più importante. Conosciuto negli ultimi anni del liceo ha avuto un rapporto, durato per tutta l’università e un paio di anni dopo tra passioni travolgenti e litigate altrettanto furiose. Dopo di lui il diluvio dei sentimenti ha travolto Simona, che ha visto passare nel suo letto tanti uomini, senza che nessuno di questi abbia saputo donare un briciolo di amore. Ricorda Enrico, con cui ha tentato inutilmente e con esiti a dir poco disastrosi di convivere, ma viene presa dallo sconforto.
Poi c’è stata la parentesi con Anna, la collega di lavoro lesbica, che per mesi aveva tentato di avere una relazione con lei, finché dopo la delusione di Enrico decide di accettare il corteggiamento. E’ stata un’altra esperienza infelice sotto tutti i punti di vista senza ricevere nulla in cambio, mentre conveniva che tra l’amore lesbico e quello etero la bilancia pendeva decisamente verso il secondo.
“Fortunatamente siamo rimaste tutte e due senza lavoro, perché la società ha chiuso i battenti. Così senza troppi traumi si è concluso quel legame che stava diventando troppo ingombrante. Cosa non funziona in me?” si domanda sconsolata, mentre si aggira nuda nella stanza del residence “Attiro uomini a profusione, ma il loro unico obiettivo è solo di fare sesso con me”.
Quando ormai si stava avviando verso i quaranta, che per molte donne sembrano essere l’apice della lora vita prima di affrontare la parabola discendente della vita, ha scoperto il blog e la chat e tanti amici virtuali con cui può scambiare osservazioni e commenti.
La scrittura di pezzi tra il personale e l’attualità riesce a fornirle un momento di serenità e tranquillità, facendole dimenticare le delusioni amorose.
Poi un anno e mezzo fa l’incontro fortuito su Twitter con Mark, poi l’uso di Messenger per parlare on line. Inizialmente era contenta perché poteva perfezionare il suo inglese scritto, poi è diventata come una droga, perché aspettava con ansia la sera per aprire il dialogo con Mark.
“E le lunghe telefonate su Skype, che mi hanno permesso di sentire la sua voce calda e sensuale.” ancora ricordi dell’altro ieri affollano la mente di Simona.
Il loro rapporto virtuale diventava sempre più saldo e vincolante, mentre lui diventava il confidente a cui doveva confessare i problemi, i desideri, le ansie e le gioie. Mark insinuante e malizioso cominciò a porre domande sempre più intime ed imbarazzanti per chiunque ma non per lei, che rispondeva alle sue domande con particolari sempre più dettagliati. Simona era diventato un libro aperto, mentre metteva a nudo la personalità.
Stava preparando la trappola per attirarla a New York. Prima aveva detto che sarebbe venuto a Roma, ma poi con scuse varie rimandava il viaggio finché non lo annullò definitvamente, mentre le chiedeva di raggiurgerlo nella grande Mela.
“Se vieni a fine giugno, troverai il clima ideale. “ disse suadente “Ed io avrò molto tempo da dedicarti”. Così organizzato il viaggio in tutti i dettagli, era partita fiduciosa verso la grande America.
Il resto è storia recente.