Il giorno dopo la tempesta
Rientrata a casa Micaela trovò la casa vuota e non dovette dare spiegazioni penose ai propri genitori. Si tolse tutto, tanto non c’era un indumento asciutto o in buono stato, fece una doccia calda per togliersi da dosso tutto l’umido accumulato in precedenza prima di infilarsi tremante nel letto.
Il telefono squillò a lungo e ripetutamente: era il numero di Matteo. Lo spense, perché non voleva sentire quel suono che le trafiggeva la testa come una corona di spine. Tra brividi di freddo e sussulti di lacrime non riusciva ad odiarlo, ma percepiva una violenta irritazione nei confronti di lui e verso se stessa, perché si era lasciata trascinare dalla curiosità di una domenica diversa, di conoscere le proprie reazioni e capire le reali intenzioni di Matteo, che pareva averla stregata.
Tra i ricordi confusi di una serata da dimenticare le sembrava di ricordare qualche frammento di conversazione con il proprio salvatore del quale aveva già scordato il nome.
Le sembrava, ma non era certa perché era come sospesa tra realtà e sogno con un senso di indeterminatezza dello spazio e del tempo, che avesse detto: “Lavoro vicino a casa tua. Faccio..” e qui i ricordi sfumavano nel delirio.
I brividi aumentavano, ma era la febbre che incalzava, mentre il petto era squassato dai sussulti di singhiozzi non più tenuti a freno dalla volontà di vincere la rabbia che prepotente cresceva dentro di lei.
Si rannicchiò sempre di più per proteggersi dal freddo che sentiva dentro e fuori di sé, ma il corpo non percepiva calore a parte il viso che sembrava bruciare per la febbre. Non trovava la forza di alzarsi e prepararsi latte caldo, miele di castagno ed aspirina per combattere la grossa infreddatura rimediata nel ritorno da Monselice. Scivolò lentamente nel dormiveglia agitato e confuso, pieno di sogni da incubo con Matteo che la possedeva con furore ed una punta di sadismo. Lei avrebbe voluto urlare, scappare, ma mille lacci e laccioli la trattenevano tra le braccia di ferro di lui impedendole la fuga. Non comprendeva perché non riusciva a rompere quei deboli legacci che la imprigionavano in una casa sconosciuta. Farfugliava parole senza senso, pronunciava pensieri sconnessi, vedeva ruotare attorno a sé le pareti come un gigantesco caleidoscopio che scomponeva immagini per poi ricomporle in modo differente.
Aveva perso la percezione spaziale-temporale della propria esistenza, quando la madre la svegliò per coprirla con un plaid e farle bere latte caldo con l’aspirina.
La mattina seguente sentì la fronte bruciare per la febbre e la gola piena di mille aghi che si divertivano a pungere con sadismo, mentre i ricordi confusi si ricomponevano lentamente nella mente. Per diversi giorni non avrebbe potuto aggregarsi al gruppo con grande dispiacere perché avrebbe perso le lunghe riunioni e discussioni su come procedere nel recupero dell’area. La raccolta delle informazioni nel cantiere erano terminate, ora si doveva analizzarle e sintetizzare per dare vita al progetto definitivo. Avrebbe perso la metodica con la quale si sarebbero separati i dati importanti da quelli ininfluenti per poi aggregarli secondo criteri tecnico-economici nelle linee guida da presentare alla proprietà.
Sentiva montare dentro di sé una rabbia sorda verso Matteo che con il comportamento tenuto l’aveva costretto a letto febbricitante. Cercò di concentrare la propria attenzione su quel uomo corpulento che l’aveva salvata sotto il temporale, ma non ricordava il viso, le mani e il corpo, ammesso che lei lo avesse fissato intensamente. Faticava a ricordare il nome, che le torno alla mente dopo lunghi sforzi di concentrazione, ma tutto era fumoso come le dense nebbie autunnali che avvolgevano Padova.
Però si era ripromessa che sarebbe andato a cercarlo per ringraziarlo dell’aiuto provvidenziale a ritornare a casa.
Adesso doveva concentrarsi per guarire al più presto e non voleva pensare ad altro.
Matteo, rientrato a Rubano in preda all’ira, si rese conto dell’enormità che aveva commesso. Era stato imperdonabile lasciarla sul ciglio di una strada pericolosissima e sotto il diluvio universale e colto da un senso di colpa sgomento e tremendo riprese l’auto per tornare là dove l’aveva lasciata perché contava che erano passati pochi minuti.
Sentì in lontananza il sinistro suono di una ambulanza e credette di morire per il terrore che avesse soccorso Micaela. Perlustrò la statale senza trovare traccia di lei o segnali di un passaggio. Si fermò per comporre febbrilmente il numero di telefono, ma la fretta lo indusse in errore chiamando altre persone. Finalmente calmati i tremiti della mano sentì squillare il telefono giusto senza ottenere risposta. Come impazzito si precipitò al pronto soccorso dell’Ospedale Civile di Padova per informarsi se una giovane donna fosse stata ricoverata di recente.
Riuscì a calmare l’ansia, rassicurato che in qualche modo Micaela aveva raggiunto la propria abitazione, mentre pensava a come scusare un comportamento incivile e non troppo degno di una persona innamorata.
Non trovava parole ed avrebbe faticato a individuarle, perché aveva avuto una reazione sproporzionata alle circostanze dei fatti.
“E’ vero che è stata una giornata pessima e storta da ogni punto di vista” si diceva mentre entrava in casa “Però sono stato io ad invitarla e tutto sommato aveva ragione a lagnarsi perché ero nervoso ed irritato. Poi anziché proteggerla dalla pioggia, l’ho lasciata inzupparsi per benino perché ho ritenuto che fosse la giusta punizione alle sue rimostranze. Ora come farò a presentare delle scuse accettabili?”
E questo pensiero lo accompagnò per tutta la notte.
L’indomani prima di recarsi in ufficio tentò inutilmente di mettersi in contatto, ma il telefono era muto e spento. Riprovò più volte nella mattinata, ma sentiva solo una voce metallica registrata che diceva “Il cliente da lei cercato non è al momento raggiungibile…”.
L’ansia si stava impadronendo di lui distogliendolo dal lavoro mentre percepiva che ricucire lo strappo sarebbe stato pressoché impossibile.
Doveva rassegnarsi perché stavolta l’aveva persa in modo irrimediabile.
(Capitolo 21)
Titola da definire – Frammento #2
Nuvole rosate
pensieri sparsi
Ho trovato alcune frasi che ho trovato interessanti. su Velvet allegato alcuni giorni fa a La Repubblica e ve li propongo. Non conosco l’autore (o l’autrice), anche se sospetto che sia Susanna Schimperna. Dal disegno unito alle due frasi penso che si riferisca alla donna Leone e all’uomo Leone.
"Nel lavoro l’impegno deve essere costante e senza concessioni a quella voglia di tirare via che ogni tanto ti prende, più perché sei sicura di te stessa che per noncuranza."
"Le persone comuni sono pericolose, scriveva Lernet-Holenia. molto più pericolose delle persone insolite. Chi a che fare con loro è destinato a soccombere."
Questa invece è relativa all’oroscopo LUI del Cancro.
"Il linguaggio è un virus? Lo dice William S Borroughs al giornalista Robert Palmer (intervista nel libro <Rock’n’roll Virus>), lo sperimenti in ogni attimo della giornata. Le frasi si diffondono senza controllo, vivono di vita propria, si autoriproducono. Le tue frasi, le frasi degli altri. Nel processo, il significato si perde o cambia. Attento dunque alle parole, possono danneggiarti ritorcendosi contro di te o condizionarti perché tutti le credono veritiere quando tu, e forse nessun’altro, sa che non lo sono. I migliori risultati li ottieni parlando il meno possibile. Sia nei rapporti privato che professionali."
Mi hanno colpito perché contengono un sottofondo di verità che ognuno di noi riconosce nel proprio intimo, ma esterna in modo differente.
Visto che la Schimperna mi consiglia di tacere, taccio.
Titolo da definire – frammento
Laura si riscosse dal leggero torpore in cui era caduta, dopo aver letto il messaggio.
Si appoggiò allo schienale della poltrona, intrecciando le mani dietro la nuca e pensò: “Silvia è una ragazza dolce e sensibile, che racchiude in sé qualche mistero e un terribile desiderio di affetto. E’ giovane, troppo giovane. Non stacca un attimo di guardarmi e pende dalle mie labbra. Sto commettendo un errore incoraggiando il suo amore verso di me? Non so nulla di lei, né della sua famiglia. Sembra un piccolo animale selvatico, schivo e timido, pronto a nascondersi nel folto della foresta”.
Ricordava il primo contatto durante lo stage, quando aveva dovuto massaggiarla per sciogliere la tensione che aveva nel corpo.
Quel massaggio le aveva dato un brivido profondo, a cui non aveva prestato subito attenzione, sbagliando a non interpretare nel modo corretto quel segnale.
Laura era una donna sposata con una figlia ormai adulta, più o meno dell’età di Silvia.
“Avevo solo venti anni, quando ho sposato Mattia. Ero innamorata di lui, un ragazzo alto dai capelli castano chiari, quasi rossi, brillante e disinibito. Ci siamo conosciuti tra i banchi di scuola. Io ero timida e bruttina per via dell’acne che mi deturpava il viso, lui era adorato da un nugolo di ragazzine che sbavano e smaniavano. Era ricercatissimo! Lui frequentava la seconda liceo ed io solo la quarta ginnasio. Un pomeriggio era stata indetta un’assemblea del Liceo Classico Monti, per stabilire se fare uno sciopero, uno dei tanti che costellavano quell’anno scolastico. Sono finita di fianco a lui, che ha cominciato a parlare con me. Dello sciopero non ce ne fregava niente, quindi alla chetichella siamo sgusciati fuori nel giardino. E’ stato un colpo di fulmine e da allora non ci siamo più lasciati. All’università Mattia ha bruciato le tappe, laureandosi in leggero anticipo. Così ci siamo sposati”.
Laura stava ripercorrendo un pezzo della sua vita e un pizzico di tristezza e di nostalgia stava offuscando la sua vista. All’inizio non sapeva cucinare nulla e nemmeno come tenere una casa.
“Un vero disastro! Se Mattia non fosse stato così paziente, avrei passato le mie giornate a piangere! Dovevo frequentare l’Università, preparare gli esami, cucinare e stirare: alla sera mi addormentavo subito! Quante volte mi ha portato nel letto e spogliata, perché mi ero addormentata sul divano davanti al televisore! Dopo il ritorno dal viaggio di nozze per alcuni mesi non abbiamo avuto rapporti, perché ero talmente stanca, che mi addormentavo durante i preliminari!”
Adesso non capiva come il marito avesse sopportato tutto questo: forse era amore, forse aveva un’amante segreta.
“Dopo un paio di mesi Mattia ha deciso di aiutarmi in casa per avere più tempo per la nostra intimità. E’ stato provvidenziale perché ormai ero sull’orlo di una crisi esistenziale. Ho sempre pensato che i primi anni di matrimonio sarebbero stati i più belli ed emozionanti, ma si stavano tramutando in un incubo. Un paio d’anni dopo, tra momenti felici ed altri più cupi, sono riuscita a laurearmi ed a trovare un equilibrio precario. Sono stati momenti angoscianti da superare. L’impatto delle circostanze fece sì che lentamente cominciassi a provare odio verso il matrimonio, la casa. Mi sentivo in gabbia, da cui non riuscivo a fuggire. L’amore verso Mattia era scemato giorno dopo giorno trasformandosi dapprima in freddezza, poi col tempo in rancore. Lui aveva tentato di ricucire lo strappo, per alimentare l’amore tra di noi, ma era stato tutto inutile”.
Proprio ultimamente stavano riaffiorando questi risentimenti tanto che si era allontanata da Mattia, da Michela, la figlia, dai lavori di casa, mentre si immergeva sempre di più nel suo lavoro.
“La nascita di Michela non è stata voluta da me, ma da Mattia. Speravo di non avere figli, anzi lo volevo con tutto il cuore, quindi pretendevo di avere rapporti protetti, perché non potevo prendere la pillola. Però è successo lo stesso a venticinque anni. Per questo non l’ho mai perdonato! I nostri rapporti dopo la nascita di Michela si sono diradati sempre di più fino ad essere oggi inesistenti. Michela l’ho amata senza trasporto, solo perché era nostra figlia”.
Quante lacrime aveva versato di nascosto! Quante volte avrebbe voluto che non fosse lì! Ormai c’era e lentamente l’aveva accettata. Questa avversione verso la figlia non l’aveva mai confessato con nessuno, anzi si sforzava di dimostrare tutto il suo affetto.
Michela aveva avvertito questa sensazione di risentimento della madre e si era legata profondamente col padre.
Quando ormai era una ragazza ed aveva avuto i primi innamoramenti, si confidava col padre diversamente dalle amiche, che parlavano con la madre.
Mattia le aveva spiegato a suo tempo come sarebbe diventata donna, quali rapporti avrebbe avuto coi compagni e quali precauzioni doveva prendere.
Laura era stata assente in quel periodo delicato di Michela durante il passaggio da bambina a ragazza.
Michela ne aveva sofferto e si era legata ancora di più al padre.
“Non sono stata una buona madre. Non volevo avere figli, perché ero terrorizzata dai nuovi sacrifici che mi aspettavano. Così ho perso sia il marito, sia la figlia”.
Una lacrima scese sul viso di Laura.
(frammento tratto dal racconto "Titolo da definire racconto a quattro mani")
La nave va incontro alla torre
Il Poeta al passato remoto
La nave va retrograda nella corrente
Le Muse si disposero come il giorno precedente. Calliope stava in silenzio sull’angolo destro della scrivania con fare incerto tra la soddisfazione dello snodarsi del racconto e il mantenere il viso severo. Erato con la lira abbandonata ai suoi piedi era immobile come una sfinge nell’angolo sinistro del sottocoperta, ma non era soddisfatta della giornata trascorsa. Euterpe suonava dolcemente il flauto, ingannando l’attesa e rallegrando il Poeta.
Erato desiderava più afflato amoroso nel racconto, perché si sentiva trascurata. Però per il Poeta questo era buffo, perché stava scavando dentro di sé con i sentimenti e le emozioni che affioravano come le sorgenti di un fiume. Però volle accontentarla.
Abbandonò i ricordi più vicini per lanciarsi nel mare della gioventù, quando frequentava il Liceo.
“Cosa ricordare?” si domandò inquieto, ripensando all’incontro con Marinella di qualche giorno fa del tutto fortuito ed inaspettato.
Per qualche giorno non aveva ricordato quel colloquio, che gli aveva fatto piacere e riaffiorare tanti ricordi, preso com’era dalla sistemazione della nuova casa.
Poi una sera in un angolo della scrivania ricolma di libri, oggetti e cartacce, che lasciavano un minuscolo spazio per il Poeta, trovò sepolto sotto fogli ed appunti un quaderno dalla copertina rossa, mentre nella mente cominciarono a frullare mille ricordi.
Era il quaderno delle poesie scritte tanti anni fa, quando il Poeta sperava di oscurare la fama del poeta prediletto: Leopardi.
Lui si fermò un attimo a guardare Erato, che aveva ripreso la lira in mano per accompagnare la lettura dei fogli ingialliti ricoperti dalla grafia ordinata e precisa di Lui.
Non era ancora venuto il momento di aprire il quaderno, perché era indeciso tra quali ricordi doveva cercare.
Lì c’erano i primi amori, le prime delusioni, i molti rimpianti, ma c’era una parte di sé che aveva sepolto per non ricordare, perché ora esisteva solo Lei.
Il primo pensiero fu per … non ricordava il nome delle due sorelle che aveva frequentato in un estate lunga ed assolata per poi sparire nel vortice dell’oblio. Si stava sforzando a richiamare alla memoria quel nome perso nei meandri del silenzio. A poco a poco riaffiorò dal buio dove era stato riposto la parola cercata: Pinca.
”Come si chiamavano?”, disse tra sé facendo uno sforzo per ripescare dal fondo del mare il nome, ”Una si chiamava Maria Elena. No, solo Elena, era la più grande e mi piaceva, ma io non piacevo a lei. Aveva la mia età. Ora sarà come me. Chissà dove sarà adesso? Si sarà sposata? Avrà avuto dei figli? Chissà!”
Il viso era indefinito, sfumato nei contorni senza occhi e bocca. Nemmeno era bella, almeno così gli sembrava ora, tanto da domandarsi cosa gli piaceva di lei.
Dai fogli ingialliti scaturì la poesia, che le aveva dedicato
Tu assomigli al mare
quando il vento con infinita tenerezza
ne agita la calma distesa verde
e accarezza delicatamente
la sua superficie lievemente increspata,
quasi temendo di fare del male.
(tratta da “Poesie di marzo” )
che incontrò il muto plauso di Erato.
Era la sorella che ricordava visivamente, ma non il nome. Ancora sforzi fece per estrarre dal nero pozzo dei ricordi quel nome, finché chiusi gli occhi non apparve nitido di fronte a sé “Doriana”. Non era bella anzi molto meno bella di Elena, era molto giovane, forse tredici o quattordici anni, quando in quell’estate magica la conobbe. Era magra con il naso che non era dei migliori. Aveva un bel caratterino deciso e volitivo, testarda e tenace.
A Doriana piaceva il Poeta che ricambiava senza troppi entusiasmi. Si punzecchiavano e più che due innamorati sembravano cane e gatto perché era sempre pronti a baruffare.
Pian piano nella mente si ricomponevano le immagini di quella estate: la loro casa, le feste che si tenevano sulla grande terrazza illuminta per lo più dalla luna, le passeggiate nel buio dell’enorme giardino tenendosi per mano, i primi baci furtivi.
Risuonavano nella mente le dolci note dei dei vinili a 45 giri cantate da Neil Sedaka, Paul Anka e The Platters o i ritmi indiavolati dei primi rock o delle cadenze caraibiche.
Quanti ricordi! Un autentico fiume stava sommergendo il Poeta, che a stento riusciva a tenere in linea di galleggiamento la nave, mentre Le Muse lo osservavano curiose di conoscere quello che aveva da narrare.
Erano state le prime esperienze d’amore per entrambi, i primi baci strappati di nascosto, anche se era certo che i genitori li osservano non visti e in un certo senso contenti perché metteva le briglie al puledrino inquieto di Doriana.
Però il Poeta si sentiva attratto verso Elena, sorniona e tranquilla, che aveva occhi solo per un ragazzo più vecchio di loro, e soffriva.
Nelle orecchie di Lui risuonavano “Oh! Carol” di Neil Sedaka, che ballava stretto stretto nella terrazza debolmente illuminata da una piccola lampada in un angolo. Non era mai stato un gran ballerino: non sentiva il tempo ed era scoordinato nei movimenti. Si era sempre sentito fuori dal suo elemento durante le feste domenicali, perché era ben conscio che le ragazze erano atterrite quando Lui le invitava.
Quali sensazioni stava provando mentre riascoltava ‘Diana’ o ‘The great pretender’, che aveva trovato su vecchie cassette, retaggio di un tempo che non c’è più. Il brivido maggiore l’aveva avuto quando aveva sentito il mitico Paul Anka cantare la canzone che cominciava così “You are my destiny, you are …”.
Non minore era stata l’emozione nell’udire il ritmo indiavolato di “Speedy Gonzales” che era cantata da … Un vuoto era nella memoria, perché non ricordava il nome del cantante. Un attimo di panico prese il Poeta per quella amnesia, poi la frenetica ricerca per rintracciare il nome: Pat Boone, il bello degli anni sessanta.
Si rilassò e riprese a vagabondare coi ricordi di quei giorni e le poesie dedicate a Doriana.
Tu sei selvaggia e spinosa,
tu sei indomita e fiera:
non t’appassire ora,
perché bella è per te la vita ora.
Fiore di serra incolto,
fiore di campo disadorno
rifiorisci alla dolce aria
della fresca e odorosa primavera.
(tratta da “Poesie di marzo” )
Erato annuiva mentre pizzicava la lira, ascoltando la poesia con la quale iniziava il quaderno rosso.
Passarono tutta l’estate insieme tra piccole feste e passeggiate romantiche nella via alberata, tenendosi per mano.
Il Poeta era stato sempre romantico, gli piaceva sussurrare parole dolci, che sgorgavano dal cuore, ma era difficile che dicesse ‘Ti amo’. Si sentiva impacciato come nel ballo, perché gli sembrava retorica.
Così si affidava ad un fiore, ad un complimento, allo sfiorare con delicatezza il viso, a guardarla negli occhi per trasmettere quel messaggio ‘Ti amo’.
Scrisse poesie senza mai dirlo in incognito. Aveva degli strani pudori, era per certi atteggiamenti timido ed impacciato.
Poi con l’autunno cominciarono a calare le prime nebbie sul loro rapporto e si persero di vista.
Di Doriana restarono solo le poesie e qualche brandello di ricordi sbiaditi dal tempo, che il Poeta aveva riposto in un qualche angolo della mente senza troppi rimpianti.
Un’altra giornata volgeva al termine col sole declinante sull’orizzonte, tingendo di rosso l’oceano che scorreva retrogrado.
(altro frammento da Il Poeta e il Clandestino)
Ultramarine
Ultramarine
Vola leggera
la mente
come la piuma
sospinta dal vento.
Ora sale,
ora scende,
come le emozioni
dentro di me
nel vedere te.
Impalpabile ed eterea
appare
in lontananza
il blu oltremare
dell’ignota meta,
il cui approdo
sembra lontano.