Pietro chiese lumi a Alice: «Dove siamo diretti? Visto che sei tu a indicare la meta». Le chiese prima di entrare nel locale senza ricevere risposta. Scosse il capo, brontolò qualcosa di non ineleggibile e spinse la porta d’ingresso.
Si sistemarono in un tavolino d’angolo da dove potevano vedere il bancone della mescita e la maggioranza degli avventori, che erano pochi e assonnati.
“Un caffè forte e una fetta di strudel di mele. Mi raccomando calda” disse al gestore appoggiando le mani sul legno che mostrava i segni del tempo e dei molti clienti che erano passati di lì.
“Ce li porti in quel tavolino d’angolo” e lo indicò puntando l’indice verso il tavolo.
Gli era sfuggito un lapsus: quel pronome indicava la presenza di due persone ma una sola era visibile. E per un attimo fu colto dal panico di essersi tradito, ma il barista non ci aveva fatto caso, assorbito dalle ordinazioni degli altri avventori e dal frastuono della televisione,
Una graziosa cameriera con una pettorina bianca, sbucata all’improvviso da una porticina laterale, arrivò con un vassoio dove fumavano un caffè, un cappuccino e un piatto con strudel, brioche ancora calde come se fossero stati sfornate in quell’istante. Deposte le tazze come se fossero in due col piatto al centro, se ne andò lasciando dietro di sé un sorriso che sembrava l’augurio di «Buona colazione».
Pietro rimase perplesso ma subito fu ripreso da Alice.
“Non fare quella faccia! Vuoi farti notare? Ricordati. Gli altri non mi vedono”.
Lui si volse verso di lei con aria smarrita e balbettò un «Farmi notare? Non è forse singolare vedere un cappuccino e paste che galleggiano per aria?» ma subito dopo si concentrò sul caffè e la fetta di strudel.
“Veramente ottimo! Qui ho trovato sempre dello strudel fantastico!” disse mentalmente rivolgendosi alla compagna.
“Fammene assaggiare un pezzetto. Questa pasta sembra sfornata da pochi minuti tanto è fragrante! Te ne lascio un po’” rispose tranquilla Alice, mentre allungava una mano per prelevare quello che restava.
Pietro si domandava dove erano diretti e i motivi di tanti misteri.
“Ora che siamo a stomaco pieno. Mi dici dove stiamo andando?”
Alice sorrise sorniona e, ponendo la mano sul braccio, lo criticò nuovamente perché mostrava troppa curiosità e impazienza.
“E chi non sarebbe curioso nelle mie condizioni? Quanti sono stati gli indovinelli che mi avete proposto? Credo di averne perso il conto!” esclamò alzando le mani al cielo.
Nella sala si fece silenzio e tutti si voltarono verso di lui, che balbettò qualcosa di incomprensibile e fece un gesto come a chiedere scusa di avere alzato il tono della voce.
Una nuova risata echeggiò nella mente mentre udiva chiaramente «Te l’avevo detto di stare calmo!»
Pietro si irritò per quanto era successo.
“Non dovevo esternare così. Dovrei contare fino a dieci prima di parlare. Ma…” e si fermò.
“Ma che cosa?” lo incalzò Alice.
Lui scosse il capo e non volle proseguire, rimanendo in silenzio.
Alice aspettò che riprendesse la conversazione ma inutilmente perché continuava lo sciopero della parola.
“Ancora una mezz’ora di relax. Poi ci rimettiamo in marcia. Forse saprai tutto o forse no”. Una nuova risata allegra rimbombò nella testa di Pietro.
L’irritazione di essere all’oscuro della meta, il lieve dileggio, che le parole di Alice trasmettevano, ebbero il potere di renderlo nervoso e cupo. Si agitò sulla sedia come se fosse diventata improvvisamente scomoda.
“Non si parte se prima non mi avrai spiegato qualcosa di più. Sono stanco di risolvere indovinelli” rispose seccato.
Alice gli toccò leggermente l’avambraccio per trasmettergli un po’ di serenità.
“Non mi sembra il momento opportuno ..” aveva cominciato col dire.
“No! In questa mezz’ora c’è giusto il tempo per chiarire qualche aspetto. Dunque. Da dove cominciamo?” replicò senza ammettere ragioni Pietro.
“Sei proprio deciso? Il viaggio è lungo e ..”.
“Da qui non mi muovo se non spieghi alcune cose. In primo luogo chi sei? Lo so che sei una donna elfo. Lo vedo e non c’è bisogno che tu me lo dica. Ma dimmi che rapporti ci sono tra noi? Trovo singolare che ..”
Alice sbuffò impaziente e trattenne una nuova risata. Sapeva che si sarebbe irritato maggiormente.
“abbiamo consumato già un quarto d’ora in schermaglie e tra ..”
Pietro le afferrò entrambe le mani e si concentrò su di lei. Voleva questa prima spiegazione con tutte le sue forze.
“E va bene!” sbuffò la ragazza. “Non molli l’osso. Vuoi conoscere tutto di me? E allora sia. Però promettimi che tra dieci minuti si parte. Il viaggio è lungo”.
Pietro annuì e con il gesto della mano richiamò l’attenzione della cameriera che arrivò subito.
“Il conto, prego” disse asciutto senza tradire il nervosismo che stava crescendo.
Tornò a rivolgere verso Alice, aspettando che cominciasse a parlare.
“La storia è lunga ma vedrò di accorciarla. Sono tua cognata” sbottò come una pentola in ebollizione.
“Avrei preferito rivelartelo in un altro contesto ma hai insistito tanto che ..”.
Pietro sgranò gli occhi, pensando alla donna che aveva di fronte. «La sorella di Elisa? Devo crederci?» era il dubbio che stava affiorando nella mente.
La cameriera sembrava aver compreso il disagio e lo stupore dell’uomo e teneva in mano il conto da saldare senza farsi avanti, aspettando con pazienza che si accorgesse di lei. Rimase ferma immobile in attesa che lui allungasse la mano.
“La cameriera aspetta che tu prenda il conto” gli sussurrò Alice, mentre lui si risvegliava dalla trance nel quale era caduto.
“Quanto devo pagare?” chiese gentile, allungando la mano.
“Sono nove euro e 10 centesimi” replicò meccanicamente, mentre Pietro mise sul piatto undici euro, senza volere il resto.
Si alzarono e si diressero verso il fuoristrada che attendeva paziente da qualche ora.
“Non ci credi?” gli chiese Alice mentre lui teneva aperta la porta.
“Non lo so. Elisa non mi ha mai parlato di avere sorelle. Ora ne scopro due. E ..”.
Alice rise allegramente prima di dire «Dovresti essere felice» e salire sul fuoristrada.
Amanda 39
Era venuto il momento di prendere commiato da Londra. Per Amanda era stata una vacanza un po’ faticosa, per Alice e Luca piacevole ma stressante. Ognuno di loro tornava a casa con un bagaglio di emozioni diverse e con minori entusiasmi rispetto alla partenza.
Amanda aveva due preoccupazioni che erano sconosciute prima di partire. Alice lasciava alle spalle un amore effimero che però aveva avuto un potere dirompente su di lei. Non avrebbe mai immaginato di essere coinvolta in una relazione sentimentale dai contorni incerti ma nel contempo corrosiva per il suo umore. Luca rifletteva se il cuore infranto non fosse il suo. La notte, quando aveva conosciuto Annie, aveva rotto ogni barriera che si era costruito. Il sesso bollente, con il quale la nottata era stata condita, non aveva avuto precedenti nella sua breve esistenza e aveva scatenato tutti gli ormoni che possedeva e non solo quelli.
Il Stansted Express era partito in orario dalla stazione di Liverpool Street e volava verso l’aeroporto dove li aspettava il solito volo low cost verso Verona. Ognuno era perso nei propri pensieri e rimuginava cosa sarebbe stato il domani ma forse anche l’oggi appariva incerto e nuvoloso. Amanda si riscosse dalle riflessioni sul significato degli avvertimenti che direttamente o indirettamente aveva ricevuto negli ultimi giorni. Era inutile pensarci su, anche perché non avrebbe trovato risposte soddisfacenti finché non fosse arrivata a Verona.
Alzò gli occhi e osservò Anke e Enrico, che stavano discutendo animatamente sia pur a tono basso. Si alzò dal posto che condivideva con Alice e Luca e si avvicinò ai due litiganti. Almeno questa era l’impressione che davano.
“Ragazzi, avete fatto la pace?” disse serena, sapendo che tirava ancora aria di burrasca. La tempesta del litigio non si era placata ma continuava turbolenta tra momenti di calma e raffiche di vento impetuoso. In quel momento il clima era tutt’altro che idilliaco.
Enrico la guardò, fece qualche movimento con le labbra ma non disse nulla. Era visibilmente alterato e non gradiva questa intromissione.
“Che vuole questa qui? Devo combattere con una donna ostinata e asfissiante. Ora compare questa a darle manforte”.
Erano questi i concetti che lui avrebbe voluto esternare ma che trattenne per sé.
Amanda aveva percepito il senso di fastidio che Enrico emanava e gli aveva inoltre letto il pensiero.
“Nessuna intromissione da parte mia. Semplicemente ho notato che stavate discutendo un po’ animatamente” replicò con tono asciutto, pronta a tornare da dove era venuta.
Anke le prese mani e le fece il gesto di trattenersi con loro.
“No. Non siamo arrabbiati tra noi. Stiamo semplicemente chiarendo i nostri pensieri e i nostri rapporti”.
“Cosa c’è da chiarire?” intervenne Enrico alzando un po’ il tono della voce. L’antipatia stava cedendo il posto all’irritazione che stava alterando parole e gesti. La guardò con astio misto a rabbia e continuò con tono decisamente seccato.
“Abbiamo passato una vacanza insieme e stiamo tornando alle nostre occupazioni quotidiane che non contemplano la presenza dell’altro. Non mi pare che ci sia niente da chiarire. Una semplice e banale conoscenza di vacanza”.
Amanda avrebbe voluto ribattere a muso duro in maniera tagliente ma si trattenne, perché tutto sommato rappresentava un momento di un normale litigio tra innamorati. Non era sua intenzione rappresentare il motivo di una rottura E poi era stata lei a intromettersi nella discussione nel tentativo di mettere fine all’alterco dei due ragazzi. Quindi doveva reprimere l’istinto che le aveva fatto comparire nella mente il pensiero che solamente due giorni prima gli andava tutto bene, mentre adesso non andava bene nulla.
“Ragazzi ..” cominciò con tono dolce per occultare tutta la stizza che covava in corpo. Cercava in tutte le maniere di ricucire lo strappo senza far precipitare la situazione
Però Enrico la stoppò subito.
“Non sopporto prediche o toni confidenziali che non ho autorizzato. Mi avete stufato con le vostre chiacchiere” e fece per alzarsi.
Amanda lo fermò con lo sguardo e replicò duramente.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere su qualcosa che non ho detto né pensato. Vuoi troncare il rapporto con Anke? Basta avere il coraggio di dirlo senza perifrasi o giochi di parole dette o non dette. E non affermare che non lo stai pensando. Ti leggo negli occhi e nella mente questi pensieri. Hai vent’anni ma sei maturo come un ragazzino di quindici”.
Prese Anke per mano e la trascinò con sé. In un altro scompartimento. La ragazza cominciò a piangere, ma Amanda le asciugò le lacrime.
“Quel tipo non ti merita! E mi sto trattenendo. Spero che abbia il buon gusto di non venire a cercarci”.
Lo disse solo per consolarla, avendo letto che mai si sarebbe abbassato a correre dietro a una gonna. Lui riteneva che il vero uomo non aveva la necessità di inseguire la donna amata ma che sarebbe stata lei a cercarlo e supplicarlo di non andarsene.
Amanda era di tutt’altro avviso e se avesse avuto la malaugurata idea, assai remota, di venire a sedersi accanto a loro, lo avrebbe incenerito. Avrebbe rimpianto per il resto della sua vita questo gesto.
Rimasero in silenzio osservando il paesaggio della campagna inglese che scorreva veloce dinnanzi a loro.
“E poi che altro ci dobbiamo dire in aggiunta a quello che ci siamo dette due giorni fa, passeggiando per le vie di Londra?” rifletteva stringendo le mani di Anke.
Dopo un po’ Michi e Franzi vennero in processione a trovarle. Erano sinceramente dispiaciute per la scenata che non era passata sotto silenzio e per nulla inosservata. Le poche parole espresse ebbero benefici effetti sull’umore della ragazza che meditava sul bilancio della vacanza, iniziata allegramente, che si stava consumando tra ripicche e litigi.
L’aereo era già pronto sulla pista, preparato ad accogliere i passeggeri e riportarli in Italia. Per fortuna il viaggio durò poco più di un’ora e mezza senza diventare un motivo aggregante. Enrico si appartò opportunamente in coda scuro in volto e visibilmente contrariato per la piega degli avvenimenti. Non era sua intenzione legarsi con un amore vacanziero. Amava la libertà e percepiva dentro di sé l’istinto naturale del single. Per lui le donne rappresentavano un momento di svago e non un fattore associante per il suo futuro.
All’arrivo a Verona il gruppo si sciolse con l’auspicio di risentirsi via internet e anche di persona, mentre Enrico si tenne opportunamente in disparte. Salutò freddamente Anke e Amanda e scomparve ben presto alla loro vista.
Alice le chiese di andarla a trovare a Isola, ma Amanda aveva ben altri pensieri e si lasciò scappare solo «Spero di sì. Ma adesso ho altri pensieri e qualche problema da risolvere». La baciò e la strinse a sé con zero promesse salvo quelle di tenersi in contatto con Twitter. Veramente un po’ poco per le aspettative della ragazza.
La sua omonima stava scalpitando e trovava tutti questi saluti un po’ troppo caramellosi. Amanda le lanciò un’occhiata di fuoco prima di congedarsi dalle amiche che tornavano a Bolzano, mentre lei si sarebbe fermata a Verona.
“Mi spiace lasciarvi e non poter commentare questa vacanza con voi. Ma un impegno pressante mi chiama altrove. Al mio rientro, spero presto, ci ritroviamo tutte a casa mia per trascorrere una bella serata di ricordi” disse loro baciandole una a una.
Sapeva che il futuro non sarebbe stato quello appena descritto ma in cuor suo lo sperava.
Si incamminò verso il bus che l’avrebbe condotta in città sempre seguita come un’ombra dall’altra Amanda.
Quando furono lontane da orecchie indiscrete, l’affrontò chiedendole cosa c’era di tanto urgente da non aspettare il ritorno a casa.
“Il bosco e gli elfi hanno decretato la mia espulsione. Però adesso mi reclamano a gran voce. Cosa è cambiato?” domandò con tono asciutto ma deciso.
“Dei tuoi rapporti con gli altri tuoi consimili non so nulla né mi importa conoscerne le motivazioni della tua cacciata. Saranno loro a chiarire la situazione. Per quanto mi riguarda so che Pietro sta diventando sempre più debole e incapace di preservare il bosco dai pericoli come era scritto nel testamento. Quindi il mio compito è di condurti da lui”.
“Mio padre ..” e fece una pausa, perché in effetti le sensazioni andavano proprio in quella direzione.
Provò a riprendere il discorso ma non riuscì a completarlo. Un senso di angoscia l’aveva presa senza che lei potesse mitigarlo neppure un po’.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto. A Verona avrebbe preso una decisione.
Amanda 38
La mattina seguente Pietro si preparò per partire. Durante la notte la prima neve aveva imbiancato le cime più alte. Quello che temeva di più erano queste nevicate precoci e inaspettate, non rare a fine settembre. Si sentiva stanco e affaticato dopo una settimana trascorsa tra realtà e sogno. Anche nella notte appena trascorsa aveva fatto sogni strani, quasi premonitori.
Lui era nella radura accanto al grande abete e ascoltava la voce del bosco, che sussurrava una storia già conosciuta. Eppure gli piaceva rimanere in ascolto. Il tempo pareva cristallizzato, immobile, mentre le piante avevano acquistato vitalità e personalità. Era assorto nei suoi pensieri, quando a un tratto si materializzò accanto a lui Alice.
“Ciao” disse dopo un sussulto per l’improvvisa apparizione.
“Ciao” fece lei di rimando.
“Hai ascoltato per l’ennesima volta la storia di Klaus e Amanda. Non ti stanchi mai”.
“No, perché mi ricordano una parentesi felice. Una brevissima stagione degli amori”.
Lei gli prese la mano e disse «Vieni con me» e lo trascinò nel folto del bosco.
«Dove?» e si lasciò guidare docilmente. Camminarono a lungo attraverso porzioni di bosco che non ricordava sempre in silenzio. Alice gli fece cenno col dito sulle labbra di tacere per non rompere il clima di serena tranquillità che stavano assaporando.
Giunsero a una radura, anch’essa del tutto ignota a Pietro. Si guardò intorno per osservare la natura e le figure che erano apparse. Volti noti mescolati a quelli che vedeva per la prima volta. Sembrava un raduno simile a quello del giorno precedente nella baita.
“Ma è stato un sogno oppure una realtà?” si domandava incapace di trarre una risposta risolutiva.
Comparvero tavoli e grandi quantità di cibo. Si interrogò nuovamente sul significato di queste tavolate e sui motivi per i quali non riusciva a distinguere il confine tra il sogno e la realtà.
Alice, sempre tenendogli la mano, gli disse «Domani dobbiamo partire prima che la neve sommerga ogni cosa.». Si chiese del perché di questa affermazione, perché il cielo era limpido e non minacciava neve. Però scosse il capo, perché Alice gli proponeva solo indovinelli senza dargli le risposte.
Poi il sogno svanì mentre il resto della notte fu un film senza immagini e suoni. Però al risveglio gli ronzavano nelle orecchie le parole che la ragazza aveva pronunciato «Devi partire prima che la neve sommerga ogni cosa». Era ancora incredulo e assonnato, perché a fine settembre può nevicare, ma era neve fuori stagione, di breve durata.
Aprendo le imposte vide le cime imbiancate e restò a bocca aperta. Dunque Alice non aveva mentito con quella frase.
“Meglio partire che rimanere bloccati quassù” disse mentre organizzava la partenza.
Senza fretta e con calma fermò l’impianto elettrico e svuotò le tubature dall’acqua perché non gelassero. Fece l’inventario del cibo suddividendolo tra quello che si sarebbe conservato fino alla prossima primavera e quello invece da lasciare agli animali del bosco. Raccolse quello, che aveva intenzione di riportare a casa e le caricò sul fuoristrada. Chiuse con cura tutte le imposte e le varie porte della baita.
Adesso era pronto a lasciare il bosco e tornare tra la gente.
“Mi fermerò in paese a fare colazione” disse mentre ingranava la prima.
Si domandava se non era stato troppo frettoloso nel lasciare la casa, perché il tempo non minacciava il brutto. Sospirando, mentre scendeva con prudenza per il sentiero che l’avrebbe condotto in paese, si disse che, a parte l’abbassamento della temperatura, il cielo era terso e limpido come appariva di solito in questo periodo dell’anno.
Era immerso in questi pensieri e concentrato sulla stretta strada in ripida discesa, quando Alice comparve sul sedile passeggero alla sua destra.
Ebbe un breve sussulto di sorpresa e rischiò di uscire di strada per la brusca manovra del volante.
Prima ancora che lui formulasse un qualsiasi quesito, fu anticipato dalla donna.
“Saggia decisione, la tua. Se avessi tardato a prenderla, saresti rimasto bloccato nella baita..”.
“Com’è possibile? Non c’è una nuvola in cielo, gli animali del bosco non mi hanno segnalato niente. E quando ci sarebbe stata questa nevicata?” domandò dubbioso al passeggero sbucato in maniera inattesa.
Una breve risata gelò all’istante qualsiasi pensiero legato alle sue parole.
“Guarda nello specchietto e vedrai che il bosco alle tue spalle è avvolto da una caligine bianca. E’ la neve che sta turbinando”.
Pietro si preparava a replicare pepato, perché aveva lasciato alle spalle un cielo azzurro e terso senza nuvole. Incuriosito volse lo sguardo frettoloso alle sue spalle, ma lo spettacolo era davvero imponente. Come aveva detto Alice, il bosco era scomparso alla vista coperto da milioni di piccoli batuffoli di nuvole che scaricava sul bosco e sulla casa grandi quantità di neve.
Scosse la testa, perché era inutile lottare con lei. Sentenziava e come per magia faceva apparire le risposte alle affermazioni. Anche stavolta non aveva parlato fuori luogo.
“Vieni come me a fare colazione o preferisci aspettarmi a bordo?” le chiese mentre parcheggiava il fuoristrada dinnanzi alla Primula Rossa.
Annuì per accettazione e si preparò a scendere. Pietro l’osservò con attenzione come mai aveva fatto finora e le disse che non poteva entrare nel locale vestita solo con una tunica di lino bianco, perché avrebbe provocato molte chiacchiere e diversi interrogativi.
“Perché?” replicò tra il divertito e il dubbioso.
“Perché? E me lo domandi? Nessuno nemmeno nel periodo più caldo dell’anno gira con solamente una tunica bianca. Ora poi, che la stagione autunnale ha superato le prime settimane, le persone vestono pesante. Vuoi farti notare? Questo è il sistema migliore”
Una nuova risata lo colse impreparato, perché lui si chiedeva i motivi per i quali temeva i pettegolezzi dei paesani.
“Amico mio! Non hai ancora compreso che solo tu mi vedi? Noi non parliamo attraverso dei suoni ma per il tramite dei nostri pensieri. Dunque non preoccuparti di come vesto. Non patisco il freddo né il caldo” tagliò corto Alice.
Pietro era sempre perplesso perché non poteva ordinare due cappuccini, un paio di brioche e altro senza destare la curiosità degli avventori e del proprietario.
“Non essere così titubante. Filerà tutto liscio. Tu ordina per te come se io non fossi presente” e decisa scesa dal fuoristrada.
Riluttante Pietro fece altrettanto, entrando nel locale.
“Un cappuccino e una fetta di strudel caldo” ordinò sedendosi all’unico tavolo libero.
Alice si sistemò sulla sedia di fronte in attesa del tè con qualche pasticcino.
“Non mi hai ancora spiegato il motivo della tua comparsa” chiese Pietro un po’ irritato.
“Dobbiamo fare un viaggio. Ricordi il secondo simbolo delle rune? Thurisaz aveva predetto un colpo di fortuna e mi pare che questo sia avvenuto ..” aggiunse sottovoce.
A Pietro sembrava di vivere in un altro mondo dove i confini tra la realtà e la fantasia erano talmente labili da confondersi in un vagare dall’uno all’altro con continuità di spazio temporale.
“Quale viaggio? Io sto tornando a Belluno. E poi dove sarebbe la metà? No, non mi inganni questa volta con i tuoi indovinelli. Io non farò nessun viaggio” rispose sicuro.
“Potrebbe darsi, ma noi due dobbiamo fare un viaggio” replicò laconica, immergendosi nella colazione.
A Pietro non rimase altro che mangiare strudel e bere il cappuccino. Aveva rinunciato a ribattere, perché pareva incredibile ma Alice aveva sempre ragione.
Amanda 37
Le giornate scorrevano uguali come due gocce d’acqua tra temporali improvvisi di breve durata e sole splendente in un’alternanza del tutto imprevedibile. Amanda capì perché gli inglesi giravano con l’ombrello appresso. L’imprevedibilità meteorologica di Londra era mutevole come le nuvole in cielo che non si sa mai dove si dirigono.
La vacanza ormai procedeva stancamente verso il suo termine, mentre Alice e Luca oltre a litigare tra loro avevano trovato l’amore effimero e occasionale. Amanda sorrideva nell’ascoltare le loro parole, le loro confessioni. Si comportava come la sorella maggiore di entrambi raccogliendo i loro sfoghi e dispensando suggerimenti e osservazioni con sagge parole ben ponderate.
Il ragazzo continuava a frequentare Annie, che si divertiva a giocare con lui come il gatto col topo. Un momento era dolce, un istante dopo era scostante, mentre lui era sempre convinto d’aver fatto breccia nel cuore di lei. Però a parte la prima notte calda, anzi bollente poi era stato un crescendo di delusioni condite da «Stasera no. Non sono in forma.» oppure «Mi spiace ma ho promesso che questa notte non avrei portato nessuno in camera.». Così il povero Luca tornava alla stanza più intristito che mai.
“Non hai capito che si sta prendendo gioco di te” gli diceva Alice con un tono sufficientemente acido da renderlo furioso.
“Non hai capito nulla!” replicava stizzito e il battibecco continuava a lungo finché Amanda non interveniva per mettere pace.
“Suvvia, ragazzi! Siamo in vacanza e come sapete gli amori vacanzieri terminano al momento del ritorno a casa. Luca, sta tranquillo e goditi la vicinanza di Annie senza troppi pensieri. Lei ha la testa altrove e di certo non pensa di proseguire questa piccola avventura. Di sicuro le piaci, perché ..” e lasciava sfumare la frase.
Poi rivolgendosi a Alice la riprendeva garbatamente perché mostrava un’acidità troppo marcata.
“Alice non ti va che il tuo Davie ti tenga sulla corda. Ma lo conosci bene? Mi sa proprio di no..” e incominciava una lunga discussione con lei che finiva invariabilmente con un abbraccio tra loro.
Però Amanda era turbata, perché troppi segnali, troppe sensazioni strane la avvolgevano in un clima di triste inquietudine.
Non riusciva a mettersi in contatto col padre, pur percependo che aveva necessità di aiuto.
“Di che aiuto ha bisogno? Fisico oppure solo psicologico?” si domandava con un pizzico d’affanno.
Però un altro pensiero continuava a condizionarla: erano i tentativi di Amanda, la sua omonima, di contattarla nei momenti più topici.
Se per Pietro c’erano solo sensazioni, un vago timore soffuso e per nulla certo, più insistente era il bussare della sua omonima.
Però capitava sempre quando per lei era impossibile concederle l’accesso. Ricordava l’insistenza durante la brutta avventura di Clapham Junction, quando doveva mettere in salvo Alice oppure durante le discussioni sugli amori con i due ragazzi.
Quello che la rendeva nervosa era il fatto che, quando c’erano le condizioni, lei si faceva negare. Era questa un’operazione da farsi concentrata e non distratta da turbolenze esterne. Inoltre non era improbabile che comparisse fisicamente accanto a lei, come era successo quando aveva quattro anni.
“E se compare, rimanendo visibile a chi mi sta intorno, quali reazioni potrebbe suscitare? Questa operazione deve verificarsi quando sono sola. E’ un momento di grande tensione emotiva e servono nervi saldi e mente sgombra. Eppure quando ci sono le condizioni favorevoli, lei non c’è o si nasconde. Chissà cosa vuole”.
Era immersa in questi pensieri, quando senti un bussare discreto alla porta della stanza.
Si alzò sospirando, perché adesso non avrebbe potuto fare un tentativo di contattarla.
“Ciao!” disse a Anke.
“Ciao” rispose con un tono dimesso.
“Cosa è successo? Sembri un cagnolino bastonato”.
“Nulla” e una lacrima scivolò sul viso.
“E per nulla piangi? Entra e non stare lì impalata sulla porta. Sono sola e lo sarò per un pezzo. I miei compagni di stanza sono fuori coi loro amori”.
Anke entrò e cominciò a piangere a dirotto, in maniera convulsa senza che Amanda riuscisse a frenarne l’intensità.
“Cosa è successo” le chiese con premura, stringendole le spalle.
Però la ragazza non riusciva a trovare le parole, lavate vie dalle lacrime.
Amanda si chiedeva cosa poteva essere successo di tanto grave da impedirle di esprimersi in maniera intellegibile.
“Calmati! Non ho capito nulla di quello che hai detto” riprese con calma nel tentativo di bloccare quel piccolo torrente in piena che scorreva sulle guance.
Tra un singhiozzo e un altro riuscì a biascicare poche parole chiaramente.
“Ho litigato con Enrico”.
Amanda le sollevò il viso e sorridendo replicò che per così poco stava facendo una tragedia.
“Poco? E ti sembra poco?” rispose interrompendo il pianto.
“Non mi pare una cosa così grave! In fondo un litigio, per quanto violento, si può sempre ricomporre. E poi lo conosci da soli quattro giorni ..”
“E con questo, cosa vorresti affermare? Non conosci le motivazioni per le quali abbiamo litigato ..”
“E’ vero. Hai ragione. Non ho un’idea dei motivi. Però se non vuoi dirlo, nessun problema. In definitiva ..”.
Anke raddrizzò le spalle e guardò fissa negli occhi Amanda.
Il viso rotondo sembrava più tirato del solito e qualche ruga increspava la fronte.
“Devi sapere ..” e cominciò il suo racconto, interrotto brevemente da Amanda con qualche domanda.
Dopo quattro giornate trascorse sempre insieme giorno e notte, nella mattinata odierna Enrico mostrò segni di insofferenza.
“Non mi lasci respirare!” sparò secco senza nessun preavviso.
“Come?” rispose Anke.
“Non mi pare che ti abbia impedito di fare quello che desideravi. Ho accettato qualsiasi tua proposta, ti ho seguito ovunque volessi andare. E osi dire che ti sto asfissiando?” proseguì con tono bellicoso e per nulla amichevole.
“Sì, non riesco a muovermi senza di te al seguito” continuò imperterrito Enrico.
E la discussione salì di tono fino al «fatti fottere. Mi hai rotto i c..» detto da Enrico, che sbatteva la porta, mentre usciva dalla stanza.
“Non voglio più vederlo e se potessi mi imbarcherei sul primo aereo per Verona. Anzi con destinazione Italia!” e riprese a piangere a dirotto.
“Se ti va, possiamo ospitarti qui. Spedisco Luca da Enrico ..”.
“No! Ti ringrazio ma quel cafone lo voglio vedere in faccia. E..”
“E .. Cosa pensi di dire? O preferisci dargli quattro sberle?” replicò Amanda seria.
Non le piaceva la piega, che stavano prendendo gli avvenimenti. Anke era troppo infuriata per ragionare con freddezza col rischio di una scenata notturna al calor bianco.
“Passa in camera a prendere qualcosa da indossare. Andiamo a fare quattro passi. Ti distenderà i nervi”.
Mentre Anke andò nella stanza a prendere qualcosa di adatto per il pomeriggio piovoso e umido, Amanda sentì bussare nella mente e prima che potesse rispondere vide comparire di fianco a lei la sua omonima.
“Ciao. Ho bisogno di te” le disse, sedendosi su una sedie di fronte.
Amanda fu assalita dal panico pensando che fra pochi istanti sarebbe ricomparsa Anke.
“Non ti preoccupare. La tua amica non può vedermi né udire quello che ci stiamo dicendo. Mi vedi solo tu e ci parliamo attraverso la mente”.
“Qual è il problema?” chiese con un pizzico di ansia.
“Dobbiamo andare nel bosco degli elfi al più presto. Sta correndo grossi pericoli”.
“Però mi avete cacciata. Ora chiedete il mio aiuto?” replicò infuriata.
“Hai ragione. Ma le vecchie dispute passano in secondo ordine. Ci sarà tempo per chiarire i dissapori. Ora il bosco è seriamente minacciato”.
“Bene. Al mio rientro tra due giorni scenderò verso il bosco e ci troveremo là ..”
“Non hai capito che la situazione è critica?”
“Si, ma non posso lasciare i miei amici. Posso solo tra due giorni” e mentre pronunciava queste parole, sentì la voce di Anke «sono pronta!».
Si avviò sorridente verso di lei, prendendola sottobraccio.
Amanda 36
Una fresca mattina di fine settembre colse Pietro quasi impreparato dopo una lunga e interminabile lotta col sonno.
La notte era stata popolata da fantasmi inquieti che si aggiravano intorno a lui. I sogni erano stati più degli incubi che qualcosa di piacevole. Aveva visto la sua morte senza il conforto di Amanda. Il misterioso personaggio che aveva appena intravvisto prima di addormentarsi sembrava un essere uscito dalla penna di Stephen King o il mitico Golem di Meyrink, anche se erano generi che detestava, dei quali non aveva letto nulla. Però erano comparsi nella mente come reali, mentre lui aveva dovuto combatterli per scacciarli.
Aprì gli occhi ma si sentiva stanco e debilitato. Non c’era il pane magico di Alice, né le pozioni miracolose di Angelica a donargli quelle forze che parevano svanite con le prime luci dell’alba. C’erano solo e solamente dei biscotti ormai avvizziti dal tempo. Provò ad alzarsi ma crollò sul cuscino. Le energie erano ridotte al lumicino.
“Dunque il colpo di fortuna è solo qualcosa di fantomatica fantasia, di mitico, di irraggiungibile!” si disse mentre tentava di rifiatare e prepararsi a scendere.
Quel pensiero aleggiava leggero e pesante allo stesso tempo, perché non riusciva a comprenderne a pieno il significato.
“Di quale fortuna devo aspirare la ricezione? Ormai sono vecchio e fatico persino ad alzarmi dal letto. La fortuna dovrebbe essere riservata ai giovani che hanno davanti a loro tutta una vita. Quello che ho ricevuto finora mi è stato sufficiente. Ho vissuto lunghi periodi tra questi alberi amici che mi hanno protetto con i loro rami. Ho avuto una splendida figlia, che vorrei tanto rivedere prima di chiudere gli occhi per sempre. Cosa voglio di più?” e si abbandonò sul cuscino sfinito dallo sforzo.
Si domandò perché ultimamente era sempre stanco, debilitato, quasi incapace di provvedere a se stesso. Però nessuna risposta venne in soccorso mentre la domanda rimaneva inevasa. Con grande fatica riuscì a raggiungere la cucina al pianoterra per prepararsi un caffè che sperava potesse rimetterlo in sesto o almeno ridargli qualche barlume di forza.
Era appoggiato al bordo del tavolo per sostenersi nell’attesa che l’aroma fuoriuscisse dalla moka, quando udì un forte trambusto provenire dalla porta d’ingresso.
Pietro rimase immobile incapace di formalizzare un qualsiasi pensiero.
“Chi è?” urlò con quanto fiato aveva in corpo senza ottenere risposta.
Il frastuono cresceva d’intensità come la paura che lo stava impregnando.
Le gambe pareva sul punto di cedere ma si fece forza per restare diritto. Il caffè aveva finito di borbottare mentre un forte aroma si spandeva per la stanza.
Afferrata una tazza se ne versò una porzione abbondante alla quale aggiunse un pizzico di zucchero di canna.
Il liquido bollente scese velocemente nello stomaco mentre percepiva un filo di energia crescere dentro di lui.
Il rumore di legno spezzato arrivò qualche secondo più tardi e lo spinse a muoversi per verificare chi stava provocando quel fracasso.
Con passo incerto ma deciso a vedere chi aveva osato profanare il suo fortino si avviò verso l’ingresso.
Nella sala c’erano degli strani uomini, piccoli di statura e dalla faccia feroce. Un nano sgraziato li guidava e si stava dirigendo verso di lui.
“Fermati!” urlò Pietro come se d’incanto avesse ritrovato le forze necessarie per fronteggiare il pericolo.
Una risata stridula e beffarda accolse il suo invito, mentre si piazzava dinnanzi a lui.
“Chi sei per darmi degli ordini?” gli chiese il nano, mentre gli altri rimanevano fermi immobili sul limitare dell’uscio.
“Io”.
“Che strano nome per un uomo”.
“Perché? Cosa c’è di strano? Qui comando Io. A nessuno è permesso di entrare senza un mio consenso ..”
“Caro Io” replicò il nano “Caro Io, il tuo potere da questo momento è nullo, finito, perché è passato su di me ..” e accennò un gesto minaccioso.
Pietro rise beffardo interrompendo l’azione del nano.
“Non sei nulla e nulla diventerai! Posso spezzarti col solo pensiero ma non vorrei profanare la mia casa col tuo corpo. Quindi esci prima che la mia collera si abbatta su di te”.
Nella stanza non si udiva che il sibilare dei respiri. Nessun fiato rompeva il silenzio che era calato dopo le ultime affermazioni di Pietro.
Tutto era in bilico innaturale e instabile: pensieri e azioni. Quando un cupo brontolio seguito da un boato scosse la baita facendo tintinnare tutti gli oggetti. Pareva che un’immensa mano avesse afferrato la costruzione e la scrollasse con violenza come se la volesse stritolare.
Pietro vide tutto muoversi in maniera disordinata e dovette appoggiarsi allo stipite per non cadere in terra. Il nano come se una violenta scossa elettrica lo avesse colpito si dimenò in maniera disarticolata e terreo in volto cominciò a retrocedere verso l’uscio divelto. Gli altri uomini rimasti sul limitare della porta uscirono a precipizio, urlando. Era diventata una fuga precipitosa, inseguiti da fantasmi inafferrabili e invisibili. In breve tempo erano spariti inghiottiti dal bosco, che fece confondere loro la direzione da prendere.
Il nano rimasto solo si voltò verso Pietro con fare minaccioso, avanzando di un passo.
“Credi di mettermi paura con questi esercizi di ..” ma non concluse la frase perché si ritrovò disteso per terra.
Una nuova scossa ancora più violenta si era abbattuta sulla baita, facendo volare suppellettili e mobili in maniera disordinata. Pietro aggrappato allo stipite della porta della cucina riuscì a rimanere in piedi e prontamente rispose.
“Non mi pare che puoi dettare delle condizioni, visto che ti sei inchinato di fronte a me”.
L’osservò e accenno a un passo in avanti, mentre il nano col viso insanguinato per il vetro che gli era piombato addosso tentava di districarsi dalla credenza che era franata a terra sopra di lui.
“Dunque chi ha il potere in questa casa?” gli domandò Pietro, che invece non era stato raggiunto da nessun oggetto.
“Vattene, prima che la mia collera esploda nuovamente e non entrare più all’interno di questo bosco” e gli girò le spalle, rientrando a fatica in cucina. Udì solo lo scalpiccio di passi frettolosi che si allontanavano.
Il bosco in festa per lo scampato pericolo si fece beffe del nano come dei suoi compagni di avventura, confondendogli le idee e i passaggi, finché non si trovarono in una valle stretta che si rinchiuse per sempre su di loro.
Pietro stentava a comprendere quello che era successo e capì cosa si intendeva per colpo di fortuna: un terremoto arrivato al momento giusto.
“Alice aveva ragione nel dirmi che avrei dovuto trovare da solo la strada per raggiungere il colpo di fortuna senza il loro aiuto, E adesso?” si chiese osservando il macello di piatti e mobili sparpagliati per ogni dove nella baita.
Però si sentiva sollevato. Forse quel pericolo che lo aveva minacciato a lungo era scomparso, spazzato via da un colpo di frustra della terra.
Liberò un sedia e si sedette, aspettando che loro tornassero.
Amanda 35
Adesso la baita era silenziosa. La notte era scesa e con lei una leggera nebbiolina che galleggiava a mezz’aria tra i fusti degli abeti e dei larici. Fuori sembrava tutto calmo nell’oscurità del bosco senza un rumore nemmeno qualche richiamo roco degli uccelli notturni.
Un brivido percorse la schiena di Pietro, perché quel silenzio gli apparve innaturale come se una minaccia incombente avesse scacciato tutti gli abitanti. Scosse il capo per bandire anche questo incubo.
“Per oggi ho avuto troppi indovinelli da scoprire e da chiarire per aggiungerne degli altri” si disse avviandosi verso la camera da letto.
Però due o tre pensieri continuavano ad assillarlo: uno era il colpo di fortuna, un altro era Amanda e l’ultimo, fresco di pochi minuti, il silenzio esterno.
“Non so il perché ma mi domando dove si trova Amanda. Starà bene? Certi timori mi inducono a pensare a lei. E’ sparita nel nulla ma ho sempre sperato di rivederla. Ora però ..” e cominciò a spogliarsi per andare a letto. Questo cruccio continuava a ronzargli nella testa. Sembrava che non volesse abbandonarlo.
Si domandava il motivo di tanta insistenza come se qualche presentimento negativo incombesse su di loro. Si interrogò infine se un giorno prima di morire l’avrebbe rivista. La speranza era l’ultima a morire.
“Non sono ancora vecchio ma metà della mia vita è stata superata. Sento che presto la mia fine sarà più prossima. Angelica ha affermato che sto diventando debole e che presto avrò bisogno dell’aiuto di qualcuno. Ogni giorno che passa, dunque è un regalo piovuto dal cielo” e melanconicamente chiuse la luce.
Però il sonno tardava a venire: troppi confusi pensieri si agitavano dentro di lui e non poteva nulla per sedare questo conflitto. Fuori il silenzio era profondo come il suo respiro.
Soltanto nel momento, nel quale ascoltò unicamente il suo respiro capì perché non riusciva ad addormentarsi: gli mancava la melodia dei suoni notturni del bosco. Il verso sincopato della civetta nascosta nel folto dei larici, il gracchiare sommesso dei corvi alla ricerca del cibo, il richiamo della volpe alla compagna, il frusciare sommesso dei rami degli alberi sospinti dalla brezza della notte. Nel corso degli anni vissuti da solitario erano diventati la sua ninna nanna che lo accompagnava nel trapasso dalla veglia al sonno. Li riconosceva a uno a uno senza paura di sbagliare. E si ripetevano ogni notte con cadenza regolare. Quando qualcuno di questi era assente si interrogava se fosse naturale oppure no, aspettando il suo ricomparire.
“Fuori c’è troppo silenzio. E mi sento inquieto come se dovesse succedere qualcosa. Una premonizione oscura, una sensazione di un pericolo ignoto. Ma sono impotente con le armi spuntate a combattere un nemico invisibile e dai contorni sfumati” e come si era coricato senza fare rumore così si alzò per osservare dalla finestra la radura.
Questa si presentava come al solito: buia e opaca per la leggera nebbia che saliva dal terreno. Però qualcosa stonava senza che Pietro riuscisse a mettere a fuoco il particolare.
Aggrottò la fronte per rendere la vista più acuta, respirò l’aria umida che penetrava nella stanza senza riuscire a calmare l’inquietudine interiore che pareva avesse congelato la mente.
“Eppure qualcosa non quadra” si disse a bassa voce come per darsi quel coraggio che all’improvviso era sparito.
E continuò a perlustrare la radura, la corona degli alberi tanto familiare che avrebbe potuto chiudere gli occhi continuando a vederli.
“Ecco!” quasi urlò squarciando il silenzio innaturale della notte.
“Ecco! Quello che non va! E’ il roveto dove è sepolta Amanda o dove credo che lo sia stata. Sembra smosso, strappato dal terreno. Non è più al suo posto”.
Un brivido di paura percorse la mente di Pietro, che si chiedeva chi potesse essere stato.
“Chi ha osato profanare quell’intreccio di rami e spine? Per quali motivi l’ha fatto?”. E mentre rifletteva così, gli parve di scorgere delle ombre aggirarsi intorno a quell’abete.
L’istinto gli suggerì di precipitarsi nella radura ma immediatamente si disse. “E poi?”. Non aveva senso quella mossa più emotiva che razionale. Lui era armato del nulla, al buio e senza un barlume di idee sul da farsi. Si convinse che sarebbe stato imprudente uscire dalla baita e correre alla cieca senza nemmeno sapere cosa cercare.
“Domani, con la luce, andrò in esplorazione e forse capirò tutto. Ora è meglio tornare a letto e meditare sugli ultimi avvenimenti” e detto questo chiuse imposta e finestra tornando sotto le lenzuola.
Però continuava a domandarsi chi era quel misterioso personaggio che si aggirava indisturbato nella radura e perché tutto il bosco taceva, trattenendo il respiro.
La giornata non si era ancora chiusa quando un nuovo quesito inquietante si affacciava alla sua mente. Una domanda pressante che aveva sgominato tutte quelle che in precedenza aveva analizzato.
“Sembra che questa baita sia una fortezza inespugnabile. Molti anni fa dall’assalto della kitsune. Ora da un misterioso personaggio. Che sia questo il colpo di fortuna che è alle porte?” e stanco per la lunga veglia cadde in un sonno agitato da mille incubi.
Amanda 34
Amanda si rilassò sulla sedia in attesa della colazione. Alice era rimasta al Meininger, perché la giornata piovosa non la stimolava a uscire. Luca le avrebbe tenuto compagnia, così aveva assicurato. «Tanto meglio» si disse. Lei non aveva insistito più di tanto per convincerli ad accompagnarla prima di uscire.
Era un’ottima occasione per girare per Londra senza troppi assili e in perfetta solitudine senza dover spiegare a nessuno il perché o il per come delle scelte. Musei e spazi musicali abbondavano: c’era solo l’imbarazzo dove andare. La giornata non particolarmente propizia la consigliarono però a rifugiarsi in una delle tante librerie che adornavamo Charing Cross Road, celebre per le innumerevoli bancarelle di libri usati e per i numerosi bookstore. In quelle più grandi e attrezzate c’era sempre un angolino dedicato al riposo e fornito di posto di ristoro. Optò per Foyles Bookshop, una libreria che resisteva da oltre centoventi anni alle mode e ai colpi inesorabili del tempo. Era diventata una meta irrinunciabile per londinesi e turisti.
Una volta varcata la soglia del vecchio edificio in arenaria rossa che si distaccava nettamente dagli edifici limitrofi più moderni e anonimi, comprese che qui si respirava un clima rilassato e distaccato, che avrebbe rappresentato l’ideale momento di riflessione su tutti quei segnali che discretamente stava ricevendo senza la presenza ingombrante dei due compagni di avventura.
“Sì, sono arrivati degli indizi che non ho ben compreso né ho avuto il tempo di decifrare completamente. La presenza dei due ragazzi, il doverli proteggere mi hanno impedito di analizzarli e di capire da dove arrivano. Sì, oggi è giunto il tempo di comprenderne la natura”.
Era salita direttamente al quinto piano al Ray’s Jazz Cafè, dove ricordava dalla guida era possibile gustare deliziosi pasticcini con una varietà incredibile di tè. Poi al termine della colazione avrebbe visitato la Galleria d’arte allo stesso piano e gli undici chilometri di scaffali pieni di libri di tutti i generi.
“Ora ho fame. Al resto penserò dopo” e si concentrò su se stessa.
Da quando era a Londra erano arrivati molti segnali confusi ma chiari, perché al ritorno a Bolzano doveva riallacciare dei rapporti col passato che pensava ormai interrotti definitivamente. Uno, che la assillava quasi tutti i giorni, era che doveva rivedere suo padre, Pietro, al più presto. L’urgenza stava nella quantità di sensazioni ora positive ora negative che riceveva.
“Cosa sarà successo? Non riesco a comprendere se è un avvertimento di pericolo oppure il semplice desiderio di rivedermi. Ma se è quest’ultima la motivazione, perché continua a martellarmi la testa? Non avrebbe senso. Però se è in emergenza, mi domando per quale ragione non lo dice espressamente”.
Altre volte aveva avvertito che desiderava mettersi in contatto con lei. Però questa volta era diverso, quasi una supplica come se avesse poco tempo a disposizione prima di morire. Non era per nulla nitido ma offuscato da nuvole che ne oscuravano il vero significato.
Più perentorio e meno sfumato era il pensiero di Amanda, quella figura enigmatica, che assomigliava come una goccia d’acqua alla madre Elisa e che non vedeva da quando aveva cinque o sei anni.
“Una vita!” si disse mentre la cameriera di colore col classico grembiulino bianco le metteva sul tavolo un piatto di pasticcini appena sfornati e l’occorrente per prepararsi il tè.
La fragranza degli odori la distolsero dai pensieri che stavano affollando la testa.
“Ora basta! Non roviniamoci la colazione con mille dubbi e molti timori!” e cominciò il rito della preparazione.
Però ben presto fecero nuovamente capolino le riflessioni precedenti e la colazione tornò in secondo piano.
Erano due le richieste che con prepotenza si facevano largo nella mente: quella del padre e di Amanda, la sua omonima, che aveva conosciuto quando era bambina.
Provò a concentrarsi su di lei, perché apparentemente sembrava il più semplice da risolvere.
“Ha bussato anche ieri mentre ero impegnata a tirare fuori dai guai Alice. Quello che mi preoccupa è l’insistenza con la quale si fa avanti. Perché? Quale motivo o quale correlazione c’è tra noi due? Di lei so molto poco, perché Pietro non me ne ha mai parlato volentieri. L’unica certezza è che assomiglia in maniera straordinaria a mia madre. Poi solo dubbi, ipotesi più o meno reali. Dovrebbe essere morta, uccisa dal compagno, quello che ha trasmesso in eredità il bosco degli elfi a mio padre. Almeno questo è quanto lui si è lasciato sfuggire una volta. Dunque dovrebbe essere una persona incorporea, un fantasma. Eppure pare reale e come tale si muove”.
Dopo questa lunga riflessione Amanda si appoggiò allo schienale chiudendo gli occhi, ascoltando una bella composizione di jazz, fuori dagli schemi usuali. Si lasciò trasportare da queste note dalle tonalità mai aspre, quasi naturali.
“Chissà chi è?” si domandò rapita dal suono che aveva avuto il potere di calmare l’inquietudine interiore.
Avrebbe voluto che la musica continuasse all’infinto ma come era apparsa senza preavviso, così cessò per essere sostituita da un celebre motivo di Louis Amstrong, il famoso Satchmo, “Hot fives and hot sevens”. Però l’incanto era svanito, mentre lei tornava alle sue meditazioni.
“Ora se volesse bussare sarebbe un buon momento per chiarire la sua insistenza. Però ..” e ordinò un altro vassoio si pasticcini.
“Veramente squisiti. Si mangiano e ..” e guardò l’ora.
“Sono qui da quasi due ore e .. chiedo di portarmi l’ultimo libro di P.D.James, «Death Comes to Pemberley». Nel pomeriggio sarà qui a presentarlo. Mentre pasteggio coi pasticcini, lo leggo. E chissà se la mia omonima si fa viva ..”.
Però non fu così.
Amanda passò l’intera giornata da Foyles tra visite alla galleria d’arte e una curiosa esposizione al terzo piano.
“Immaginate un intero libro su un unico foglio. Una stampa d'arte audace su cui, da vicino, è possibile leggere il testo integrale e completo dei lavori classici preferiti, da «era il migliore del tempo» a «di gran lunga il migliore». Così mi è stato possibile vedere una selezione di stampe dei classici senza dover sfogliarli, tra cui «Orgoglio e pregiudizio», «Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie», «Romeo e Giulietta», «Cuore di tenebra», «L’isola del tesoro» e «Il Vangelo secondo San Marco». Un qualcosa di affascinante per l’originalità dell’esposizione”.
Però i pensieri covavano sotto la cenere mentre lei ascoltava la regina del giallo, P.D. James. Una signora dai capelli bianchi, esile ma energica. Mentre con un orecchio prestava attenzione a quanto diceva e alle risposte che i presenti le ponevano, l’altro era impegnato a cogliere quei segnali che erano rimasti assenti fino a quel momento.
“Non c’è scampo. Al mio ritorno devo tornare nel bosco degli elfi. Spero che non sia troppo tardi” concluse amaramente.
Amanda 33
Pietro sembrava assopito mentre in realtà cercava di fare mente locale su quello che le tre ragazze gli avevano detto.
«Un colpo di fortuna è alle porte». Ecco cosa gli aveva trasmesso Alice.
Questa frase risuonava incerta ma lucida nella mente, perché aveva aggiunto una frase sibillina che diceva «La strada la devi scoprire tu ..».
“Ma quale strada?” si domandò ancora una volta.
Era un vero rompicapo dal quale non riusciva a venirne a capo. Percepiva che erano ancora lì pur senza vederle. Ne udiva il fruscio dell’aria, il respiro sereno, il profumo della pelle e immediatamente si chiedeva chi erano, perché erano lì.
Angelica aveva parlato di forze oscure che minacciavano il bosco degli elfi.
“Ma chi sono queste forze minacciose? Ho avuto solo degli avvertimenti. Ma secondo lei stanno avanzando”.
Quindi dovrebbe temere nei prossimo giorni, settimane e anni che queste si farebbero vive.
“Come fronteggiarle?” si chiese cupo. Non aveva risposte a questo né aveva chiaro come affrontarle. Il consiglio era di cercare aiuto perché le sue forze diventavano sempre più insufficienti.
“Arianna ha affermato di essere la sorella di Elisa e la zia di Amanda. Sarà vero?”.
Si interrogava perché avrebbe dovuto mettere in dubbio questa affermazione. Elisa era un elfo e tutto in lei lasciava supporre che lo fosse. Troppe magie e troppi atteggiamenti inspiegabili erano un viatico che non sbagliava.
“Ma Elisa dov’è? Perché è sparita senza lasciare traccia? E’ ancora in vita oppure?”. Nuovamente un dolore lo colse nel petto. Quella lontana sparizione aveva lasciato il segno nella carne e la ferita non si era mai rimarginata.
Però il vero enigma era Alice che gli aveva posto quell’indovinello sul colpo di fortuna e sulla strada che dovrebbe riconoscere per arrivarci.
Dunque poche certezze e molti dubbi affollavano la testa di Pietro che si abbandonò esausto per il troppo pensare.
La sera stava calando rapidamente come velocemente le ombre riempivano la stanza. Era ancora in cucina seduto accanto al tavolo. Adesso la casa era più silenziosa ma la tranquillità non era ancora scesa.
Le tre donne se ne erano andate. Lo sapeva, lo percepiva senza l’aiuto di nessuno. L’aria era immota e i rumori erano solo quelli del bosco. Si alzò sconfortato senza sapere in quale direzione muoversi.
Quelle due frasi di Alice continuavano a risuonare nella testa senza che lui riuscisse a dare una risposta soddisfacente oppure avere un’idea di come muoversi.
“E se il colpo di fortuna fosse solo virtuale? A volte mi pare essere in una casa dove le pareti sono degli specchi ora reali ora deformanti. La realtà mi appare distorta, osservo qualcosa che non è osservabile. E’ normale questo?” si domandava mentre si aggirava inquieto per la stanza.
Aprì i contenitori del rusco e li trovò come erano sempre stati: piccoli e adeguati alle sue esigenze. Si avvicinò alla credenza, spalancandone un’anta. Dentro solo un servizio per dodici persone, sicuramente sovrabbondante per le sue esigenze, ma esattamente quello che usava tutti i giorni con tutti i segni lasciati durante il loro utilizzo. Una calla gialla decorava un bordo ed erano rotondi. Tutto appariva in questo momento esattamente come l’aveva sempre ricordato. Pareva che la presenza delle tre donne producessero delle visioni immaginarie che poi sparivano con la loro assenza. In questi giorni era successo sempre così.
Si chiese nuovamente perché aveva osservato un mondo fatto di immagini non reali.
“Qual è lo scopo di tutto questo?” e si sistemò sulla solita poltrona che rappresentava un comodo rifugio.
“Dunque devo cercare la strada verso la fortuna. E se la fortuna fosse la buona sorte? No, no. Non è la strada giusta. E se provassi a leggere la parola nel senso etimologico? Potrebbe essere una buona idea. Ma come faccio?”.
Adesso il buio avvolgeva oggi cosa a parte un lieve chiarore che filtrava dalle finestre. Si alzò per accendere un lume. Preferiva la luce tremolante a quella fissa delle lampadine, perché riusciva a raccogliere meglio i suoi pensieri.
“Forse è meglio accendere il fuoco e riscaldare la stanza, Sento brividi di freddo. Devo fare attenzione. Non c’è Angelica con le sue pozioni magiche” pensò.
“Cercavi me?” sentì risuonare una voce conosciuta nella mente.
Un sorriso largo e una risata fresca illuminò il viso di Pietro.
“Basta pensare a una di voi ed eccola spuntare come per magia” replicò con fare scanzonato.
“Dunque se penso a Alice, lei arriva in un baleno?”
“Prova!” rispose ironica la donna.
“Ci sto provando, ma non succede nulla” rispose abbacchiato. Dunque non è sufficiente chiamare un nome per vederla comparire.
“Anche qui devo trovare la strada”.
“Sì. Devi trovare la strada, il giusto mezzo per richiamare le persone che desideri” gli disse Angelica.
Pietro rifletté ma alla fine scosse il capo.
“Come ho fatto per richiamarla? Ho pensato a lei ma con Alice non ha funzionato. Qual è la strada da percorrere?” si domandò sperando in un aiuto da parte di Angelica.
Si alzò, sistemò un’altra poltrona accanto alla sua sperando che Angelica diventasse visibile.
Però non accadde nulla anche se percepiva che era lì vicino a lui.
“Devo trovare la strada ..” e si sedette di nuovo.
Amanda 32
Alice la guardava come se avesse visto un extra terrestre. Era ancora indecisa se crederle oppure no. Di sicuro qualcosa di strano, anzi di straordinario era avvenuto poche ore prima. Amanda che mette fuori combattimento una mezza dozzina di teppisti come se fosse andata a prendere un caffè. Però quello che l’aveva stravolta era il fatto che si era spostata come se spazio e tempo non esistessero più. Aveva qualcosa di incredibile sia nell’ascoltare sia se l’avesse raccontato.
“Ti vedo perplessa ..” cominciò Amanda.
“E chi non lo sarebbe!” replicò esterrefatta Alice.
“Se l’andassi a raccontare, sai cosa direbbero? Sei da manicomio! Nessuno potrebbe prestare fede a un racconto del genere!” e si distese sul letto con le mani intrecciate dietro la nuca.
“E tu non le raccontare” replicò sorridente.
Amanda si sedette sul letto accanto alla ragazza e le arruffò i capelli mentre lentamente scemava la tensione che l’aveva quasi paralizzata.
Lesse i pensieri e i dubbi di Alice, mentre lentamente si spegneva nel sonno. La coprì e si addormentò anche lei. La giornata era stata stressante e sentiva la necessità di ricaricarsi fisicamente e psicologicamente.
Il nuovo giorno uggioso e piovoso come nella migliore tradizione londinese le colse ancora addormentate. La prima ad aprire gli occhi fu Amanda che aveva un sonno leggero e percepiva immediatamente la variazione luminosa dell’alba.
Aprì un occhio e poi l’altro stirandosi leggermente mentre consultava l’orologio luminoso sulla parete.
“Sono le sette. E’ ora di levarsi” e silenziosamente scivolò in bagno.
Però qualcosa stonava nella stanza e fece capolino dalla porta. Capì immediatamente il motivo: il letto di Luca era vuoto e non usato. Dunque era rimasto fuori la notte appena trascorsa senza rientrare in Hotel. Si interrogò sulle possibili spiegazioni dell’assenza.
“E’ un atto voluto oppure gli è capitato qualcosa?” si chiese con un filo di apprensione. Non era in grado di conoscerne le cause e quindi di darsi delle risposte plausibili. Le sensazioni non erano negative e questo la rassicurò un po’ mentre terminava di prepararsi.
Alice continuava a dormire serena dopo la lunga sera stressante. I massaggi e le onde cerebrali di Amanda avevano avuto il potere di far scemare la tensione che si era accumulata pericolosamente nella compagna.
“Oggi” si disse “Ricorderà poco o nulla della serata a Clapham Junction. Qualche frammento indistinto, la sensazione di terrore e poco più”. Questo la rassicurava.
Si avvicinò alla postazione PC della stanza e si collegò al sito de The Telegraph per leggere le ultime notizie.
Campeggiava una news sibillina della quale lei conosceva i dettagli «Inquietante episodio a Clapham Junction stanotte.Misteriosa aggressione a due ragazze che non sono state rintracciate e delle quali si sono perse le trace. Scotland Yard sta indagando. Arrestati sei giovani, già noti per atti del genere in passato e che non riescono a giustificare le loro azioni.»
Amanda rise sommessamente e pensò immediatamente alla compagna, che era rimasta stravolta dal racconto degli avvenimenti.
“Non sei l’unica!” disse sommessamente e riprese la lettura dell’articolo on line.
«Ieri sera verso le ventuno una coppia di giovani aveva lanciato l’allarme alla locale stazione di polizia, perché un gruppo di giovani aveva aggredito due ragazze, trascinandole verso il parco. L’aggressione era avvenuta in Winstanley Rd a un centinaio di yard dalla stazione di Clapham Junction in un punto poco illuminato a causa della fitta vegetazione arborea. Altre volte in quel medesimo punto c’erano stati scippi e aggressioni. Molti si erano lamentati richiedendo lo sfoltimento degli alberi. I due giovani erano fermi con la macchina quando hanno visto sei giovani piombare su due ragazze, che camminavano spedite verso la stazione, Tre hanno preso la più piccola mentre gli altri affrontavano la ragazza di corporatura più robusta ..»
Amanda scoppiò in una risata che bloccò immediatamente per non svegliare Alice.
“Grazie Jack e Mary! Se io sono robusta .. “. Un sorriso apparve sul suo volto mentre riprendeva la lettura.
«Tre si diressero subito verso York Gardens trascinando la ragazza che lanciò un urlo che loro non capirono. Forse era straniera e non parlava inglese. I due giovani hanno perso di vista l’altro gruppo e secondo loro anche questo si era diretto al parco. Però la polizia accorsa dopo la loro chiamata di aiuto ha trovato per terra in una zona buia della strada tre ragazzi che si lamentavano come se fossero in pericolo di vita ..».
“Mammolette!” disse sommessamente. “Non li ho sfiorati nemmeno con un dito ..”.
«Hanno affermato di essere stati aggrediti da una persona sconosciuta, una specie di Bruce Lee in gonnella e malmenati furiosamente. L’aspetto inquietante e strano è che portati in ospedale non presentavano tracce di nessun genere, mentre loro continuavano a sostenere il contrario. Non diversa è apparsa la scena degli altri tre ritrovati a York Gardens. Anche loro per terra si lamentavano di essere finiti sotto una macchina. Però pure loro non presentavano ecchimosi o altre tracce di percosse. La polizia li teneva d’occhio da tempo per altre segnalazioni di aggressioni a coppie o ragazze sole. Non sono state credute le loro versioni e sono stati trattenuti nel posto di polizia. Delle due ragazze nessuna traccia come se si fossero volatilizzate. In entrambi posti non sono state trovati segni di lotta o di altro genere. Il misterioso episodio ha destato curiosità e paura tra gli abitanti della zona che interrogati hanno affermato di non aver notato nulla di insolito o aver sentito grida di aiuto.»
Amanda sorrise nuovamente e si sistemò meglio sulla sedia. Alice continuava a sognare a colori dopo lo spavento della sera precedente, mentre di Luca non sapeva nulla.
“E’ grande e vaccinato. E poi non sono mica la balia di tutti. Basta e avanza quello scricciolo di Alice”.
Era immersa in questi pensieri, quando sentì bussare discretamente.
“Chi sarà?” si domandò. “Forse è Luca oppure .. ma, sì. E’ proprio lui lo sento” e si alzò per aprirlo.
“Ciao, Luca” disse sottovoce facendolo entrare. “Ero in pensiero per te ..”
“Beh!” ammise con un sorriso e una beatitudine che lo faceva assomigliare a un grosso gatto dopo aver abbondantemente pasteggiato.
“Beh! a dire il vero io no” ma si pentì subito d’averlo detto.
“Ero rientrato ieri sera ma voi non c’eravate” continuò cercando di riparare alla gaffe di prima. “E sono uscito di nuovo alla ricerca di un ristorante. Però ho fatto un piacevole incontro concluso con una calda nottata” mentì dicendo una mezza verità.
Amanda sorrise ma aveva letto nel pensiero di Luca come erano andate effettivamente le cose.
“Spudorato bugiardo! Non vuoi dire che il piacevole incontro è stato con la mora della reception”.
Però non aggiunse nulla né gli fece capire che aveva visto il film della serata nella mente del ragazzo.
“Spero che la cena e il successivo diversivo siano stati ottimi” replicò ironicamente.
Luca alzò gli occhi al cielo e fece un gesto con la mano indicando che era stato al bacio.
“Noi tra un po’ usciamo e tu cosa fai? Dormi o ci segui?”
Lui ci pensò un attimo e poi concluse che si sarebbe trattenuto nella stanza.
“Il tempo è pessimo. Piove, c’è una leggera nebbiolina e un’umidità pazzesca. No, no, decisamente oggi riposo”.
Amanda sorrise perché in realtà lui sperava di incrociare la mora della reception. Troppa furia ci stava mettendo e rischiava di vanificare tutto quello di positivo che era riuscito a costruire. Non credeva che la ragazza avrebbe accettato il corteggiamento sul posto di lavoro. Era troppo prudente per fare una sciocchezza del genere, perché se voleva poteva eseguire il bis anche questa sera.
“Peggio per lui” concluse silenziosamente.
Mentre Luca si impossessava del bagno, lei si avvicinò a Alice toccandole una spalla per svegliarla.
“Buon giorno! Dormito bene?” chiese con tono delicato.
Lei si stiracchiò come una gatta e diede un bacio sulla guancia a Amanda.
Un’altra giornata stava iniziando.
Amanda 31
Pietro era veramente sorpreso vedendo accanto a lui Arianna e Alice che gli fecero segno di sedersi.
“Provvediamo noi” gli comunicarono. “Tu resta lì a guardarci!”
In un baleno una raccolse tutti resti del banchetto facendoli sparire nei diversi contenitori che parevano incapaci di contenerli. L’altra impilò le stoviglie, che Angelica lavava e asciugava a velocità incredibile, per poi riporle nella credenza.
Lui chiese dove pensavano di mettere tutti quei piatti.
“Non c’è spazio a sufficienza” continuò basito.
“Non è vero. Alla fine tutto sarà riposto in ordine e rimarrà anche dello spazio. Non molto ma sufficiente per altri piatti” rimbeccò Arianna sicura.
Pietro incredulo si avvicinò per osservare meglio e doveva convenire che in effetti era rimasto dello spazio per una altra mezza dozzina.
“Ma come ci siete riuscite?” domandò a entrambe vista la montagna di rifiuti e la pila di stoviglie che avevano manovrato.
“La credenza non mi è mai sembrata enorme e i contenitori dei rifiuti piuttosto piccoli” continuò perplesso. Poteva comprendere che quelli organici finivano nel compostaggio e di conseguenza venivano trasformati subito. Però gli altri rimanevano lì, finché li scaricava in paese ogni due o tre giorni. E lui non ne aveva mai prodotto in quella misura. Non trovava spiegazioni su come tante bottiglie avessero potuto trovare posto in quel angusto spazio. Scosse la testa incredulo.
Però era la credenza che l’aveva sorpreso maggiormente. Osservando il vano aperto, vedeva tutte le stoviglie che prima erano da lavare, collocate all’interno in perfetto ordine. Quello che non riusciva a venirne a capo, era il fatto che non appena spostava la visuale di osservazione sull’esterno, questa tornava nelle proporzioni che era solito vedere.
“Arianna” iniziò con voce bassa per richiamare l’attenzione. “Arianna, non ho mai posseduto tutte queste stoviglie. E poi ho notato che ..”.
“Notato cosa?” chiese la ragazza, che stava riponendo i tegami lavati da Angelica senza distogliere l’attenzione da quello che stava facendo.
“Ho notato che hanno un decoro diverso da quello che abitualmente sono solito vedere”.
Arianna allungò una mano all’interno della credenza, estraendo un piatto e glielo mostrò.
“Quale disegno strano? Una calla gialla vicino al bordo ..” e lo posò sul tavolo.
Pietro era sbigottito. Quello che osservava era il medesimo piatto usato nei giorni precedenti da anni a questa parte.
“Eppure ricordo ..” e le parole si smorzarono nella bocca. Cominciò a pensare che la demenza senile stesse avanzando a grandi passi. Il suo tavolo quadruplicava, quintuplicava in lunghezza per tornare come per magia alle dimensioni originarie. L’interno della credenza pareva appartenere a un altro mobile, tanto era capiente ma l’esterno rimaneva come l’aveva sempre visto. Piatti e tegami crescevano a vista d’occhio per poi tornare ai numeri che conosceva da una vita. Quasi come se entrasse e uscisse da un mondo fatato.
“Che sia quello di Alice?” e rifletté sulla coincidenza del nome. Scosse la testa perché il rompicapo diventava sempre più ingarbugliato.
La ragazza sorrise trattenendo a stento una risata di scherno perché ne osservava le perplessità e lo sbigottimento di fronte a qualcosa di non spiegabile razionalmente.
“Cosa ricordi?” gli chiese modulando la voce nella testa con toni meno irriverenti.
“Cosa? Dei piatti di foggia diversa. Non rotondi ma squadrati con gli angoli smussati, tutti bianchi con un simbolo sconosciuto nel centro. Nero e non colorato. E poi non ne possiedo più di una dozzina. Tu ne hai messi via almeno il triplo!” e come sfinito tacque.
Una leggera risata lo raggiunse mettendolo di cattivo umore.
“Si fanno beffe di me” aggiunse acido.
Arianna corrugò la fronte e cominciò a parlare.
“Perché dici questo? Siamo in un bosco fatato, abitato da ..” ma venne interrotta dalle parole di Pietro.
“Certo che lo so ma finora la realtà non era deformata. Solo tanti piccoli prodigi e alberi parlanti. Ora in questa baita accadono eventi al limite del paranormale.. anzi oltre ogni immaginazione. Incontro ..”
Angelica le prese la mano e gli sfiorò una guancia con le labbra.
“Non sei uscito di senno. Sei lucido e vedi quello che gli altri non vedono” gli disse per calmargli l’agitazione interna.
Lui rimase senza parole. Dunque ragionava che queste tre ragazze sembravano come gli specchi della mitica Alice di Carrol che deformavano la realtà.
“ Osservo quello che loro vogliono che veda. Un esercito di ragazze dai capelli rossi e dai nomi inizianti con A. Un tavolo che cresce a dismisura .. E poi .. e poi cosa? Quale percorso devo iniziare?”
Arianna si avvicinò e gli prese l’altra mano e gli sussurrò nella mente.
“La strada la devi scoprire tu ..” e gli diede un bacio sulle labbra.
Pietro guardò Alice che gli stava di fronte.
“E tu cosa dici?” e rimase muto in attesa delle parole.
Un largo sorriso illuminò il viso della ragazza e disse in maniera enigmatica che un colpo di fortuna è alle porte.
Lui era ancora più stranito perché la storia di Alice di Carrol la ricordava in maniera incerta.
“E dunque lì la chiave per aprire i segreti che da diversi giorni aleggiavano sulla sua testa.
“Quale colpo di fortuna?” e chiuse gli occhi come per pensare.