Amanda 51

Pietro si svegliò, avvertendo un movimento di Elisa che dormiva al suo fianco. Erano a casa, a Belluno. La toccò per sincerarsi che era effettivamente lei. Aveva il timore di svegliarsi e accorgersi che era stato solamente un sogno, bello ma etereo. La delusione sarebbe stata troppo grande per riuscire ad accettarla. La mano avvertì la mente che era tutto reale. Elisa era di fianco a lui fisicamente viva.
Al suo tocco gli si strinse forte, mormorando qualcosa che non riuscì ad afferrare. Poche parole ma non intellegibili. Poi riprese il respiro cadenzato di chi sta dormendo serenamente.
“Non importa! Mi è sufficiente sentirla accanto. Per le mie orecchie il suo respiro è pura musica”.
Ripensò al vorticoso giro di eventi che lo avevano coinvolto in rapida successione in quegli ultimi giorni. Ancora non si era ripreso, né era riuscito a quantificarne il numero. Però ce ne era uno che gli era rimasto impresso: la tazza della tisana che Angelica gli aveva porto con quegli strani segni. Nuovamente udì la voce che gli spiegava il significato di quei disegni.
“Rune, aveva detto. Ogni simbolo ha una corrispondenza nel reale. Fortuna, viaggi, salute e rivelazioni. Tutto questo è diventato concreto. Chissà ..”.
“Noi non prediciamo il futuro. E il futuro che viene a te”. Udì un’intonazione ben nota che gli parlava nella mente.
Pietro ebbe un sussulto che fece borbottare qualcosa a Elisa, disturbata da quel movimento improvviso e brusco. Non si svegliò ma si sistemò meglio, abbracciandolo di nuovo con passione, prima di riprendere il ritmo regolare del sonno.
“Alice!” urlò nella mente stupito per quell’inaspettata visita.
Una risata argentina rispose al suo richiamo prima di svanire con la notte morente che lasciava il posto all’albeggiare del nuovo giorno.
Avrebbe voluto parlarle ma era sparita come si era palesata in maniera inattesa. Ancora una volta non aveva compreso quale molla aveva toccato per richiamarla. Era stupito perché in realtà aveva riportato in superficie le parole di Angelica. Si rassegnò, perché l’incontro casuale e inaspettato non era stato in grado di prevederlo come in molte altre occasioni. Però si riprometteva di coglierne i meccanismi.
Con questi pensieri e per associazione di idee collegò Alice a Amanda, chiedendosi quale scelta avesse effettuata. Lui non lo sapeva, perché da quella sera non l’aveva più rivista né sentita. L’aveva lasciata alle prese del Consiglio delle A, mentre lui tornava a Belluno. E poi era sparita, inghiottita dal nulla come cinque anni prima.
“Bolzano o il bosco degli Elfi?” si domandò curioso ma non troppo.
Conoscendo la figlia, non dava affatto per scontato che avesse scelto di tornare tra gli elfi. Anzi era probabile che avesse scelto una destinazione del tutto differente. I colpi di testa, dettati dalla natura istintiva, lasciavano intravedere anche soluzioni totalmente diverse. L’unico cruccio era che nuovamente era sparita dalla vita di Pietro senza lasciare tracce, per contro Elisa era ricomparsa per restare definitivamente con lui. Questa decisione l’aveva riempito di gioia e adesso giaceva abbracciata a lui.
Di collegamento in collegamento il suo pensiero volò verso Alessandra, l’altra figlia, che aveva liberato nel Tanzerloch. Era stata una gioia immensa sapere che il suo atto fosse servito per scoprirla e conoscerla.
Non aveva finito di associare Alessandra a Amanda, quando un bussare discreto gli annunciò una nuova visita.
“Ciao, papà. Mi hai pensato con tanto affetto che non potevo non venirti a trovare. Anche se ti ho conosciuto da poco, avverto delle sensazioni emozionanti e sento la tua mancanza. Quando vieni a farci visita nel bosco degli elfi? Tutte noi del Consiglio delle A ti aspettiamo con impazienza per festeggiare”.
“Festeggiarci?” replicò sorpreso che volessero far loro festa.
“Non lo so. Forse con il ritorno della bella stagione. Ora c’è troppa neve. Sto diventando vecchio per affrontare la salita alla baita in queste condizioni” continuò con un filo di commozione.
“Sarebbe bello che tu e Elisa veniate per Natale. Mancano poche settimane. Potremmo stare tutti insieme e passare delle feste magnifiche. Se dite sì, sarebbe un regalo bellissimo”.
Si corresse associando anche la madre, mentre Pietro scoteva la testa per i troppi dubbi che danzavano dentro di lui.
“Sì, sarebbe splendido ma ..”.
“Non ti preoccupare. E’ sufficiente che arriviate in paese, a San Vito. Al resto pensiamo noi” esclamò felice. “Vi aspettiamo!”
Lui rimase in silenzio senza rispondere. Poi rifletté, se Elisa desiderasse effettivamente tornare in quel bosco, che aveva rappresentato per lei una prigione, dove scontare la pena irrogata dal Consiglio delle A.
Scacciò questi pensieri, mentre lei iniziava a svegliarsi. I suoi dubbi avevano fatto interrompere il collegamento con Alessandra. Questo lo rammaricava perché non aveva potuto salutarla e chiederle notizie della gemella. Si ripromise di richiamarla ma adesso doveva prestare le sue attenzioni a Elisa.
“Buon giorno, Pietro” disse allegra mentre si stiracchiava come una gatta.
“Buon giorno anche a te. Dormito bene?”.
Gli dette un bacio prima di rannicchiarsi di nuovo tra le braccia.
“Pensa ..” cominciò incerta se proseguire oppure no. “Sai cosa ho sognato?”
Si interruppe facendo una pausa, che Pietro non raccolse per indurla a proseguire nella narrazione.
“Una vicenda strana .. talmente singolare che mi riesce difficile raccontarla. La particolarità sta nel fatto che ricordo questo sogno in tutti i dettagli. Lo sai  che per me loro svaniscono al risveglio così che la mia notte rimane buia senza luci”.
Pietro la incoraggiò a raccontare la visione onirica che sembrava averla colpita così intensamente. Era veramente curioso di conoscere questa storia straordinaria.
“Devi sapere ..” e si interruppe nuovamente prima di proseguire. “E’ una storia lunga quasi trent’anni. Come dicevo .. o meglio come ti sto raccontando .. Insomma non so come cominciare. Mi sento confusa”.
Sembrava inquieta come se temesse di parlare di qualcosa che non doveva essere conosciuta. Era riluttante e indecisa, cominciava mille pensieri senza concluderne nemmeno uno. Pietro con pazienza la assecondò a raccontare, cercando di usare le parole più rassicuranti, finché non riuscì a vincere quella strana ritrosia. Così cominciò la descrizione del sogno che per certi versi appariva straordinario.
“Inizia in un giorno di giugno di molti anni fa. Tu eri seduto al Caffè Belluno a leggerti il giornale e prendere il solito aperitivo, come facciamo nel periodo estivo. Dunque io arrivo e fingo di conoscerti ..”
E cominciò a descrivere tutto quello che era nella mente di Pietro come eventi realmente accaduti. Gli sembrava di rivedere il film della sua vita al rallentatore.
“E’ possibile che per Elisa costituisca solo un sogno?” si domandò con un pizzico di apprensione. “Se le dico che è tutto vero, mi crederà oppure si spaventerà a tal punto che non ne parlerà mai più??”.
“Però ero gelosa quando quella donna ..”.
“Quale donna?” chiese cautamente.
“Quella che preparava il pane. Il nome non lo ricordo. Cominciava per A. Ma è inutile! Non mi viene in mente. Eppure è un nome familiare”.
Pietro aveva ben compreso che parlava di Alice, ma preferì fingere di non conoscerla. Aveva detto di essere gelosa, quindi era prudente sorvolare sull’argomento per non creare ulteriori tensioni. Gli chiese per quale motivo nutriva questi sentimenti verso una persona immaginaria.
“Alla fine è solo una persona che hai sognato. Non capisco come questo ti possa inquietare”.
“Mi è sembrato che ti dedicasse troppe attenzioni e poi ti guardava con due occhi languidi .. Troppo per i miei gusti”.
Una fresca risata di Pietro interruppe il racconto. Elisa parve offendersi e si rabbuiò un po’, mentre lui cercava di calmare le acque che minacciavano tempesta.
“E tu cosa facevi?” chiese Pietro allegro.
“Niente. Assistevo e basta. Non potevo fare nulla. Però lei ti mangiava con gli occhi per farmi ingelosire!”
“Ma è solo un sogno!” ribatté assumendo un tono sorpreso.
Elisa scosse la testa, perché per lei quella donna era più che un sogno. Era stato qualcosa di più, che non riusciva a quantificare.
“E poi .. Altra stranezza .. Mi è sembrato che fosse qua, tra noi, anche pochi istanti fa”.
“Chi? Quella donna? Ma ho visto e toccato solo te! Non mi sembra che ci fosse qualcuno tra noi, tanto meno di sesso femminile ..”.
Lei scosse il capo, perché la presenza di quella donna non era fisica ma spirituale. Pietro comprese che aveva percepito la presenza mentale di Alice. Però qualcosa non tornava, perché nel sogno non erano entrate le due gemelle, Alessandra e Amanda. Per un curioso caso nel racconto c’erano molte lacune e tutte riguardavano le figlie.
“Eppure hai raccontato che quella donna ..”
“Ecco!” gli disse interrompendolo. “Ecco mi sono ricordata il nome. Mi ronzava nella testa, perché lo associavo a un libro. E’ Alice, quella del libro di Carrol! Ecco perché mi era familiare! Ora ha un nome”.
“Stavo dicendo che quella donna, Alice, nel sogno era tua sorella. Come puoi essere gelosa di una sorella?”.
“Sono proprio le sorelle che ti rubano l’uomo! Loro con la scusa di essere le cognate lo irretiscono e se lo portano via” ribatté decisa.
Sembrava determinata nel esprimersi, dunque non era il momento di parlare di trascorrere le vacanze di Natale nella baita. Forse non sarebbe mai venuto il tempo. Forse il bosco degli elfi per lei non esisteva.
La strinse e le mordicchiò un lobo, facendola ridere di gioia.
“Dunque questa vicenda si è ridotta a semplice sogno, più un incubo che altro. Per me invece ..” rifletteva Pietro con amarezza.
Scosse il capo come per scacciare dei cattivi pensieri e la guardò.
“Sei stupenda! Non c’è nessuna Alice tra noi” esclamò abbracciandola.

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Amanda 50

Pietro rimase sconcertato dall’affermazione che i genitori di questa grande famiglia composta da sole donne e per di più tutte sorelle non esistessero o quanto meno non fossero conosciuti.
Scosse la testa, deciso ad approfondire l’argomento, perché era certo che ci sarebbero stati nuovi indovinelli ai quali doveva trovare le ri-sposte giuste. Ormai era una costante alla quale non poteva sfuggire.
Però un’altra domanda premeva per la risposta e sperò che questa fos-se un po’ più comprensibile delle precedenti.
“Questo è il Consiglio delle A, avete detto. Perché avete tutte voi un nome iniziante per A? Che significato ha questa stranezza?”.
Il silenzio scese su di loro come una cappa, finché Alice non lo ruppe, prendendo la parola.
“E’ una storia lunga che si perde nella notte dei tempi. Devi sapere che una donna e un uomo elfo si staccarono dalla comunità degli elfi dei boschi nel lontano e freddo nord, nel Niflheimer. In quell’epoca il mondo, che si chiamava Ginnungagap, era diviso in due parti: il gelido Niflheimer e il torrido Múspellsheimr. In mezzo c’era una terra di nessuno che risentiva dei venti ghiacciati del Niflheimer e delle scintil-le calde del Múspellsheimr. Dove le stagioni fredde si alternavano con quelle calde. Era un mondo primordiale abitato da esseri che si asso-migliavano sia pure con tonalità di pelle differenti tra loro. Gli scambi tra queste popolazioni erano quasi inesistenti. Ognuno viveva sulla propria terra d’origine. Dunque torniamo al nostro racconto e alla no-stra coppia, che era stanca del gelo e del quasi perenne buio del nord. Decisero di staccarsi dalle origini e si avviarono verso sud alla ricerca del sole e della luce, come qualche viandante più coraggioso aveva narrato al ritorno”.
Pietro la interruppe brevemente perché voleva conoscere il nome di queste due persone.
“Non chiedermi i loro nomi esatti, perché non li so con certezza. Se non sono stati corrotti durante la trasmissione orale del racconto mi pare di ricordare questi: Auðhumla era la donna, Baldr era l’uomo. Dunque questi due elfi camminarono verso meridione per giorni, set-timane e mesi alla ricerca di un bosco non ricoperto perennemente dal ghiaccio e dalla neve che potesse ospitarli. Un bel giorno, era un søn-dag di juli, loro arrivarono qua, sulle pendici del monte Antelao. Il luogo era incantevole, misterioso e accogliente. Capirono immediata-mente che il loro pellegrinaggio era finito: elessero questo bosco a dimora. Si sistemarono in questa radura che ora ci sta ospitando. Era-no felici, perché finalmente erano giunti a destinazione. Qui comincia-rono a procreare e ..”.
Pietro era perplesso qualcosa stonava nel racconto ma scelse il silen-zio lasciando cha Alice proseguisse il racconto. Per le domande c’era tempo.
“Decisero di chiamare le figlie con il nome iniziante per A in onore della madre e i figli per B come il padre. Stabilirono anche che le ge-nerazioni future di elfi dovevano chiamare a loro volta i loro figli con C le femmine e con D i maschi e così via”.
Alice rifiatò aspettando una raffica di quesiti.
“Ma sarebbero stati degli incesti” obiettò Pietro.
“Beh! non è detto ..” replicò Alice.
“Sarà ma questa storia fa acqua. Se anziché una coppia, fossero state due, allora avrebbe avuto un senso. Però prosegui. Non ho intenzione di interromperti. Le domande le riservo al termine”.
Alice proseguì nella narrazione.
“Per un curioso caso del destino nacquero solo figlie e la catena si spezzò”.
“Ma quante figlie ebbero questi due benedetti elfi? A giudicare da questo consesso un bel po’ e poi, se erano nate solo figlie, mi chiedo come sia possibile che ora ci siano tante ragazze ..”
Angelica prese la parola per affermare che tutte loro erano sorelle.
Qualcosa non tornava, adesso che lei aveva fatto quest’affermazione. Espresse il suo scetticismo con parole e gesti. Non riusciva a credere che potesse avere qualche fondamento di verità.
Angelica rispose che loro erano le figlie nate da quell’unione.
Lui era incredulo e dubbioso sull’esatta natura del racconto. Assomi-gliava più a un mito che a qualcosa di reale.
“Alice ha appena affermato che si perde nella notte dei tempi. Ha de-scritto un mondo primordiale, attinto da qualche mitologia nordica. Siete giovani e belle, coi capelli rossi e gli occhi per metà di voi blu e per l’altra metà verdi. Come è possibile?”
Una breve risata risuonò allegra come il suono di una campana a festa. Arianna gli spiegò che loro erano senza tempo, praticamente immor-tali. Una volta diventate adulte, loro non invecchiavano mai.
“Come avrai notato, noi abbiamo un unico abito: questa tunica di li-no, legata sotto il seno con una corda di canapa, alla quale è appesa una A. Non temiamo il freddo, né percepiamo il caldo” concluse A-rianna.
Pietro chiese il perché di quella veste, che gli sembrava essere una di-visa. La domanda cadde nel vuoto ma percepì che indicasse la purezza dei sentimenti e dei pensieri, come la verginità carnale. Ricordò che anche Elisa era vergine al momento del loro incontro. Non era molto sicuro che quello fosse il vero senso della tunica. Loro non avevano intenzione di parlarne. Cambiò argomento nella speranza di avere del-le risposte chiare sulla narrazione delle loro origini.
“Ma perché quel segno fisico distintivo?” chiese in tono scettico, indi-cando capelli e occhi.
“Nostra madre aveva i capelli rossi come zampilli di lava e gli occhi verdi come i prati del monte Antelao. Nostro padre i capelli candidi come la neve e gli occhi blu come il mare che non aveva mai visto. Abbiamo ereditato il colore dei capelli da nostra madre mentre metà di noi ha gli occhi verdi e l’altra blu”.
Pietro continuò a incalzare con le domande.
“Se siete immortali o giù di lì ..” continuò ironicamente, mentre la mente veniva travolta da un crescendo di risolini.
“E Amanda? ..”
“Quale Amanda? Elisa o tua figlia?” chiese Alice
“Entrambe.”
“Come avrai potuto notare Elisa sta subendo l’assalto del tempo, se-guendone il processo da quando ha deciso di vivere come un’umana” gli rispose la ragazza.
Fece una breve pausa prima di riprendere a parlare.
“Per Amanda il destino è nelle sue mani. Se decide di tornare tra gli uomini, conoscerà l’amore, avrà dei figli e invecchierà come stai fa-cendo tu. Se decide di rimanere qui tra noi, tu la vedrai sempre così. Giovane e bella”.
“Beh! la vedrò così per un lasso di tempo breve. Io invecchio e mori-rò prima o poi, quindi ..”.
Alice rise di gusto, ammettendo la giustezza dell’osservazione.
“Ma Alumla  e Baldo.. o come diavolo si chiamano questi due ..” ri-prese Pietro.
Angelica sorrise mentre lo correggeva e gli suggeriva i nomi esatti.
“E vabbè, hanno due nomi tanto difficili che .. Insomma questi due elfi che fine hanno fatto? Se voi siete immortali, credo che anche loro lo siano”.
“Non lo sappiamo, né ricordiamo le loro fattezze Come ha detto Ali-ce, questa storia si perde nella notte dei tempi e quindi .. “ rispose gar-batamente Arianna.
Pietro sgranò gli occhi, perché non poteva pensare che loro avessero perso la memoria col trascorrere del tempo.
“Vabbé! Prendiamo per buona questa affermazione. Ma non ho ben compreso le gerarchie come sono ripartite ..”.
“Nessuna gerarchia. Siamo tutte alla pari. Questo consiglio, che si riu-nisce almeno quattro volte durante l’anno, non ha nessuna di noi che lo presiede. A turno c’è un capotavola che dirige i lavori e una alla sua destra che tiene il resoconto delle decisioni prese”.
Pietro scosse nuovamente il capo in segno di dissenso. Si domandò come fosse possibile che Amanda potesse prendere la guida del grup-po, rompendo l’incantesimo della parità.
“Amanda prende la guida del Consiglio, subentrando al tuo posto ..” gli rispose pronta Angelica.
“Ma io non ho mai guidato il Consiglio prima di questa volta ..” e-sclamò stupito.
“Non è vero. Tu ti sei sempre seduto a capotavola con noi” replicò seria la ragazza.
Lui scosse il capo, perché non era molto convinto ma molte altre do-mande si affollavano nella testa e lasciò perdere l’argomento.
“Ma Marco chi era? Un elfo o un umano? Mi pare d’aver capito che era un elfo. Perciò qualcosa non torna. Insomma mi pare che vogliate prendervi gioco di me ..”
Alice si fece seria prima di rispondere.
“Marco è quello che ti ha preceduto su quella sedia ..”
“Ma non è immortale come voi?”
“No, dopo il passaggio del bosco nelle tue mani lui si messo in cam-mino verso la destinazione finale, il regno dei morti, Hella. Non sap-piamo dov’è ma siamo in grado di dire che esiste”.
“Ma perché dopo un elfo avete scelto un umano come me?”
“Marco non aveva da proporre un altro elfo, quindi la scelta è caduta su di te. Come? Non lo sappiamo. Lui l’ha suggerito e noi l’abbiamo approvato. Quel giorno a capotavola sedeva Amanda, che è stata de-signata per convincerti ad acquistare il bosco. Il resto lo conosci già”.
“Ma perché Amanda e non Alessandra? Alla fine anche lei è mia figlia ..” incalzò Pietro.
Alice gli spiegò che Alessandra era una di loro ormai e non poteva es-sere al di sopra delle altre, perché era alla pari.
“Amanda, invece, no. Lei è stata allontanata dal bosco, perché era al di sopra di noi. La colpa di Elisa è stata quella di aver sottratto Aman-da al suo destino di elfo, quando l’ha consegnata a te. Quindi non po-teva rimanere dopo il suo ritorno. Se accetta di subentrare nella guida del bosco al tuo posto, diventerà anche lei una senza tempo, come Marco e deciderà in autonomia quando cedere lo scettro e raggiungere Hella” concluse la ragazza.
La storia che lui avesse presieduto le adunanze del Consiglio delle A non lo convinceva per niente.
Lui insistette per avere maggiori informazioni ma loro furono irremo-vibili nella loro versione dei fatti.
Pietro rinunciò ad avere spiegazioni esaurienti su questo punto, per-ché voleva sapere qualcosa di più di Marco.
“Curiosamente voi siete tutte donne e l’unico maschio sono io. E prima di me c’era Marco. Ma chi era veramente costui?”.
Si fece un silenzio assoluto, interrotto solo dal respiro dell’uomo. Pa-reva quasi che ci fosse timore nel nominarlo, che incutesse terrore e angosce.
Alice prese la parola per rispondere al quesito.
“Marco chi era veramente? Un elfo ..”.
“Fin qui c’ero arrivato anch’io. Ma trincerarsi dietro la sola parola elfo mi pare poco. Da dove è spuntato? Perché era il Signore del bosco magico degli elfi? Non chiedo molto. Solo una risposta plausibile a questi due semplici quesiti” ripeté stancamente l’uomo.
Alice sospirò e cominciò a parlare.
“Il nostro Consiglio faticava a trovare le giuste decisioni. Spesso finiva in risse verbali furibonde e qualche volta sono volati insulti e si sono levate le mani. Perché, ti domandi. Noi siamo state sempre alla pari. Nessuna di noi può prevalere sulle altre. Quindi non trovavamo la convergenza tra le varie tesi, succedeva il finimondo, perché nessuna di noi poteva essere superiore alle altre. Avevamo di conseguenza la necessità di una guida al di sopra delle parti, che fungesse da arbitro nelle dispute. Quindi abbiamo chiesto aiuto alle nostre divinità che ebbero pietà di noi e ci mandarono Marco. Da quel momento i nostri consigli furono sempre pacifici con scelte senza scontri. Lui ci ha gui-dato con mano ferma e decisa, esattamente come hai fatto tu”.
Pietro scosse il capo perché era tornato al punto di partenza. Non c’era speranza di superarlo.

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Amanda 49

Pietro respirò profondamente, mentre il consesso era ammutolito, te-so ad ascoltare tutte queste spiegazioni.
“Se tu sei Amanda, quella del diario chi è? E Klaus chi è?” era un dub-bio che da venticinque anni lo assillava. Non aveva mai smesso di pensarci per i troppi punti di contatto con Elisa.
“Due personaggi di fantasia, come di fantasia erano diario e racconto. Io e Marco volevamo accertarci se tu eri in grado di governare il bo-sco. E la prova l’hai superata alla grande, dimostrando coraggio e in-telligenza nell’affrontare le situazioni, anche quelle più complicate e difficili. Non hai esitato a fronteggiare i pericoli senza porti delle do-mande se ne valeva la pena oppure no ..”.
“Ma perché sei diventata Elisa?” le chiese temendo quasi la risposta.
“Perché ti amo. Era cominciato per gioco ma è diventata una cosa se-ria. E ..”
“Però sei sparita senza lasciare tracce, gettandomi nello sconforto ..” replicò amareggiato.
“Non potevo fare altrimenti. Sono stata costretta. Negli accordi con Marco io dovevo sparire da subito, non appena eravamo rientrati a Belluno. Ma non l’ho fatto, non ci sono riuscita. Era un qualcosa più forte di me. Per questo motivo ho scatenato le sue ire e la sua furia. Non potevo, finché non ho avuto la certezza di aspettare una figlia da te. Anzi due ..”
Pietro comprese che l’affermazione iniziale era vera: ne aveva due. Adesso capiva perché nella Voragine del Tanzerloch percepiva una sensazione strana verso Alessandra, una ragazza del tutto sconosciuta. Si era gettato in un’avventura che avrebbe potuto costargli la vita con la stessa incoscienza con la quale un padre avrebbe affrontato il fuoco per mettere in salvo la figlia.
“Ma perché mi avete fatto trovare solo Amanda?” chiese osservando le due ragazze che ascoltavano senza dire nulla.
“Non sapevo neppure se saresti stato in grado di accudirne a una. Due forse erano troppe. Però devo dire ..” terminò lasciando in so-speso la frase con un largo sorriso.
Pietro ricordò bene quanto si era trovato in difficoltà inizialmente con Amanda. Un velo di felicità comparve sul viso dell’uomo, ripensando alla goffaggine del primo momento. Ragionando con senno del poi doveva ammettere con sincerità che due sarebbero state complicate da gestire contemporaneamente.
Gli sovvenne alla mente un altro episodio: la strana sensazione che l’aveva colpito quando l’aveva vista accanto al letto di Amanda, molti, molti anni prima. Era nitido il ricordo come il grido «Elisa» fosse usci-to d’istinto, guardandola. Il suo istinto non l’aveva tradito.
“Sì, ero io” lo anticipò Elisa. Gli descrisse che doveva fingere di esse-re il fantasma del racconto, anche se li seguiva in incognito, soffrendo nell’impossibilità di mostrarsi. Quella era stata un’eccezione, un colpo di testa, pagato poi a caro prezzo. Le fu impedito di rivelarsi un’altra volta senza autorizzazione, se voleva conservare la speranza di riunirsi a loro in un futuro lontano.
“Ma perché non hai mai spiegato le motivazioni della tua assenza?” chiese ancora una volta l’uomo poco convito delle spiegazioni.
“Non potevo, dovevo scontare l’insubordinazione agli ordini di Mar-co. Era la punizione decretata dal Consiglio delle A. Ero stata con-dannata a vedervi senza essere vista da voi ..”.
Si rivolse a Amanda per dirle che non poteva manifestarsi apertamen-te prima di questo consesso. Solo una decisione del Consiglio poteva annullare la condanna e scioglierla dal vincolo di rimanere incognita. Erano questi i motivi per i quali era stata reticente durante il viaggio. Aggiunse alla fine che gli avvenimenti dovevano seguire un percorso predefinito che lei non sarebbe stata in grado di modificare. Era l’unica strada per avere un lieto fine della storia.
“Il Consiglio delle A è stato duro con me, penalizzando anche altre persone, perché sono stata la causa del tuo allontanamento dal bosco degli elfi” ammise amaramente.
Il gelo calò sulla tavolata: non più risate allegre, non più facce sorri-denti ma espressioni serie nell’ascoltare le parole di Elisa.
La ragazza si alzò per stringersi alla madre e sussurrarle «Non impor-ta. Il passato è passato, ma il presente volge al sereno e il futuro si tin-ge di ottimismo». Poi rivolgendosi al consesso ammutolito aggiunse che tutti i vecchi dissapori erano evaporati nel momento in cui  aveva conosciuto le cause di tante incomprensioni. La tensione si allentò mentre ricompariva sulle facce di tutti i componenti del Consiglio il sorriso. Le spiegazioni erano state serene e non c’era risentimento nel-le parole dei protagonisti ma solo un pizzico di amarezza per come si erano svolti i fatti.
Molte tessere cominciavano a incastrarsi tra loro componendo il qua-dro che era rimasto occulto fino a quel istante, rendendo più chiari eventi e situazioni.
“Ma tu chi sarai da questo momento?” chiese con impazienza Pietro che voleva sentire solo una risposta.
“Elisa”.
“E Amanda?” aggiunse rivolgendosi alla figlia
“Farà delle scelte. La sua vita è nelle sue mani” rispose laconica Alice. “Sarà lei a decidere il suo futuro. Per quanto  ci riguarda, abbiamo già assunta la decisione nei giorni scorsi. Sarà la nostra guida, se lo vorrà. La sua dovrà essere una scelta del tutto autonoma”.
Pietro si accorse che questo lungo dialogo aveva tagliato fuori Ales-sandra che era rimasta sempre in silenzio ascoltando tutte quelle voci. Non sembrata frastornata ma attenta a cogliere tutte le sfumature che in parte conosceva. Non percepiva né gelo né invidia ma un calore che l’aveva confortata.
Pietro posò lo sguardo sulla ragazza e disse. “Ho sentito che tra noi c’era un qualcosa che subito non avevo compreso bene. Dunque era questo filo invisibile che ci legava. Ora mi è chiaro quello che prima erano solo sensazioni confuse. Sono felicissimo di avere trovato una seconda figlia, che amerò quanto la prima”.
Si alzò per stringerla a sé come suggello di quanto aveva detto. La ra-gazza ricambiò l’abbraccio con grande impeto e trasporto.
“Quando nel Tanzerloch ti sei avvicinato, ho percepito le tue sensa-zioni e il calore paterno che emanavi. Sono fiera di avere avuto due genitori come voi. Credo che ..”. Una lacrima di emozione scivolò leg-gera sul viso di Alessandra che proseguì. “Sono felice di averti cono-sciuto dopo aver ascoltato gli elogi del Consiglio delle A e del bosco. Sono tutti ben meritati”.
Pietro tenendo abbracciate le due figlie rifletté che molti quesiti ave-vano trovato una risposta esauriente. Rimaneva da chiarire chi erano Alice, Angelica e Arianna e il motivo di tante ragazze con l’iniziale del nome che cominciava per A.
“Chi siamo?” lo anticipò Alice, leggendogli la domanda nella mente.
“Siamo le sorelle di Amanda, anzi di Elisa, visto che ha deciso di as-sumere un nome da umana”.
Pietro sgranò gli occhi per la sorpresa, anche se aveva dimenticato che già in precedenza aveva affrontato questo aspetto.
“Siete le mie cognate? ..”.
“Calma, Pietro. Siamo le sorelle di Amanda. Essendo morta per noi, non siamo niente per te ..” rispose con un pizzico di ironia Angelica che rideva.
“Tu e Elisa non siete ancora sposati e ..” rincarò la dose Arianna.
Lui non raccolse le frecciate sorvolando sulle punzecchiature.
“E le altre ragazze? Sono tutte sorelle di Amanda?” chiese conoscen-done la reazione in anticipo. Un coro di «Sì» fu la risposta.
“Ma la madre e il padre di tutte voi chi sono?” chiese curioso l’uomo.
“Non esistono” fu la risposta collettiva.
Pietro rimase in silenzio a meditare quest’ultima affermazione che gli sembrava del tutto inverosimile come se volessero prendersi gioco di lui.
“E come sono nate?”.

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Amanda 47

Amanda raggiunse la Smart, che silenziosa la stava aspettando ricoper-ta da uno strato di ghiaccio. Si fermò per analizzare la situazione, per-ché impulsivamente se ne era andata dal bosco degli elfi.
“Vagamente so dove si trova senza avere un punto esatto dove con-centrare le mie indagini. Se solo ..”. Ma non riuscì a completare il pen-siero perché alle sue spalle comparvero le tre donne, che l’avevano seguita.
Le guardò infastidita, perché non dovevano abbandonare suo padre in quella maniera senza nemmeno tentare di dargli una mano per uscire dalla situazione critica nella quale si trovava.
“E ora che faccio? Devo fingere di gradire la loro presenza?”
Il pensiero corse veloce e altrettanto velocemente arrivò la risposta.
“Hai ragione. Non ci sono scuse al nostro comportamento. Però ac-cetta il nostro aiuto. Ora è preminente la salvezza di Pietro” disse Ali-ce a nome delle altre due compagne che annuirono.
La situazione stava sfuggendo di mano a Amanda che era stata colta impreparata da questa reazione. Stava per aggiungere qualcosa, quan-do rimase a bocca aperta. L’apparizione di Alessandra era sconvolgen-te. Sembrava lei vista allo specchio.
“Com’è possibile?” mormorò osservandola.
“Sembra la mia gemella ..”
E continuò a osservarla incredula. Non era possibile che due persone potessero essere uguali in tutto e per tutto. Pensò immediatamente che fosse il suo clone ma scacciò in fretta una simile ipotesi, perché era priva di senso.
Mille parole si accavallavano nella mente alimentate non solo da lei ma anche dalle altre.
“Com’è possibile?” ripeté stancamente.
“Una spiegazione c’è” le disse Alice.
Amanda la guardò come si può studiare un alieno comparso all’improvviso. Immediatamente il suo pensiero era che loro si stava-no facendo beffe del buon senso
“No, sbagli Amanda. La spiegazione c’è ed è semplice. Devi sapere che le donne del bosco degli elfi ..” cominciò a raccontare Alice.
“Ragazze se stiamo qui a disquisire su questi argomenti non siamo in grado di portare nessun aiuto a Pietro, che in questo momento è in gravi difficoltà. Di questo ne parliamo durante il Consiglio delle A”. Arianna si avviò per tornare al Tanzerloch, seguita da Angelica.
Alessandra si avvicinò a Amanda e le sussurrò qualcosa, mentre la prendeva sottobraccio per trascinarla sulle tracce delle altre.
Era piccolo e teneva in una mano una torcia fumosa e nell’altra una corta spada. L’aspetto non era amichevole e incuteva un certo timore. L’altra Amanda era rimasta impietrita dalla visione ed era preda del panico. Avrebbe potuto sparire o generare spavento parlando in via telepatica ma non fece niente di tutto questo. Era ferma con gli occhi sbarrati, incapace di muoversi o di agire. Era paralizzata come se un maleficio l’avesse colpita.
Quell’essere deforme si avvicinò velocemente tenendo sollevate torcia e spada per gettarsi sulla donna, pronto a finirla.
Un profondo respiro ruppe la quiete della notte, bloccando momen-taneamente l’avanzata del nano, che si girò sorpreso per vedere chi stava arrivando alle sue spalle. Il rumore ridestò dallo stato di torpore e di paralisi Amanda che cominciò a organizzare le difese. Come pri-ma azione arretrò verso il folto della macchia confondendosi con le ombre della notte. Poi simulò innumerevoli voci per disorientare l’attaccante.
Il nano si guardò intorno frastornato.
“Dov’è sparita quella strega?” urlò arrabbiato in preda a una collera furiosa.
“Stai parlando di me?” disse una figura orribile a vedersi spuntata co-me per magia da uno sperone di roccia affiorante nel terreno.
Il nano scosse la testa in segno di diniego e si rallegrò di aver trovato una valida aiutante nella ricerca della preda scivolata via dalle mani senza che lui fosse riuscito a fermarla.
“Allora la prossima volta modera il linguaggio se non vuoi che ti tagli la lingua” lo rimbeccò furiosa.
“Sei un inetto! Non riesci a catturare nemmeno una donna e hai la-sciato fuggire anche l’uomo, che ci ha rinchiuse nella Voragine” lo re-darguì aspramente.
Il nano non comprendeva quelle parole. Quella donna non era una semplice persona ma aveva poteri speciali. Ecco il perché le era sfug-gito inopinatamente. Poi le domandò di quale uomo parlava. Lui non ha visto né udito nulla, a parte un respiro profondo.
“Sei uno sciocco, nano. Ecco cosa sei! L’uomo è uscito dall’apertura che dovevi sorvegliare, mentre la donna si è nascosta qui vicino. Io mi occupo di lei, mentre tu insegui lui”.
E si divisero prendendo opposte direzioni.
Pietro, uscito dal pertugio, respirò rumorosamente a fondo per riem-pire i polmoni di aria fresca dopo aver respirato quella greve e puzzo-lente della Voragine. Si accorse subito della minaccia del nano ma de-sistette nel portare aiuto alla donna perché gli aveva comunicato che era in grado di cavarsela da sola.
A malincuore e vincendo il naturale istinto si affrettò sul sentiero che conduceva al fuoristrada. Non si faceva illusioni perché aveva percepi-to la presenza di un’altra persona ben più temibile dell’essere deforme che dava la caccia a quella donna della quale ignorava volto e nome.
Si interrogò se altre presenze inquietanti si fossero liberate dalla Vora-gine. Se la risposta fosse stata positiva, aveva ben poche speranze di cavarsela. Si augurò di essere troppo pessimista.
Cominciò a correre ma ben presto il fiato gli mancò e dovette proce-dere con minore celerità. Avvertiva che l’inseguitore stava guadagnan-do terreno, mentre il fuoristrada era ancora lontano. Il sentiero illu-minato da un quarto di luna correva nel bosco e nei prati senza che nessuna abitazione fosse visibile in distanza. Ormai il respiro era di-ventato un rantolo, mentre le gambe parevano essere di marmo.
Rallentò ancora mentre alle spalle avvertiva il roco gridare di chi vede la preda vicina e in difficoltà.
“Se devo morire, lo voglio fare, vedendo la morte in faccia”. Si girò fermandosi piegato in due per la fatica della corsa.
Osservo l’essere deforme che teneva alta la spada pronta a essere cala-ta sul suo capo, quando un lampo accecante lo avvolse. Percepì un sibilare di qualcosa che lo sfiorava prima di infrangersi sul terreno.
Aspettò il secondo colpo, quello definitivo ma l’attesa si consumò senza esito.
Una mano prese la sua e lo trascinò come volando.
“Forse è un angelo che mi conduce davanti a Dio. Faccio l’esame di coscienza e ..” pensò Pietro, mentre una risata conosciuta risuonò nel-la sua testa.
L’altra Amanda non aveva la necessità di osservare la radura, cono-sceva bene il pericolo che stava correndo. Doveva depistare quel ter-ribile nemico. Pensò che rimanere nel folto della macchia l’avrebbe protetta provvisoriamente ma poi sarebbe stata scovata. Uscire allo scoperto era il classico modo di dire «sono qui». Quindi dedusse che la sua posizione era quasi disperata per non ammettere che fosse se-gnata.
Quindi decise di prendere tempo muovendosi in maniera scoordinata nella macchia per confondere le idee all’inseguitore.
La strega imprecando e bestemmiando si ritrovava a girare quasi in tondo, perché la donna si muoveva con agilità e intelligenza senza mai fermarsi e senza una direzione definita. Non poteva comunicare alle altre streghe che l’avevano seguita la sua posizione perché altrimenti avrebbe perso il contatto con la fuggiasca.
“Sembra che questa donna abbia energie inesauribili. Si muove con frenesia e senza segni di cedimenti o stanchezza. Mi pare ..”. Inter-ruppe questa serie di pensieri perché avvertì la presenza di un pericolo mortale, quando andò a sbattere con violenza contro un portone ma-landato.
Questo cedette di schianto e si trovò proiettata all’interno. Con orrore vide che era una chiesetta, che lei conosceva bene, la chiesa dell’Höll. Era un posto che evitava con cura perché era molto pericoloso per lei e le sue sorelle. Alzò gli occhi e vide due giovani donne vestite con una tunica di lino bianco che tenevano in mano un crocefisso.
Gettò un urlo disumano coprendosi gli occhi. Prima di morire incene-rita si domandò come aveva fatto quella donna ben più anziana a tra-sformarsi in due adolescenti. Però il suo interrogativo rimase muto e senza risposta.
Alessandra e Amanda dissero: “Puoi uscire. Ora non può più nuoce-re”.
L’altra Amanda le abbracciò come una madre può farlo con le figlie. Uscirono dalla chiesetta e si avviarono verso il punto di ritrovo.
Mentre accadevano tutti questi fatti straordinari, Arianna e Angelica stavano sigillando i due pertugi, rimasti aperti, per impedire la fuoriu-scita di nani o streghe. La Voragine sarebbe diventata la loro tomba.

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Amanda 46

Pietro continuava a muoversi con cautela nel buio profondo della vo-ragine, saggiando il terreno con il piede e tenendosi aderente alla pare-te.
Dal fondo salivano imprecazioni diaboliche e rumori infernali che a-vrebbero messo a dura prova chiunque. Lui cercò la concentrazione lasciando fuori dalla mente quello che udiva e vedeva.
Qualche strega aveva osato levarsi in volo nonostante il buio nella speranza di trovare un varco per uscire.
Più d’una volta percepì il movimento d’aria vicino al suo viso. Però aveva svuotato la mente da ogni pensiero per non farsi localizzare. Non aveva nessuna intenzione di finire nuovamente sulla spianata. Questa volta gli sarebbe stato difficile ingannarle.
Udì dei passi provenire dalla sua sinistra, nella stessa direzione di pro-venienza dell’aria gelida. Qualcuno stava percorrendo la roccia poco distante perché si intravvedeva la luminosità diffusa di una torcia. Si senti smarrito, perduto se venivano nella sua direzione. Non esisteva un anfratto nel quale poteva nascondersi. Tornare indietro sarebbe stato sommamente pericoloso. La paura lo bloccò. Solo uno sperone di roccia li divideva.
Aspettava la loro comparsa, quando una voce roca e profonda disse «Di qua! C’è la scala che porta alla spianata!» e la luce si diresse verso il basso.
Lasciò scorrere il tempo prima di ricominciare a muoversi, mentre os-servava la fiamma rimpicciolirsi. Adesso il pericolo si era ridotto e po-teva avventurarsi verso lo sbocco con l’esterno.
“L’apertura è sufficientemente ampia per consentirmi di passare?” era il dubbio che aveva mentre si avvicinava alla fenditura.
Era un pertugio basso e stretto, più adatto a un bambino che a un a-dulto. Però doveva provarci.
“ Chi non risica, non rosica” si disse infilandosi a carponi nello stretto cunicolo. Non vedeva nulla, avanzava alla cieca, rischiando più volte di rimanere incastrato. Sarebbe stata una tragedia, perché sarebbe ri-masto bloccato lì in eterno. Avvertiva dolori in tutte le parti del corpo e a stento tratteneva imprecazioni e urla. Metro dopo metro, centime-tro dopo centimetro guadagnava l’uscita. Il budello pareva intermina-bile. Gli sembrava di essere lì dentro da un secolo. Però una convin-zione lo spingeva a proseguire senza soste e senza paure: il fiotto di aria gelida era sempre più consistente. L’uscita era ormai prossima o almeno era questa la speranza.
L’altra Amanda non aveva visto Pietro e immediatamente aveva pen-sato che fosse successo qualcosa di spiacevole. Le tre donne che era-no con lui adesso erano lì ma lui non era presente. Allora in una fra-zione di secondo prese la decisione. Questo non era il posto che ave-va vagheggiato durante il viaggio, almeno non c’era la persona che più di ogni altra cosa desiderava rivedere. Si sentiva come un pesce boc-cheggiante in un dito d’acqua che annaspava alla ricerca di altra acqua per respirare. In silenzio, come era venuta, se ne andò senza che nes-suno notasse la sua assenza.
“Ma chi avrebbe dovuto notarlo? Solo Pietro ma lui non c’è!” replicò in silenzio mentre spariva alla vista di tutti.
Si mosse con rapidità ripercorrendo a ritroso la strada. Ogni istante era prezioso. Non desiderava sprecarne nemmeno uno. Arrivò dove era parcheggiato il fuoristrada ricoperto di uno strato lucido ghiaccia-to.
“Non si è ancora mosso. E’ ancora dentro nel Tanzerloch”.
Il tempo pareva infinito. Non trascorreva mai. Si domandò da dove sarebbe sbucato, perché una volta arrivata alla voragine la trovò rico-perta da una pesante lastra di marmo.
Non percepiva la sua presenza. Però quella dei guardiani del bosco era inconfondibile. L’olfatto ne era disgustato tanto che storse il naso.
“Se sento il lezzo di questi esseri, vuol dire che sono passati di qui o che qualcuno sta montando la guardia. Ma a che cosa? La Voragine è bloccata. E non sarà facile liberarla. Forse a qualche apertura seconda-ria?”.
Seguendo la scia di quell’odore rivoltante si mosse con cautela. Non conosceva le loro potenzialità e non amava fare incontri spiacevoli. Rifletté che la prudenza non era mai troppa.
Arrivò a un prato rinchiuso da una macchia quasi impenetrabile senza notare nulla. Solo la traccia nauseabonda era il filo d’Arianna verso un punto invisibile.
“Dunque” concluse fermandosi “da qualche parte c’è un buco che conduce alla Tanzerloch. Lì c’è un altro ingresso al ritrovo delle stre-ghe”.
L’odore acre e intenso di un topo morto ristagnava a mezz’aria, men-tre lei perlustrava palmo a palmo la piccola radura.
Le parve di udire un ansimare roco, interrotto da qualche imprecazio-ne non certamente benevoli nei confronti di Dio.
Aveva finito le sue ricerche, quando all’improvviso e in maniera del tutto inaspettata si trovò di fronte un essere piccolo e deforme che la fronteggiava con intenzioni poco amichevoli.
La frenesia dell’esplorazione le aveva fatto abbassare le difese e adesso fronteggiava un nemico del quale non conosceva nulla.

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Amanda 45

“Paga. E’ giunto il momento di metterci in cammino verso il bosco degli elfi” disse l’altra Amanda, pulendosi la bocca da alcuni frammen-ti di strudel.
“Ci sono notizie?” chiese un po’ ansiosamente, mentre richiedeva l’attenzione della cameriera.
“Sì. Ma non domandarmi altri particolari. I guardiani del bosco sono stati richiamati in fretta e hanno lasciato libero l’accesso. Non c’è più il pericolo che loro ci intercettino”.
Amando voleva saperne di più ma non riuscì ad avere ulteriori infor-mazioni. Ripresa la Smart si avviarono velocemente verso l’Antelao. Continuava a chiedersi cosa era successo e se suo padre era in salvo.
“E’ inutile chiedermi informazioni più dettagliate, perché ci sono ma confuse. Un gran caos regna ovunque. L’unica cosa certa è che l’accesso al bosco è privo di pericoli e che Alessandra è stata liberata e sta tornando tra noi. Se ci sbrighiamo possiamo arrivare insieme”.
Amanda si chiuse nel mutismo. Questi chiarimenti non l’avevano ral-legrata più di tanto. Percepiva che Pietro era in pericolo e che lei non poteva fare nulla per aiutarlo.
Lasciata la piccola auto all’inizio della salita, con rapide falcate arriva-rono al luogo del raduno degli elfi del bosco, che stavano festeggian-do un duplice evento: il ritorno di Alessandra e aver messo fuori gio-co in maniera definitiva Norberto e i suoi nani.
Alice stava in disparte, scura in volto e amareggiata nell’anima per quello che avevano fatto a Pietro. Lui si era sacrificato per la salvezza della ragazza e loro l’avevano ripagato chiudendolo nel Tanzerloch.
“Bel ringraziamento” disse amaramente osservando Angelica e Arian-na che non sembravano per nulla rattristate.
Le due donne non parevano dare segnali di costernazione o rimorsi sull’azione eseguita ma piuttosto di indifferenza, quando osservarono con stupore l’arrivo di Amanda del tutto inatteso.
“Perché?” si chiesero corrugando leggermente la fronte.
Il consiglio delle A era quasi al completo.
Pietro continuava la risalita in silenzio facendo molta attenzione dove poneva i piedi, perché il buio era totale.. Sul fondo, sempre più lonta-no si vedevano solo puntini rossi che si muovevano in maniera frene-tica e senza mete precise.
Aveva compreso che le tre ragazze avevano attuato la seconda parte del progetto, una volta che la liberazione di Alessandra fosse andata in porto. Adesso lui era rinchiuso, forse per sempre, nel Tanzerloch con scarse probabilità di sfuggire al destino di recluso forzato.
Lui continuava a salire in silenzio, perché una volta in cima avrebbe formulato un piano sul come trarsi d’impaccio. La speranza di uscire da lì era intatta. Si sentiva ottimista. Da dove nascesse questa forza positiva non lo sapeva: forse dalla disperazione di essere intrappolato lì, forse dal desiderio di vedere per l’ultima volta la figlia, forse da sen-sazioni non ben definite. Adesso doveva concentrarsi solamente a non mettere in fallo un piede senza pensare ad altro.
Gradino dopo gradino guadagnava la sommità della scala mentre udi-va provenire dal basso suoni infernali sempre più lontani. Non si vol-se a vedere, gli era sufficiente ascoltare. Col capo toccò il lastrone che bloccava la voragine e seppe di essere arrivato al punto finale. Si ap-poggiò su una piccola prominenza per riprendere fiato e riordinare le idee. Osservò che, dal punto nel quale era, non c’era nessuna possibi-lità di riguadagnare lo spazio aperto. Quindi doveva trovare uno sboc-co altrove.
“Dove?” si domandò, osservando per la prima volta la spianata buia solcata da puntini rossi che si muovevano senza un disegno preciso. L’oscurità era totale. Gli occhi nonostante il tempo trascorso non per-cepivano nulla, mentre il senso disorientamento cresceva. Con la ma-no incerta tastò il bordo vicino agli ultimi gradini. Non ne ricavò nes-suna impressione, salvo quella che se si fosse mosso sarebbe precipi-tato sul fondo.
Adesso lo scoramento stava prendendo il sopravento sulla sua natura di ottimista.
“Cosa fare?” si interrogò di nuovo. “Aspettare o muoversi?”
Un refolo di vento giungeva lieve dalla sua sinistra.
“Dunque lì c’è un’apertura. Ma dove?”.
Acuì i sensi, si sporse con un braccio a tastare la roccia alla sinistra nel tentativo di trovare la fessura attraverso la quale arrivava il vento fre-sco. Non trovò nulla.
“Eppure non mi sono ingannato” ripeté a bassa voce per rincuorarsi. “Una comunicazione col mondo esterno esiste”.
Si sporse ancora scorrendo col palmo della mano la roccia che gli ta-gliò più volte il palmo come se questo fosse una scatola di sardine.
“Eppure ci deve essere! Anche se dovesse essere una minuscola feri-toia, la devo trovare”.
Pietro continuò l’ispezione della parete. La sporgenza era sufficiente-mente profonda da accoglierlo senza grossi pericoli, salvo quello di mettere un piede nel vuoto e fare un bel salto. Si issò con cautela, poi-ché non distingueva nulla e avanzò a carponi con prudenza facendo soste ed esaminando la parete. Il soffio di aria fredda divenne più in-tenso e deciso. Un cauto ottimismo soverchiò il pessimismo prece-dente.
Amanda si guardò intorno. Una moltitudine di ragazze vestite con una tunica di lino bianco, stretta sotto il seno da un cordone dorato, bruli-cava e vociava allegro.
“Dunque stasera c’è il gran consiglio. Per chi? E per che cosa?”
Continuò a spaziare con lo sguardo e le notò. Arricciò il naso in segno di disagio. Loro non potevano mancare. Pensò immediatamente che il consesso fosse per lei.
“E per chi altro può essere?” rifletté incurante del fatto che tutte a-vrebbero letto i suoi pensieri.
Cercò con gli occhi l’altra Amanda, che sembrava essersi volatilizzata.
“La cercherò più tardi, se ne avrò tempo. Ora affrontiamo la triade” e si mosse incontro.
Con loro aveva dei conti da regolare ma ogni cosa andava fatta nei tempi giusti. Adesso non lo era.
Alice si diresse verso di lei con un atteggiamento amichevole. Angelica e Arianna avevano il volto scuro, dipinto di disappunto.
“Benvenuta! E sono felice di rivederti!” aggiunse Alice sorridente, cingendole le spalle.
Amanda stava per replicare, quando fu trascinata via lontano da tutti.
“Non dire nulla! Siamo in debito con te. Quella decisione fu avventata e precipitosa. Giustamente pretendevi un riconoscimento per quello che eri e per il gesto di tornare con noi. Però abbiamo peccato di e-goismo, di dividere con te il nostro potere. In queste settimane ho ri-flettuto e riconosco i miei errori. Puoi accettare le mie scuse come ri-fiutarle. Però sono sincera. Sarò sempre al tuo fianco”.
E l’abbracciò.
Lei lo ricambiò e aggiunse che accettava le scuse. Però voleva sapere come stava suo padre, perché era preoccupata per lui. Percepiva che era in pericolo.
Alice si sedette sotto un larice ormai rosso e pronto a spogliarsi per l’inverno e sospirò.
“Non lo so. Ma ..”
Amanda la guardò e le chiese dove si trovava in quel momento.
“Al Tanzerloch”.
“Al Tanzerloch? E cosa sarebbe?” domando tutta rabbuiata.
Alice le raccontò tutto e come Pietro fosse rimasto intrappolato là dentro.
Lei la guardò e come una furia si allontanò. Doveva correre in quel posto dal nome strano senza indugio per liberarlo. Non le importava se uscivano anche le streghe e se il nano Norberto fuggiva dalla valle del Non Ritorno. Non avrebbe abbandonato suo padre in quel posto.
Non sapeva dove era localizzato ma l’avrebbe trovato lo stesso.
Alice rimase in silenzio vedendola allontanarsi ma poi decise. Amanda aveva ragione.

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Amanda 44

Amanda rimase in silenzio e concentrata nella guida finché non fu in prossimità di Cortina.
Qui riacquistò l’uso della parola.
“Facciamo una piccola deviazione. Passo a salutare una famiglia che mi ha trattata come una figlia. E’ da tanto che penso di ..”. Però fu subito stoppata dalla compagna che la interruppe quasi subito.
“Nessuna deviazione. Per i saluti ci penserai nei prossimi giorni”.
Lei s’incupì e si domandò perché non poteva mai fare quello che vo-leva. Era suo desiderio tornare a casa, a Bolzano ma aveva dovuto prendere una direzione diversa, del tutto sgradita. Adesso voleva salu-tare la famiglia Degasper, che l’aveva accolta come una figlia ma non lo poteva fare per qualche misterioso motivo a lei del tutto sconosciu-to e incomprensibile. Percepiva angoscia e paura, una sensazione che non l’aveva abbandonata per tutto il viaggio. Questo senso di timore  era cresciuto da quando aveva saputo di essere braccata come una preda. Insomma tutta la serenità e sicurezza, che aveva provato fino al suo arrivo a Verona, era svanito come tante bolle di sapone.
“Cosa c’è ancora?” chiese angosciata la ragazza.
“Ti devo portare sana e salva all’interno del bosco degli elfi, dove sta-rai al sicuro, protetta dagli alberi e da Pietro”.
Amanda rimase stupita perché conosceva il nome di suo padre. Lei non lo aveva mai rivelato, citandolo genericamente. Inoltre si chiede-va quali poteri o capacità aveva per essere in grado di proteggerla da persone maligne e pericolose. Per lei era un uomo semplice e senza particolari doti magiche.
“Cosa possiede per essere in grado di battere delle forze oscure e po-tenti” si domandava con un pizzico di curiosità.
“E’ un uomo dalle mille risorse inaspettate e poi è tuo padre. Lui è sempre in grado di trovare la strada maestra che conduce verso ap-prodi sicuri” replicò con pacatezza l’altra Amanda.
Però c’erano troppo aspetti oscuri, non chiariti e molte zone d’ombra.
“Se loro hanno in mano ..” e si fermò in attesa di completare la frase col nome della ragazza che era stata rapita al suo posto.
“Alessandra” venne in soccorso la compagna.
“Sì, Alessandra. Se loro hanno Alessandra, che rischi corro? Di sicuro non mi stanno cercando ..”
“Non essere così sicura. Le sensazioni sono negative. Qualcosa del quadro è cambiato da qualche minuto. Percepisco che loro ti stanno cercando. Dunque affrettiamoci a raggiungere quel porto sicuro che è il bosco degli elfi” concluse scuotendo il capo.
Amanda si domandò quanto distava ancora dalla meta. Non aveva un’idea della distanza.
“E se faccio uso della possibilità di ..”.
“Niente magie. Loro sono all’imbocco del sentiero che conduce alla baita. Ti intercetterebbero subito. E per te sarebbe la fine” sentenziò l’altra Amanda con un tono che metteva paura.
“Se sono lì ad aspettarmi, come pensi che facciamo per riparare al si-curo nel bosco?”
L’altra Amanda rimase in silenzio senza rispondere all’ultima doman-da.
Il sole ormai era nascosto dalle cime più alte che facevano da corona alla vallata, mentre il buio si espandeva rapidamente.
Entrati in San Vito, l’altra Amanda disse all’improvviso vedendo l’insegna luminosa della «Primula rossa»: “Fermiamoci qui. E‘ più prudente”.
Amanda accostò entrando nel parcheggio. Dopo qualche istante en-trarono nel locale, che era semivuoto. Evidentemente era il tempo della cena. I turisti se ne erano andati da settimane, così rimanevano solo i paesani a riempire il locale. Però loro preferivano cenare nelle proprie abitazioni.
“Vuole mangiare qualcosa?” chiese premurosa una graziosa cameriera nell’elegante divisa nera e bianca accogliendole sulla porta.
“Cosa ci può servire?” rispose Amanda con malcelata sorpresa. La ra-gazza parlava come se lei fosse sola, mentre in realtà accanto c’era an-che la sua omonima.
“Come può non notarla?” si domandò frastornata. Sembrava che tut-to congiurasse contro di lei. La compagna taceva senza darle un aiuto a comprendere la situazione.
“Canederli in brodo, appena preparati. Stinco di maiale o costiccine con patate al forno o crauti dolci. Strudel di mele che sta cuocendosi nel forno”.
“Va bene tutto. Ho particolarmente fame stasera” rispose, mentre si avviarono verso un tavolo d’angolo discreto e fuori dalla portata degli altri commensali. Avrebbe voluto aggiungere qualche altro particolare relativo al pranzo saltato ma ritenne opportuno tacere.
Il suo stupore accrebbe quando vide apparecchiare il tavolo per due e portare doppie razioni. La cameriera parlava al singolare ma agiva al plurale. Doveva non mostrare troppo apertamente l’assurdità delle a-zioni e delle parole. Quasi istantaneamente l’altra Amanda riacquistò l’uso della parola.
“Non ti preoccupare. Tu mi vedi, ma loro no” aggiunse tranquilla.
Le spiegò con pazienza che lei aveva la capacità, senza destare sospet-ti, di far sistemare il tavolo per un numero di persone superiore a quante apparivano nella realtà. Riconobbe che, quanto le stava dicen-do, corrispondeva a verità ma era un’idea alla quale faceva fatica ad adattarsi.
Mangiarono con abbondanza e appetito tutte le portate, che erano davvero ottime, perché si era risvegliata la fame dopo il forzato digiu-no di mezzogiorno.
“Per quanto tempo dovremo stare rinchiusi qui?” chiese con impa-zienza, adesso che era in attesa del solo strudel. Facevano capolino curiosità e paure che fino a quel momento erano state relegate in fon-do alla mente.
“Non lo so. Ma presto avremo notizie. Ora finiamo di gustarci la cena che è stata particolarmente gustosa”. E cominciò a mangiare lo strudel che fumava ancora.
Pietro iniziò a scendere con cautela perché i gradini di legno ripidi e sconnessi erano resi scivolosi dall’umidità della sera incombente. Ogni passo era uno scricchiolio che gli pareva un boato che squarciasse il silenzio della notte. La discesa gli apparve interminabile. Aveva perso il senso del tempo. Raggiunta la spianata ancora parzialmente rischia-rata dai fuochi, si adagiò madido di sudore, che gelava in fretta, vicino a un masso non distante dalla scala. Gli parve immediatamente una buona sistemazione perché permetteva una visione quasi completa dell’area e allo stesso tempo poteva tenerla d’occhio.
Non aveva in mente nessun piano. Per il momento c’era il vuoto asso-luto. Si concentrò su quello che vedeva. Forse gli avrebbe suggerito qualcosa. Si rilassò per superare lo stress della discesa.
Alcune figure si aggiravano in silenzio alimentando i falò e sistemando uno scranno di legno posto quasi centralmente non molto distante dal suo punto di osservazione. Non riusciva a distinguerle nettamente a causa del fumo dei fuochi e della scarsa luce che penetrava dall’alto.
Si domandò dove fosse Alessandra o dove l’avrebbero messa. Però chiuse immediatamente la mente. Non poteva correre dei rischi di es-sere intercettato prima ancora di aver elaborato un qualsiasi progetto. Quindi si limitò a osservare senza sviluppare particolari pensieri.
L’area cominciava a popolarsi di figure inquietanti che si aggiravano sicure tra i bracieri che ardevano. Ancora una volta scacciò dalla testa quello a cui pensava. Si concentrò su se stesso, estraniandosi da quello che vedeva. Il piano cominciò a materializzarsi a poco a poco come per magia, assumendo contorni per il momento incerti e sfumati.
“Devo lasciare correre gli eventi e devo afferrare le opportunità senza elaborare schemi troppo complicati. Le cose semplici sono quelle che portano alla vittoria”. Adesso era più rilassato mentre osservava con curiosa attenzione a tutti i movimenti attorno a lui.
Alessandra sarebbe stata sistemata molto vicina. «Perfetto» pensò, perché gli semplificava ulteriormente quanto aveva in mente. L’aveva dedotto dalla posizione del trono centrale e da alcuni paletti piantati nel terreno. Era stato aiutato dalla fortuna e ricordò il secondo segnale delle rune che annunciava un colpo di fortuna. «Che fosse questo?»
Se tutto procedeva nella direzione che aveva immaginato, le avrebbe allungato un biglietto dove c’erano scritte le istruzioni.
“Poi il resto sarà affrontato seguendo l’ispirazione del momento” si disse sorridendo, mentre scriveva su un foglietto cosa Alessandra do-veva fare.
Era stata una buona idea quella di stare vicino alla scala di risalita. Sa-rebbe stata la loro salvezza, almeno questo era quello che fantasticava e sperava.
La spianata in breve fu riempita di fumo e di rumori, esattamente co-me aveva ascoltato durante la narrazione di qualche ora prima da An-gelica. Se Pietro non fosse stato preparato, sarebbe fuggito inorridito. Però rimase calmo, perché era sicuro che la ragazza sarebbe stata si-stemata proprio dinnanzi a lui. Da cosa discendesse questa certezza non lo sapeva con esattezza ma percepiva che sarebbe andata così.
Il frastuono crebbe come il fumo e i bagliori. Il solito diavolo col pie-de caprino si sedette sul trono acclamato dagli astanti. Mancava solo Alessandra. Si domandò se avesse cantato vittoria troppo presto. Non poteva permettersi il lusso di andarla a cercare. Troppi rischi e troppe complicazioni.
L’ennesimo rullo di tamburi e il clangore di catene trascinate fatico-samente annunciava che qualcosa di importante sarebbe avvenuto tra non molto.
Pietro percepì chiaramente un bussare insistente nella mente e con altrettanta fermezza rimase chiuso a questi richiami. Questo mezzo di comunicazione era bandito e si doveva ricorrere a mezzi più tradizio-nali oppure a niente.
«Amanda» gli parve di udire e a seguire una lunga lista di nomi scono-sciuti. Sobbalzò sentendo quel nome ma poi capì che loro erano an-cora convinti di avere il pugno sua figlia.
“Non sono Amanda” ribadì con forza una voce femminile posta al centro della spianata.
Però il diavolo si burlò delle proteste della ragazza e aggiunse che sta-sera avrebbero celebrato le nozze così che il bosco degli elfi sarebbe caduto in loro mano senza troppe difficoltà.
A Pietro vennero i sudori freddi, perché aveva compreso i rischi che stavano correndo. Si avvicinò alla ragazza, le toccò una spalla protetto dal fumo e dal fatto che tutta l’attenzione delle streghe era concentrata su cosa sarebbe avvenuto tra non molto.
Il tumulto crebbe a dismisura, frastornando ulteriormente l’uomo, che allungò il foglietto tra le scapole di Alessandra che fece l’atto di girarsi. Poi desistette dal proposito e continuò a fissare innanzi a sé. Aveva compreso che poteva essere la sua salvezza.
Pietro percepì il suo vigoroso bussare ma lo ignorò volutamente come se non sapesse parlare attraverso la mente.
Se il motivo del rapimento era quello di entrare in possesso del bosco magico, allora doveva far prendere in considerazione la sua volontà come padre della sposa.
“Come intervenire? Ora o più tardi?”.
Però prima doveva mettere in salvo Alessandra. Se avesse seguito a puntino le istruzioni, il piano avrebbe avuto buone probabilità di riu-scita. Però in agguato c’erano sempre gli imprevisti che sarebbero stati difficili da pianificare.
Osservò la ragazza che arretrava sicura volgendo sempre il viso verso il consesso diabolico, finché non si fermò sentendo il contatto di Pie-tro. A pochi passi, protetto dal fumo e dal buio c’era la scala. Alessan-dra doveva avvicinarsi pronta a salire, mentre lui avrebbe distratto il diavolo e le streghe. Poi avrebbe pensato a sé, quando la ragazza sa-rebbe arrivata in cima. Di questo si sarebbe preoccupato più tardi. Adesso era prioritaria la liberazione della ragazza.
Un leggero tocco avvertì la donna che era giunto il momento di av-venturarsi verso la salvezza con le proprie forze.
“Ascolto” cominciò avanzando verso il trono distraendo tutti dalla figura di Alessandra che si avviava verso la cima, affrontando i primi gradini.
“Chi osa interrompere questa cerimonia?” chiese arrabbiato e fumante il diavolo, osservandolo pronto a incenerirlo.
“Io”.
“Chi sei per permetterti questo?”. E gettò una saetta infuocata verso Pietro, che non sussultò minimamente, mentre procedeva di alcuni passi in avanti ancora.
“Sono il padre della futura sposa”.
Un boato di voci generato dal mormorio delle streghe riempì la cavità, mentre tutte concentrarono i loro sguardi su quell’uomo che osava sfidarle.
“E cosa avresti da dire, ammesso che tu lo sia veramente” lo incalzò furente di rabbia per l’intrusione non preventivata di un forestiero nel loro consesso.
Alessandra nel mentre procedeva spedita nella risalita, quando arrivata a metà udì un urlo «La sposa sta fuggendo!». Freneticamente cercò di salire ancora più in fretta, lasciando a parte tutte le cautele.
Una saetta rossa la sfiorò bruciando alcuni gradini tanto che rischiò di precipitare verso il basso. Con la forza della disperazione si issò su quelli rimasti intatti e riprese la scalata. La salita sembrava interminabi-le, non finire mai. Una strega si levò in volo per raggiungerla, quando Alice si calò verso Alessandra per aiutarla.
Le compagne si chiesero cosa potesse fare per soccorrere la fuggiasca e temettero di perderne due anziché una.
Pietro doveva distrarre ulteriormente il consesso per coprire la fuga della ragazza. Rapidamente formulò un piano alternativo. Avanzò ve-locemente verso un falò, raccolse un tizzone ardente e lo getto sul trono. Questa mossa improvvisa e del tutto inaspettata per la sua au-dacia fece generare un coro di «oh!» da parte delle streghe e un urlo di rabbia del diavolo che si alzò per evitare di essere colpito.
La strega in volo si distrasse per osservare la scena, dando modo a A-lice di raggiungere Alessandra per aiutarla a issarli oltre il parapetto di protezione. Quando si girò per gettarsi sulla preda, questa le era sfug-gita. Fuori dalla Voragine rischiava troppo e i suoi poteri erano limita-ti. Schiumante di rabbia tornò nella spianata.
“Amanda c’è sfuggita!”.
Pietro, conoscendo l’esito della fuga, poteva pensare a se stesso. La situazione era critica. Non sarebbe stato facile sfuggire all’ira del dia-volo.
Arianna e Angelica premevano per chiudere il buco, ma Alice era ri-luttante. Otturandolo, avrebbero imprigionato anche lui e forse sa-rebbe rimasto per sempre nel Tanzerloch.
“Forza. Chiudiamo la voragine, prima che possano organizzarsi” urlo Angelica mentre calava il tappo.
Pietro afferrato un altro tizzone lo teneva pericolosamente vicino al trono di legno che da un momento all’altro rischiava di divampare in-sieme all’occupante.
“State lontano o ..” urlò fermando l’avanzata delle streghe.
Quando un boato sovrastò ogni altro rumore, tutto divenne buio e i fuochi si spensero.
Si vedevano solo occhi simili a braci che ardevano di rabbia.
Pietro, superato il primo momento di panico, si diresse verso la scala evitando ostacoli e persone e cominciò a salire.

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Amanda 43

Il viaggio da Verona proseguì in silenzio fino a Bassano del Grappa senza troppe difficoltà.
“Ora fa attenzione. Prendi la direzione Cismon del Grappa, Arsiè. La strada è più lunga ma sicura” le disse l’altra Amanda.
Un leggero brivido percorse la schiena della ragazza che non immagi-nava pericoli nel viaggio verso il bosco degli elfi.
Si domandò quali rischi stava correndo. Non aveva compreso il moti-vo del viaggio, né adesso capiva la natura della minaccia che la sovra-stava.
“Perché questa strada è sicura, mentre le altre no? Non mi sembra che sia un percorso da affrontare con le tenebre o col sole che cala rapi-damente tra le montagne” chiese con un pizzico di apprensione.
“La storia è lunga ma ti riassumo il finale. Le streghe del Tanzerloch ti cercano. Non chiedermi i motivi. Non li so. Hanno rapito un’altra ra-gazza credendola che fosse quella giusta. Quando si accorgeranno dell’errore ti cercheranno. Sarà difficile difendersi dai loro attacchi. Però non penseranno mai che passiamo accanto al loro antro”.
Amanda percepì che la sensazione di freddo stava mutando in gelo. Dunque le sensazioni strane che sentiva a Londra si riferivano a lei e non al padre.
Quali motivi spingevano delle persone sconosciute a cercarla per por-tarla in una località dal nome strano ma chiaramente traducibile. Do-veva dunque stare in guardia, diffidare di chiunque.
“E se questa Amanda è una traditrice che mi vuol consegnare alle streghe?” rifletteva dentro di sé.
Una risata allegra la distolse da questi pensieri.
“Io traditrice? Quando capirai chi sono, mi chiederai scusa per averlo pensato”.
Amanda si domandò chi era veramente questa compagna di viaggio tanto enigmatica. Per distogliere tutti i pensieri si concentrò sulla stra-da facendo attenzione alla direzione, sperando che fosse quella giusta.
Stavano viaggiando da molte ore verso località sconosciute, quando Amanda esclamò sorpresa «E’ il fuoristrada di mio padre! E’ lui alla guida!».
Di rincalzo la compagna di viaggio rimase sorpresa nel constatare che su quella grossa auto c’erano anche Alice, Arianna e Angelica.
“Dove staranno andando?” si domandò provando a sintonizzarsi con loro. Però le montagne facevano da schermo.
“Faccio un’inversione a U e li raggiungo” e si predispose alla mano-vra.
“Non te lo consiglio. Rischi troppo. Il mio compito è trasferirti al si-curo nel bosco degli elfi. Abbiamo ancora molta strada da fare”.
A malincuore Amanda proseguì su una strada sconosciuta verso la de-stinazione finale.
Pietro con la compagnia delle tre ragazze seguì il segnavia che condu-ceva al Tanzerloch. Aveva un’infinità di domande da fare che si acca-vallavano tra di loro in un coacervo non più distinguibile.
Aveva relegato in un angolino buio, quale Amanda avessero incrocia-to: era la sua oppure la morta sepolta sotto l’abete grande. Però ades-so un interrogativo aveva necessità di urgente risposta. Doveva cono-scerla per non fallire la liberazione di Alessandra.
Col fiato incerto che gelava in minuscole gocce cominciò a parlare.
“Perché hanno rapito Alessandra?”.
Le tre ragazze si guardarono in faccia finché Arianna non cominciò a rispondere.
“In realtà si sono sbagliate. Non era Alessandra l’obiettivo ma Aman-da ..”
Pietro l’interrupe perché l’altra domanda finita nell’angolo adesso ur-geva come risposta.
“Quale Amanda? Diamine. Mia figlia o ..”
“Tua figlia era l’obiettivo. Ma Norberto si è confuso. Alessandra sem-bra Amanda in tutto e per tutto. Due gocce d’acqua. E poi non sape-va che ..”.
“Dunque quella che abbiamo incrociato era Amanda, mia figlia?”
“Beh, si e no. Noi abbiamo riconosciuta l’altra ..”
“Ma cosa stai dicendo? L’altra è un fantasma” disse quasi urlando Pie-tro.
Angelica gli fece segno di abbassare i toni. Non dovevano sapere che stavano raggiungendo la Voragine. Però qualcosa non tornava nelle affermazioni di Pietro. Non era tempo per approfondire la questione. Adesso urgeva che raggiungessero prima delle cinque l’orlo del Tan-zerloch.
“Forse è meglio concentrarsi sul compito che ci aspetta. Di questo ne parliamo sulla strada del ritorno. Sempre che riusciamo ad andarcene da qui”.
Lui però continuava a pensare a sua figlia, ai pericoli che la sovrasta-vano, e tutti i misteri che non erano ancora risolti, che in realtà au-mentavano.
Ormai erano prossimi al precipizio che mandava pallidi bagliori verso il cielo privo di nubi.
“Si stanno preparando” disse Alice.
“Preparando a cosa?” chiese Pietro, che non riusciva a comprendere queste reticenze e mezze parole. Sembravano i soliti indovinelli dei quali doveva trovare in autonomia le risposte giuste. Il dubbio lo sfio-rò che anche stavolta doveva rintracciare la strada appropriata per sal-vare Alessandra.
“Che stranezze! Elisa e Amanda, la compagna di Klaus, identiche co-me se fossero la stessa persona. Alessandra e Amanda, mia figlia, due gocce d’acqua. Alice, Arianna e Angelica sono le sorelle di Elisa. E io..”
“Non perdere tempo in queste elucubrazioni. Avrai tempo e modo per comprendere. Ora il tempo stringe e non possiamo darti molte indicazioni su come salvare Alessandra. Fingi solo che sia tua figlia. Avvertila di stare al gioco ma fa attenzione anche loro sanno leggere i pensieri degli uomini. Tu non puoi schermare la tua mente, perché sei un umano. Quindi sappi che sei un libro aperto per loro” concluse Angelica.
Pietro si avvicinò alla staccionata che proteggeva le persone dal non precipitare nel buco.
“Sulla destra c’è una scala ripida che ti porterà nella spianata dove si stanno raccogliendo le streghe. E’ ora di scendere. Ricorda quanto ti abbiamo detto” gli comunicò Arianna stringendogli le mani in segno di incoraggiamento.
“Ho capito tutto. Mi avete dato un bel aiuto. Devo camminare con le mie gambe e sperare che ..”.
“.. in particolare usa la testa. Andrà tutto bene” l’interruppe Alice e gli diede una leggera spinta verso il baratro.
Pietro raccolse il fiato nei polmoni e cominciò cautamente a scendere lungo la scala resa sdrucciolevole dall’umidità.

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Amanda 42

Pietro aprì il fuoristrada e trovò comodamente sedute sui sedili posteriori Arianna e Angelica che li stavano aspettando. Per qualche istante rimase a bocca aperta incapace di formalizzare un qualsiasi pensiero. La sorpresa era stata troppo forte in aggiunta agli avvenimenti che l’avevano visto coinvolto dal momento del risveglio.
“Una visita inaspettata!” biascicò incespicando nelle parole per la stupore.
Alice rise replicando che come di consueto quelle due erano in ritardo, perché dovevano trovarsi tutte e tre alla baita prima della partenza.
“Però come al solito non sono state puntuali. Vi siete perse una colazione coi fiocchi” concluse con un gesto inequivocabile.
A questo punto Pietro si domandò quale motivazione le aveva spinte a quel viaggio ancora misterioso nella destinazione. Lui ne avrebbe fatto a meno volentieri, tornandosene a Belluno.
“Non so dove siamo diretti e con quale giustificazione. Loro compaiono e scompaiono a piacimento come se fossi a loro disposizione. Questa situazione non mi piace per nulla”.
Scuoteva il capo in segno di disapprovazione mentre pensava a qeusto.
“Perché ti lamenti in silenzio? Non ce ne sono i motivi. Tra non molto saprai tutto. O quasi ..” disse con tono gentile Angelica che aveva letto i pensieri di Pietro.
Alice con modi sbrigativi lo sollecitò a partire perché la strada era lunga e dovevano arrivare assolutamente prima dell’imbrunire.
“Dove?” chiese per l’ennesima volta l’uomo.
“Vai verso Cortina” replicò decisa Arianna.
E come un flash rivede una scena di molti, molti anni prima, quando una notte lui e Elisa erano partiti per il bosco degli elfi.
“Non ti puoi sbagliare come quella volta. A sinistra torni verso Belluno, a destra arriviamo diritti a Cortina” continuò Angelica.
Pareva che volessero burlarsi di lui ma finse di non avere ascoltato le ultime parole.
Un altro pensiero vagava da tempo nella mente, mentre seguiva la strada con attenzione. Aveva scoperto che Elisa aveva due sorelle, almeno così avevano detto Arianna e Alice in due occasioni diverse.
Rivolgendosi a Angelica, le chiese se per caso anche lei era una possibile cognata.
Una risata argentina risuonò nella testa seguite da parole ambigue che complicarono la situazione.
“Forse sì, forse no. Diciamo che sto a metà o forse neppure così” rispose divertita.
Pietro cominciava a spazientirsi perché a turno rispondevano in modo misterioso e con giochi di parole.
“Come? Forse sì, forse no .. oppure neppure tutto questo? Mi stai prendendo in giro?” replicò stizzito.
“Fa attenzione alla guida senza curarti di quello che sta borbottando Angelica!” gli disse con apprensione Alice che lo vedeva un po’ disattento nel governo del fuoristrada.
“Va bene che vi siete coalizzate contro di me ..”.
“Ma no! Siamo solo allegre e felici di tenerti compagnia. E poi ..”.
Pietro avrebbe voluto replicare ancora ma decise di seguire il consiglio di Alice ignorando le compagne di viaggio.
Giunto in prossimità di Cortina in un silenzio quasi irreale, udì un tossire discreto di Arianna per richiamare la sua attenzione.
“Non ti sarai per caso offeso? Hai sprangato tutte le porte della mente, mentre noi leggiamo solo un deserto privo di parole”.
“Certamente” replicò brusco leggendo il cartello dell’abitato di Cortina. “E adesso dove si va?”.
“Segui l’indicazione Pocol” suggerì Angelica. “E poi verso Selva di Cadore e Alleghe”.
“Uffa quanto siete misteriose” e riprese il mutismo.
Erano le tredici passate quando arrivarono in prossimità di Alleghe. Pietro aveva smaltito la fetta generosa di strudel e adesso avvertiva qualche stimolo di fame.
“Io avrei fame” disse rompendo l’atmosfera sonnolenta che si era instaurata nel fuoristrada.
“Cosa vuoi?” disse Angelica.
“Fermarmi da qualche parte e incorporare qualche caloria. Non so se riesco a guidare ancora a lungo. Lo stomaco da un po’ reclama qualche alimento”.
Vista una trattoria con un vistoso cartello «Oggi polenta e capriolo» accostò per entrare nel parcheggio.
“Voi cosa fate?” chiese mentre si slacciava le cinture.
“Veniamo con te, naturalmente. Vero ragazze?” aggiunse Alice rivolgendosi alle compagne che annuirono in segno di consenso.
“E sia”.
Pietro le guardò: avevano tutte e tre una tunichetta di lino bianco, legata in cintura. Pensò che non fosse l’abbigliamento più adatto alla stagione e alla località. Però tacque. Gli era stata sufficiente la colazione con Alice.
Tutto andò come da  copione. Loro erano invisibili alle altre persone ma la cameriera portò il pranzo come se fossero in quattro.
“Ottima questa polenta e capriolo. Ora che siamo a stomaco pieno vorrei sapere dove siamo diretti. Ho passato paesi e scollinato passi dei quali ignoravo l’esistenza. Non ho in’idea dove siamo finiti. Aspetto che una delle tre mi dica la meta”.
Le tre ragazze si guardarono in viso. Alice prese l’iniziativa di parlare.
“Siamo diretti a Tanzerloch ..”
“Tanzer .. cosa?” l’interruppe subito Pietro.
“Tanzerloch ovvero la buca delle danze traducendo il nome della località dal cimbro. E’ un buco dove stasera alle diciassette vedremo ballare le streghe. E noi dobbiamo essere là almeno mezz’ora prima. Quindi paga il conto, mentre noi ti aspettiamo in macchina. Poi durante il viaggio ti diamo qualche altra indicazione”.
Un istante dopo non c’erano più.
Ripresa la marcia, Angelica si assunse il compito di spiegare tutto.
“E’ una vecchia leggenda dei cimbri, il popolo dell’altopiano di Asiago. Questa narra le vicende di due pastorelli, fratello e sorella, che custodivano il gregge sul pendio dove ora si trova il Tanzerloch, allora scosceso, ma transitabile. La mamma li aveva esortati a non oltrepassare una certa macchia di bosco da cui si sentivano, nelle notti di luna piena, provenire degli strani rumori e dei suoni paurosi che sembravano ululati di lupi misti a cigolii di catene. Di giorno sembrava tutto normale in quel posto ma di notte nessuno osava avventurarsi da quelle parti. Un giorno di primavera, quando le fragole erano più profumate e i merli zirlavano tra i rami spinosi dei crespini, la bambina trasgredì l’avvertimento della madre, inoltrandosi nel bosco misterioso. Sparì senza fare ritorno. La cercarono invano ovunque, ma si era volatilizzata. Fu pianta come morta. Il fratello non si rassegnò alla perdita della sorella e un mattino, lasciate le pecore alla sorveglianza del cane, si mise a cercarla di nuovo per il bosco proibito, armato di una rozza croce di legno presa alla vicina chiesetta dell’Höll. Errò tutto il giorno, cercando qualche traccia della sorella scomparsa e al sopraggiungere della sera, cadde affranto ai piedi di un grosso abete, addormentandosi. Improvvisamente fu svegliato da un infernale fracasso. Una scena terribile gli apparve agli occhi quando impauriti gli si aprirono. La luna rischiarava un vasto spiazzo erboso in mezzo al quale, seduto su di uno sgabello infuocato, circondato da sinistri bagliori, un demonio dalle corna e dagli zoccoli di caprone, brandiva un tridente enorme. Ai suoi piedi c’era il corpo esanime della sorella ed intorno a lui una dozzina di streghe discinte e ghignanti tessevano una orribile danza. Rumori sotterranei accompagnavano il ballo sfrenato. Il ragazzo raccolse tutte le sue forze e, vinta la paura, invocò San Michele Arcangelo e scagliò la croce di legno in mezzo alle streghe. Si udì un rombo terribile mentre la terra si aprì inghiottendo tutto. Dove prima c’era lo spiazzo, si sprofondava una voragine paurosa ed immensa. Il ragazzo si abbracciò all’abete, esattamente sull’orlo della spelonca inchiodato dal terrore. Il mattino seguente fu trovato dai montanari. Era svenuto, ma vivo e i suoi capelli biondissimi erano divenuti candidi come la neve. E la leggenda finisce qui. Però ..”.
Pietro rise perché gli pareva assurdo fare tanti chilometri per vedere un buco nella terra, le cui origini era fatte risalire a una leggenda.
“Non ridere! Il motivo è serio, anzi serissimo. Stasera alle cinque le streghe intonano la loro danza e noi dobbiamo liberare Alessandra e chiudere per sempre il buco” replicò seria Angelica.
“Alessandra? Un’altra cognata?” disse ironico e aggiunse. “Come mai la mia quasi forse cognata è finita nelle mani delle streghe del Tanzerloch?”
“E’ stata rapita da Norberto, il nano che hai sconfitto con l’astuzia, quindici giorni fa. Se non la liberiamo stasera, il bosco degli elfi cade in mano del nano, che provvisoriamente abbiamo imprigionato nella valle del non Ritorno”.
Un attimo di sielnzio calò gelido nell’abitacolo.
“E perché avete bisogno del mio aiuto? Io non possiedo aiuti magici ..” chiese curioso Pietro.
“Tu puoi scendere tra loro. Loro sono impotenti contro di te, esattamente come per la kitsune. Noi, no” concluse Angelica.
Lui tacque per qualche istante per metabolizzare le varie informazioni.
Stava per dire qualcosa, quando Arianna sbottò.
“Abbiamo incrociato Amanda! Stanno andando verso il bosco degli elfi”.
Pietro chiese di quale Amanda si trattava.
“Nostra sorella” risposero all’unisono.
Lui era sempre più frastornato: il Tanzerloch, Alessandra, Amanda. Gli eventi sembravano precipitare senza che lui potesse in qualche modo dirigerli.
“Fa attenzione! Tra un po’ prendiamo una scorciatoia che ci evita un lungo giro” l’avvertì Alice.
Lui chiese ancora qualche spiegazione ma non era il momento. La strada tortuosa richiedeva attenzione. Ancora un tratto di strada poi si fermarono a Camporovere nella strada che conduceva al Vezzena.
Da qui si doveva comminare a piedi per raggiungere il Tanzerloch.

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Amanda 41

Le due Amanda erano rimaste in silenzio per tutto il tragitto. Una osservando il paesaggio che scorreva veloce dal finestrino, l’altra assorta nei suoi pensieri.
All’arrivo in piazza Bra scesero, recuperando il bagaglio.
“Ti servirà una macchina” sentenziò l’omonima.
“Non ce ne bisogno” rispose mentre si dirigeva verso una citycar che era apparsa parcheggiata sotto le mura.
“Dove si va?” le chiese con aria rassegnata.
“La destinazione è il bosco degli elfi”.
“Ma è lontanissimo! E poi lì non ci voglio tornare. Mi avete cacciato! E non vado dove sono sgradita!”
L’altra Amanda scosse il capo come per negare questa possibilità. Loro dovevano raggiungere il bosco entro stasera senza se senza ma.
“Non importano i vecchi dissapori. Questi saranno chiariti sul posto e tutto si aggiusterà”.
Amanda scosse il capo, perché queste parole non l’avevano convinta per nulla. Però si domandò cosa potesse fare o non fare in questa situazione. L’unica risposta per chiudere la partita era dirigersi verso Bolzano, ignorando gli ordini dell’omonima. Si chiedeva se questa era la soluzione vincente oppure no, perché doveva piegarsi e seguire le indicazioni appena ascoltate.
“Non ci provare” le disse seria l’altra Amanda. “Non ci provare. La meta è il bosco degli elfi, E lì saremo stasera”.
Amanda aveva dimenticato di chiudere la mente così che l’altra le aveva letto nel pensiero.
“E chi me lo impedisce?” replicò irritata e con aria di sfida.
“Io”.
“Ma tu chi sei per darmi ordini tanto perentori?” Stava spazientendosi e non vedeva l’ora che tutto fosse finito. Rimpiangeva il tranquillo tran tran di Bolzano composto dal lavoro e dagli incontri serali con le tre amiche. Tutto quello che era il vecchio mondo l’aveva gettato dietro le spalle, ma pareva che adesso venisse messo in discussione.
“Chissà dove sono ora Anke e le altre. Chissà a cosa stanno pensando” si chiese corrucciata e malinconica per scacciare l’irritazione.
L’altra sorrise e le accarezzò i capelli in segno di approvazione per i nuovi pensieri.
“Concentrati e riuscirai a collegarti con loro” le suggerì mentre saliva sulla Smart. Cercava di togliere tensione nella loro discussione e riportare il sereno.
Amanda la guardò in tralice e non rispose.
“Non mi hai ancora spiegato perché dovrei fare quello che dici. Si parte per Bolzano. Ho deciso. Del bosco degli elfi non mi importa nulla come dei suoi abitanti tanto bacchettoni” replicò mettendo in moto l’auto.
Guardò i cartelli per trovare l’indicazione Trento o A22. Stranamente sembravano spariti: solo segnali con scritto «Vicenza». Provò a concentrarsi ulteriormente ma per quanti sforzi facesse campeggiava solo un nome. Pareva che il mondo si fosse ristretto tra Verona e Vicenza.
“Non è possibile!” esclamò arrabbiata. “Non è possibile. Io deve andare verso Trento. Lo chiederò a quel vigile”.
Scese dall’auto con furia e si diresse verso l’uomo che dirigeva il traffico.
“Mi sa indicare la direzione Trento?” chiese speranzosa. Però il vigile continuò a smistare il traffico come se Amanda fosse invisibile o inesistente. La collera stava montando, mentre faticava a contenerla. Si sentiva frustrata, incapace di decidere in autonomia.
Provò a tirarlo per una manica, ma afferrava solo il vuoto, l’aria. Adesso era lui trasparente e inafferrabile.
“Non è possibile!” urlò con quanta voce aveva in corpo. “Non è possibile che non riesca a comunicare col mondo esterno”.
Si volse verso l’auto dove l’altra Amanda aspettava con pazienza che la ragazza si stancasse di giocare coi mulini a vento.
“Non è possibile” rincarò la dose di rabbia, dirigendosi verso l’auto.
“Cosa sta succedendo?” le chiese bruscamente.
“Nulla. La direzione è segnata «Vicenza». E’ inutile trovare una soluzione differente. Il tuo è un ruolo perdente. Non puoi decidere in autonomia”. E si mise comoda in attesa che Amanda mettesse in moto la Smart.
“Ebbene, sì. Hai vinto questa battaglia ..”.
“No, la guerra” la corresse l’altra.
“.. ma devi dirmi con sincerità chi sei e perché sei stata mandata qui” continuò ignorando la precisazione.
“Metti in moto e ti spiegherò strada facendo”.
“No, da qui non mi muovo se prima non avrai risposto alle mie domande. So essere paziente”.
E la guardò con l’aria di chi sa di essere la più forte, mentre incrociava le braccia nell’attesa.
Un silenzio carico di nubi temporalesche calò nell’abitacolo mentre fuori splendeva un sole settembrino stranamente ancora caldo.
Il braccio di ferro durò qualche istante che parve un’eternità prima che l’altra Amanda ricominciasse a parlare.
“E vabbè. Hai vinto questa battaglia ma ..”.
“questa guerra” precisò Amanda con un sorriso che affiorava tra le nuvole dello sguardo corrucciato.
“Ma vorrei avvertirti che non conosco le motivazioni per le quali sei stata richiamata nel bosco degli elfi. Io posso dirti solo, perché autorizzata da loro, che il consiglio delle A ha deciso di richiamarti tra loro e assegnarti il posto che ti spetta. Ogni altro chiarimento è rimandato a dopo. Soddisfatta?”
Amanda si rilassò ma un’altra domanda gli bruciava sulle labbra.
“Chi sei? Quali poteri hai?”
Un sorriso comparve sulle labbra della donna e una breve risata risuonò nella mente.
“Se te lo dicessi non ci crederesti. Aspetta di incontrare tuo padre e tutto sarà più chiaro. Ora partiamo. Il viaggio è lungo e la sera cala presto”.
Amanda la guardò dubbiosa perché per lei tutto era chiaro fino a pochi minuti prima: la compagna di viaggio era stata uccisa da Klaus, il suo amante, scambiandola per la kitsune. Almeno questa era stata la versione ascoltata dal padre. Adesso però queste certezze erano messe in dubbio, anzi vacillavano per effetto delle ultime parole ascoltate. C’era tempo durante il viaggio che si preannunciava lungo e difficile per chiarire chi era veramente. Adesso doveva lasciare sbollire l’ira che stava raggiungendo livelli di guardia.
“Ma questo scatolino” e indicò la struttura che le conteneva “non sarà mai in grado di salire al bosco degli elfi”.
“Non preoccuparti. Vedrai che ce la faremo. Adesso basta chiacchiere. Si parte”.
Amanda accese il motore e innestata la prima prese la direzione Vicenza tanto c’era solo quella direzione. Tutte le strade convergevano verso questa città.

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