Il racconto sotto l’ombrellone

nuova copertina Un caso per tre

Un racconto

Qualche settimana fa ho proposto questo racconto che parteciperà al contest dell’estate di navigazione con zero probabilità di vincere qualcosa ma De Coubertin insegna anche a gareggiare. Il precedente non andava bene perché mancavano due tasselli: le parole impreviste. Adesso è completo. Quindi quattro parole chiave: ondivago, bardo, clafoutis e brillante più due parole misteriose che non rivelerò nemmeno sotto tortura. Non si scherza mica. Non sono bruscolini.

Adesso basta, leggete, dite la vostra. L’ombrellone vi aspetta.

Arrivati a marzo si pone il problema di come superare lo spartiacque estivo, come se poi tutto il resto dell’anno filasse liscio.

È questo il pensiero di Emilia che non sa come organizzare i tre mesi estivi. Qualcuno strabuzza gli occhi. «Tre mesi di vacanza?» «Sì, proprio così. Giugno, luglio e agosto. Per settembre si torna a casa per riprendersi dalla sbornia vacanziera».

Un pensiero ondivago si fa strada nella mente di Emilia che non sa decidersi quest’anno. L’anno scorso è stato un viaggio a piedi per l’Europa del sud. Tanti i chilometri e tantissimi i posti visitati. Quello precedente si è affidata al treno che l’ha portata in giro per la Russia. L’anno ancora prima partendo da Milano ha raggiunto il nord America e da lì è iniziato un viaggio verso la Patagonia. Per gli altri anni non ricorda dove ma sono stati bellissimi.

Però il problema è adesso. L’entropia del sistema vacanze non ammette deroghe. Il disordine regna sovrano nella testa di Emilia. Il passaggio dallo stato ordinato del metronomo casa, lavoro, casa a quello disorganizzato di un viaggio lungo tre mesi racchiude tutta la sua insicurezza.

Giugno è vicino e gli amici con i quali condivide le vacanze estive premono per sapere dove. Però Emilia non riesce a decidere né il mezzo né le località da toccare. Viaggiare a piedi è stancante. Ricorda le piaghe dello scorso anno. Il treno è bello perché durante gli spostamenti si può chiacchierare in santa pace ma è limitato alle sole tratte ferroviarie. L’aereo è costoso e poi i viaggi low-cost sono snervanti. Barca? No, grazie! Bicicletta? Auto? Tanti mezzi ma non tutti graditi dai compagni di viaggio: Sara, Michele e Marietto.

È un nucleo adamantino il loro, difficile da scalfire ma pronto a incidere nella scelta delle vacanze. Sembrano due coppie ma in realtà sono quattro amici legati dalla stessa volontà di divertirsi, di fare qualcosa fuori del comune.

“No, devo trovare qualcosa di originale? Ma cosa?” riflette Emilia, legando i lunghi capelli con un elastico. “Siamo a marzo ma fa già caldo ma zero idee”.

Sono dieci anni che fanno questa scorpacciata di vacanze e quindi le ipotesi sui luoghi diventano sempre più complicate. “Ma loro vengono a rimorchio. Mai una volta che suggeriscano un itinerario da esplorare. Devo fare tutto io. Tappe, prenotazioni e organizzare ogni dettaglio” mormora un po’ infastidita ma al tempo stesso soddisfatta, pensando alle esperienze passate.

In realtà non è così. A lei piace fare tutto da sola e poi presentare il tour seduti a tavola con grandi slide proiettate sul soffitto. ‘Con la pancia piena si ragiona meglio’ è sempre stato il suo motto ma adesso si trova un po’ in difficoltà.

“Ma quest’anno dove li porterò?” si domanda aprendo Google map sull’Europa.

Seduta davanti al suo computer gira gli occhi per la stanza. Di fronte sta la libreria con sotto il divano. Alla sua destra un mobile dei primi del novecento in radica e borchie di rame in stile liberty. Alle sue spalle l’impianto hi-fi. Però per terra ci sono libri accatastati alla rinfusa.

“Un viaggio solo acqua? Oppure un mix?”

Niente, nessuna idea viene in soccorso, quando l’occhio cade su un volume dei Meridiani mescolato insieme ad altri testi. ‘Teatro completo. Testo inglese a fronte. Vol. 4: Le tragedie’ di William Shakespeare. Un vecchio volumetto un po’ malmesso. Lampadina.

«Ecco la destinazione. Stratford-upon-Avon e al ritorno Limoges» esclama entusiasta. «Con quale mezzo?» L’entusiasmo si sgonfia come un palloncino bucato.

Tre sere più tardi sono attorno un tavolo pieno di briciole e gocce di vino. Con un colpo di mouse srotola sulla parete un’immensa carta dell’Europa occidentale che pare animata di vita propria.

«Ecco questo è l’itinerario proposto».

Sara rimane interdetta. Pare un serpente che si morda la coda.

«Non ti pare di essere stata un po’ ondivaga?»

«Cosa c’è di male andare per mare?» replica divertita Emilia.

Arriva giugno e si parte.

«Oh, Bardo del mio cuore, stiamo arrivando!» esclama Emilia salendo sul treno per Varazze, dove un Oceanis 48 li sta attendendo.

Quest’anno non si è badato a spese. Una bella barca da crociera comoda e sicura per affrontare l’Oceano Atlantico e le sue insidie.

Nessuno di loro sa governare un’imbarcazione ma hanno ingaggiato un skipper per i tre mesi. Non hanno fretta e chi ne avrebbe con oltre novanta giorni a disposizione? Con lo skipper hanno concordato il piano di navigazione. Quello ambizioso in assenza di tempeste traiettorie diritte. Quello prudente se il tempo non sarebbe stato clemente veleggiare sotto costa.

Dopo venti giorni di navigazione siamo a Brest per il meritato riposo. Un giorno solo ma camminare sul solido terreno è una sensazione appagante. Un vento gagliardo ci ha spinto verso Gibilterra e poi in direzione nord. Sono stati venti giorni di allegria con lo skipper che ci ha torchiato per bene, perché di miglia marine ne abbiamo dovuto macinare molte. Ora so che il cockpit non è un dolce e il genoa non è l’altra squadra di Genova. Marietto sa come alzare una vela senza aggrovigliare i cavi. Passi da gigante senza dubbio. Ci rimane un tratto insidioso quello che sta davanti alla Cornovaglia, che doppiata ci fa arrivare a destinazione.

«Bardo, aspettaci che stiamo arrivando».

La gita a Stratford-upon-Avon è stata magnifica. Dieci giorni per la vallata del Severn e dell’Avon in barca, in bicicletta e a piedi sotto il sole e la pioggia che non può mancare da queste parti. Questa bella cittadina vive nel ricordo del suo illustre antenato e ogni angolo ce lo ricorda. Adesso dopo la circumnavigazione della perfida Albione con una puntata a visitare le Orcadi siamo a S. Nazaire pronti per raggiungere Limoges attraverso la valle della Loira e dei suoi castelli. Ho promesso loro la clafoutis più invitante della loro vita. Non sanno cosa li aspetta! Pensano a tutto: porcellane, vino, luoghi misteriosi. Non sanno, i poverini, che si mangeranno una fetta di torta con dentro le ciliege nere ma forse con altra frutta di stagione, perché le ciliege a fine luglio sono un pallido ricordo. Abbiamo due settimane per raggiungere Limoges e puntare su La Rochelle dove il nostro skipper impaziente ci aspetterà per riportarci il 31 agosto a Varazze. La Loira appare un fiume sonnacchioso che scorre su un letto sabbioso in questo periodo. Quest’anno è ancora più magro perché un inverno mite e asciutto l’hanno prosciugato. Tuttavia noi non demordiamo. Qualsiasi mezzo è buono e poi siamo in perfetta forma e rilassati. Il colorito scuro ci fa sembrare dei vu’ cumpra’ se non fosse per i capelli che variano dal rossiccio di Marietto al biondo cenere di Sara con tutte le sfumature intermedie. Ci muoviamo come un sinuoso serpente allungando la strada pur di visitare i vari castelli che sono in zona.

«Limoges!» è il grido di tutti noi coi piedi piagati dalle vesciche, quando arriviamo in centro città. Affamati, distrutti ma felici ci sistemiamo sotto un ombrellone della ‘brasserie Le Cap’tain’ di fronte a les Halles. Mangiamo di tutto ma la sorpresa arriva alla fine. Una torta intera di clafoutis alle pere, che non è la stessa cosa di quella alle ciliege ma per mangiarla dovevamo fare come prima tappa questa magnifica città fondata da Augusto nel 10 d.C. Però non era possibile e una bella risata mi sfugge dalla bocca.

Da La Rochelle riprendiamo il viaggio di ritorno con la pelle cotta dal sole e dalla salsedine. Siamo tutti stanchi ma felici. Un’esperienza favolosa, frutto di una brillante idea. Un po’ ci dispiace tornare all’ovile ma dopo tre mesi su una barca abbiamo voglia di calpestare la terra e non ballare sul ponte di legno di un Oceanis 48. Per fortuna non abbiamo dovuto affrontare tempeste ma solo mare mosso. Una cosa accettabile tutto sommato, da firmare prima della partenza. Il vento ha spirato nella giusta direzione gonfiando le vele e facendoci correre veloci sull’acqua.

Adesso siamo qui sul terrazzo della mia casa a vedere le immagini più significative della vacanza, a gustarci uno spritz con tartine al prosciutto ma in particolare a ridere per qualche disavventura capitata nei tre mesi di viaggio.

Non credo di avere mai avuto un’abbronzatura così perfetta. Sembro proprio una marocchina.

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Konnie – parte decima

I tre cunicoli – carteaceo

Questo libro lo potete acquistare su amazon e kobo.

Su Caffè Letterario è stata pubblicata la decima puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

Buiona lettura.

20 agosto 2144

Al mattino presto un timido sole sbircia tra nuvoloni grigi ma subito si nasconde mentre riprende la pioggia.

Matteo arriva fino al ponte, lasciando Cucciolo a proteggere Alba. Lo valuta. «È messo piuttosto male. Il parapetto è crollato in più punti e il fondo non appare solido. Risalire il corso del torrente potrebbe essere pericoloso. Di certo saranno franati pezzi di roccia più a monte. Provare a guadarlo è rischioso. Già a scendere sul greto non sarà un’impresa semplice come risalire» borbotta indispettito da questo contrattempo. «Le spalle sembrano solide. Quindi ci teniamo sul centro e l’attraversiamo quando questa pioggia smette».

Prima di raggiungere Alba e Cucciolo, raccoglie un po’ di legna. È bagnata e quindi passeranno alcune ore prima di poterla usare. Il fuoco si è spento durante la notte e la temperatura è rigida. «In quota nevica» farfuglia scocciato. Non avevano messo in conto questa evenienza. «Sarà il battesimo della neve che ho visto solo nei filmati».

«Allora?» Chiede Alba con tono ansioso, mentre Cucciolo gli fa festa.

«Quando il tempo si rimette al bello, ci rimettiamo in marcia» spiega con voce sicura.

«Ma il ponte?»

Matteo sorride, anche se internamente è preoccupato per quando tornano. Di certo sarà messo peggio. «Il ponte? Tiene. Non è solidissimo ma non crollerà sotto il nostro peso».

Poi riparte alla ricerca di altra legna. Ignora per quanti giorni saranno costretti a rimanere lì, quindi è meglio fare un po’ di scorta.

Mentre raccoglie rami e arbusti nota nel sottobosco un tappeto di frutti rossi. «Peccato non poterli cogliere. La radioattività è ancora alta». Il minicontatore segnala qualche centesimo sotto i due sievert. Valore pericoloso per gli esseri umani.

Per due giorni si sono alternati schiarite a violenti temporali. Il loro riparo di fortuna, sistemato nell’angolo formato dalle due pareti rimaste in piedi, ha resistito e li ha protetti. La legna raccolta li ha tenuti al caldo nonostante la temperatura sia rimasta sempre rigida.

Nella notte del secondo giorno si è levato un furioso vento che ha spazzato via le nuvole. La mattina li ha salutati con un cielo terso senza un fiocchetto bianco. Il prato è inzuppato di acqua e la temperatura è molto bassa.

«Guarda!» esclama Alba con tono sorpreso, indicando con l’indice della mano destra le cime dei monti. «Le montagne sono bianche!»

I due ragazzi ammirano lo spettacolo che vedono per la prima volta. Sanno che troveranno la strada ricoperta di neve salendo in quota. Anche questo non era stato messo in preventivo.

Fatta la colazione, sistemano la legna rimasta sotto un cumulo di pietre. «Ci potranno servire al nostro ritorno» spiega Matteo, mentre piega con cura teli e tenda.

Il sole è già alto nel cielo e riscalda l’aria che diventa meno gelida. Il torrente Cordevole è ingrossato e trascina a valle alberi e ramaglie. Le sue acque sono torbide, di colore giallo. La corrente è piuttosto impetuosa.

Con cautela i due ragazzi e Cucciolo, alquanto infangato, attraversano il torrente. Giunti sull’altra sponda sorridono. «Ce l’abbiamo fatta!» esclama giuliva Alba prendendo per mano Matteo, che fa un profondo respiro. Raggiungono quella che un tempo era una strada trafficata ma che adesso si presenta in condizioni pessime. L’asfalto sollevato quasi ovunque, detriti e fango coprono la sede stradale, erbe altissime sui bordi.

Con cautela la percorrono sperando di trovare un posto dove potersi fermare in sicurezza. «Eppure sulla mappa sono segnate delle frazioni» mormora con tono affranto Alba che sente le gambe pesanti. Camminare per molti chilometri non l’ha mai fatto in precedenza e adesso le presenta il conto.

Sulla loro destra scorgono dei ruderi, mentre sulla sinistra ascoltano il ruggito delle acque del torrente. Si fermano sotto un albero dalla chioma imponente che li ripara dal sole. Hanno il viso accaldato per i raggi solari e la fatica di camminare. Anche se usano la protezione costruita da Arturo i loro occhi lacrimano. Nei giorni scorsi il bosco e le nuvole hanno costruito un valido schermo protettivo ma adesso non più.

Dopo una breve sosta per mangiare qualcosa e riposare riprendono la marcia. Si devono affrettare a trovare un riparo prima che il sole sparisca dietro le montagne.

«Ci siamo!» annuncia Matteo indicando col braccio destro delle torri che svettano sopra il bosco. Sulla strada trovano dei contorti e arrugginiti segnali. Si leggono a malapena qualche lettera: ‘am’,’g’, ‘s’, ‘a’, ‘b’, ‘o’, ‘p’.

Affrettano il passo e possono osservare ruderi in alto e di fronte. Una desolazione. I ragazzi ricordano di aver visionato dei video di Arabba prima di partire ma adesso non c’è nulla che sia rimasto in piedi o che assomigli a quanto visto. Sulla destra ci sono tracce di frane che sono arrivate in paese. Sulla sinistra il bosco tenta di ricucire le ferite delle piste da sci. Il torrente si è mangiato una bella fetta della strada che lo costeggia.

Si sistemano in un qualcosa che un tempo era un giardino.

«Stanotte batteremo i denti per il freddo» afferma Alba, perché già adesso sente dei brividi.

«Ci copriremo con il telo» suggerisce Matteo, mentre sistema la postazione. «Cucciolo starà in mezzo».

La ragazza osserva il lupetto: è pieno di fango seccato. Ride, mentre lo accarezza.

Si alza un vento fastidioso che scuote la tenda.

«Siamo in ritardo sulla tabella che abbiamo stilato prima di partire» precisa Alba con voce debole. «Forse dovremmo rinunciare a raggiungere Bozen. Abbiamo ragionato come se ci fosse sempre il sole».

Matteo annuisce pensieroso. Anche lui pensa che hanno perso tre giorni di cammino e sarà arduo recuperare. «Non abbiamo fatto i conti con le stagioni e la variabilità del tempo. Nella Città del Sole non piove, non nevica, c’è sempre bello».

Poi cala il silenzio rotto dall’ululare del vento.

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La bambina senza nome – parte decima

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la decima parte del racconto ‘La bambina senza nome’ che potete leggere anche qui.

Samuele maledì dentro di sé quel impiccione di Otello con le sue uscite fuori tempo.

«Lore, Esme è una tua amica che deve arrivare da Bologna?»

«Ma di ben so. Non vuoi rispondere!» esclamò ancora una volta Otello col suo vocione sgraziato alto più di tre ottave del normale. Aveva sovrastato tutte le altre voci presenti nella sala.

Samuele si appoggiò coi gomiti sul bancone e fissò l’amico. Aspettava una risposta che tardava a venire.

Lorenzo inspirò un bel po’ di aria prima di rispondere. Si diede dello sciocco. Nessuno poteva associare quel nome alla bambina che aveva portato lì, perché solo lui e Bea conoscevano che l’aveva battezzato così.

«Scusa Sam. Mi ero dimenticato che l’ho chiamata Esmeralda, come quella del gobbo di Parigi, perché non vuol dire come si chiama. Quindi la stanza è per lei».

Samuele stava per dire qualcosa, quando udì un perentorio «Cammina» che proveniva dall’esterno. Una voce che non riuscì attribuire a nessuna delle sue conoscenze.

Come telecomandati si volsero verso la porta che rimaneva chiusa. Però fuori si sentiva uno strascicare di piedi e delle imprecazioni colorite.

Samuele uscì sullo spiazzo anteriore ma non vide o ascoltò nulla. Solo lo zirlo, il verso del tordo nascosto tra il fogliame della quercia, che durante la stagione estiva offriva un po’ d’ombra alle macchine parcheggiate. In quel momento c’era solo l’Audi A3 di Lorenzo. Sul prato alla sua sinistra che aveva necessità di essere falciato non c’era nulla. Nemmeno il solito merlo impertinente che veniva a elemosinare delle briciole. Sotto il gazebo, dove nelle giornate calde d’estate sedevano i clienti della trattoria, lui cercava l’origine dei rumori percepiti.

Poi girò intorno all’edificio fino all’ingresso del bed and breakfast, al momento deserto, seguendo la striscia che consentiva alle macchine, la sua e di Beatrix, di entrare e uscire dalla rimessa. Nulla. Allungò lo sguardo fino al bassocomodo, piuttosto malmesso, senza vedere nessuna persona. A quella vista Samuele ricordò il motivo per cui aveva chiamato Lorenzo. Dovevano valutare se ristrutturarlo oppure demolirlo per costruirne un altro con il forno a legna. In entrambi i casi l’amico doveva fare disegni e calcoli per il progetto da consegnare all’ufficio tecnico del comune. Anche lui sarebbe stato capace di produrre quanto serviva ma non si era mai iscritto all’albo, al contrario di Lorenzo. Per lui era vitale, perché era la sua professione. «Non appena rientro gliene parlo» mormorò a filo di labbra proseguendo verso l’ultimo lato dell’edificio dove c’era il suo ingresso privato e quello del ricevimento merci.

Nulla.

Deluso e inquieto, perché avvertiva che qualcosa di strano si stava verificando o tra poco sarebbe avvenuto, si avviò per rientrare nella sala. Un nuovo segnale lo colse.

Un brivido di freddo scese lungo la schiena. “Non è freddo ma qualcosa che non so governare”.

L’aria era immobile, neppure un refolo di vento. Nessun uccello cantava o volava nonostante la mangiatoia fosse ricca di leccornie per loro. “Di solito c’è movimento! Oggi tutto sembra fermo. Quella cinna non ha portato fortuna alla trattoria”. Riprese a camminare lentamente e col capo che guardava in basso. Si fermò ancora un istante fuori dalla porta della trattoria come se sperasse di trovare la soluzione a tutti i suoi malesseri. Rimase di stucco perché anche il brusio dei clienti era sparito.

«No. C’è una malia cattiva nell’aria» borbottò spingendo con decisione il battente della trattoria.

Tutti guardavano verso la porta su cui era scritto ‘privato’ con la mano che diceva ‘alt’ ai non autorizzati.

«Ecco il motivo del silenzio!» affermò con voce per nulla dolce.

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Giovedì Laura…

Un caso per tre

Corrado aveva trovato su un giornale enigmistico due brevi righe.

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”.

Il giornaletto proponeva una sfida ai suoi lettori. Dovevano proseguire scrivendo un mini racconto di quattrocento parole. I migliori tre a insindacabile giudizio della redazione sarebbero stati pubblicati col prossimo numero di febbraio.

Corrado che aveva velleità di scrittore accettò la sfida ma… c’è sempre un ma o un forse che si mette di traverso. Ma lui cominciò a scrivere ignorando tutti gli avvertimenti che la sua mente gli suggeriva.

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …’. L’ispirazione si seccò a Corrado.

Fissò il foglio bianco con quelle due righe. Depose l’hastil dorata. L’ostinazione di Corrado per la scrittura manuale era nota a tutti, perché odiava il computer e amava il piacere di scrivere le sue storie con la penna stilografica, suscitando i risolini di scherno degli amici. Però lui continuava fare così.

Rimase con l’occhio fermo a quei puntini di sospensione. La mente gli diceva che era inutile proseguire ma la mano avrebbe voluto mettere nero su bianco, anzi color seppia sul foglio avorio. Era l’eterno duello tra la ragione e le velleità dello scrivere. Si grattò con vigore la guancia pelosa. Si girò e vide alle sue spalle la fila ordinata di quaderni ad anelli di vari colori. Rossi per i romanzi, blu per i racconti e gialli per le poesie. Il rosso era predominante, gli altri facevano da corona.

Sorrise e accartocciò il foglio che finì con lancio perfetto nel cestino, già pieno fino all’orlo. Ne prese uno vergine dalla pila sulla scrivania e cominciò a scrivere.

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …’

Ma nulla. La mente si ostinava a chiudersi su se stessa. Non ne voleva sapere di proseguire. Questo incipit l’aveva colpito quando l’aveva letto sul giornaletto che ammiccava insolente tra la pila di riviste sulla sua scrivania. Tuttavia era arenato su quelle due righe. “Lo lascio sedimentare?” Strinse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia. Gli sembrò una buona idea. Messo il cappuccio alla penna e deposta con delicatezza sul foglio appena scarabocchiato, si alzò per andare alla finestra. “Sedimenta, sedimenta” pensò, ammirando la campagna, che stranamente era di un verde un po’ ingiallito a dire il vero, proprio a causa del caldo che da settimane gravava sulla pianura. Una cappa di calore che seccava tutto comprese le sue idee.

«Ma Laura chi è?» Corrado si specchiò nel vetro chiedendosi se lui avesse una Laura.

«No. Nessuna Laura in vista. Quindi giovedì gnocchi e per di più da solo. Niente in ginocchio da te» commentò Corrado, che si girò di scatto, tornando alla sua postazione.

‘… le dirò. -Mi dispiace ma io non ti amo.

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Omaggio a maggio. Tautogramma in M

Per il consueto gioco del lunedì Elettasenso propone un tautogramma in M.

Ecco il mio

Mille miglia mancano al milione, managgia. Marciano una moltitudine di moscerini, muovendosi a macchia. La macchina morde la mulattiera. Le montagne maestose mettono in mostra minuscoli microcosmi.

La morte miete senza misericordia nel mondo. Un macello!

La madama magari mima Marianna e in malafede mescola i modelli.

Il maestrale minaccia, maledizione!

Il mostro mette in mostra i muscoli.

Minchia!

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Natale con amore di Elena Andreotti

Natale con amore: Novella (Rinascere Vol. 2) di [Elena Andreotti]

Natale con amore di Elena Andreotti – Non solo campagna

Premetto che non sono un grosso estimatore dei romanzi cosiddetti rosa. Perché poi li classificano così non saprei. Comunque diciamo quei romanzi dove sentimenti e passioni sono il filo conduttore della storia.

Ho letto Natale con amore e sono rimasto piacevolmente sorpreso per il garbo con cui sono stati raccontati i sentimenti di Alexandra, una giovane donna che fuggita da un mondo ristretto di una sperduta cittadina dell’Alaska ritorna qui dopo dieci anni.

È come se quel lasso di tempo non sia mai trascorso. Ritrova quella passione che credeva d’aver domato e si interroga sui propri sentimenti fino a trovare la dimensione giusta. Per chi fosse curioso di sapere come finisce suggerisco loro di acquistare l’ebook o il cartaceo.

Elena tratteggia in modo mirabile i vari personaggi con le loro passioni, sensazioni e sentimenti. Tutto ruota intorno alla crisi di Alexandra che scavando dentro se stessa sa a chi donare il proprio cuore.

La scrittura agile accompagna il lettore pagina dopo pagina fino alla fine. Una lettura piacevole che prende la curiosità e sospinge a leggere la storia.

A chi piace questo genere di storie è consigliatissimo ma anche a chi, come me, è un po’ refrattario e predilige altro.

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Gioco del lunedì – un haiku per divertirsi

Oggi è lunedì 8 e Eletta Senso ha proposto il consueto gioco.

Ecco che cosa ho partorito.

La prima era l’esercizio di allenamento

Vi è una certa inclinazione di luce,
i pomeriggi d’inverno —
che opprime, come il peso
di musiche di cattedrale —

Una ferita celeste, ci apporta —
non ne troviamo cicatrice,
ma un’interna differenza,
dove stanno i significati —

Nessuno può insegnarla — altrui —
è il sigillo della disperazione —
un’imperiale afflizione
inviataci dall’aria —

Quando viene, il paesaggio ascolta —
le ombre — trattengono il fiato —
quando va, è come la distanza
nell’aspetto della morte —

Una ferita
troviamo cicatrice,
aspetto morte

Ecco quello con mie poesie

Doriana 1

Tu sei selvaggia e spinosa,
tu sei indomita e fiera:
non t’appassire ora,
perché bella è per la vita ora.
Fiore di serra incolto,
fiore di campo disadorno
rifiorisci alla dolce aria
della fresca e odoroso Primavera.

Bella la vita,
non t’appassire ora,
fiore di campo

Doriana 2
Quando tu graffi,
quando tu fai le fusa,
sei come una gatta,
che incanta.
Quando tieni il broncio,
quando sorridi,
sei come il sole
che gioca lassù fra le nubi.

Quando tu graffi,
Quando tieni il broncio,
sei il sole

 

 

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Una bella sorpresa…

Sara del blog leggimi e scrivimi ha pubblicato la recensione del libro scritto a quattro mani con Elena. La ringrazio per le sue lusinghiere parole. Veramente un bellissimo regalo per Pasqua.

Un giallo a quattro mani ^_^

Lo ammetto, sono rimasta piacevolmente conquistata dallo stile fluido, dal non rendermi minimamente conto del “cambio di mano” nello scrivere, davvero una cosa sorprendente secondo me ^_^ Ero un po’ curiosa di sapere come sarebbero riusciti a fare incontrare i loro personaggi, Debora e Walter che ormai conosco bene avendo letto più libri che li vedono protagonisti, ma soprattutto, ero impaziente di sapere come avrebbero potuto farli interagire essendo entrambi due personaggi davvero originali….

il resto lo potete leggere qui.

 

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Cosa penso di questo libro

I migliori anni

Citazione da “I migliori anni” di Cinzia Giorgio.

Comprendeva tuttavia i sentimenti di sua cognata: essere amati era meraviglioso, ma non riuscire a ricambiare era una tragedia, che per Irene si era perpetuata nei mesi e negli anni, e che a lungo andare l’aveva logorata.

Di Cinzia Giorgio avevo letto in precedenza ‘La collezionista di libri proibiti’, ‘La piccola libreria di Venezia’ e il romanzo storico ‘Maria Maddalena’.

Niente di straordinario ma libri molto godibili. Fra i loro pregi c’era uno stile impeccabile e testi privi di errori o refusi  – evento insolito per la casa editrice Newton Compton famosa per le castronerie che lascia nei libri che pubblica.

Fiducioso ho comprato l’ultimo romanzo di Cinzia Giorgio e sono rimasto deluso non da come scrive ma dalla storia. Senza spoilerare il testo in pratica tratta di due storie con la stessa protagonista, Matilde, che al presente narra le sue angosce nel diventare nonna e scorre nel passato le sue vicende dal 1943 al 1948. Se i flashback hanno una forza espressiva che tiene avvinto il lettore, l’altra parte è di una noia senza fine, perché ripete con monotonia la sua ansia di diventare nonna.

Secondo me sarebbe stato sufficiente un paio di capitoli iniziali – massimo due – dove narra i suoi deliri esistenziale e un capitolo finale dove l’incontro con un vecchio amore la risveglia dal torpore. In mezzo senza interruzioni il lungo flashback che narra le sue vicende durante la guerra e nell’immediato dopoguerra.

Comunque io sono io, lei è l’autrice. Rimane il rammarico di una storia ben scritta a singhiozzo, interrotta qua e là da quel rimuginare e rimasticare la medesima cosa.

Quello che non ho capito se si tratta di un romanzo autobiografico che riguarda la nonna della scrittrice. Però non cambia molto il mio giudizio complessivo.

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