Compagnia per l’estate – Il disegno

Oggi è l’ultimo giorno d’estate e termina qui l’appuntamento del martedì ma visto che sono sadico vi terrò compagnia  – si fa per dire – per tutto l’autunno. Intanto godetevi questo.

Un caso per tre

Ecco il disegno da cui ricavare la storia di questo martedì:

Luigi non capiva perché si fosse lasciato convincere da Clara di presenziare al vernissage della Galleria Due Punti Esclamativi. Si inaugurava la mostra di un artista dal nome curioso, che lui non aveva voluto imparare.

L’arte moderna non gli piaceva. A fatica ammetteva che i quadri del passato fossero dei capolavori. Figuriamoci quelli moderni che non comprendeva, ammesso che ci fosse stato qualcosa da immaginare nell’osservazione di quadri, sculture e disegni. Per lui erano sgorbi colorati che qualcuno spacciava per arte come il disegno, nemmeno a colori, che stava osservando.

«Sono capace anch’io di fare questo» borbottò Luigi, attirando gli sguardi di rimprovero di chi stava alle sue spalle.

Loro parevano in estasi nell’ammirare questo disegno al contrario di Luigi.

Clara lo tirò per una manica per allontanarlo da quel gruppo di persone che continuavano a seguirlo con gli occhi come per dire ‘ma che ci fai qui incompetente’.

Lui diede una scrollata di spalle, ignorando quei rimbrotti silenziosi che scivolavano via senza lasciare traccia.

«Gigi» sussurrò Clara dopo averlo trascinato in un angolo lontano da tutti. «Non farmi fare una figura di merda. Tu non sai…».

Luigi la guardò di traverso. “Figura di merda? Almeno fosse d’artista!” pensò, interrompendola. «Quella sarebbe un’opera d’arte?»

Alzò le spalle per mostrare tutta la sua indifferenza e sbuffò indispettito, alzando un poco la voce. «Fatico a riconoscere che Botticelli abbia dipinto dei capolavori. Figuriamoci se credo a quel fallito che ha disegnato un albero spoglio e un puntino rosso».

Clara arrossì a quelle parole. L’ignoranza del compagno sull’argomento era abissale, pentendosi di aver insistito che l’accompagnasse.

«Quel disegno a pastello vale un milione di euro!» esclamò Clara, abbassando le braccia lungo il corpo in segno di resa. «È una prova d’autore di Piccadali, il più grande artista moderno. Le sue opere sono contese a pacchi di euro da gallerie e collezionisti!»

Lei aveva provato in tutte le maniere a trascinarlo per musei e gallerie d’arte ma adesso intuiva che era irrecuperabile.

Luigi esplose in una risata, attirando di nuovo gli sguardi malevoli dei presenti. Scuoté il capo in segno di sconcerto. “La gente è scema” pensò, avviandosi verso l’uscita. “Molte persone muoiono di fame e qualcuno spreca milioni per qualcosa che non suscita nessuna emozione”.

Arrivato all’ingresso fece un cenno di saluto a Clara.

«Ci vediamo a casa».

1

11 Scrivi una storia

Come esercitazione di Scrivere Creativo è dato questo incipit:

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …

Un giallo Puzzone

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”. L’ispirazione si seccò a Marcello.

Fissò il foglio bianco con solo quelle due righe. Depose l’hastil d’oro e rimase con l’occhio bloccato sui quei puntini di sospensione.

Marcello odiava il computer e scriveva le sue storie con la penna stilografica, suscitando i risolini ironici degli amici. Però lui si ostinava a usarla mentre tastiera e mouse restavano inoperosi. “A cosa serve la videoscrittura se poi non mando nulla a una casa editrice?” Si grattò con vigore la guancia pelosa come per esorcizzare il blocco dello scrittore. Alle sue spalle sulla libreria stava la fila ordinata di quaderni ad anelli di vari colori. Rosso per i romanzi, blu per i racconti e giallo per le poesie. Il rosso era predominante, gli altri facevano da corona.

Accartocciò il foglio che finì con lancio perfetto nel cestino, già pieno fino all’orlo. Ne prese uno vergine dalla pila sulla scrivania e ricominciò a scrivere con la sua bella grafia rotonda.

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”

Ma nulla. La mente si ostinava a chiudersi su se stessa. Non ne voleva sapere di proseguire. L’incipit l’aveva colpito ma tutto si era arenato a lì. “Lo lascio sedimentare?” Intrecciò le mani dietro la nuca e strinse gli occhi. Gli sembrò una buona idea. Messo il cappuccio alla penna che depose con delicatezza sul foglio appena scarabocchiato, andò alla finestra. “Sedimenta, sedimenta” e immaginò che la pila di fogli riempiti con i suoi pensieri si sarebbe animata in una danza degna di quella dei moscerini. Davanti ai suoi occhi si parò uno spettacolo verde: era la campagna che nonostante la lunga siccità era un verde che tendeva al giallo chiaro.

«Ma Laura chi è?»

Marcello si specchiò nel vetro chiedendosi se lui aveva una Laura.

«No. Nessuna Laura in vista. Quindi giovedì gnocchi e per di più da solo. Niente in ginocchio da te» commentò Marcello, che si girò di scatto, tornando alla sua postazione.

“… le dirò. -Mi dispiace ma io non ti amo.”

 

1

10-scrivi una storia

Tra gli esercizi di scrittura creativa ho trovato questo. Se c’è qualche ardimentoso che si vuol cimentare lo aggiungo in coda. Ancora due martedì poi si passa all’autunno e le foglie cadono.

Inventarsi una storia tra le 10 e le 200 parole avendo a disposizione:

– Un disoccupato apatico

– Un fumettista sordo

– Un cuscino particolarmente soffice

e

– La foto seguente

Sofia amava esibirsi nelle feste paesane. Pochi spiccioli, qualche applauso ma molti fischi. Non aveva una voce eccelsa ma il canto era la sua passione.

Afferrava il microfono come se fosse il suo amante. Lo strattonava, si avvinghiava flessuosa. Insomma un corpo unico.

Anche quest’anno il parroco l’aveva invitata per San Lorenzo, alla chiusura della sagra di Bagonzi. Solito repertorio che ripeteva monotono. Qualche coppia ballava nella pista ma la maggioranza sfidava le zanzare restando seduta ai margini senza ascoltare quella lagna.

Carlo stava a bordo pista annoiato, perché i compagni di merenda avevano disertato il bar. Finito in mobilità tra un mese sarebbe stato disoccupato. Sembrava che questo fosse un dettaglio irrilevante. Si alzava alle dieci per andare al bar, passava il pomeriggio a giocare a carte con tre scansafatiche.

Ogni sagra che si rispetti ha il suo vignettista ma Ugo era particolare. Sordo come una campana disegnava senza ascoltare i suggerimenti del committente, seduto in posa su un cuscino che sembrava un’anguilla. Era talmente morbido che scivolava per terra a ogni movimento di chi ci stava sopra.

A mezzanotte il botto mise fine alle canzoni di Sofia dando inizio allo spettacolo pirotecnico.

La sagra era finita.

3

Compagnia per l’estate – 9 – Scrivi la tua storia

Ieri è ripreso il gioco linguistico di Eletta Senso. Oggi continuo a tenervi compagnia con queste mini creazione.

L’incipit da cui partire è

“Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …”.

Partendo da questa breve frase si deve costruire un mini racconto usando meno di 300 parole.

L’ultima avventura di Puzzone

Ecco il risultato

«Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …».

Sandro scuote la testa. Ci deve riflettere. “Ho ancora diverse ore per decidere” e se ne va senza rispondere.

Arnaldo non è convinto della decisione del suo superiore ma abbozza un sorriso di circostanza. Sa che poi dovrà correre come un forsennato per essere pronto alle sedici e trenta. Ricapitola cosa serve ma abbandona subito l’impresa perché tenere a mente tutti i dettagli è troppo per le sue capacità.

Si siede. Prende un blocco di carta riciclata e un lapis copiativo a cui fa una bella punta. Si gratta la testa perché non sa da dove iniziare.

Anna, la sua fida assistente, lo osserva perché appare chiaro che Arnaldo è in difficoltà. “Per cosa?” Eppure oggi non ci sono criticità come ieri, quando hanno dovuto preparare la sala B per un’urgenza. Sorride ma il giorno prima non ne ha avuto il tempo. Si avvicina con passo felpato. «Problemi?»

Arnaldo sobbalza. Non l’aveva sentita arrivare e straccia il foglio dal blocco. «No!» Ma poi ci ripensa. «Sì!»

Anna lo accarezza sul collo. «Posso rendermi utile?»

«Sì e no. Non riesco a fare la lista di quello che serve».

Lei aggrotta la fronte. Non capisce di quale lista si tratta. Guarda il cestino: è pieno di carta riciclata appallottolata.

«Oggi arriva Giovanni alle sedici e trenta e…».

«…E non sai come fare».

Arnaldo annuisce con un movimento della testa dall’alto verso il basso.

Anna scoppia a ridere e poi ridiventa seria. «Giovanni? Un bravo cucciolone».

1

Compagnia per l’estate – 8 – disegna la tua storia

Per tenervi compagnia questo martedì ho scovato un disegno approssimativo e attorno a questo ho costruito un mini racconto.

Ecco il racconto.

Era la festa della Vulandra al Parco Urbano di Ferrara. Tutti sul prato a naso in su per vedere quelle forme variopinte che il vento porta in alto.

Simone passando di fianco all’area in macchina con suo padre le vide volare nel cielo che si muovevano sinuose e affascinanti. Rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto un aquilone, ne ignorava l’esistenza.

Simone era un bambino sveglio di otto anni che aveva sempre vissuto in città. Il suo mondo era chiuso tra quattro mura: quelle del suo appartamento. La televisione, i videogiochi, il computer erano i suoi compagni nelle ore di relax. La corte del condominio era off limits per i bambini, sempre occupato dalle auto dei condomini. Gli unici spazi verdi che conosceva erano i parchi cittadini e la minuscola area nel cortile della sua scuola. Alla domenica i genitori lo portavano dai nonni in campagna ma questa non era più quella di una volta col pollaio e le stalle. Adesso era tutto pulito e ordinato. Il piccolo orto dietro la casa, il giuggiolo e il melograno nel giardino di fronte e il prato su cui correre senza pericoli. Però gli animali di un tempo, il pollo, il maiale, la mucca, non si vedevano più. Li aveva osservati sul libro scolastico. Troppo poco per soddisfare la sua curiosità.

L’auto di suo padre era ferma al semaforo, che dava il via libera a una folla festante di bambini e adulti diretti nel Parco Urbano. Simone sembrava paralizzato dalla sorpresa di vedere nel cielo azzurro sostenuto da un vento gagliardo tanti oggetti colorati.

«Papà» disse girando il collo per osservarli, mentre la macchina ripartiva col verde. «Perché non ci andiamo anche noi domani? Siamo in festa».

Lorenzo sorrise. Ricordi di quando era bambino e preparava l’aquilone con stecche di bambù, carta colorata, colla di farina prodotta in casa e un rocchetto di spago. Aveva la forma di un rombo con una lunga coda colorata. Poi via di corsa nel prato delle sottomura cittadine per farlo innalzare nel cielo. “Altri tempi” sospirò il padre. “La fantasia non mancava per crearci i giochi”.

«Ma certo, Simone» e gli scompigliò i capelli mentre l’auto correva verso il centro città. «Domani, se non piove, ci andiamo».

A fine aprile era ormai un appuntamento fisso per Ferrara il festival della Vulandra dove si potevano ammirare piccoli capolavori d’ingegneria aerea accoppiata alla fantasia dei progettisti. Però Simone non ci era mai stato né Lorenzo gli aveva proposto di andarci.

Era un’occasione ghiotta per entrambi. Un pomeriggio all’aria aperta sui prati del Parco Urbano a due passi dal centro storico. Lorenzo aveva accompagnato nel settembre precedente il figlio ad ammirare la festa delle mongolfiere ma quello della Vulandra non era un appuntamento ancora provato.

Era il giorno di San Giorgio, il patrono della città, quando padre e figlio sulle loro biciclette raggiunsero il Parco Urbano, brulicante di bambini e di molti adulti, che erano tornati indietro nel tempo. Il cielo era colorato da mille forme, guidate dalle mani esperte dei loro proprietari. Un tripudio di gioia e spensieratezza.

In un angolo del prato un uomo circondato da bambini ma non solo spiegava come costruire un aquilone. Simone ascoltava senza dire una parola, senza perderne nemmeno una sillaba dell’istruttore. Doveva immagazzinarle tutte, perché voleva costruirsi un aquilone.

«Papà, ne facciamo uno anche noi?» chiese Simone, mentre andavano a recuperare le loro biciclette.

«Certamente» affermò Lorenzo, tenendolo per mano. «Sabato passiamo dal negozio di hobbystica in Corso Giovecca a comprare quanto serve».

Il padre era tornato bambino, mentre il figlio si riappropriava dei divertimenti di un tempo.

 

1

Compagnia per l’estate – 7 – Prosegui la storia

Curiosando qua e là ho trovato questo esercizio dove dobbiamo liberare la nostra fantasia.

In pratica fornito un incipit dobbiamo proseguire la storia e creare un mini racconto. In effetti si dovrebbe produrre qualcosa di più: un finale profetico. In quello che ho sviluppato manca questo finale profetico. Pazienza.

Ecco lo spunto iniziale.

Saranno tre donne. Apriranno la seconda porta del tempio e lo saccheggeranno. Fuggiranno come volpi e soltanto un bambino vedrà il loro viso.

La kitsune

Di seguito il mio racconto.

Saranno tre donne. Apriranno la seconda porta del tempio e lo saccheggeranno. Fuggiranno come volpi e soltanto un bambino vedrà il loro viso.

Giacomo, un bambino sveglio e mingherlino, viveva con la madre single in una città lontana nel tempo e dal luogo della visione. Stava assistendo a qualcosa di speciale.

Le tre donne indossavano uno strano vestito ricco di colori, che lui non aveva mai visto. Avevano età e statura diverse ma erano svelte come gatti. Giacomo le osservò come con destrezza avevano aperto la seconda porta del tempio, un portale di legno massiccio intarsiato d’oro. Quell’immagine lo affascinò, perché non ricordava di avere mai visto nulla di simile, nemmeno sul libro di storia.

“Ma dove sono?” Era incapace di staccare la vista da quella visione.

La più vecchia delle tre si intrufolò nella piccola apertura del portone, seguita dalle altre due. Percossero un corridoio buio rischiarato da torce morenti.

«Svelte» incitò la donna, di cui si intravedeva solo il viso dal colorito olivastro. «Non possiamo perdere tempo. Il gran maestro sa che c’è stata un’intrusione e sta accorrendo coi soldati».

A passo svelto raggiunsero il centro della sala, dove su un piedistallo stava una coppa ricolma d’oro e d’argento. Il tesoro del tempio di Visnù. Le due giovani l’afferrano e la vuotarono in un enorme bisaccia che la più anziana aveva estratto dal il sari.

«Veloci. Andiamocene» intimò la donna con la sacca caricata sulla spalla. Era curva sotto il suo peso ma camminava spedita verso il portone. Devono varcarlo prima che si richiuda, altrimenti rimangono intrappolate nel tempio.

Giacomo a bocca aperta e con gli occhi sgranati per la sorpresa e la curiosità ascoltava e osservava. Con le mani le incitava a fuggire, perché la porta senza rumore aveva iniziato a chiudersi.

La più anziana si fermò e spinse fuori le altre due.

«Forza» gridò Giacomo, pensando di aiutarla. «Scappa o rimarrai chiusa dentro».

Con un balzo la donna uscì dalla fessura ma il sari rimase impigliato nel battente chiuso. Provò a tirarlo, a strapparlo ma pareva che fosse impossibile sia a romperlo che a estrarlo. Con mossa rapida si girò più volte abbandonando l’indumento per terra e rimanendo con una sottogonna e una camicia bianca.

Giacomo applaudì quando la donna a lunghe falcate raggiunse le altre due, che non si erano accorte di nulla.

«Correte. Correte» le incitò Giacomo. Aveva visto un uomo dalla barba bianca e dal turbante azzurro, avvolto in una tunica bianca che avanzava seguito dai soldati.

Le tre donne con la pesante bisaccia che impediva di correre più rapidamente si avviarono verso un bosco di piante basse e quasi secche, sollevando polvere e sassi al loro passaggio.

Giacomo fremeva, perché avrebbe voluto aiutarle a fuggire, a nascondersi. In quel posto sarebbe stato difficile occultarsi e sarebbero state facilmente individuate e catturate.

“Perché parteggio per loro?” si chiese in un rigurgito di onestà. “Hanno profanato un tempio e sono delle ladre”.

Ricordò gli insegnamenti della madre. Non doveva nominare il nome di Dio invano, né comportarsi in modo sconveniente nei luoghi di culto. Però quello su cui batteva di più era che non doveva rubare. Dunque lui parteggiava per chi aveva infranto le regole. Però secondo la sua visone erano le più deboli e si doveva aiutarle.

La corsa delle tre donne nel misero boschetto divenne sempre più difficoltosa, perché faticavano a respirare per la polvere e il caldo. Il brahmano e i soldati erano sempre più vicini e urlavano di fermarsi.

«Correte più forte. C’è una grotta a cento metri» gridò Giacomo che si torceva le mani per l’ansia. «Ancora un piccolo sforzo».

La più giovane del gruppo ruzzolò a terra esausta e ansante, scuotendo la testa, perché non aveva intenzione di alzarsi.

«Madre, Ajala è caduta e non vuole alzarsi» disse la ragazza fermandosi accanto alla sorella.

La donna valutò la distanza che le separava dalla grotta, il punto di salvezza, e quanto erano vicini i soldati. Fece due balzi e gettò la sacca nell’imboccatura e ritornò sui suoi passi.

«Giacomo, Giacomo».

La voce di sua madre lo stava svegliando.

«Giacomo, stai facendo il tuo solito brutto sogno?» Stava vicino al letto.

«Uffa, mamma. Ho perso il finale».

0

Compagnia per l’estate – 6 – il sorriso

Su newwhitebear è stato pubblicato il sesto esercizio di scrivere creativo.

Ecco le regole.

Dovrete creare un racconto, lungo 1000 parole,

“Se alle tre del mattino ti svegli e per la dolcezza del sogno ti viene da sorridere… non farlo” è la voce suadente di Aldo, che l’ammonisce.

Giada si sveglia di botto e si guarda intorno. Buio e silenzio ma di Aldo, il suo compagno neppure l’ombra. Il suo posto nel grande letto matrimoniale è freddo. È sparito da tre giorni senza lasciare tracce. Si mette dritta e scruta la radiosveglia. Sono le tre, mugugna infastidita. Il sogno merita non un sorriso ma un milione di sorrisi e non posso farli. Sembra incredibile ma da tre giorni non si può sorridere, nemmeno un accenno. Donaldo Briscola, il presidente di Sufferland, stanco di vedere visi sorridenti, ha deciso che è abolito per decreto. Chi è trovato a sorridere prenderà dieci nerbate sulla schiena. Per i recidivi l’aumento sarà in proporzione al numero di mancanze.

Giada ha pensato alla solita battuta del presidente arancione su twitter, perché, quando cinguetta, non si capisce una mazza. Questa volte è stato chiaro: dieci nerbate sulla schiena nuda sulla pubblica piazza. Il primo giorno hanno beccato una ragazza dalla pelle scura, che ha il sorriso incollato sulle labbra, rammenta Giada, mentre sveglia fa il viso mesto di circostanza. “Non si sa mai” ammette mogia con l’occhio spento e la bocca storta. Ha visto la scena sul televisore. Roba da mettersi a piangere, altro che ridere. Le immagini andavano in loop su tutti i canali TV. L’avevano agguantata, denudata dalla cintura in su e giù nerbate con perfido sadismo. Avevano il loro daffare nel usare il nerbo di bue ma il sorriso restava beffardo mentre gli occhi erano pieni di lacrime.

Aldo è rientrato furibondo. Da lui ha saputo che è intervenuto il capo della polizia per spiegare a quegli energumeni che l’avrebbero potuto anche ucciderla ma il sorriso sarebbe rimasto in eterno. Madre natura l’aveva generata sempre sorridente. Al termine del racconto ha fatto un sacco di telefonate tutto arrabbiato ed è sparito. Aldo è una testa calda e per questo Giada è in apprensione per lui.

Il pensiero di non poter più sorridere l’angoscia. “Ma in privato?” Qui casca l’asino. Non è chiaro se sarà possibile ma un codicillo scritto con carattere quattro, da leggere con lente d’ingrandimento, parrebbe vietarlo. O meglio è istituito la Gran croce della spia, da assegnare a chi fa più soffiate documentate da immagini. Dunque nemmeno tra le mura di casa si può stare tranquilli. Poi c’è il rischio di una webcam azionata da qualche software spia, non più malevole ma benevole nella nuova accezione del termine. La Sicurezza Nazionale li inietta in tutti i computer. Lo faceva prima in modo illegale ma subdolo. Lo fa adesso alla luce del sole. Sono vietati per legge l’uso di antivirus o sistemi operativi refrattari a questi software. Giada tiene il PC spento. Non usa più lo smartphone ma un vecchio telefono non connesso che fa solo telefonate e manda o riceve SMS. Niente più Whatsapp, né i social, né consultare le mail. Niente più navigazione.

Però ritorna a pensare ad Aldo e si domanda dove sia finito. “È sempre stato una testa calda” ammette sconsolata. “Ma tre giorni fa ha superato il limite di guardia. Lui con altri esagitati ha manifestato davanti alla Casa Arancione con striscioni e megafoni”. La ragazza teme che sia stato messo in prigione. Forse non durante la contestazione, perché la polizia a cavallo ha caricato i manifestanti che si sono dispersi nel parco e nelle vie adiacenti. “Non ha chiamato, né mi ha mandato un messaggio. Dissolto nel nulla”. Giada fa il viso triste. Di dormire non ci pensa più. Eppure le è apparso nel sogno.

Aldo per sfuggire alla cattura si è nascosto insieme a due amici dentro un ufficio di onoranze funebri.

“Qui non ci vengono a pescare” ha sostenuto, nascondendosi dentro una bara.

“Ma non possiamo restare in eterno tra urne cinerarie e casse da morto” contesta Giacomo, che preferisce un’atmosfera più gaia.

“Cosa dici, Aldo?” interviene Giovanni col viso da funerale.

Aldo si grata la testa pelata, guarda i due amici con cui ha condiviso tante risate ma resta muto.

“Le pompe funebri sono aperte ventiquattro ore per trecento sessanta cinque giorni l’anno” borbotta Aldo. “E poi non fanno ridere”.

Si mette a dormire in una cassa foderata di raso viola con un cuscino di velluto rosso.

Donaldo è furioso. Si muove secondo un’ellisse nel suo studio presidenziale. Il suo consigliere Bannone, il Rasputin della situazione, non osa avvicinarsi. Ci ha provato e porta i segni della sua dentiera sul braccio. Per fortuna aveva una giacca pesante, che ha impedito che affondasse i denti nella carne.

Il presidente si domanda dove ha sbagliato. ‘Tre giorni fa tutti erano felici e sorridenti” borbotta incavolato come una biscia. “Adesso sembrano spot pubblicitari della mestizia al cubo. Manco uno sorride! Solo quella minorata del primo giorno”. Poi sono arrivati i contestatori, pensa con il viso paonazzo dalla rabbia, con megafoni e striscioni. Devo cacciare il capo della polizia. Un inetto.

Si ferma davanti al computer e twitta “Da questo momento Rossello, il comandante della polizia di Surfunia, non è più il capo”.

Ha appena battuto ‘Invia’ che sente del tramestio alle sue spalle. Diventa tutto buio, come se un cappuccio nero fosse stato calato sulla sua testa.

Giada apre il televisore, sperando di trovare qualcosa di soporifero. Strabuzza gli occhi. Legge ‘Edizione straordinaria” sullo schermo e vede il suo Aldo che trascina per i cappelli arancioni un omone che assomiglia in modo incredibile a Donaldo Briscola. L’annunciatore comincia a recitare la sua litania.

“Tre giovani audaci, Aldo, Giovanni e Giacomo, hanno catturato il gemello pazzo del nostro presidente, che sfruttando la completa somiglianza ne aveva preso il posto. Ronaldo Briscola era internato nella clinica psichiatrica ‘Dottor Stranamore’ ma era riuscito a fuggire con la complicità di un funzionario disonesto. Il vero Donaldo Briscola era finito imbavagliato in un cassa da morto delle onoranze funebri ‘Visi tristi’. Qui si erano rifugiati i tre ragazzi e l’avevano liberato. Tra bare e urne hanno messo a punto il piano per catturare il gemello pazzo. Una risata ci seppellirà” aveva concluso l’annunciatore ridendo a crepapelle.

in cui i sorrisi vengono vietati/cancellati/esiliati/dimenticati/scegliete voi.

Dovrete:

  1. Inventare il motivo per il quale non sarà possibile sorridere;
  2. Creare due personaggi principali;
  3. Un “antagonista”;
  4. Un colpo di scena finale.
  5. Iniziare il racconto con “Se alle tre del mattino ti svegli e per la dolcezza del sogno ti viene da sorridere… non farlo.”

ecco il mio racconto

0

Compagnia per l’estate – 5 – La gravità.

Per questo martedì propongo un esercizio dove create un racconto con protagonista la gravità che svanisce di colpo. Non ha importanza il luogo o l’estensione in cui non esiste più.

Raccontate dello stupore, dei primi momenti di sconvolgimento del/i protagonista/i. Mi piacerebbe conoscere come vi sareste organizzati in presenza di un evento del genere e le relative conseguenze.

Insomma, questo primo attacco è verso la gravità.

Vediamo come ve la cavate!

Sarebbe interessante se scrivendo il racconto lo faceste da due punti di vista differenti.

Ah! dimenticavo! Possibilmente non usate più di seicento parole.

Buon divertimento!

Eliana da sempre sostiene di essere in grado di sollevare gli oggetti con la forza del pensiero. Però nessuno ha mai assistito a questo prodigio.

«Nemmeno tu non mi vuoi credere» borbotta la ragazza con gli occhi chiusi, rivolgendosi al suo compagno.

Marco trattiene una risata, sa che l’avrebbe innervosita. Fa strane smorfie nel tentativo di apparire serio, finché quasi strozzandosi non propone una bella sfida.

«Ci scommetto che non sarai in grado di sollevare la sedia dove sono seduto».

Eliana lo guarda di sbieco. Si sente presa per i fondelli. Lei ha parlato di oggetti non di persone o mobili. Diventa rossa come un peperone maturo, gonfia le guance e fa uscire tutta l’aria dei polmoni come un uragano. Intreccia le dita della mano e sta per urlare tutto il suo malumore quando vede i piedi di Marco staccarsi da terra. La sedia è mezz’aria a due metri di altezza.

«Sei impazzita?» esclama un terrorizzato Marco, aggrappato con le mani al bordo della sedia. È sbiancato in viso e gli occhi si muovono frenetici a destra e sinistra. Le nocche biancastre mostrano tutto il suo terrore. Anziché scendere sfiora coi capelli il soffitto. Soffre di vertigini. Guarda in basso ma chiude subito gli occhi. Se torna la forza di gravità normale, mi sfracello sul pavimento. Ben che vada finisco in ortopedia. Questo pensiero vortica nella sua mente.

«Eureka!»

Eliana batte le mani in segno di gioia. Sembra una bambina che ha incontrato il suo migliore amico.

«Vedi, incorreggibile San Tommaso». La ragazza gonfia le guance per espirare l’aria immessa nei polmoni.

«Sì, ti credo» la implora Marco, che deve piegarsi in avanti, perché il soffitto preme sul suo capo.

Il suo cuore pare un metronomo impazzito. Bum, bum, bum! Si augura che l’atterraggio sia dole e le gambe della sedia reggano all’urto col pavimento. È terreo in volto. Le labbra serrate come a trattenere l’urlo di terrore che sente dentro di sé.

Eliana è presa da un senso di onnipotenza. Se riesco a sollevare Marco e una sedia, posso alzare qualsiasi cosa con la sola forza del pensiero. Sposta gli occhi verso destra e vede muovere Marco nella direzione del suo sguardo. Li rotea e la sedia compie la medesima evoluzione. Riesco ad annullare la forza di gravità, pensa battendo le mani, mentre il corpo di Marco beccheggia come una nave in preda alla tempesta.

Il ragazzo non sa più a che Santo votarsi per ritornare sul pavimento incolume. Li ha esauriti tutti e ricomincia da Pietro. Trema come una foglia al vento e teme di finire come questa. Volare lontano.

«Eli» balbetta incerto. «Fa la brava. Fammi scendere con dolcezza».

La finestra è aperta e l’appartamento è al sesto piano. Marco si accorge di essere terribilmente vicino al vuoto a causa delle evoluzioni che la ragazza si diverte a fare.

Eliana si sposta a sinistra, poi a destra. Salta e si accuccia. Si muove per la stanza frenetica in preda al delirio di onnipotenza, perché è convinta di poter dominare ogni cosa con la sola forza di volontà. Non ascolta le parole terrorizzate di Marco che infila la finestra e sparisce alla sua vista. Sente un urlo e un schianto. Poi il silenzio.

«Lasciami» esclama Eliana interdetta, sentendo la presa ferrea delle mani di Marco sul suo braccio. «Che ti prende?»

Lui sta ansimando e con la voce roca ripete in continuazione: «Fammi scendere».

Lei si mette dritta nel letto e lo guarda storto. «Dovresti bere meno alla sera».

0

Compagnia per l’estate – 4 – Guarda il disegno

Questo martedì metto a dura prova la vostra fantasia. Vedete il disegno sottostante? Ebbene provate a costruire un miniracconto usando solo 400 parole. Un bel passo in avanti rispetto alle 200 dei martedì precedenti.

Ecco quello che ho creato io.

Andrea si fermò davanti al disegno. Non gli suggeriva nulla.

«Ho pagato quindici euro per vedere dei disegni che un bambino fa meglio?» borbottò, accennando un passo in avanti per osservare il prossimo.

Alice sorrise. “Il mio compagno non capisce l’arte moderna”. Socchiuse gli occhi per coglierne l’essenza. Il tratto minimale traboccava una espressione felice. Una donna? No, una ragazza dai capelli lunghi che ride. Una come me, positiva e solare. Alice lasciò correre avanti Andrea che mugugnava indispettito. Per lui entrare in una galleria o vedere una mostra d’arte era una sofferenza. “Preferisce donare un litro di sangue piuttosto che frequentare questi posti, asettici, climatizzati e immersi nella penombra”.

Sorrise. Adorava visitare mostre e musei. Ci avrebbe mangiato e dormito dentro pur di non staccarsi da essi.

Se avesse avuto libertà di scelta, si sarebbe laureata in una accademia d’arte. I genitori l’avevano costretta a diplomarsi maestra e laurearsi in lettere moderne. «Un titolo di studio vale più di essere un’artista senza futuro» avevano sentenziato. Adesso si ritrovava precaria in una scuola media di un paesino sperduto nella campagna emiliana. Venti ragazzi brufolosi ai quali leggere non piaceva, studiare ancora meno. Fare baldoria, quella sì che garbava molto. E poi sfottere Luciano, l’unico che non perdeva una battuta di quello che diceva durante l’ora di lezione. Scosse il capo, pensando a tutti gli scherzi atroci con i quali lo vessavano.

«Alice» urlò Andrea, incurante degli sguardi di biasimo degli altri visitatori. Stava profanando la sacralità del silenzio. «Ti sei innamorata di quello sgorbio?»

La ragazza arrossì. Si avviò all’uscita ma ci ripensò e lo affiancò. “Ma chi se ne frega se a lui non piacciono”. «Esci pure» sussurrò con un filo di voce. «Io finisco di vedere l’esposizione».

Andrea la guardò storto, socchiuse gli occhi, serrò le labbra. Inspirò aria e contò fino a dieci per calibrare le parole. Di primo acchito gli era venuta una battuta cattiva. “Tu rimani. Io prendo la macchina e me ne torno a casa. Tu arrangiati”. Poi pensò che non sarebbe stato corretto. Avevano fatto più di cento chilometri per vedere ‘Disegni d’avanguardia. 100 anni di collezioni private’. Non riusciva a immaginare come avesse potuto ritornare.

«Ti aspetto nel bar di fronte alla mostra» mormorò conciliante. «Però non farmi aspettare fino a domattina».

Alice lo baciò e disse: «Grazie. Non ci metterò molto». Poi ritornò sui suoi passi ad ammirare gli altri disegni.

0

Compagnia per l’estate – 3 – Il telefono

Come terzo esercizio vi propongo un oggetto del desiderio o di odio: il telefono. Però ho complicato un po’ le cose: un uomo o una donna o come volete voi osservano questo oggetto di amore/odio. Ognuno dei due (duecento parole per ciascuno) crea un pensiero che ha per tema appunto il telefono.

foto personale

Ecco il mio

Punto di vista di Hugo

“Guarda bene” disse Hugo.

“Perché?” fece Conchita, alzando gli occhi dal display. “Non vedo nulla”.

Hugo allargò le braccia, prima di abbassarle sui fianchi. Non c’era maniera di far capire a questa testa dura di donna, che il telefono è telefono.

Conchita lo guardò dispiaciuta ma quel rettangolo nero proprio non voleva parlare.

“Ascoltami, bene” riprese Hugo con pazienza. Ma poi si fermò. Era inutile per quanto si sforzasse. Aveva provato e riprovato ma Conchita continuava a trattare quell’oggetto come se fosse infetto.

Si avvicinò e sbirciò sopra le sue spalle.

“Pigia quel tasto, Conchita. Non vedi che è spento?”

Punto di vista Conchita

“Parla, parla” fece spazientita Conchita, agitando il telefono. “Hugo è inutile non vuole parlare”.

“Perché dovrebbe parlare?” chiese curioso il suo uomo.

Gli occhi della donna cercarono quelli di Hugo. Poi si abbassarono sul display. ‘Accidenti, è sempre buio’ pensò delusa Conchita. ‘Eppure…’.

Lo girò e lo rigirò ma il display era sempre nero. Si alzò, tenendo in mano l’oggetto del diavolo. Le avevano detto che avrebbe fatto tutto. Ma proprio tutto.

“Ho speso mille pesos” piagnucolò Conchita. “Mi hanno imbrogliata”.

Hugo si avvicinò con un sorriso ironico.

“Testona” fece l’uomo.

“Non offendermi!” replicò inviperita. “Mi hanno fregato mille pesos”.

 

Aggiungo l’esercizio di Luisa Zambrotta.

Lui

E’ tardi, ma la notte è fatta per i giovani, no? Lui sta passeggiando con gli amici, che, con una lattina di birra in mano ridono, schiamazzano e parlano allegramente delle loro conquiste. Tutti si vantano di aver avuto decine di donne, con cui hanno fatto cose indescrivibili
Lui è da anni che sta con Maria, non ha fatto mai cose indescrivibili, e questo, se gli amici ne venissero a conoscenza gli procurerebbe non pochi sfottò. Anzi, questa è l’ora in cui si sentono per mandarsi il solito bacio prima di dormire, ma ora no. Non può mettersi a parlare teneramente con lei davanti a loro.
Che fare? Mette la mano in tasca, dove tiene il cellulare, vi armeggia un po’ e lo spegne. Rischio evitato!
Sollevato, decide anche lui di vantarsi… di cosa? Qui serve la fantasia! Allora comincia a parlare di quella volta in cui si è trovato nel bel mezzo di un’orgia con tre donne eccitate tutte per lui.

 

Lei

Ma perché non ha telefonato? Lo abbiamo deciso assieme quando ci siamo promessi di chiamarci ogni notte, a mezzanotte. Lo diceva anche quella vecchia canzone “A mezzanotte sai che io ti penserò…”

Avevamo anche deciso che in caso di problemi ce lo saremmo comunicato in qualche modo, in anticipo, oppure avremmo sostituito la chiamata con un semplice sms. Ho controllato così tante volte, ma non è arrivato alcun messaggio.

Quando ho chiamato io, non ha risposto. E’ partita subito la segreteria. Che cosa sarà successo? Starà male? Avrà avuto un incidente?

Ho riprovato ancora e ancora.

Ma nulla. Che abbia trovato un’altra?

Potrei telefonare a casa sua … ma no, non posso: è così tardi e i suoi si impensierirebbero. Saranno sicuramente a letto, a quest’ora.

O Santa Rita, santa dei miracoli impossibili, aiutami tu: fa’ che pensi a me, fa’ che mi chiami!

1