Se una giornata qualunque di aprile…

Una notte magica San Giovanni

 

Siamo ad aprile ma metto ancora il trench, perché fa freddo. Il sole non si vede coperto da nuvole scure che minacciano pioggia. Stringo la cintura e alzo il bavero dell’impermeabile chiudendolo bene alla gola.

Mi dico che avrei fatto bene a prendere una sciarpa di lana ma mi é sembrato eccessivo. Adesso la rimpiango. Forse anche un cappello non avrebbe suscitato ilarità nei pochi passanti che incrocio. Loro sono vestiti più di me. Il Burberry modello Westminster è bello e chic ma oggi serve a poco. Lo so, mi dico, che è un cappotto inglese assai costoso ma definirlo tale mi sembra esagerato. Oggi servirebbe qualcosa di più pesante.

Cammino svelto lungo Corso Italia diretto alla metropolitana. È una giornata feriale ma sembra domenica mattina presto, quando a Milano sono tutti ancora a dormire dopo i bagordi del sabato sera.

C’è qualcosa che stona ma non percepisco cosa o meglio lo capisco ma mi lascia perplesso. Per essere un mercoledì mattina mi sembra che tutti si siano nascosti. Le persone che incontro sono frettolose ma questo a Milano è la norma. Quello che è fuori standard è l’esiguo numero che camminano, tutti con la testa incassata tra le spalle.

Scendo le scale di Piazza Missori per prendere la linea gialla. Due fermate e sono in via Montenapoleone. Qui ho appuntamento con Sofia, una bella ragazza di venticinque anni. Ha un paio di anni meno di me ma è molto matura per la sua età. Ci troviamo bene insieme ma non è la mia ragazza. Il problema non è l’età: è che non è il mio tipo dal punto di vista fisico. Il corpo filiforme con un seno appena pronunciato non è il mio massimo. Mi piacciono le donne in ciccia. Non grasse ma con quel filo di carne che quando le abbracci senti consistenza.

Quando prendo Sofia fra le mie braccia per salutarla con un casto bacio sulle guance, sento solo ossa e fragilità. Temo sempre quando la stringo di rompere un prezioso calice di cristallo. Però con lei mi trovo bene. È solare, sorride sempre in maniera spontanea. Si può parlare di tutto: di libri, di musica e delle notizie del giorno senza mai annoiarsi. Però non è il mio tipo. La considero la sorella minore che non ho ma non la mia compagna. Forse lei è delusa dal mio atteggiamento ma io sono fatto così. Deve piacermi sotto tutti i punti di vista.

Immerso nei miei pensieri arrivo ai tornelli per obliterare il biglietto. Mi fermo stranito. Possibile che non ci sia anima viva, mi dico guardandomi intorno, nemmeno qualcuno nel gabbiotto da dove controlla che nessuno li salti?

Mi stringo nelle spalle e penso che sia una giornata di festa. “Ma è possibile?”

Scuoto la testa come per scacciare questa ipotesi balzana, mentre infilo il biglietto nella fessura per sbloccare l’apertura. Passo oltre e faccio i gradini che mi portano alla banchina. Odio le scale mobili senza nessun motivo e preferisco le scale. Mi fermo poco prima della linea gialla dove curiosamente ci sono dei dischi con su scritto ‘tu resti qui’. Una giornata strana senza dubbio, mentre ascolto la voce gracchiante di una donna. «Il convoglio arriva tra tre minuti. Rispettare la linea gialla e il distanziamento. Nessun assembramento».

Mi guardo intorno e mi accorgo di essere l’unico viaggiatore che aspetta. Altra stranezza della giornata, perché di norma c’è calca per prendere la metropolitana. Però è quella parola ‘distanziamento’ che ballonzola nella mia testa. Mi chiedo il motivo ma non finisco di riflettere, quando arriva il convoglio. Le porte si aprono ed entro. «I signori viaggiatori sono pregati di non sedersi sui sedili contrassegnati con una croce. I trasgressori sono puniti con quattrocento euro di multa».

Sento il clac delle porte che si chiudono mentre il convoglio prende velocità. Le stranezze si sommano da quando sono uscito dall’Hotel Charlie, penso sedendomi su un sedile privo di contrassegni. Io vivo in questo albergo, quando sono a Milano e tutto mi è sembrato normale. La receptionist bionda ossigenata con il sorriso falso sulle labbra. Il cameriere che mi ha servito la colazione stamattina. Gli inservienti che si muovono lentamente nell’attesa che gli ospiti lascino le loro stanze. Ho visto pure Piero, l’altro habitué dell’hotel. Però appena ho messo un piede fuori della porta girevole lo scenario è mutato. Pochissimi passanti, zero macchine, qualche rara bicicletta, mezzo davvero insolito per Milano.

Sono immerso nei miei pensieri, quando sento la solita voce gracchiante che annuncia: «Montenapoleone. Prossima fermata Montenapoleone». Mi riscuoto, perché non mi sono accorto della fermata Duomo. Mi alzo e mi preparo a uscire. Nemmeno qui vedo anima viva. Si sentono solo i miei passi che salgono le scale. Fuori la giornata non è mutata: sempre grigia con minaccia di pioggia. Mi rifugio nel Caffè degli artisti, dove mi aspetta Sofia.

Il locale è sempre animato a qualsiasi ora del giorno e oggi non fa eccezione. Come per magia quella sensazione strana che mi ha accompagnato svanisce. Tiro un sospiro di sollievo, perché tutto torna alla normalità. Forse era solo suggestione.

Sofia mi aspetta seduto al nostro tavolo, quello in angolo vicino alla vetrata. Si alza e mi abbraccia dandomi un bacio sulle guance. Che strano, mi dico, di solito è il contrario. Ci sediamo e mi prende le mani. Vorrei sottrarmi alla stretta ma ho il timore che si offenda. Lascio fare. «Cosa prendi? Io la solita cioccolata in tazza con la brioche» le chiedo mentre la osservo in viso. Ha una strana espressione: lo sguardo è tra il preoccupato e lo speranzoso. Non capisco cosa mi voglia trasmettere. Sto per chiedere il motivo, quando mi precede.

«Da stasera alle venti non si potrà più circolare liberamente fino a nuovo ordine. Si rischia una multa salata o la galera».

La guardo stranito, perché mi sembra una cosa inverosimile ma tengo per me questi pensieri. «Vuol dire che non ci vedremo nei prossimi giorni e non potrò tornare a casa?»

Sofia annuisce e chiede speranzosa: «Traslochi da me oppure mi ospiti nella tua stanza?»

La richiesta mi coglie di sorpresa e farfuglio qualcosa che lei interpreta come un sì. Adesso sono incastrato e devo solo scegliere dove.

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Ma che fatica!

In questi giorni di calura mi accingo a compiere un’operazione molto delicata al limite del suicidio.

Vorrei tradurre in inglese un mio testo ma pensavo fosse più facile. 😀

Qualcuno potrebbe suggerire di usare Google ma sarebbe fatica sprecata. Per piccole frasi può ancora funzionare ma su un testo complesso, come quello scelto, diventa una follia.

Quindi da bravo orso curioso ho scandagliato il profondo web, poi mica tanto 😀 alla ricerca di siti adatti allo scopo. Nessuna speranza di qualcosa di gratuito, perché se non si paga vuol dire che dietro c’è Google. Tradotto in italiano torno alla casella di partenza. Inoltre sarebbe stata una penitenza tipo finire in prigione e perdere due giri. Ricordate il gioco dell’oca? Più o meno quello. Perché? Le proposte variavano da 2000 a 5000 battute. Un autentico delirio contare le battute, tradurre e poi salvare e via col liscio. Diciamo più o meno lo stesso taglio di Google. Tanto vale usare quello e buona notte.

Poi curiosando tra i siti a pagamento ho scovato questo www.deepl.com che con una spesa di 90 euro l’anno o 9 euro al mese ti consente di tradurre in una marea di lingue il tuo testo senza limite di battute per cinque traduzioni mensili con trenta giorni prova gratuiti iniziali. Fino al giorno prima dell’inizio dell’abbonamento è possibile disdirlo senza pagare nulla. Cosa che ho fatto.

L’orso è curioso di metterlo alla prova, tanto non avrei speso un centesimo, e così ho fatto. Scaricato il testo tradotto, mi sono costruito un modello a due colonne affiancate, più o meno come propone il sito per mettere a sinistra il testo italiano e sulla destra quello tradotto per avere sott’occhio le due versioni.

Le prime righe sembravano promettenti. Ringalluzzito come un gallo, avete visto mai un orso vestito da gallo? Bé, quello ero io. Dunque felice e contento ho proseguito e purtroppo avevo cantato vittoria troppo presto, perché i lemmi usati non rendevano bene l’idea del testo italiano. Quindi tra il cercare frasi idiomatiche e lemmi più aderenti a quello che volevo dire è diventato un calvario. L’andamento di questo è lento, poche righe per volta e tanto tempo nella ricerca. Finora ho rielaborato tre capitoli che tradotti in tempo vogliono dire un paio di mesi per finire se non abbandono prima l’impresa assai temeraria.

Quello che tento,  incautamente, di tradurre è l’ultimo testo pubblicato. Una notte magica San Giovanni,

Una notte magica San Giovanni

Questo è il parto rivisto. Il prologo.

Preface.

When the thirteen cycles have completed their journey, people will find itself at a crossroads: to sink into the Metnàl, in the last circle of Xibalbà in the presence of Uucub Camé, the lord of the seven dead in the house of the jaguar, or to live a new golden age.

Only thirteen sages can save the people of the world and them from falling in the cave of Colbàn. They are the thirteen custodians of the crystal skull.

They must meet up under the sacred temple of Kukulkán in the cave of Hunahpu next to the cenote of Xbalanque.

From the four corners of the earth they will walk to the sacred temple of the feathered serpent.

If a custodian doesn’t answer the call, then the people will fall into Xibalbà without salvation.

The thirteen custodians had designated when the earth had been created. They have passed down their crystal skulls to the selected successor at the time of their death without distinction of gender or people.

Time is marked by their steps.

When they will get to destination of the sacred temple of Kukultàn they ascend towards the sacrificial stone of the Sun and the Moon to descend into cave of Hunahpu.

They must get together at the same time and sit on the bench with their names.

Nobody knows the identity of the other twelve and everyone ignores who will occupy the golden bench, that of the thirteenth custodian.

On the fifteenth of October 2012 the call came and the thirteen custodians went to the sacred temple of Kukultàn carrying the crystal skull received from their predecessor.

From Mexico, Belize, Yucatán and Guatemala thirteen people walked towards the pyramid of Kukultàn.

One after the other they occupied their seat, waiting for that the thirteenth custodian reachs.

Here’s he! He comes as regal as a god. He sits on the golden bench while everyone lifts up their crystal skull.

The people are safe.

A new cycle of B’ak’tun will begin.

Le critiche sono ben accette, i suggerimenti pure, le correzioni super gradite.

Insomma non me la prendo se sono sommerso da male parole.

 

 

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Il giorno nei meandri – parte seconda

ecco la seconda parte del giorno nei meandri

 

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Dal 1 luglio al 31 luglio ho messo in sconto cinque ebook su smashwords

 

Un paese rinasce 1,49$

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mentre è scaricabile in modo free per lo stesso periodo

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Lucrezia e un racconto erotico

 

Lucrezia e il racconto erotico

 

 

 

È una bella opportunità per leggere gli ultimi romanzi pubblicati e imparare a conoscermi.

Tra pochi giorni sarò presente sullo store di Google Libri con tutti i miei epub.

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I lorchitruci

Anni fa… mamma mia come vola il tempo, Ilmiolibro fece un contest partendo da un incipit di Paola Mastrocola. Non partecipai ma scrissi ugualmente il pezzo che vi sottopongo alla vostra benevolenza.

disegno personale

Siccome avevo preso un altro brutto voto, mio padre mi disse:
– Va bene, allora oggi verrai con me a lavorare. Così vedrai come si fatica!
Mio padre faceva il giardiniere, e andava in giro per i giardini altrui. Andava a potar piante, rastrellare foglie e tagliare erba col suo potente tagliaerba.
Quel giorno doveva occuparsi niente meno del giardino dei terribili Lorchitruci.
I Lorchitruci erano la famiglia più ricca e potente della collina. A me facevano paura due cose di loro: il nome, perché mi veniva da pensare a orchi molto truci; e il giardino, appunto, perché era chiuso da una muraglia gigantesca dietro la quale chissà che cosa mai si nascondeva.” (incipit di Paola Mastrocola su ilmiolibro.it)

Però ero curiosa di sapere cosa si nascondeva dietro quel muro. Mio padre c’era già stato, ma era sempre stato molto parco nel descrivere le abitudini delle persone alle quali accudiva i giardini.

Dunque oggi marinavo la scuola col suo consenso, ma questo non mi piaceva e non mi faceva gustare la giornata di libertà.

– Lavorare? – non ci pensavo nemmeno, perché ero sicura che non mi avrebbe fatto fare nulla.

La sveglia era stata alle sei anziché alle sette come al solito, ma sognavo di vedere sorgere il sole con il cielo rosato là in fondo e cupo sopra la mia testa. Questa mattina alcuni fiocchetti rosati solcavano il cielo come graziose navicelle, mentre di buon passo lo seguivo lungo il ripido sentiero che conduceva al giardino più impenetrabile della collina.

L’ululato sguaiato di due cani ci accolse da dietro l’enorme cancellata di ferro, che chiudeva la vista della villa. Un brivido di freddo, ma era paura, mi percorse la schiena. Per farmi coraggio mi dissi: – Non puoi avere paura! Sono solo due cani. –

Però un po’ di tremarella agitava le mie gambe, che avrebbero voluto correre giù lungo quel sentiero percorso con tanta baldanza.

Ero sempre stata una bambina vivace, impertinente e con poca voglia di applicarmi a scuola. La maestra, un donnone dalla circonferenza smisurata, diceva ai miei genitori attoniti e amareggiati: – È intelligente. Ha la mente sveglia. Sarebbe la prima della classe, ma spesso la vedo con gli occhi sognare spazi aperti e campi ricoperti di margherite ed elicriso.- E a casa erano rimproveri a non finire. Mi piaceva sognare a occhi aperti e poi amavo fiori e uccelli, perché era stato mio padre a trasmettermi quest’amore.

Dunque ero dinnanzi alla cancellata di ferro luccicante e imponente al fianco di mio padre. Tremavo come una foglia agitata dal vento di scirocco che seccava la gola d’estate, mentre lui era imperturbabile e sereno come se il latrato furioso dei cani fosse musica celestiale. Mi domandavo come faceva a rimanere così calmo senza tradire la minima emozione.

– Elisa – disse leggendomi il pensiero – tu hai paura e ne avrai ancora di più quando vedrai Billo e Billa, due cagnacci neri più alti di te. Se stai calma e serena, non ti faranno nulla, ma se tremi aprono le fauci e zac sparisci. –

Questo mi fece tremare ancora di più. I denti sembravano impazziti. Battevano rumorosamente tra loro in un fremito incontrollato, impedendomi di fare uscire le parole, mentre la cancellata si muoveva cigolando in silenzioso mossa da una mano misteriosa, e vidi i loro musi spuntare dalla fessura.

Smisi di tremare perché ero diventata di marmo e loro non abbaiavano più. Mi feci coraggio raccogliendo tutte le forze che non erano fuggite giù per la collina e seguì mio padre all’interno.

Tutto era smisurato dagli alberi ai fiori compresi cani e servitore che ci avevano aperto e accolto gelidamente.

– Oh! – era tutto quello che ero riuscita a dire mentre cautamente mi appiccicai alle gambe di mio padre. I due cani sembravano soddisfatti, ma erano in attesa di balzarmi addosso se solo avessi accennato ad aver paura.

Mio padre con fare sicuro si avvicinò a una casetta minuscola rispetto alla villa che si stagliava imponente al termine di un ripido sentiero e cominciò a estrarre gli attrezzi per lavorare il giardino.

Mi domandavo come avrebbe potuto manovrare quella zappa che era alta tre volte la mia statura, che era di molto superiore alla media dei miei coetanei di dieci anni.

La prese con disinvoltura e cominciò a zappare un angolo dell’aiuola centrale dove fiorivano delle splendide rose vellutate rosse, grandi come una teste di bue.

Io a bocca aperta dallo stupore lo vedevo dare colpi vigorosi e precisi di zappa come se l’attrezzo fosse normale.

– Elisa – mi rimproverò mio padre – non stare lì impalata come una stoppia. Dati da fare, perché al tramonto dobbiamo avere sistemato il giardino se vogliamo tornare a casa sani e salvi. Prendi dalla casetta degli attrezzi il sarchio e comincia a sarchiare per togliere le erbacce intorno ai rosai. Però fa attenzione alle spine, che sono pericolose.-

Alla paura era subentrato lo stupore e la sorpresa, perché impugnando il lungo manico riuscivo a manovrare l’attrezzo con agilità e precisione.

Lavorai, sudai e sbuffai tutto il giorno senza posa sempre guardata a vista dai due cagnacci, che si erano accordati su come spartire il mio corpo. Billo avrebbe preso la parte superiore, Billa quella inferiore. Non potevo e non dovevo scompormi, perché erano subito lì pronti a saltarmi addosso. Non sentivo la fame e la sete, perché la tremarella li avevano scacciati, come la fame aveva allontanato il lupo dal bosco. Il sole stava tramontando dietro quell’orrenda casa tutti merli e torrioni appuntiti e dovevamo sbrigarci.

Finalmente dall’enorme uscio uscì Gianantonio Lorchitruci, alto come un palazzo a tre piani, che guardò il lavoro che avevamo fatto e disse soddisfatto ma amareggiato: – Anche stavolta dovrò rinunciare alla cena serale. Prendi questi due zecchini d’oro e arrivederci al prossimo mese. –

Non vedevo l’ora di lasciarmi alle spalle quell’orrenda cancellata e correre a perdifiato lungo la discesa verso casa.

Mi svegliai col cuore in gola e col fiato corto come se avessi corso per mille miglia.

-Papà – dissi con un filo di voce – da oggi metto la testa a posto e non prenderò mai più un brutto voto a scuola. È centomila volte meglio andare a scuola con profitto che lavorare con te dai Lorchitruci. –

Mio padre sorrise accarezzandomi i capelli biondi e spettinati.

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Per curare l’ansia basta fare sesso due volte alla settimana

Spulciando tra ritagli di giornali, pezzi raccolti on line e pensieri vecchi di molti anni ho trovato questa notizia curiosa.

Una donna, presentatasi al pronto soccorso di un ospedale genovese in preda ad una crisi di ansia, si è vista prescrivere la seguente cura per curare i sintomi da “stato ansioso”: “ fare sesso, possibilmente bene, due volte alla settimana e non di più”.

La curiosità, secondo me, non sta tanto nel fare sesso due volte alla settimana, ma in base a quali indicazioni diagnostiche si è arrivati a stillare la suddetta cura. Il medico ha dedotto, forse, che era in preda ad una crisi di astinenza da sesso? Sicuramente è sempre meglio fare sesso, possibilmente bene, piuttosto che prendere pastiglie di Valium.

La cura fa bene anche ai maschietti oltre che alle femminucce?

Da Republica online del 5 luglio 2007 ripresa dal “Corriere Mercantile” di Genova pubblicata il giorno prima.

GENOVA – Il disturbo: ansia. La cura del medico: sesso, ma con moderazione. “Farlo due volte alla settimana, non di più”. Questa la prescrizione che un dottore in servizio al pronto soccorso dell’ospedale genovese Villa Scassi ha fatto ad una giovane donna affetta da “stato ansioso”. La visita è stata effettuata lunedì scorso, nel pomeriggio. La notizia è stata riportata questa mattina dal quotidiano di Genova “Corriere Mercantile”.
La donna si è presentata nel punto di primo soccorso del nosocomio di Sampierdarena afflitta da una profonda agitazione. Il medico l’ha visitata a lungo effettuando anche una visita ginecologica. Dopo avere esaminato gli esiti della misurazione della pressione, dei battiti cardiaci, della respirazione in correlazione alle altre visite, il sanitario ha messo per iscritto il suo consiglio: “Fare sesso due volte alla settimana, non di più” per curare i sintomi di ciò che ha definito, sempre per iscritto, un semplice “stato ansioso”.

Sullo stesso argomento ho trovato quest’altro pezzo.

Il legame fra sesso e ansia è stato esaminato in diversi studi. Per esempio Stuart Brody, uno psicologo dell’Università di Paisley (Scozia), ha dimostrare scientificamente i benefici psicofisici del fare l’amore.

Nello studio di Brody erano stati esaminati 46 volontari, 24 donne e 22 uomini, ai quali era stato chiesto di tenere per due settimane un diario dei loro momenti d’intimità indicandone tempi, luoghi e soprattutto tipologia di attività sessuale svolta. Dopo quindici giorni, tutti i volontari sono stati sottoposti a numerose prove sia mentali che fisiche.

Esaminando i dati ottenuti, si riscontrò che i soggetti che avevano avuto un maggior numero di incontri sessuali completi non presentavano particolari miglioramenti nell’esecuzione delle prove ma in compenso reagivano con meno ansia allo stress della prova.

I soggetti che dichiararono di avere avuto solo rapporti sessuali completi, al momento della prova “stressante” fecero registrare degli sbalzi di pressione sanguigna minori rispetto alle persone che non avevano avuto dei rapporti completi. Le peggiori performance in fatto di stress sono state quelle degli astinenti.

Estratto da https://www.universonline.it/_benessere/sesso/07_07_05_a.php

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