Elena’s world

Altro pezzo scritto ai primordi di blogger sempre sul defunto Windows Space.

Era una bella giornata di Luglio, calda e afosa, quando Elena si avviò verso l’Università. Insieme a lei c’erano amiche e i genitori.

Era un giorno importante: quello della laurea. Era il 16 Luglio 2004 e si sarebbe laureata in lingue con una tesi tutta in inglese, che era stata preparata con molta cura. Per migliorare la pronuncia, visto che si sarebbe svolta in inglese, era stata tre settimane a Londra. Che magnifica vacanza! Quanti ricordi piacevoli! Era la prima volta che andava all’estero da sola. Era stata con gli amici in Grecia e in Croazia, ma mai le era stato permesso di fare un viaggio fuori dell’Italia senza qualcuno che l’accompagnasse.

I genitori non erano stati molto propensi a lasciarla partire, perché pensavano che sarebbe incappata in mille pericoli: era una ragazza di 23 anni e chissà quali brutti incontri avrebbe fatto in quel posto lontano da casa. Elena invece era eccitata e non vedeva l’ora d’imbarcarsi per Londra. Anche il viaggio in aereo era una novità, insomma quante nuove esperienze erano concentrate in queste tre settimane!

Era arrivata finalmente la prima volta anche per lei… Inghilterra e Londra, una città vista finora nelle cartoline e basta. Era difficile spiegare, cosa provava una laureanda in lingue alla vigilia della partenza… Questa città rappresentava per lei un mito.

Il volo andò benissimo senza troppi problemi o apprensioni particolari. Era stato il suo battesimo dell’aria. L’aereo atterrò a Heathrow: un immenso aeroporto distante un quarto d’ora da Londra: per arrivare a Paddington aveva viaggiato su Heathrow Express. Durante il trasferimento in città ebbe modo di vedere ai lati della ferrovia la verde campagna inglese, molto bella nel periodo del viaggio: era maggio.

Per raggiungere l’hotel prenotato in centro a Londra una volta giunta a Paddington aveva preso due metrò, i famosi “tube” londinesi. Scese a Bond Street e dopo una breve passeggiata arrivò in Manchester Street, dove era ubicato l’omonimo hotel.

Si fermò un istante ad ammirarlo dall’esterno. Sembrava molto migliore di quello visto sui depliant dell’agenzia viaggi. Era un grazioso edificio del 1919 in mattoni rossi, piccolo e raccolto, vicinissimo a molti famosi locali di attrazione e di shopping, a due passi da Regent’s Park e dalle sponde del Tamigi. Una breve rinfrescata e via per le vie di Londra per scoprirla.

Dopo il secondo giorno aveva capito che le tre settimane sarebbero state insufficienti per godersela in pieno, anche perché durante la giornata doveva frequentare la scuola per perfezionare la sua conoscenza della lingua inglese.

Rimase sorpresa quando si presentò per conoscere chi le avrebbe fatto compagnia per il tempo del corso. C’erano circa 800 studenti, provenienti da oltre 60 paesi, tutti impegnati a perfezionare la loro pronuncia e conoscenza della lingua. ”Non mi basteranno sicuramente tre settimane per conoscerli tutti!” Fu il primo pensiero vedendo quella moltitudine vociante. Una babele di lingue che non comprendeva.

Tra le attività di contorno l’aspettava una gita in barca sul Tamigi. Però questo non era tutto: doveva andare in giro per la città a fare shopping, a visitare monumenti e musei, a trascorrere insieme a qualche compagno le serate al pub. Come avviene in tutte le aule scolastiche aveva fatto amicizia con un gruppetto di ragazze e ragazzi di colore e razze diverse, con cui trascorreva gran parte del suo tempo libero.

Purtroppo, come tutte le cose belle, anche questa esperienza finii. Mentre preparava il bagaglio per tornare a casa esclamò con un sospiro: «Come tutte le esperienze che per un attimo ti tirano via dal mondo in cui si vive, ti restano per sempre nel cuore. Al di là del posto in sé, che alla fine sta lì. Si può sempre tornare… Per quanto si possa pianificare il ritorno, non sarà mai la stessa esperienza di questi giorni. È il momento che conta, sono le persone che incontri che costituiscono almeno il 70% di ciò che vivrai. La stessa cosa è stata per i miei due mesi a Monaco di Baviera, le mie tre settimane a Malta…niente sarebbe stato senza le persone incontrate sul mio cammino. Le tre settimane sono volate in un baleno e il ritorno è con tanti rimpianti. Alla prossima volta, Londra!»

Il 16 luglio filò tutto liscio ed Elena festeggiò con i genitori e gli amici il traguardo raggiunto. Ora sarebbe cominciata la parte più difficile. ”Che lavoro intraprenderò?” si domandò inquieta e smarrita. I genitori premevano affinché lei trovasse un’occupazione nella scuola, ma Elena non ne era molto propensa, perché non rappresentava il suo obiettivo.

Presentò diligentemente la sua domanda alle scuole medie e superiori disseminate nel Gargano per insegnare lingue: inglese o tedesco. Lei risiedeva a San Severo di Foggia e immaginò che finisse in un qualche buco lontano da casa con quattro sputi di abitazione. Nutriva poche speranze che le domande venissero accettate e in cuor suo avrebbe voluto che la chiamata non arrivasse. Invece, ironia della sorte, le diedero un incarico per un anno in una scuola media di un paesino non molto distante da San Severo. Accettò malvolentieri per accontentare i genitori.

L’anno scolastico fu travagliato: non riusciva a tenere a bada quei ragazzini, che la mettevano in difficoltà nonostante avessero solo dodici anni. Finii l’anno scolastico stremata e stressata e per i mesi estivi non pensò più alla scuola, sperando che il nuovo cominciasse senza di lei, così da potersi dedicare alla ricerca di un lavoro diverso. Le sue preghiere non furono esaudite e si ritrovò con un nuovo incarico in un altro paesino della provincia di Foggia.

Se il primo anno fu angosciante, il secondo fu un’esperienza terrificante: quei ragazzini erano davvero delle pesti e i genitori che li spalleggiavano non da meno. Aveva gli incubi di notte e, quando prendeva la macchina per arrivare a scuola, aveva degli attacchi di panico. Era sull’orlo di una crisi di nervi, quindi decise di cercare un posto come receptionist in uno dei tanti hotel della costa pugliese e di chiudere questa esperienza nella scuola.

A fatica concluse l’anno scolastico e poi via alla ricerca. Fece numerosi colloqui, conobbe molti albergatori e alla fine la sua ricerca fu premiata. Trovò un hotel, che lavorava prevalentemente con clientela straniera praticamente tutto l’anno, Fu assunta in prova. Il grimaldello era stato la sua ottima conoscenza del tedesco e dell’inglese.

Così terminò la sua carriera d’insegnante e iniziò quella di receptionist.

L’hotel era molto grande e dotato di molte risorse: dalla piscina alla palestra, dalla sauna al kindgarten, dagli animatori agli insegnanti di ballo. Si trovava sulla costa nella zona di Peschicci ed era un grande edificio con annessi bungalow e piccole costruzioni destinate al divertimento il tutto immerso nel verde.

Gli erano stati offerti due locali con bagno nel seminterrato dell’edificio principale, dove all’occorrenza poteva trattenersi per la notte o riposarsi tra una pausa e l’altra.

All’inizio non pensava che dopo il periodo di prova la confermassero, perché aveva pasticciato in più di una occasione, ma con suo grande stupore e gioia le dissero che sarebbe rimasta.

Il personale era numeroso anche nei momenti di maggiore calma, perché era come un minuscolo villaggio delle vacanze. Con alcuni legò maggiormente, con altri i rapporti erano freddi e distaccati.

Col primo stipendio si fece un regalo: un bel portatile su cui scrivere tutto quello che le passava per la mente tanto che divenne un compagno fidato e inseparabile.

 

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Le Bollicine di Simona

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Era 25 Settembre del 2004. Il gran giorno era arrivato.

Vasco Rossi concludeva il suo tour per l’Italia a Catanzaro. Tutta la Calabria e la Sicilia erano in fibrillazione per il suo arrivo.

Simona era trepidante per l’evento, come c’era una grande attesa tra i suoi amici Nino, Stefano e le amiche Rossella, Paula e tanti altri che l’elenco sarebbe diventato lunghissimo.

Questo era il secondo mega concerto di Vasco che si accingeva ad ascoltare. Quattro anni prima appena ventenne aveva fatto una lunghissima fila per acquistare i biglietti. I ricordi affioravano netti: come aveva corso per essere tra i primi della fila, come aveva dovuto lottare per convincere i suoi genitori a lasciarla andare! Suo padre diceva che al concerto c’era solo una massa di drogati, ma lui non aveva voluto ascoltare le mie parole “Papà, tra i drogati c’ero anch’io!”. Voleva ringraziare chi le aveva fatto ascoltare Vasco per la prima volta, quando ancora quasi non sapeva dire il suo nome: ” CIAO MA’!”.

Lei voleva riascoltare “VOGLIO UNA VITA…CHE NON È MAI TARDI! DI QUELLE CHE NON DORMI MAI!!!”.

A Simona come ritornavano i ricordi, come si ripresentava tutto quello che era, che aveva fatto, la verità e una versione di sé che era quella reale, fuori degli schemi. Sembrava che qualcosa la spingesse avanti, una voglia di ridere incredibile, un gran desiderio di correre, come aveva corso quattro anni prima per comprare i biglietti del primo concerto.

Aspettava con impazienza che il gran giorno venisse. Avrebbe ricominciato a far scorrere fiumi di parole sul suo diario, per poter vivere di rendita come l’altra volta per un concerto che sarebbe durato nella sua testa almeno per un anno!

L’aspettativa era talmente grande che la sera prima Simona non era riuscita a dormire. Erano le quattro del mattino, quando presero il treno per Catanzaro. Dovevano essere all’Area Verde prima di tutti per godersi gli ultimi istanti dei preparativi di Vasco e della sua Band. L’ingresso era gratuito e dovevano essere là presto se volevano prendere un buon posto d’ascolto. Era emozionata come la prima volta!

Il tour 2004 iniziato a Latina il 30 maggio terminava a Catanzaro il 25 settembre. Leggendo la scaletta, questa comprendeva 29 canzoni tra cui “Bollicine”. Però mancava “Vita spericolata”, che era la sua canzone simbolo, perché tutta la sua esistenza era stata vissuta di corsa, per schizzare via a prendere i treni, che passavano una sola volta.

Simona e i suoi amici raggiunsero il posto e si sistemarono per bene nella attesa dell’inizio del concerto insieme a tanti altri giovani e meno giovani venuti ad ascoltare il mitico Vasco.

Vasco attaccò con “Cosa vuoi da me” seguito da “Fegato, fegato spappolato”. Queste prime due canzoni ebbero il potere di scaldare la platea.

Mentre il concerto si snodava con il susseguirsi delle canzoni, il cielo diventava sempre più imbronciato e minacciava pioggia a catinelle. Si chiese: “Sarei riuscita ad ascoltare ‘Bollicine’ prima del diluvio universale?” Questo avrebbe annegato tutti questi peccatori venuti ad ascoltare Vasco, personaggio scomodo e fuori degli schemi.

Simona continuava a guardare il cielo preoccupata, finché le note e le parole della canzone non riecheggiarono nella vasta area.

“….

bevi la coca cola che ti fa bene

bevi la coca cola che ti fa digerire

con tutte quelle, tutte quelle bollicine …

Poi dal cielo cominciò a scendere la pioggia sempre più forte. Simona insieme agli amici aveva corso, come mai lo aveva fatto in vita sua. Non desiderava beccarsela tutta. Aveva corso esattamente nello stesso modo con cui prendeva i treni perché sapeva che passano una sola volta, pensando che la sua vita fosse davvero SPERICOLATA!

Bagnati, ma felici ripresero il treno per Messina. Simona lo era in modo particolare, perché aveva potuto riascoltare dal vivo il suo idolo, il suo mito, perché aveva voglia di correre, di non fermarsi mai.

Si sentiva inquieta, perché si era persa fra tante parole, scritte e dette, sue e degli altri, diventando poi pensieri sempre più complessi e, alla fine, incubi.

Se guardava dentro di sé, quelle parole le hanno fatto bene solo per un po’. Però adesso era il momento di smettere, perché la incatenavano a quello che era stato, mentre doveva cominciare a pensare che anche la giornata era già passata.

Era arrivata a queste conclusioni ascoltando durante il viaggio di ritorno a Messina le canzoni dei Pink Floyd nell’album THE DIVISION BELL. Si rivedeva a diciassette anni, seduta davanti allo stereo, quando questi pezzi rombavano nella testa e pensava al suo futuro, visto che di passato ancora non poteva parlare. Ma adesso erano passati sette anni, un po’ di passato l’aveva alle spalle. “I knew the moment had arrived for killing the past and coming back to life”.

Così capì che stava inseguendo non un sogno ma un’ossessione. Si era persa dentro i pensieri, che le avevano riempito solo la testa e il cellulare di parole che nella vita reale non servivano. Doveva dare una svolta alla sua esistenza. Tagliare con quel minuscolo passato che si era formato in quei sette anni.

I feel persecuted and paralized” canticchiava Simona, mentre ripensava a lui, il sogno che inseguiva da tanto tempo. “Credo sia arrivato il momento di smettere di farmi condizionare dai discorsi di chi in fondo di me non si preoccupa. TORNO SU ME STESSA! Quello che spero è di rimanere su questa posizione e non tornare su questa decisione”.

La preoccupavano non poco quegli incubi, ma poteva chiamare il suo guardiano dei sogni, che ultimamente si era un po‘ distratto. “Deve essere difficile lavorare con me“. Rise a questo pensiero prima di tornare seria. “I suoi occhi scuri bastano per calmarmi. A volte sparisce, ma almeno non mi riempie la testa di concetti stupidi”.

Il giorno dopo si ritrovarono tutti da Billé a gustare gli ultimi gelati di una lunga stagione estiva. Avrebbero parlato del concerto del giorno precedente, della fuga precipitosa sotto il diluvio universale, che puniva quel popolo di miscredenti, che idolatrava come un Dio il mitico Vasco. Era la giusta punizione verso tutti questi peccatori, che della trasgressione facevano uno stile di vita.

Poi la lunga passeggiata sul lungomare a parlare del futuro, di cosa ci riservava il domani, dei sogni e delle speranze, insomma di tutto quello che i giovani parlano, quando si frequentano.

Da quel giorno di settembre non si era fermata mai. Dapprima era arrivata la laurea in lingue straniere con il massimo dei voti. Poi era riuscita a strappare ai suoi genitori il consenso per frequentare a Milano un master di Marketing e Comunicazione presso una prestigiosa Università. Questo avrebbe cambiato la sua vita perché avrebbe traslocato e vissuto lì per almeno un anno lontano da casa. Tuttavia la ciliegina sulla torta sarebbe stata ascoltare il concerto di Vasco nel prato di San Siro tra qualche mese, a luglio.

I giorni passarono veloci nella preparazione dell’imminente viaggio a Milano. Simona doveva trovare un posto dove alloggiare nei primi tempi nella attesa di sistemarsi in modo meno provvisorio. Doveva comprare del vestiario adatto al clima rigido del Nord, perché a Messina non le servivano, insomma per prepararsi a quella lunga trasferta tanto sognata, ma anche temuta.

“Riuscirò a resistere lontano di casa? La nostalgia mi assalirà? Come reagirò a svolgere tutti quei compiti, che ora minimamente mi sfiorano?” Questi erano i suoi pensieri, i suoi dubbi, ma non li diceva apertamente, perché voleva dimostrare di essere in grado di superare qualsiasi avversità.

Simona passò le sue giornate tra dubbi ed euforia, finché il gran giorno non arrivò. Salutò gli amici, la mamma, che non era contenta di vedere partire la figlia per luoghi lontani, dopo aver visto allontanarsi il figlio per la carriera militare. Sentiva la casa vuota, svuotarsi di tutti gli affetti ed era triste.

Simona sapeva di darle un grosso dispiacere, ma la voglia di avviarsi per affrontare questa nuova avventura era talmente forte da superare anche l’affetto che provava per lei. Prese il treno e partii per il lungo viaggio attraverso l’Italia verso nuovi orizzonti.

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Nuova puntata di una storia impossibile su Caffè Letterario

A chi fosse sfuggito c’è qui

una nuova puntata di quella sbilenca storia che sto scrivendo.

È passato un po’ di tempo, lo so,  ma non ritenevo corretto pubblicarne un po’ qui e un po’ là, quindi ho scelto di metterle tutte su Caffè Letterario come le altre che sono qui.

Buona lettura.

Una notte magica San Giovanni
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I fantasmi esistono

Una notte magica San Giovanni

 

Il vento di novembre non è così freddo, come ci sembra. Si rabbrividisce quando camminiamo per la strada stringendoci nella giacca o nello spolverino. Il tempo in questa stagione è uggiose e nebbioso. L’umidità e la tristezza dell’anno che sta morendo gela i nostri pensieri. A novembre tutto ti avvolge in un’atmosfera che paralizza il nostro calore e la mente.

La mia amica Carlotta comincia a sentire freddo dalla sera del trentuno ottobre, e continua a tremare fino a Natale. Non ci sono vestiti o coperte abbastanza pesanti da riuscire a scaldarla, si lamenta di avere i piedi ghiacciati. Ovunque vada non si toglie mai il cappotto. Credo di non aver mai visto quali abiti indossi durante quel periodo. I suoi sentimenti entrano in un completo stato d’ibernazione tale da trasformarla in un’altra persona, del tutto irriconoscibile. Non esce più di casa. Ignora gli amici. Trascorre il Natale aspettando che l’anno muoia. Dal primo di gennaio torna alla vita di tutti i giorni, uscendo di casa e parlando con gli amici. Rinasce alla vita come il nuovo anno.

«La maggior parte delle persone non crede ai fantasmi, ma io so che esistono.» Carlotta mi ha fatto questa confidenza in una mattina di maggio, soleggiata come può esserlo in questo mese. Il tono di voce è allegro, e i suoi capelli lunghi si muovono seguendo il ritmo del vento. Siamo sedute al tavolo di un bar all’aperto con due granite al limone davanti a noi. Mi dice che vede i fantasmi ogni giorno. «Ma è a novembre che li percepisco con chiarezza

Carlotta è una strana ragazza, difficile da comprendere. Cosa vedono i suoi intensi occhi neri non si capisce dalle sue parole. Il suo sguardo sembra trapassare i corpi perdendosi in immagini percepibili solo da lei, quando parla con le persone. Non rivela quello che percepisce nel suo animo con nessuno, forse solo con me riesce ad aprirsi un po’. Tuttavia quello che nasconde, lo indovino interpretando le ombre che le attraversano gli occhi. Quella è stata la prima volta che mi ha parlato di fantasmi. Non vi ho prestato attenzione, perché era la prima volta che faceva discorsi strampalati. Solo chi la conosce molto bene riesce a seguire il filo invisibile delle sue sensazioni senza perdersi nel groviglio delle sue idee.

Le ho chiesto a cosa è riferita quell’affermazione, riscuotendomi dall’apatia di ascoltarla. So che spesso ha dichiarato che non crede in una qualsiasi forma di esistenza dopo la morte.

«I fantasmi sono dappertutto!»

La sue parole mi hanno lasciato basita, mentre rideva aggiustando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«È solo che la gente li ignora, o finge di non vederli. Io invece li ascolto.»

Un’ombra indefinibile passa nei suoi occhi, mentre Carlotta lascia cadere il discorso. Io non ho voluto approfondire il discorso. La conosco troppo bene per capire che non voleva parlarne.

In una grigia sera di novembre si è aperta con me, parlando dei suoi fantasmi. Aveva piovuto tutto il giorno e l’umidità restava appiccicata sull’asfalto e sulle macchine come una patina lucente. Sul telefono è arrivato un suo messaggio ‘I fantasmi sono tornati.e nient’altro. Non sono rimasta stupita, perché mai telefona e non ama ricevere telefonate. Usa solo i messaggi e la posta elettronica, perché è il suo modo di parlare senza comunicare, togliendo all’altra persona la responsabilità della risposta. Conosco lo stato d’animo di Carlotta durante quel periodo dell’anno, quindi mi sono precipitata a casa sua. È raro che in questo periodo tenti una qualsiasi forma di contatto con gli altri, e se lo ha fatto significa che ha bisogno di aiuto.

Quando arrivo da lei, la trovo pallida, di un pallore che non ispira tranquillità. Tuttavia non sembra infelice, anzi mi accoglie con affetto, offrendomi una tazza di caffè. Si muove come se abbia pensato che sia passata per caso. Mi chiedo se non ricorda il messaggio inviato o crede di non averlo spedito. Dopo aver chiacchierato del più e del meno, mentre lava le tazze del caffè mi dice: «Sandra è morta il quindici novembre di cinque anni fa.»

La sua uscita mi fa sgranare gli occhi, come se non sappia che in effetti è morta. Conosco Carlotta dalla scuola elementare e ricordo l’incidente di moto a causa del quale Sandra, la sorella maggiore, è deceduta mentre stava tornando a casa dall’università. Carlotta ne è rimasta sconvolta, ma benché abbia ripreso a condurre una vita normale, ho avuto il presentimento che quell’evento le sarebbe rimasto conficcato come una spina per sempre. In fondo è normale, ma non lo è, quando lei crede di vedere il fantasma di Sandra, ammesso che questo sia il senso del messaggio inviato. Comincio a preoccuparmi. Cerco il modo di affrontare l’argomento, quando lei prosegue: «Vorrei rivederla, anche per pochi attimi. Ormai non ricordo neanche bene il suo viso. Vorrei che fosse vero che le anime di quelli che amiamo e che sono morti prima di noi tornino a trovarci ogni tanto. Non sarebbe meraviglioso? Ma non è possibile, perché i morti restano morti. In realtà sono i vivi che ci perseguitano. Ieri stavo facendo la spesa al supermercato. E indovina chi mi sono trovata davanti? Monica! Te la ricordi? Sto avvicinandomi per salutarla, quando all’improvviso è svanita!»

Ascolto senza stupore il suo racconto e non so bene se stesse scherzando o se parlasse sul serio. Mi ricordo bene di Monica. Siamo state amiche inseparabili ai tempi del liceo, soprattutto Carlotta era molto legata. Però un giorno hanno litigato per un motivo futile che non ricordo affatto, e da allora non si sono più parlate. Carlotta non ha saputo più nulla di lei. Monica è viva. Amici comuni mi hanno riferito che si è trasferita a Parigi e lavora in una casa di moda.

«Stamattina invece,» proseguì Carlotta interrompendo il flusso dei miei pensieri, «nello specchio mi è apparsa la faccia di Marco. Abbiamo chiacchierato un po’, poi è sparito anche lui.»

Marco è stato il ragazzo di Carlotta per tre anni durante l’università, poi lei lo ha lasciato perché non sopportava più il suo carattere oppressivo e geloso. Pur non essendoci state liti, non si sono più rivisti, e nessuno dei nostri amici sa che cosa faccia adesso.

«Ma, Carlotta, stai parlando di persone che fanno parte del tuo passato, perché ci pensi proprio adesso?» Sono ancora più preoccupata della piega del nostro colloquio.

«Ma io non ci penso, io le vedo!» È sorpresa per la domanda tanto sciocca.

«Cosa significa che le vedi?» Sono ormai decisamente agitata.

«Le vedo.» E guardò al di fuori della finestra. «Come ti vedo ora. Li vedo tutti. Spesso e dappertutto. A volte mi parlano, oppure si limitano a fissarmi in silenzio. Non solo Marco e Monica, ma tutte quelle persone che ho incontrato e che hanno fatto parte della mia vita per un po’. Magari l’hanno anche cambiata, migliorata forse, comunque mi hanno resa quella che sono adesso. Poi a un certo punto sono scomparsi, come se fossero morti, alcuni perché gli eventi ci hanno allontanati, ma altri solo per pigrizia, paura o rancore. Qualcuno forse p ancora darmi qualcosa, e io a loro, ma non ci sono più.» Parla con calma serena, ma le ombre tornano ad affollarsi nei suoi occhi. «A volte vedo anche te, Paolo, i miei… Tutti voi che siete con me ogni giorno e vi posso toccare, parlare, e che non mi lasciate sola. Ma non ci siete sempre. A volte perdo il contatto anche con voi. Forse un giorno vi perderò perché ci sono molti aspetti nella vita compresa la morte. E non vi avrò detto quello che voglio dirvi davvero.»

Per un attimo ho creduto di cadere dentro i suoi occhi scuri e insondabili senza riuscire a emergere. Poco dopo me ne sono andata, ma sono turbata da quello che mi ha detto. Quando apro la porta di casa la trovo lì, sulla soglia. È lei, con i suoi capelli neri dagli occhi incredibili, non ho dubbio. Sto per chiederle cosa ci faccia a casa mia, ma quando apro la bocca, all’improvviso svanisce.

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Se una giornata qualunque di aprile…

Una notte magica San Giovanni

 

Siamo ad aprile ma metto ancora il trench, perché fa freddo. Il sole non si vede coperto da nuvole scure che minacciano pioggia. Stringo la cintura e alzo il bavero dell’impermeabile chiudendolo bene alla gola.

Mi dico che avrei fatto bene a prendere una sciarpa di lana ma mi é sembrato eccessivo. Adesso la rimpiango. Forse anche un cappello non avrebbe suscitato ilarità nei pochi passanti che incrocio. Loro sono vestiti più di me. Il Burberry modello Westminster è bello e chic ma oggi serve a poco. Lo so, mi dico, che è un cappotto inglese assai costoso ma definirlo tale mi sembra esagerato. Oggi servirebbe qualcosa di più pesante.

Cammino svelto lungo Corso Italia diretto alla metropolitana. È una giornata feriale ma sembra domenica mattina presto, quando a Milano sono tutti ancora a dormire dopo i bagordi del sabato sera.

C’è qualcosa che stona ma non percepisco cosa o meglio lo capisco ma mi lascia perplesso. Per essere un mercoledì mattina mi sembra che tutti si siano nascosti. Le persone che incontro sono frettolose ma questo a Milano è la norma. Quello che è fuori standard è l’esiguo numero che camminano, tutti con la testa incassata tra le spalle.

Scendo le scale di Piazza Missori per prendere la linea gialla. Due fermate e sono in via Montenapoleone. Qui ho appuntamento con Sofia, una bella ragazza di venticinque anni. Ha un paio di anni meno di me ma è molto matura per la sua età. Ci troviamo bene insieme ma non è la mia ragazza. Il problema non è l’età: è che non è il mio tipo dal punto di vista fisico. Il corpo filiforme con un seno appena pronunciato non è il mio massimo. Mi piacciono le donne in ciccia. Non grasse ma con quel filo di carne che quando le abbracci senti consistenza.

Quando prendo Sofia fra le mie braccia per salutarla con un casto bacio sulle guance, sento solo ossa e fragilità. Temo sempre quando la stringo di rompere un prezioso calice di cristallo. Però con lei mi trovo bene. È solare, sorride sempre in maniera spontanea. Si può parlare di tutto: di libri, di musica e delle notizie del giorno senza mai annoiarsi. Però non è il mio tipo. La considero la sorella minore che non ho ma non la mia compagna. Forse lei è delusa dal mio atteggiamento ma io sono fatto così. Deve piacermi sotto tutti i punti di vista.

Immerso nei miei pensieri arrivo ai tornelli per obliterare il biglietto. Mi fermo stranito. Possibile che non ci sia anima viva, mi dico guardandomi intorno, nemmeno qualcuno nel gabbiotto da dove controlla che nessuno li salti?

Mi stringo nelle spalle e penso che sia una giornata di festa. “Ma è possibile?”

Scuoto la testa come per scacciare questa ipotesi balzana, mentre infilo il biglietto nella fessura per sbloccare l’apertura. Passo oltre e faccio i gradini che mi portano alla banchina. Odio le scale mobili senza nessun motivo e preferisco le scale. Mi fermo poco prima della linea gialla dove curiosamente ci sono dei dischi con su scritto ‘tu resti qui’. Una giornata strana senza dubbio, mentre ascolto la voce gracchiante di una donna. «Il convoglio arriva tra tre minuti. Rispettare la linea gialla e il distanziamento. Nessun assembramento».

Mi guardo intorno e mi accorgo di essere l’unico viaggiatore che aspetta. Altra stranezza della giornata, perché di norma c’è calca per prendere la metropolitana. Però è quella parola ‘distanziamento’ che ballonzola nella mia testa. Mi chiedo il motivo ma non finisco di riflettere, quando arriva il convoglio. Le porte si aprono ed entro. «I signori viaggiatori sono pregati di non sedersi sui sedili contrassegnati con una croce. I trasgressori sono puniti con quattrocento euro di multa».

Sento il clac delle porte che si chiudono mentre il convoglio prende velocità. Le stranezze si sommano da quando sono uscito dall’Hotel Charlie, penso sedendomi su un sedile privo di contrassegni. Io vivo in questo albergo, quando sono a Milano e tutto mi è sembrato normale. La receptionist bionda ossigenata con il sorriso falso sulle labbra. Il cameriere che mi ha servito la colazione stamattina. Gli inservienti che si muovono lentamente nell’attesa che gli ospiti lascino le loro stanze. Ho visto pure Piero, l’altro habitué dell’hotel. Però appena ho messo un piede fuori della porta girevole lo scenario è mutato. Pochissimi passanti, zero macchine, qualche rara bicicletta, mezzo davvero insolito per Milano.

Sono immerso nei miei pensieri, quando sento la solita voce gracchiante che annuncia: «Montenapoleone. Prossima fermata Montenapoleone». Mi riscuoto, perché non mi sono accorto della fermata Duomo. Mi alzo e mi preparo a uscire. Nemmeno qui vedo anima viva. Si sentono solo i miei passi che salgono le scale. Fuori la giornata non è mutata: sempre grigia con minaccia di pioggia. Mi rifugio nel Caffè degli artisti, dove mi aspetta Sofia.

Il locale è sempre animato a qualsiasi ora del giorno e oggi non fa eccezione. Come per magia quella sensazione strana che mi ha accompagnato svanisce. Tiro un sospiro di sollievo, perché tutto torna alla normalità. Forse era solo suggestione.

Sofia mi aspetta seduto al nostro tavolo, quello in angolo vicino alla vetrata. Si alza e mi abbraccia dandomi un bacio sulle guance. Che strano, mi dico, di solito è il contrario. Ci sediamo e mi prende le mani. Vorrei sottrarmi alla stretta ma ho il timore che si offenda. Lascio fare. «Cosa prendi? Io la solita cioccolata in tazza con la brioche» le chiedo mentre la osservo in viso. Ha una strana espressione: lo sguardo è tra il preoccupato e lo speranzoso. Non capisco cosa mi voglia trasmettere. Sto per chiedere il motivo, quando mi precede.

«Da stasera alle venti non si potrà più circolare liberamente fino a nuovo ordine. Si rischia una multa salata o la galera».

La guardo stranito, perché mi sembra una cosa inverosimile ma tengo per me questi pensieri. «Vuol dire che non ci vedremo nei prossimi giorni e non potrò tornare a casa?»

Sofia annuisce e chiede speranzosa: «Traslochi da me oppure mi ospiti nella tua stanza?»

La richiesta mi coglie di sorpresa e farfuglio qualcosa che lei interpreta come un sì. Adesso sono incastrato e devo solo scegliere dove.

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Ma che fatica!

In questi giorni di calura mi accingo a compiere un’operazione molto delicata al limite del suicidio.

Vorrei tradurre in inglese un mio testo ma pensavo fosse più facile. 😀

Qualcuno potrebbe suggerire di usare Google ma sarebbe fatica sprecata. Per piccole frasi può ancora funzionare ma su un testo complesso, come quello scelto, diventa una follia.

Quindi da bravo orso curioso ho scandagliato il profondo web, poi mica tanto 😀 alla ricerca di siti adatti allo scopo. Nessuna speranza di qualcosa di gratuito, perché se non si paga vuol dire che dietro c’è Google. Tradotto in italiano torno alla casella di partenza. Inoltre sarebbe stata una penitenza tipo finire in prigione e perdere due giri. Ricordate il gioco dell’oca? Più o meno quello. Perché? Le proposte variavano da 2000 a 5000 battute. Un autentico delirio contare le battute, tradurre e poi salvare e via col liscio. Diciamo più o meno lo stesso taglio di Google. Tanto vale usare quello e buona notte.

Poi curiosando tra i siti a pagamento ho scovato questo www.deepl.com che con una spesa di 90 euro l’anno o 9 euro al mese ti consente di tradurre in una marea di lingue il tuo testo senza limite di battute per cinque traduzioni mensili con trenta giorni prova gratuiti iniziali. Fino al giorno prima dell’inizio dell’abbonamento è possibile disdirlo senza pagare nulla. Cosa che ho fatto.

L’orso è curioso di metterlo alla prova, tanto non avrei speso un centesimo, e così ho fatto. Scaricato il testo tradotto, mi sono costruito un modello a due colonne affiancate, più o meno come propone il sito per mettere a sinistra il testo italiano e sulla destra quello tradotto per avere sott’occhio le due versioni.

Le prime righe sembravano promettenti. Ringalluzzito come un gallo, avete visto mai un orso vestito da gallo? Bé, quello ero io. Dunque felice e contento ho proseguito e purtroppo avevo cantato vittoria troppo presto, perché i lemmi usati non rendevano bene l’idea del testo italiano. Quindi tra il cercare frasi idiomatiche e lemmi più aderenti a quello che volevo dire è diventato un calvario. L’andamento di questo è lento, poche righe per volta e tanto tempo nella ricerca. Finora ho rielaborato tre capitoli che tradotti in tempo vogliono dire un paio di mesi per finire se non abbandono prima l’impresa assai temeraria.

Quello che tento,  incautamente, di tradurre è l’ultimo testo pubblicato. Una notte magica San Giovanni,

Una notte magica San Giovanni

Questo è il parto rivisto. Il prologo.

Preface.

When the thirteen cycles have completed their journey, people will find itself at a crossroads: to sink into the Metnàl, in the last circle of Xibalbà in the presence of Uucub Camé, the lord of the seven dead in the house of the jaguar, or to live a new golden age.

Only thirteen sages can save the people of the world and them from falling in the cave of Colbàn. They are the thirteen custodians of the crystal skull.

They must meet up under the sacred temple of Kukulkán in the cave of Hunahpu next to the cenote of Xbalanque.

From the four corners of the earth they will walk to the sacred temple of the feathered serpent.

If a custodian doesn’t answer the call, then the people will fall into Xibalbà without salvation.

The thirteen custodians had designated when the earth had been created. They have passed down their crystal skulls to the selected successor at the time of their death without distinction of gender or people.

Time is marked by their steps.

When they will get to destination of the sacred temple of Kukultàn they ascend towards the sacrificial stone of the Sun and the Moon to descend into cave of Hunahpu.

They must get together at the same time and sit on the bench with their names.

Nobody knows the identity of the other twelve and everyone ignores who will occupy the golden bench, that of the thirteenth custodian.

On the fifteenth of October 2012 the call came and the thirteen custodians went to the sacred temple of Kukultàn carrying the crystal skull received from their predecessor.

From Mexico, Belize, Yucatán and Guatemala thirteen people walked towards the pyramid of Kukultàn.

One after the other they occupied their seat, waiting for that the thirteenth custodian reachs.

Here’s he! He comes as regal as a god. He sits on the golden bench while everyone lifts up their crystal skull.

The people are safe.

A new cycle of B’ak’tun will begin.

Le critiche sono ben accette, i suggerimenti pure, le correzioni super gradite.

Insomma non me la prendo se sono sommerso da male parole.

 

 

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