Lo chalet sul lago

Questo piccolo pezzo l’avevo preparato per stare al gioco della costruzione di un romanzo a più voci. Non è stato accettato perché c’era già un pezzo sullo stesso argomento. Anziché lasciarlo lì, visto che avevo fatto la fatica di scriverlo ve lo propongo.

Puzzone e il sottomura

Il gestore dello chalet sul lago

Sento suonare furiosamente alla porta.

Chi sarà mai quell’imbecille? Vaffa…”. Alzo le chiappe dalla poltrona dove ci sto divinamente. Metto il libro che sto leggendo sul tavolino di fronte.

Mi domando che fretta c’è a suonare in questo modo. Indugio ancora guardando fuori dalla finestra. La vista mi calma un po’ e l’umore migliora. Vedo il bosco che sta cambiando colore. “È l’autunno”. Starei ore a contemplarlo ma qualcuno sta rompendo. Infatti…

Il campanello squilla di nuovo.

Sono Sandro, il gestore dello chalet L’aquila solitaria dove se capita qualcuno per sbaglio vuol dire che ha smarrito la strada.

Il lago è uno sputo d’acqua e le rive sono quasi a strapiombo. “A chi verrebbe in mente di passare una giornata lì? Solo un mentecatto!” L’unico posto pianeggiante è questo e mio nonno ha costruito con le sue mani questo chalet. Mio padre non ne ha voluto sapere niente e così è toccato a me gestirlo.

Può sembrare strano ma meno clienti vedo e meglio sto. Sono un orso da questo punto di vista. Mi piace il silenzio che il bosco fa pervenire alle mie orecchie. Adoro il profumo dei funghi in questa stagione. Insomma avete capito sono un solitario. Quando ho preso la gestione, mia moglie ha fatto fagotto e se ne è andata. Non so dove, né mi interessa saperlo. Non smetteva mai di lagnarsi, di frignare, perché lei voleva fare sempre bisboccia e io mi scocciavo. “Beh! Adesso nessuno glielo impedisce”. Rido, anzi sorrido a questo pensiero, mentre mi avvio verso la porta.

Il campanello squilla ancora in maniera sconcia.

«Arrivo! E la smetta di suonare» urlo tirandomi su le braghe che come al solito sono scese. Non è bello mostrarsi a un possibile cliente mostrando parte delle mutande. Non è che siano sporche ma non è lo stesso un bel vedere.

Tiro il catenaccio che blocca la porta di abete con un frastuono che mi perfora le tempie. “Dovrò oliarlo, perché tutte le volte produce un suono sinistro e acuto”.

Metto il naso fuori per vedere chi è lo scocciatore. Faccio un “ah!” di sorpresa. Un omone grande e grosso infila la punta della scarpa tra lo stipite e il battente per impedirmi di chiudere la porta.

«Che vuole?» Il mio tono è sgarbato quasi infastidito vedendo un possibile cliente.

«Mi manda la barista».

Mi scappa un «fanculo». Devo dirle di smettere di mandarmi dei clienti.

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Cosa pensa Puzzone…

Ulteriore assaggio del nuovo romanzo con Puzzone. Cambia casa e cambia città e questo… ma leggete cosa ne pensa Puzzone.

Puzzone a ottobre vide il capobranco sparire per molti giorni, capendo che qualcosa era cambiato e pure in peggio, perché i fine settimana non erano più quelli di prima. I viaggi in una città che non assomigliava per nulla a Treviso lo misero in confusione. Percepì di essere relegato a un ruolo di comparsa. Il colpo di grazia arrivò con gli scatoloni, che venivano riempiti, mentre la casa si andava svuotando. Una mattina nebbiosa un gruppo di persone mai viste cominciarono a portare via scatoloni e quello che stava nelle stanze. Lo confinarono nel terrazzo, finché il capobranco non lo caricò sull’Audi per scaricarlo un paio d’ore più tardi davanti a un cancello.

Mentre Puzzone si guardava intorno smarrito, un furioso concerto di latrati gli diede il benvenuto. Non era una bella accoglienza quell’abbaiare sguaiato ma Puzzone diede una scrollata stiracchiandosi e infilò il cancello. Il prato era malmesso, nel senso che l’erba era alta senza un alberello sotto il quale schiacciare un pisolino o da usare per fare la pipì. Tuttavia era ampio per muoversi e correre. Di certo era meglio del vecchio terrazzo. Mentre stava esplorando il nuovo posto vide gli stessi figuri che qualche ora prima avevano portato via scatoloni e arredi. Adesso stavano compiendo l’operazione inversa. Avrebbe voluto esplorare la casa ma il capobranco era stato irremovibile vietando l’ingresso. Si rassegnò a selezionare i vari odori nel prato.

Il primo era quello inconfondibile dei topi, diverso da quello percepito nelle corse lungo i canali di Treviso, meno pungente ma ugualmente caratteristico. Si dedicò a cercare le loro tane senza successo. Poi quello acre e maleodorante dei felini. “Maledetti puzzoni” pensò Puzzone ricordando di averne visti al suo arrivo. Non ci aveva fatto caso, impegnato a capire dove fosse arrivato ma non gli erano parsi felici della sua presenza. “Se disponibili a fare amicizia, sarò ben lieto ma se mi fanno la guerra peggio per loro” si disse, mentre si rotolava nell’erba bagnata dalla nebbia.

Puzzone si sentì trascurato, perché a parte la ciotola con le crocchette e l’acqua fresca non lo degnavano di uno sguardo. Sembrò di essere diventato trasparente. Il capobranco e la sua compagna parevano essere stato colti da una frenesia strana. Li sentiva urlare e facevano un frastuono incredibile. Dopo una settimana allucinante Puzzone li vide più tranquilli, mentre la situazione si andava normalizzando. Alla fine poté entrare in casa aspirando il buon profumo di vernice fresca. Un paio di giorni dopo arrivò un uomo con uno strano attrezzo che produceva un rumore fastidioso. Trasformò il prato incolto in un soffice tappetto verde dal profumo buonissimo. Fece dei buchi dove infilò degli alberi talmente gracili che facevano pena. In un angolo fu posizionato una struttura in legno per ospitarlo. Una sistemazione confortevole, pensò soddisfatto.

Sistemata la parte logistica Puzzone doveva insegnare a quei zotici di vicini chi era e farsi rispettare. Dapprima fece capire ai topolini, anche graziosi nelle loro dimensioni, che era prudente girare al largo dal suo giardino. Chi non l’avrebbe compreso terminava la sua vita terrena. Quella folta colonia di felini, abituati a sonnecchiare nel suo regno venne convinta che era meglio cercarsi un altro posto per fare il pisolino. Qualcuno provò a fare il gradasso, convinto che fosse come gli altri stupidi cani, ma batté rapidamente in ritirata se voleva evitare guai peggiori. Altri, più intelligenti, superata la diffidenza iniziale, strinsero amicizia con Puzzone, ottenendo il permesso di entrare nel suo regno. Puzzone pose un’unica condizione di non disturbare merli, cince, pettirossi e altri piccoli volatili, che potevano banchettare nel prato a loro piacimento.

Dopo un mese trovò confortevole la sistemazione, anche se restava tutto il giorno da solo. Il capobranco e la compagna sparivano presto e tornavano tardi. Tuttavia non si annoiò, perché c’era sempre un imprevisto a movimentare la giornata come quella mattina, quando uno sconosciuto scavalcato il cancello si avvicinò alla porta di casa. Batté in ritirata con i jeans strappati e una natica che sanguinava. Nessuno gli aveva insegnato come trattare gli intrusi non graditi ma qualche goccia di sangue di un avo remoto aveva risvegliato le ataviche conoscenze. Se il capobranco o la compagna facevano entrare gli estranei, lui non mostrava la sua forte dentatura ma tutti gli altri dovevano girare al largo.

L’altra novità piacevole era la passeggiata serale in un posto pieno di verde e senza il rischio di finire in acqua. Insieme a lui correvano altri cani. Alcuni pazzi furiosi, perché tentavano di aggredirlo senza molto successo. Con altri era sufficiente una bella annusata e giocare a rimpiattino. Tuttavia quello che aveva suscitato la sua curiosità era il numero di persone, giovani e meno giovani, che camminavano, correvano e sudavano.

Insomma Treviso dopo un po’ rappresentò un ricordo sfumato.

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Piccola anticipazione

Vi regalo una piccola anticipazione che vede Walter e Puzzone alle prese di un caso piuttosto intricato. Questo è il terzo episodio con questi due personaggi dopo Un giallo Puzzone

copertina Kindle

uscito 1 settembre del 2019 e quello scritto a quattro mani con Elena Andreotti di nonsolocampagna, dove Walter e Puzzone sono affiancati da Debora Nardi e Lina.

Un caso per tre – Andreotti Marcolongo

uscito qualche mese prima, 4 febbraio 2019.

Questa terza avventura era da tempo in attesa di essere pubblicata ma non mi decidevo mai di farlo.

Adesso lo sto revisionando eliminando refusi sfuggiti e sistemando alcuni dettagli.

Prologo

La nuova Ferrara – 24 maggio 2019

Trovata morta una donna nel sottomura della città.

Una donna dell’apparente età di trent’anni è stata trovata morta nel tratto del sottomura che va da Via della Fornace a Via Frutteti all’altezza della rotonda di Via Turci. Si trovava in quel boschetto cresciuto rigoglioso senza intervento umano che costeggia il fossato di circonvallazione. Se non fosse stato per il fiuto di un meticcio curioso nessuno dei numerosi frequentatori della zona avrebbe mai visto il corpo occultato dalla folta vegetazione.

La vittima era sprovvista di documenti d’identità e dalle prime risultanze non sembra che siano state denunciate scomparse di persone, almeno negli ultimi giorni. Indossava un vestito leggero di cotone, inadatto alla stagione. Da un primo esame non risultano tracce di violenza ma è presto per capire la dinamica della morte.

Il signor Bruno, da poco residente in città, è solito al termine della giornata lavorativa portare il proprio cane a correre nel tratto tra la Prospettiva e San Giovanni, mentre lui cammina di buon passo.

Ieri sera, poco prima delle sei, il suo cane si è diretto verso questo bosco cittadino e abbaiando ha richiamato l’attenzione del padrone, facendogli scoprire il cadavere. Ha chiamato polizia e 118 per informarli del ritrovamento.

Sembra che il signor Bruno e il suo cane non sia la prima volta che si imbattano in un cadavere o siano coinvolti in casi polizieschi. Infatti è da verificare un riscontro trovato sulla sua partecipazione alla soluzione di un caso intricato di droga a Treviso. Potrebbe essere un’omonimia perché non si conosce di quale città è originario.

Il signor Bruno avrebbe dichiarato agli inquirenti che Puzzone, un nome curioso per un cane, sia dotato di un fiuto straordinario e di una grande destrezza nella caccia ai topi, che in quella zona non mancano. Qualcuno ha fatto presente al signor Bruno che in quell’area sono di dimensioni notevoli. Però lui alzando le spalle pare che abbia affermato in modo categorico: «Non contano le dimensioni. Puzzone con un solo colpo li uccide». Veramente curiosa è questa caratteristica per un cane.

Forse impegnato a rincorrere questi temibili intrusi si è imbattuto nel corpo della donna, permettendone il ritrovamento.

Al momento le notizie sono frammentarie e tutte da verificare.

 

Tutti i miei libri li trovate qui nella mia pagina di autore

 

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Elena’s world

Altro pezzo scritto ai primordi di blogger sempre sul defunto Windows Space.

Era una bella giornata di Luglio, calda e afosa, quando Elena si avviò verso l’Università. Insieme a lei c’erano amiche e i genitori.

Era un giorno importante: quello della laurea. Era il 16 Luglio 2004 e si sarebbe laureata in lingue con una tesi tutta in inglese, che era stata preparata con molta cura. Per migliorare la pronuncia, visto che si sarebbe svolta in inglese, era stata tre settimane a Londra. Che magnifica vacanza! Quanti ricordi piacevoli! Era la prima volta che andava all’estero da sola. Era stata con gli amici in Grecia e in Croazia, ma mai le era stato permesso di fare un viaggio fuori dell’Italia senza qualcuno che l’accompagnasse.

I genitori non erano stati molto propensi a lasciarla partire, perché pensavano che sarebbe incappata in mille pericoli: era una ragazza di 23 anni e chissà quali brutti incontri avrebbe fatto in quel posto lontano da casa. Elena invece era eccitata e non vedeva l’ora d’imbarcarsi per Londra. Anche il viaggio in aereo era una novità, insomma quante nuove esperienze erano concentrate in queste tre settimane!

Era arrivata finalmente la prima volta anche per lei… Inghilterra e Londra, una città vista finora nelle cartoline e basta. Era difficile spiegare, cosa provava una laureanda in lingue alla vigilia della partenza… Questa città rappresentava per lei un mito.

Il volo andò benissimo senza troppi problemi o apprensioni particolari. Era stato il suo battesimo dell’aria. L’aereo atterrò a Heathrow: un immenso aeroporto distante un quarto d’ora da Londra: per arrivare a Paddington aveva viaggiato su Heathrow Express. Durante il trasferimento in città ebbe modo di vedere ai lati della ferrovia la verde campagna inglese, molto bella nel periodo del viaggio: era maggio.

Per raggiungere l’hotel prenotato in centro a Londra una volta giunta a Paddington aveva preso due metrò, i famosi “tube” londinesi. Scese a Bond Street e dopo una breve passeggiata arrivò in Manchester Street, dove era ubicato l’omonimo hotel.

Si fermò un istante ad ammirarlo dall’esterno. Sembrava molto migliore di quello visto sui depliant dell’agenzia viaggi. Era un grazioso edificio del 1919 in mattoni rossi, piccolo e raccolto, vicinissimo a molti famosi locali di attrazione e di shopping, a due passi da Regent’s Park e dalle sponde del Tamigi. Una breve rinfrescata e via per le vie di Londra per scoprirla.

Dopo il secondo giorno aveva capito che le tre settimane sarebbero state insufficienti per godersela in pieno, anche perché durante la giornata doveva frequentare la scuola per perfezionare la sua conoscenza della lingua inglese.

Rimase sorpresa quando si presentò per conoscere chi le avrebbe fatto compagnia per il tempo del corso. C’erano circa 800 studenti, provenienti da oltre 60 paesi, tutti impegnati a perfezionare la loro pronuncia e conoscenza della lingua. ”Non mi basteranno sicuramente tre settimane per conoscerli tutti!” Fu il primo pensiero vedendo quella moltitudine vociante. Una babele di lingue che non comprendeva.

Tra le attività di contorno l’aspettava una gita in barca sul Tamigi. Però questo non era tutto: doveva andare in giro per la città a fare shopping, a visitare monumenti e musei, a trascorrere insieme a qualche compagno le serate al pub. Come avviene in tutte le aule scolastiche aveva fatto amicizia con un gruppetto di ragazze e ragazzi di colore e razze diverse, con cui trascorreva gran parte del suo tempo libero.

Purtroppo, come tutte le cose belle, anche questa esperienza finii. Mentre preparava il bagaglio per tornare a casa esclamò con un sospiro: «Come tutte le esperienze che per un attimo ti tirano via dal mondo in cui si vive, ti restano per sempre nel cuore. Al di là del posto in sé, che alla fine sta lì. Si può sempre tornare… Per quanto si possa pianificare il ritorno, non sarà mai la stessa esperienza di questi giorni. È il momento che conta, sono le persone che incontri che costituiscono almeno il 70% di ciò che vivrai. La stessa cosa è stata per i miei due mesi a Monaco di Baviera, le mie tre settimane a Malta…niente sarebbe stato senza le persone incontrate sul mio cammino. Le tre settimane sono volate in un baleno e il ritorno è con tanti rimpianti. Alla prossima volta, Londra!»

Il 16 luglio filò tutto liscio ed Elena festeggiò con i genitori e gli amici il traguardo raggiunto. Ora sarebbe cominciata la parte più difficile. ”Che lavoro intraprenderò?” si domandò inquieta e smarrita. I genitori premevano affinché lei trovasse un’occupazione nella scuola, ma Elena non ne era molto propensa, perché non rappresentava il suo obiettivo.

Presentò diligentemente la sua domanda alle scuole medie e superiori disseminate nel Gargano per insegnare lingue: inglese o tedesco. Lei risiedeva a San Severo di Foggia e immaginò che finisse in un qualche buco lontano da casa con quattro sputi di abitazione. Nutriva poche speranze che le domande venissero accettate e in cuor suo avrebbe voluto che la chiamata non arrivasse. Invece, ironia della sorte, le diedero un incarico per un anno in una scuola media di un paesino non molto distante da San Severo. Accettò malvolentieri per accontentare i genitori.

L’anno scolastico fu travagliato: non riusciva a tenere a bada quei ragazzini, che la mettevano in difficoltà nonostante avessero solo dodici anni. Finii l’anno scolastico stremata e stressata e per i mesi estivi non pensò più alla scuola, sperando che il nuovo cominciasse senza di lei, così da potersi dedicare alla ricerca di un lavoro diverso. Le sue preghiere non furono esaudite e si ritrovò con un nuovo incarico in un altro paesino della provincia di Foggia.

Se il primo anno fu angosciante, il secondo fu un’esperienza terrificante: quei ragazzini erano davvero delle pesti e i genitori che li spalleggiavano non da meno. Aveva gli incubi di notte e, quando prendeva la macchina per arrivare a scuola, aveva degli attacchi di panico. Era sull’orlo di una crisi di nervi, quindi decise di cercare un posto come receptionist in uno dei tanti hotel della costa pugliese e di chiudere questa esperienza nella scuola.

A fatica concluse l’anno scolastico e poi via alla ricerca. Fece numerosi colloqui, conobbe molti albergatori e alla fine la sua ricerca fu premiata. Trovò un hotel, che lavorava prevalentemente con clientela straniera praticamente tutto l’anno, Fu assunta in prova. Il grimaldello era stato la sua ottima conoscenza del tedesco e dell’inglese.

Così terminò la sua carriera d’insegnante e iniziò quella di receptionist.

L’hotel era molto grande e dotato di molte risorse: dalla piscina alla palestra, dalla sauna al kindgarten, dagli animatori agli insegnanti di ballo. Si trovava sulla costa nella zona di Peschicci ed era un grande edificio con annessi bungalow e piccole costruzioni destinate al divertimento il tutto immerso nel verde.

Gli erano stati offerti due locali con bagno nel seminterrato dell’edificio principale, dove all’occorrenza poteva trattenersi per la notte o riposarsi tra una pausa e l’altra.

All’inizio non pensava che dopo il periodo di prova la confermassero, perché aveva pasticciato in più di una occasione, ma con suo grande stupore e gioia le dissero che sarebbe rimasta.

Il personale era numeroso anche nei momenti di maggiore calma, perché era come un minuscolo villaggio delle vacanze. Con alcuni legò maggiormente, con altri i rapporti erano freddi e distaccati.

Col primo stipendio si fece un regalo: un bel portatile su cui scrivere tutto quello che le passava per la mente tanto che divenne un compagno fidato e inseparabile.

 

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Le Bollicine di Simona

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Era 25 Settembre del 2004. Il gran giorno era arrivato.

Vasco Rossi concludeva il suo tour per l’Italia a Catanzaro. Tutta la Calabria e la Sicilia erano in fibrillazione per il suo arrivo.

Simona era trepidante per l’evento, come c’era una grande attesa tra i suoi amici Nino, Stefano e le amiche Rossella, Paula e tanti altri che l’elenco sarebbe diventato lunghissimo.

Questo era il secondo mega concerto di Vasco che si accingeva ad ascoltare. Quattro anni prima appena ventenne aveva fatto una lunghissima fila per acquistare i biglietti. I ricordi affioravano netti: come aveva corso per essere tra i primi della fila, come aveva dovuto lottare per convincere i suoi genitori a lasciarla andare! Suo padre diceva che al concerto c’era solo una massa di drogati, ma lui non aveva voluto ascoltare le mie parole “Papà, tra i drogati c’ero anch’io!”. Voleva ringraziare chi le aveva fatto ascoltare Vasco per la prima volta, quando ancora quasi non sapeva dire il suo nome: ” CIAO MA’!”.

Lei voleva riascoltare “VOGLIO UNA VITA…CHE NON È MAI TARDI! DI QUELLE CHE NON DORMI MAI!!!”.

A Simona come ritornavano i ricordi, come si ripresentava tutto quello che era, che aveva fatto, la verità e una versione di sé che era quella reale, fuori degli schemi. Sembrava che qualcosa la spingesse avanti, una voglia di ridere incredibile, un gran desiderio di correre, come aveva corso quattro anni prima per comprare i biglietti del primo concerto.

Aspettava con impazienza che il gran giorno venisse. Avrebbe ricominciato a far scorrere fiumi di parole sul suo diario, per poter vivere di rendita come l’altra volta per un concerto che sarebbe durato nella sua testa almeno per un anno!

L’aspettativa era talmente grande che la sera prima Simona non era riuscita a dormire. Erano le quattro del mattino, quando presero il treno per Catanzaro. Dovevano essere all’Area Verde prima di tutti per godersi gli ultimi istanti dei preparativi di Vasco e della sua Band. L’ingresso era gratuito e dovevano essere là presto se volevano prendere un buon posto d’ascolto. Era emozionata come la prima volta!

Il tour 2004 iniziato a Latina il 30 maggio terminava a Catanzaro il 25 settembre. Leggendo la scaletta, questa comprendeva 29 canzoni tra cui “Bollicine”. Però mancava “Vita spericolata”, che era la sua canzone simbolo, perché tutta la sua esistenza era stata vissuta di corsa, per schizzare via a prendere i treni, che passavano una sola volta.

Simona e i suoi amici raggiunsero il posto e si sistemarono per bene nella attesa dell’inizio del concerto insieme a tanti altri giovani e meno giovani venuti ad ascoltare il mitico Vasco.

Vasco attaccò con “Cosa vuoi da me” seguito da “Fegato, fegato spappolato”. Queste prime due canzoni ebbero il potere di scaldare la platea.

Mentre il concerto si snodava con il susseguirsi delle canzoni, il cielo diventava sempre più imbronciato e minacciava pioggia a catinelle. Si chiese: “Sarei riuscita ad ascoltare ‘Bollicine’ prima del diluvio universale?” Questo avrebbe annegato tutti questi peccatori venuti ad ascoltare Vasco, personaggio scomodo e fuori degli schemi.

Simona continuava a guardare il cielo preoccupata, finché le note e le parole della canzone non riecheggiarono nella vasta area.

“….

bevi la coca cola che ti fa bene

bevi la coca cola che ti fa digerire

con tutte quelle, tutte quelle bollicine …

Poi dal cielo cominciò a scendere la pioggia sempre più forte. Simona insieme agli amici aveva corso, come mai lo aveva fatto in vita sua. Non desiderava beccarsela tutta. Aveva corso esattamente nello stesso modo con cui prendeva i treni perché sapeva che passano una sola volta, pensando che la sua vita fosse davvero SPERICOLATA!

Bagnati, ma felici ripresero il treno per Messina. Simona lo era in modo particolare, perché aveva potuto riascoltare dal vivo il suo idolo, il suo mito, perché aveva voglia di correre, di non fermarsi mai.

Si sentiva inquieta, perché si era persa fra tante parole, scritte e dette, sue e degli altri, diventando poi pensieri sempre più complessi e, alla fine, incubi.

Se guardava dentro di sé, quelle parole le hanno fatto bene solo per un po’. Però adesso era il momento di smettere, perché la incatenavano a quello che era stato, mentre doveva cominciare a pensare che anche la giornata era già passata.

Era arrivata a queste conclusioni ascoltando durante il viaggio di ritorno a Messina le canzoni dei Pink Floyd nell’album THE DIVISION BELL. Si rivedeva a diciassette anni, seduta davanti allo stereo, quando questi pezzi rombavano nella testa e pensava al suo futuro, visto che di passato ancora non poteva parlare. Ma adesso erano passati sette anni, un po’ di passato l’aveva alle spalle. “I knew the moment had arrived for killing the past and coming back to life”.

Così capì che stava inseguendo non un sogno ma un’ossessione. Si era persa dentro i pensieri, che le avevano riempito solo la testa e il cellulare di parole che nella vita reale non servivano. Doveva dare una svolta alla sua esistenza. Tagliare con quel minuscolo passato che si era formato in quei sette anni.

I feel persecuted and paralized” canticchiava Simona, mentre ripensava a lui, il sogno che inseguiva da tanto tempo. “Credo sia arrivato il momento di smettere di farmi condizionare dai discorsi di chi in fondo di me non si preoccupa. TORNO SU ME STESSA! Quello che spero è di rimanere su questa posizione e non tornare su questa decisione”.

La preoccupavano non poco quegli incubi, ma poteva chiamare il suo guardiano dei sogni, che ultimamente si era un po‘ distratto. “Deve essere difficile lavorare con me“. Rise a questo pensiero prima di tornare seria. “I suoi occhi scuri bastano per calmarmi. A volte sparisce, ma almeno non mi riempie la testa di concetti stupidi”.

Il giorno dopo si ritrovarono tutti da Billé a gustare gli ultimi gelati di una lunga stagione estiva. Avrebbero parlato del concerto del giorno precedente, della fuga precipitosa sotto il diluvio universale, che puniva quel popolo di miscredenti, che idolatrava come un Dio il mitico Vasco. Era la giusta punizione verso tutti questi peccatori, che della trasgressione facevano uno stile di vita.

Poi la lunga passeggiata sul lungomare a parlare del futuro, di cosa ci riservava il domani, dei sogni e delle speranze, insomma di tutto quello che i giovani parlano, quando si frequentano.

Da quel giorno di settembre non si era fermata mai. Dapprima era arrivata la laurea in lingue straniere con il massimo dei voti. Poi era riuscita a strappare ai suoi genitori il consenso per frequentare a Milano un master di Marketing e Comunicazione presso una prestigiosa Università. Questo avrebbe cambiato la sua vita perché avrebbe traslocato e vissuto lì per almeno un anno lontano da casa. Tuttavia la ciliegina sulla torta sarebbe stata ascoltare il concerto di Vasco nel prato di San Siro tra qualche mese, a luglio.

I giorni passarono veloci nella preparazione dell’imminente viaggio a Milano. Simona doveva trovare un posto dove alloggiare nei primi tempi nella attesa di sistemarsi in modo meno provvisorio. Doveva comprare del vestiario adatto al clima rigido del Nord, perché a Messina non le servivano, insomma per prepararsi a quella lunga trasferta tanto sognata, ma anche temuta.

“Riuscirò a resistere lontano di casa? La nostalgia mi assalirà? Come reagirò a svolgere tutti quei compiti, che ora minimamente mi sfiorano?” Questi erano i suoi pensieri, i suoi dubbi, ma non li diceva apertamente, perché voleva dimostrare di essere in grado di superare qualsiasi avversità.

Simona passò le sue giornate tra dubbi ed euforia, finché il gran giorno non arrivò. Salutò gli amici, la mamma, che non era contenta di vedere partire la figlia per luoghi lontani, dopo aver visto allontanarsi il figlio per la carriera militare. Sentiva la casa vuota, svuotarsi di tutti gli affetti ed era triste.

Simona sapeva di darle un grosso dispiacere, ma la voglia di avviarsi per affrontare questa nuova avventura era talmente forte da superare anche l’affetto che provava per lei. Prese il treno e partii per il lungo viaggio attraverso l’Italia verso nuovi orizzonti.

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Nuova puntata di una storia impossibile su Caffè Letterario

A chi fosse sfuggito c’è qui

una nuova puntata di quella sbilenca storia che sto scrivendo.

È passato un po’ di tempo, lo so,  ma non ritenevo corretto pubblicarne un po’ qui e un po’ là, quindi ho scelto di metterle tutte su Caffè Letterario come le altre che sono qui.

Buona lettura.

Una notte magica San Giovanni
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I fantasmi esistono

Una notte magica San Giovanni

 

Il vento di novembre non è così freddo, come ci sembra. Si rabbrividisce quando camminiamo per la strada stringendoci nella giacca o nello spolverino. Il tempo in questa stagione è uggiose e nebbioso. L’umidità e la tristezza dell’anno che sta morendo gela i nostri pensieri. A novembre tutto ti avvolge in un’atmosfera che paralizza il nostro calore e la mente.

La mia amica Carlotta comincia a sentire freddo dalla sera del trentuno ottobre, e continua a tremare fino a Natale. Non ci sono vestiti o coperte abbastanza pesanti da riuscire a scaldarla, si lamenta di avere i piedi ghiacciati. Ovunque vada non si toglie mai il cappotto. Credo di non aver mai visto quali abiti indossi durante quel periodo. I suoi sentimenti entrano in un completo stato d’ibernazione tale da trasformarla in un’altra persona, del tutto irriconoscibile. Non esce più di casa. Ignora gli amici. Trascorre il Natale aspettando che l’anno muoia. Dal primo di gennaio torna alla vita di tutti i giorni, uscendo di casa e parlando con gli amici. Rinasce alla vita come il nuovo anno.

«La maggior parte delle persone non crede ai fantasmi, ma io so che esistono.» Carlotta mi ha fatto questa confidenza in una mattina di maggio, soleggiata come può esserlo in questo mese. Il tono di voce è allegro, e i suoi capelli lunghi si muovono seguendo il ritmo del vento. Siamo sedute al tavolo di un bar all’aperto con due granite al limone davanti a noi. Mi dice che vede i fantasmi ogni giorno. «Ma è a novembre che li percepisco con chiarezza

Carlotta è una strana ragazza, difficile da comprendere. Cosa vedono i suoi intensi occhi neri non si capisce dalle sue parole. Il suo sguardo sembra trapassare i corpi perdendosi in immagini percepibili solo da lei, quando parla con le persone. Non rivela quello che percepisce nel suo animo con nessuno, forse solo con me riesce ad aprirsi un po’. Tuttavia quello che nasconde, lo indovino interpretando le ombre che le attraversano gli occhi. Quella è stata la prima volta che mi ha parlato di fantasmi. Non vi ho prestato attenzione, perché era la prima volta che faceva discorsi strampalati. Solo chi la conosce molto bene riesce a seguire il filo invisibile delle sue sensazioni senza perdersi nel groviglio delle sue idee.

Le ho chiesto a cosa è riferita quell’affermazione, riscuotendomi dall’apatia di ascoltarla. So che spesso ha dichiarato che non crede in una qualsiasi forma di esistenza dopo la morte.

«I fantasmi sono dappertutto!»

La sue parole mi hanno lasciato basita, mentre rideva aggiustando una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

«È solo che la gente li ignora, o finge di non vederli. Io invece li ascolto.»

Un’ombra indefinibile passa nei suoi occhi, mentre Carlotta lascia cadere il discorso. Io non ho voluto approfondire il discorso. La conosco troppo bene per capire che non voleva parlarne.

In una grigia sera di novembre si è aperta con me, parlando dei suoi fantasmi. Aveva piovuto tutto il giorno e l’umidità restava appiccicata sull’asfalto e sulle macchine come una patina lucente. Sul telefono è arrivato un suo messaggio ‘I fantasmi sono tornati.e nient’altro. Non sono rimasta stupita, perché mai telefona e non ama ricevere telefonate. Usa solo i messaggi e la posta elettronica, perché è il suo modo di parlare senza comunicare, togliendo all’altra persona la responsabilità della risposta. Conosco lo stato d’animo di Carlotta durante quel periodo dell’anno, quindi mi sono precipitata a casa sua. È raro che in questo periodo tenti una qualsiasi forma di contatto con gli altri, e se lo ha fatto significa che ha bisogno di aiuto.

Quando arrivo da lei, la trovo pallida, di un pallore che non ispira tranquillità. Tuttavia non sembra infelice, anzi mi accoglie con affetto, offrendomi una tazza di caffè. Si muove come se abbia pensato che sia passata per caso. Mi chiedo se non ricorda il messaggio inviato o crede di non averlo spedito. Dopo aver chiacchierato del più e del meno, mentre lava le tazze del caffè mi dice: «Sandra è morta il quindici novembre di cinque anni fa.»

La sua uscita mi fa sgranare gli occhi, come se non sappia che in effetti è morta. Conosco Carlotta dalla scuola elementare e ricordo l’incidente di moto a causa del quale Sandra, la sorella maggiore, è deceduta mentre stava tornando a casa dall’università. Carlotta ne è rimasta sconvolta, ma benché abbia ripreso a condurre una vita normale, ho avuto il presentimento che quell’evento le sarebbe rimasto conficcato come una spina per sempre. In fondo è normale, ma non lo è, quando lei crede di vedere il fantasma di Sandra, ammesso che questo sia il senso del messaggio inviato. Comincio a preoccuparmi. Cerco il modo di affrontare l’argomento, quando lei prosegue: «Vorrei rivederla, anche per pochi attimi. Ormai non ricordo neanche bene il suo viso. Vorrei che fosse vero che le anime di quelli che amiamo e che sono morti prima di noi tornino a trovarci ogni tanto. Non sarebbe meraviglioso? Ma non è possibile, perché i morti restano morti. In realtà sono i vivi che ci perseguitano. Ieri stavo facendo la spesa al supermercato. E indovina chi mi sono trovata davanti? Monica! Te la ricordi? Sto avvicinandomi per salutarla, quando all’improvviso è svanita!»

Ascolto senza stupore il suo racconto e non so bene se stesse scherzando o se parlasse sul serio. Mi ricordo bene di Monica. Siamo state amiche inseparabili ai tempi del liceo, soprattutto Carlotta era molto legata. Però un giorno hanno litigato per un motivo futile che non ricordo affatto, e da allora non si sono più parlate. Carlotta non ha saputo più nulla di lei. Monica è viva. Amici comuni mi hanno riferito che si è trasferita a Parigi e lavora in una casa di moda.

«Stamattina invece,» proseguì Carlotta interrompendo il flusso dei miei pensieri, «nello specchio mi è apparsa la faccia di Marco. Abbiamo chiacchierato un po’, poi è sparito anche lui.»

Marco è stato il ragazzo di Carlotta per tre anni durante l’università, poi lei lo ha lasciato perché non sopportava più il suo carattere oppressivo e geloso. Pur non essendoci state liti, non si sono più rivisti, e nessuno dei nostri amici sa che cosa faccia adesso.

«Ma, Carlotta, stai parlando di persone che fanno parte del tuo passato, perché ci pensi proprio adesso?» Sono ancora più preoccupata della piega del nostro colloquio.

«Ma io non ci penso, io le vedo!» È sorpresa per la domanda tanto sciocca.

«Cosa significa che le vedi?» Sono ormai decisamente agitata.

«Le vedo.» E guardò al di fuori della finestra. «Come ti vedo ora. Li vedo tutti. Spesso e dappertutto. A volte mi parlano, oppure si limitano a fissarmi in silenzio. Non solo Marco e Monica, ma tutte quelle persone che ho incontrato e che hanno fatto parte della mia vita per un po’. Magari l’hanno anche cambiata, migliorata forse, comunque mi hanno resa quella che sono adesso. Poi a un certo punto sono scomparsi, come se fossero morti, alcuni perché gli eventi ci hanno allontanati, ma altri solo per pigrizia, paura o rancore. Qualcuno forse p ancora darmi qualcosa, e io a loro, ma non ci sono più.» Parla con calma serena, ma le ombre tornano ad affollarsi nei suoi occhi. «A volte vedo anche te, Paolo, i miei… Tutti voi che siete con me ogni giorno e vi posso toccare, parlare, e che non mi lasciate sola. Ma non ci siete sempre. A volte perdo il contatto anche con voi. Forse un giorno vi perderò perché ci sono molti aspetti nella vita compresa la morte. E non vi avrò detto quello che voglio dirvi davvero.»

Per un attimo ho creduto di cadere dentro i suoi occhi scuri e insondabili senza riuscire a emergere. Poco dopo me ne sono andata, ma sono turbata da quello che mi ha detto. Quando apro la porta di casa la trovo lì, sulla soglia. È lei, con i suoi capelli neri dagli occhi incredibili, non ho dubbio. Sto per chiederle cosa ci faccia a casa mia, ma quando apro la bocca, all’improvviso svanisce.

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