Su Caffè Letterario è stato pubblicato la puntata ventitré di Krimhilde e le fanciulle scomparse. Per i pigri la riporto anche qui.
Markus osserva con interesse professionale la stanza. Legni pregiati di cui ne ha sentito solo parlare ma mai visti e di cui ignora il nome esatto, disegni di alta classe usciti dalle menti più creative della Terra di Mezzo. Sfiora con le mani un comò nell’angolo sinistro della stanza da letto dalle linee semplici. Una forma pulita senza fronzoli pretenziosi e con le maniglie di avorio giallo che rappresentano una mano chiusa a pugno. Apre il cassetto in alto e strabuzza gli occhi. Una serie di camice di lino mediano azzurre, bianche, a righe larghe o strette sono riposte con cura. Controlla e rimane a bocca aperta. Sono la sua taglia. Sembrano fatte su misura per lui. Dall’armadio sceglie un vestito di lana pettinata che si intona perfettamente con la camicia a righe larghe bianca e azzurra.
Si sta ammirando davanti allo specchio interno dell’anta quando sente la voce di Baldegunde che lo riporta sulla terra. «Non sei ancora pronto? Tra cinque minuti ci aspettano da basso».
Markus si gira e apre la bocca per la sorpresa. Nessuna parola esce dalle sue labbra. Gli occhi sfavillano osservandola. “Se non sapessi chi è, non l’avrei riconosciuta”.
«Non fare il buffone!» lo rimbrotta sapendo che il suo abbigliamento avrebbe generato stupore. «Non hai mai visto una donna?»
Un abito di organza rosa con la blusa blu tutta sbuffi e aderente al corpo mette in evidenza le forme di Baldegunde. Markus l’ha vista sempre infagottata nei vestiti di ordinanza anonimi e scialbi, dai colori smorti come il grigio, il verde sbiadito o il viola. Lui li ha sempre definiti come sacchi di patate indossati da una donna fatta uomo. Il seno che può ammirare, quando nel letto la stringe a sé, rimane nascosto dalle camice di tela grezza ampie e informi che coprono anche i fianchi ben modellati. Non migliora l’aspetto nemmeno quando indossa le uniforme di gala ugualmente sgraziate che occultano l’essenza di donna. Adesso la può apprezzare in tutto il suo fascino femminile.
Fischia per l’ammirazione verso la compagna che ride soddisfatta. Poi lo prende sottobraccio e raggiungono la sala al piano terra.
Markus osserva la disposizione delle stanze che non ricorda che fossero così al loro ingresso. Gli sembra di essere immerso in caleidoscopio che modifica le immagini a ogni giro.
Baldegunde lo spinge dentro un enorme salone nel cui centro sta una lunga tavola. «Uno, due, tre…» conta i posti e strabuzza gli occhi. «Tanti commensali?»
Una tovaglia di broccato rosso con disegni in oro è stesa sotto piatti e posate di argento che brillano illuminate dalle candele poste sulle pareti. Bicchieri e calici di cristallo colorato sono disposti davanti alle stoviglie.
Baldegunde è affascinata da simile opulenza e tiene la bocca aperta per lo stupore. Adesso è Markus a ridere per lo sguardo incantato della compagna di fronte alla meraviglia della preparazione della tavola.
Si avvicina e legge i segnaposti ‘Brunhilde, Andrea, Sofia, Gwendolin,…’ Ai due estremi del tavolo scopre che la mano che sorregge il biglietto reca i loro nomi. «Tu sei là» e indica il posto da capotavola. «E io qua».
«Sedetevi. Tra pochi minuti arrivano le portate. Mancavate solo voi».
Una voce cristallina e giovanile fa sobbalzare Baldegunde che si guarda intorno poiché non vede nessuno degli altri commensali.
«Non ti preoccupare Baldegunde. Noi ti vediamo ma tu non puoi vedere noi».
Le sorprese non sembrano finire mai.
***
La notte è passata e dalla fessura nel soffitto della caverna filtra un pallido raggio di luce.
Nessuna delle cinque fanciulle è riuscita a dormire. Si sono lamentate, si sono chiamate l’un l’altra, hanno pianto in modo disperato.
Un nuovo giorno sta cominciando senza nessuna certezza che qualcuno venga o a liberarle o a portare qualcosa da mangiare.
Gislinde si lamenta perché secondo lei è da una vita che si trova prigioniera lì.
«Ma no!» La corregge Agnete. «È passata solo una settimana».
«Come fai a saperlo?» Rimbecca Reinhilde, perché secondo lei il tempo si è fermato.
Aglaja sorride in silenzio mentre col dito scorre sul legno a contare le tacche. “Io sono qui da nove giorni e sono stata l’ultima”. Tace per evitare che le compagne siano colte da angoscia e paura. “La tensione si è stemperata con questa vivace discussione sul tempo della prigionia e non la voglio incrinare”.
Il suo stomaco vuoto brontola perché reclama cibo. Deve pazientare e sperare che la loro carceriera passi. Se nei giorni precedenti faceva la preziosa col cibo, piluccando qua e là qualcosa, nella giornata odierna mangerebbe qualsiasi cosa di commestibile.
Adelinde, che passava le sue giornate in posizione fetale, parlando il minimo indispensabile, adesso sembra aver perso l’uso delle parole. Ascolta il chiacchiericcio delle compagne ma non memorizza nella mente nulla. È come se fosse sorda.
Parlando tra loro riescono in un qualche modo dimenticare che sono da due giorni senza cibo.
«Sta arrivando!» urla Reinhilde che è la più prossima all’ingresso.
«Chi?» Adelinde sembra aver riacquistato l’uso della parola.
«Lei!» Conferma Reinhilde che per la prima volta è felice per l’arrivo della carceriera. Ha sentito il passo pesante dello stallone delle nevi che annuncia il suo avvento.
Senza proferire una parola porta cibo e indumenti freschi. Si sbriga veloce come se avesse un appuntamento urgente. Vuole evitare di dover dare spiegazioni sulla mancata venuta del giorno precedente e per farsi perdonare ha portato razioni abbondanti. Poi frettolosa se ne va senza salutare.
Le fanciulle si gettano sulle porzioni con voracità, ignorando il comportamento sbrigativo della carceriera. Nessuna parla. Non ne hanno tempo perché devono placare la fame.
«Oggi la cuoca per farsi perdonare ha proposto piatti più gustosi». Gislinde si umetta le labbra per cogliere tutti i residui del cibo.
«Forse la fame ti ha fatto apprezzare lo stufato di montone nero duro come un sasso» replica divertita Agnete tutt’altro che soddisfatta del pranzo.
«Meglio le patate nere lessate e insipide che il nulla. Non facciamo troppo le schizzinose, perché ieri avremo mangiato qualsiasi cosa per la fame. E oggi pure ma troviamo tanti difetti alle porzioni ricevute».
Aglaja ride nel sentire le chiacchiere delle compagne. “Sarebbe andato bene qualsiasi cosa, purché fosse commestibile” e col dito pulisce la scodella, perché ha finito tutto il pane nero al timo di montagna. “E stasera?” Alza le spalle: pulirà la scodella con la lingua e il dito.
Reinhilde, rimasta in silenzio fino a quel momento, trova stucchevoli tutte quelle lamentele. “Il cibo non è stato mai all’altezza della mensa del Castello. Che a dire il vero era modesta. Però oggi era buonissimo!”
Anche Adelinde ha trovato che nella giornata odierna tutto era gustoso. “È inutile fare le difficili. Piuttosto che rimanere anche oggi a pancia vuota, va bene tutto”.
Finito il pranzo è il momento del cambio dei vestiti e dell’intimo che dopo quattro giorni emana un afrore non proprio gradevole. Soliti gridolini e imprecazioni per la ruvidezza dei tessuti salgono dalle varie celle. L’atmosfera è mutata rispetto al risveglio. Allegra e vivace. Per qualche ora dimenticano la loro condizione di prigioniere.