Elisa, una donna di statura media, aveva i capelli ricci e scuri. Gli occhi non erano molto espressivi per l’azzurro chiaro slavato senza luce che si smorzava sul viso troppo bianco. Ai tempi della scuola non aveva corteggiatori e questo l’aveva infastidita non poco. Mentre le compagne avevano nugoli di ragazzini brufolosi intorno, lei era sempre sola. Il seno era stato un altro suo cruccio. Era minuscolo, quasi invisibile, diversamente dalle compagne che ne avevano in abbondanza. In quel periodo faticava a comprendere quali sensazioni provassero a essere palpeggiate, perché lei non era l’oggetto del desiderio dei compagni.
Il suo carattere scontroso non aveva favorito i rapporti coi compagni. I maschi non la degnavano di uno sguardo. «È uno scorfano» era il loro migliore complimento. Le ragazze la snobbavano trattandola con superiorità. Per questi motivi aveva iniziato a guardare con attenzione al mondo degli adulti che le sembrava più interessante rispetto a quello dei coetanei. Non aveva mai visto un corpo nudo né femminile né maschile. Le uniche nudità erano le foto e i giornaletti hard che circolavano numerosi tra i banchi di scuola. I genitori erano stati discreti sia nei rapporti di coppia sia nel girare nudi per casa per non turbare la figlia e non avevano mai parlato con lei di sesso. Quello che sapeva l’aveva appreso dagli altri ragazzi senza comprenderne i meccanismi.
Elisa aveva fantasticato come avrebbe potuto essere un uomo adulto nudo e avrebbe voluto vedere suo padre se corrispondeva alle sue fantasie. La sua curiosità venne soddisfatta a quattordici anni una sera di fine giugno particolarmente calda. Non riusciva a prendere sonno, quando sentì dei rumori provenienti dalla stanza dei genitori, si alzò e non vista poté osservare prima la madre poi il padre che nudi andavano nel bagno. Il membro del padre la colpì perché non aveva immaginato che potesse essere così grosso e lungo. Tornata in silenzio a letto aveva cominciato a sognare in maniera confusa di essere posseduta da un uomo che aveva le sue sembianze. Alla mattina si era svegliata coi capezzoli turgidi e duri, con le mutandine bagnate e odorose di un profumo strano.
Continuò a sognare amplessi impossibili perché non aveva idea in quale posizione una donna doveva stare durante un rapporto sessuale finché un giorno non aveva sorpreso Angela, una ragazza di ventidue anni abitante nel suo caseggiato, negli scantinati con un uomo. Era sdraiata su un tavolo basso con le gambe aperte a penzoloni, con la gonna sollevata e gli slip su un piede. Era sovrastata da uno, che riconobbe come un vicino sposato con figli: aveva i pantaloni e le mutande abbassate. Aveva osservato con curiosità Angela e come lei assecondava l’andirivieni dell’uomo, inarcando la schiena. Era affascinata e non aveva staccato gli occhi dai loro movimenti. Adesso sarebbe stata in grado di trasformare i suoi sogni in qualcosa di reale. Ebbe modo di studiare altre volte questi amplessi. Sempre più spesso si trovava alla mattina bagnata e sempre con quell’odore strano. Capì che erano gli umori che la sua vagina emetteva durante i sogni notturni. Elisa in quell’estate si era trasformata da adolescente acerba a ragazza, mentre agli occhi dei coetanei rimaneva un’estranea, sempre più diversa.
Finite le medie, era il tempo d’iscriversi alle scuole superiori. Doveva operare una scelta. Era attratta dai monumenti antichi, dai ritrovamenti di reperti e amava il bello. Essendo brava a disegnare scelse l’Accademia di Belle Arti. In quel ambiente meno conformista, rispetto alla scuola frequentata fino allora, acquisì un’aria di mistero e divenne più impenetrabile ed enigmatica, sfuggente e sensuale. Il suo corpo emanava un odore mascolino che le donava un fascino tutto particolare. Gli occhi chiari senza luci si illuminavano nel momento in cui incrociava un uomo che le piaceva e come un’ammaliatrice catturava la loro attenzione con il suo sex appeal.
A sedici anni sembrava più matura della sua età. Attirava l’attenzione di uomini adulti o molto maturi che desideravano o speravano di avere rapporti sessuali, che lei riusciva a evitare all’ultimo momento per paura.
Quasi tutte le notti esplorava il monte di venere coperto da pelli soffici e serici per poi scendere con le dita tra le grandi labbra fino al imene che avvertiva elastico e morbido. Provava piacere nel sentire quella membrana flettersi dolcemente sotto la pressione delle sue dita. Si sentiva pronta a stare fra le braccia di uomo.
Il tramonto l’aveva sempre affascinata. Si perse nell’assistere allo spettacolo del sole che calava dietro quel boschetto nella campagna piatta della pianura.
Camilla si era fermata sul ciglio della strada per fissare nella retina quel disco rosso che imporporava il cielo ricoperto da nuvole.
Era un fermo immagine che voleva conservare nella mente, mentre le ombre della sera diventavano lunghe e scure.
Riavviò la macchina e riprese il tragitto verso casa. Lo stradone era deserto, mentre i fari dell’auto tagliavano l’oscurità del giorno morente.
Spense la radio. Non voleva interrompere il flusso dei pensieri. La giornata odierna per Camilla era stata pesante e solo la visione di quello spettacolare tramonto aveva avuto il potere di spezzare la spirale negativa della sua mente.
Era cominciata male al risveglio. Carlo era indisponente più del solito. Non andava bene nulla. La camicia stirata, i pantaloni in tintoria, come se fosse colpa sua se lui li sporcava a tavola, la giacca sgualcita. Sembrava che volesse attaccar briga su ogni cosa.
«Sei noioso» aveva esternato Camilla, sbuffando, mentre davanti allo specchio modellava le labbra col rossetto. «Non sono la tua schiava».
Carlo urlò qualcosa che lei non capì a pieno o forse finse di non sentire. Alzò le spalle. “Urla quanto vuoi” pensò, mentre finiva di cotonarsi i capelli.
«Il caffè è freddo» gridò con voce stridula.
«Dovevi alzarti prima, anziché poltrire nel letto» rimbeccò Camilla, che cominciava a manifestare insofferenza alle parole del compagno.
«Ma io esco un’ora dopo di te» precisò Carlo.
Camilla sorrise e si morse il labbro, contando fino a dieci. Tutte le mattine era una replica dei suoi lamenti per il caffè. “Beato te, che puoi startene sotto le coperte un’ora in più” pensò, osservando con la coda dell’occhio la sveglietta sul ripiano di cristallo del bagno. Erano le sette e se non si sbrigava sarebbe arrivata tardi in ufficio. Doveva percorrere un bel tragitto. Almeno un’ora di viaggio. Questo tutte le mattine. Doveva tenersi almeno venti minuti di margine, perché un ingorgo o un incidente avrebbe allungato i tempi di percorrenza.
«Ciao» disse Camilla, afferrando le chiavi e la tracolla prima di uscire.
Carlo grugnì qualcosa come il solito.
Camilla viveva in coppia con lui da cinque anni ma il loro rapporto tendeva a deteriorarsi un giorno dopo l’altro. Il grande amore iniziale stava lasciando il posto alla freddezza di sopportarsi a stento. Quello che li teneva uniti al momento era il mutuo della casa ma presto anche questo pretesto sarebbe caduto. Almeno era la convinzione di Camilla, che doveva decidere se comprare l’altra metà dell’appartamento oppure vendere tutto e trasferirsi vicino al lavoro. Tutti i giorni doveva farsi una cinquantina di chilometri per raggiungerlo e questo cominciava a pesarle.
Se poi ci aggiungeva la difficoltà a trovare un parcheggio comodo vicino, il pensiero di trasferirsi diventava quasi certezza. Le piaceva l’idea di andarci in bicicletta o a piedi e tornare a casa durante la pausa pranzo. “Anche oggi devo sostare lontano” sbuffò, mentre infilava la sua Toyota tra due suv.
Camilla era interior designer senior in uno studio di architettura, dove progettava gli interni di appartamenti e uffici. Nonostante avesse poco più di trent’anni, aveva fatto carriera in fretta per la sua capacità di coniugare raffinatezza e praticità in maniera funzionale alle persone che dovevano vivere o lavorare in quei locali. Una dote professionale che era stata apprezzata dal capo dello studio.
Entrando nell’ufficio, aveva trovato un appunto del suo capo: una grossa grana da risolvere in fretta.
‘Il cliente Amos non è rimasto soddisfatto del lavoro di Anna. Puoi dare un’occhiata?’
Un modo elegante per dire che il progetto era da rifare. Sbuffò indispettita perché la giornata minacciava a proseguire male dopo i prodromi del risveglio.
Se c’era un aspetto del suo lavoro che la innervosiva era dover intervenire sull’operato di qualche collega con gli inevitabili peggioramenti dei rapporti interpersonali. Nello studio oltre a lei c’erano altri tre che operavano nel suo campo e ognuno aveva la propria sensibilità e il proprio tocco personale nella progettazione. Agire su questo le creava ansia, perché si rischiava di rendere disomogeneo il colpo d’occhio complessivo oltre al loro astio.
Con Anna non c’era sintonia. Estrosa e innovativa badava poco al funzionale con ricadute negative sull’uso della concreto dell’ambiente da progettare. Camilla aveva convenuto che fosse stato un azzardo affidare il progetto del loft ad Anna, conoscendo come Amos fosse poco incline alle stravaganze moderne della collega. Ne aveva parlato con Marco ma lui era stato irremovibile, perché Anna aveva delle buone qualità potenziali ma doveva maturare nella sensibilità di adeguare le sue idee al cliente.
Adesso puntuale era scoppiata la grana e lei doveva metterci una pezza. Stava seguendo un progetto di riqualificazione urbana impegnativo e delicato, perché l’opposizione politica aveva gridato all’inciucio, quando l’amministrazione comunale aveva affidato allo studio tutti i lavori. Quindi sotto i riflettori mediatici il team, del quale faceva parte, doveva rispettare tempi e costi per non finire sulla graticola delle polemiche politiche. Staccarsi dal progetto, anche solo per mezza giornata, rischiava d’innescare dei problemi nella tempistica delle attività. Il percorso da seguire era stretto e loro non potevano uscire dai margini imposti dal bando.
Camilla non aveva un’idea né delle rimostranze di Amos né del progetto di Anna. “Mi scoccia un po’ andare a parlare con lei su questo” rifletté, sedendosi alla sua scrivania. Era consapevole che alla fine si sarebbe tramutato in un corpo a corpo l’intervento. Con Anna che difendeva le proprie scelte e lei che doveva trovare la quadratura del cerchio.
Si massaggiò le tempie per scaricare la tensione che in poche ore aveva accumulato, prima di cominciare la discussione.
Camilla fu un facile profeta. Dopo otto ore di estenuante battaglia riuscì a convincerla a modificare parzialmente il progetto per renderlo più funzionale e adatto alle esigenze del cliente.
Alle diciassette, quando uscì dallo studio per tornare a casa, aveva un grosso cerchio alla testa, che pareva scoppiarle, come regalo della battaglia con Anna. A questo si aggiungeva il pensiero di vedere Carlo, che faticava a sopportarlo. Avrebbe preferito rimanere in ufficio tutta la notte anziché sentire la sua voce.
La visione del tramonto ebbe il potere di sciogliere lo stress accumulato per affrontare una nuova serata col compagno.
L’aria frizzante accarezza il viso di Jonny Twit come può esserlo in una giornata di metà primavera. La collina è di un verde smeraldo e gli alberi stanno mettendo le prime foglie.
Sulla sua cima sta un piccolo camposanto che il consiglio comunale vuole dismettere per trasferirlo in un altro posto meno impervio. La salita in terra battuta è difficile da fare quando le condizioni meteo non sono ottimali. Però non ha mai voluto procedere alla sua asfaltatura perché avrebbe deturpato il paesaggio.
Ogni parente avrebbe dovuto disseppellire i propri cari e poi trasferirli nel nuovo cimitero vicino al fiume.
Jonny Twit con la zia Betta, armati di pala, salgono lentamente lo stradello, preceduti da tante altre persone intenzionate a fare altrettanto. Zia Betta è una vecchietta rattrappita dal viso rugoso e dai capelli bianchi raccolti a crocchia. Tuttavia ha ancora molte energie da spendere nonostante l’età.
È tutto uno scavare, un sudore appena mitigato dalla brezza del mattino. Zia Betta si aggira tra le lapidi storte per i tumoli che si sono incassati nel terreno.
«Ma zia! Non è lo zio!» Urla Jonny Twit vedendola attorno a una lapide sconosciuta.
La vecchietta scuote il capo e continua con la pala a scavare, mentre Jonny Twit si precipita accanto a lei. «Ma è Pete Monkey!»
«Ma certo che Pete!» Rimbecca zia Betta. «Vuoi che non lo sappia! Ora chiudi il becco e aiutami a scavare».
Riprende la pala e continua ad affondarla nella terra soffice e grassa, mentre l’accumula di fianco alla fossa.
Un rumore sordo fa capire di aver raggiunto la bara che appare come nuova.
«Jonny non ce la facciamo a sollevarla» afferma sconsolata zia Betta che si guarda intorno alla ricerca di aiuto.
Scorge quattro uomini robusti che stanno sollevando una grossa bara poco distante.
«Ehi! Mi date una mano a portare questa a casa mia?»
Alzano il viso, si guardano e poi si dirigono dove stanno Jonny Twit e zia Betta. La imbragano per estrarla dalla fossa e poi la trascinano fino alla casa della vecchietta, deponendola nel salotto.
Zia Betta li ringrazia con le parole e un fascio di banconote.
Jonny Twit la osserva esterrefatto e la prega di non aprirla.
«Voglio vedere Pete» afferma risoluta la vecchietta che dà quattro colpi ben assestati facendo scivolare a terra il coperchio.
«Oh!»
Zia Betta ha gli occhi spalancati e la bocca aperta per lo stupore. All’interno Pete mostra un viso roseo, i capelli neri, le mani, appoggiate sul torace, bianche come se fosse morto da poche ore. Anche il vestito nero e la camicia bianca con la cravatta rossa sembrano appena usciti dalla lavanderia.
«Non è possibile! Sono passati sessant’anni da quando il mio amore è morto per un incidente stradale. Lui aveva ventitré anni e io venti. Però lui è rimasto giovane e io sono invecchiata! La morte ci conserva giovani, mentre la vita ci fa invecchiare! Non è giusto! La Morte vince sulla Vita!»
Jonny Twit è frastornato. Non capisce nulla di quello che zia Betta sta blaterando. “La morte ci conserva giovani, la vita ci fa invecchiare”. Gli sembra un’assurdità. «Zia Betta che stai dicendo?»
La vecchietta scuote il capo. «Io avevo vent’anni e lui ventitré e ci dovevamo sposare ma lui è morto. Adesso io ho più di ottant’anni e lui ne ha sempre ventitré. Io sono vecchia ma in vita, lui è giovane ma morto».
Jonny Twit conviene che il ragionamento non fa una grinza ma i conti non tornano. “Lui è morto ma noi siamo vivi. E c’è una bella differenza di condizione”. Sta per dire qualcosa, quando la pendola del salotto batte un colpo.
Nella cassa Pete Monkey assume un aspetto più vecchio come se i ventitré anni fossero diventati quaranta. Poi dopo un quarto d’ora batte un nuovo colpo, mentre il viso del morto diventa grinzoso con delle rughe pronunciate intorno agli occhi. La pelle diventa sottile e le mani ossute.
Zia Betta è sorpresa da queste repentine modificazioni e non riesce a biascicare una parola. Un altro colpo di pendola e i capelli diventano radi e bianchi e gli occhi si infossano. I vestiti si riducono in brandelli, mentre zia Betta comincia a saltare e ballare per la gioia. «Sta invecchiando!»
Un altro colpo della pendola e il corpo si rattrappisce, diventa solo pelle e ossa.
«È diventato più vecchio di me!» Urla felice, abbracciando Jonny Twit.
Poi altri colpi della pendola e il corpo diventa cenere e i vestiti minuscoli batuffoli di cotone. Nella bara c’è un tappeto di polvere grigia e quasi impalpabile. Basta un soffio per farla sollevare.
Una scampanellata furiosa distrae zia Betta e Jonny Twit dalla visione di Pete Mokey che non esiste più.
Jonny Twit si precipita alla porta,mentre zia Betta urla: «Non aprire!»
Troppo tardi e una folata di vento disperde tutte le ceneri.
Con questa parte si conclude il racconto di Krimhilde e le fanciulle scomparse che è stato pubblicato pochi minuti fa su Caffè Letterario.
Per i pigri lo trovano anche qui.
Markus di buon mattino si reca da Mechthilde per ascoltare le sue parole. I suggerimenti dell’ultimo incontro gli sono stati molto utili per affrontare gli avvenimenti dei giorni precedenti.
Arrivato in prossimità della piccola casetta di legno e pietra si ferma. C’è qualcosa di strano. Un silenzio irreale aleggia nell’aria e manca quel filo di fumo biancastro che ha sempre notato venendo qui. La porta sbatte mossa dal vento di occidente. Affretta il passo presentendo che sia successo qualcosa d’irreparabile.
«Mechthilde!» Fa affacciandosi nello spiraglio del battente. «…Mechthilde…» Replica l’eco della stanza vuota.
Markus entra pronto a lottare nel caso che ci fosse un intruso. Tutti sanno che l’anziana donna non chiude mai la porta d’ingresso. Però quello che gli appare è la grande sala vuota, che come un unico grande spazio occupa l’intera casetta. Tuttavia nota che sembra in ordine come se fosse stata rassettata da poco. Sotto la lampada posata sul tavolo svolazza un biglietto.
Con le mani tremanti lo afferra.
Markus, so che mi verrai a cercare ma non mi troverai più. Il mio tempo è trascorso ed è giunto il momento di lasciare questa terra di mezzo. Chi doveva raccogliere la mia eredità…
Il foglio gli scivola di mano. “Dunque se ne è andata. Dove?” Raccoglie lo scritto e si siede su una sedia.
…Chi doveva prendere la mia eredità, mi ha tradita ma è finita male perché ambiva a prendere il posto della strega Ampfel. La sua conoscenza del sapere è andata perduta perché chi ha sfidato l’ha trasformata in un blocco di ghiaccio. Di lei sono rimasti solo i libri che ha portato via da qui ma è stato meglio così.
Markus tu hai un compito: ridurre in cenere la strega Ampfel che nel suo delirio di onnipotenza vuole dominare tutta la Terra di Mezzo, le montagne innevate e l’intero creato. Tuttavia è sola perché ha creato il vuoto intorno a sé. Dopo di lei ci sarà il nulla. Ci riuscirete, lo so, anche senza la conoscenza del sapere perché le vostre menti sono immacolate, pure e sapete come si usa il cervello. Quello che conosci è sufficiente per il compito che dovete assolvere. Devi aggiungere solo un potente talismano: il giglio de gliglis. Questo si trova laddove il Ginestro scorre nel bosco e ha creato una marcita. Fiorisce solo una volta ogni cento anni e questo è il suo anno. Questo fiore impedirà alla strega Ampfel e ai suo draghi di colpirvi, rendendovi immuni dalle loro magie. Rinunciate alla lettura dei libri proibiti. Non vi servono per raggiungere lo scopo della vostra missione ma possono creare nelle persone solo dubbi di voler riesumare le megere e sostituirvi alla strega Ampfel. L’ombra della diffidenza è la peggior malattia ed è senza un rimedio. Il dubbio è come un tarlo che vive e prospera nel legno fino a ridurlo in polvere.
Un solo avvertimento. Resta lontano da Krimhilde che si è invaghita di te. È una mantide pronta a divorare il maschio. Lascia il Castello con la tua fedele compagna e vivrete felici fino al termine del vostro periodo.
Se vorrai, questa casa è tua.
Markus mette il foglio su tavolo con le mani tremanti. Mechthilde se ne è andata lasciandogli un compito gravoso ma gli ha dato preziosi suggerimenti. Ne parlerà con Baldegunde ma ha già preso la sua decisione. Sconfitta la strega Ampfel, si ritirerà nella casetta di Metchthilde. Qui si sentirà al sicuro, lontano dalle sirene del Castello e della regina.
Prima di tornare va a raccogliere i due gigli de gligis che sono in piena fioritura. Splendidi per il bianco che brilla e magici per il profumo che emanano. Stanno sul palmo della mano e trasmettono pace e serenità.
Krimhilde convoca nella sala delle udienze Baldegunde e si raccomanda che venga solo lei. Si è invaghita di Markus e sente crescere dentro di lei il desiderio di accoppiarsi con lui. “Devo resistere”. Però sa che non sarà così.
La regina seduta sul suo trono prova gelosia nei confronti della sua capitana che sta di fronte a lei. «Potete leggere i libri proibiti a una condizione che allontaniate dal vostro fianco Markus. Lui potrebbe diventare pericoloso con la conoscenza del sapere».
Baldegunde rimane impassibile. Conosce il motivo di questa richiesta e si era preparata mentalmente a conservare la calma. «Mia regina, vi ringrazio di questa opportunità ma riteniamo di sconfiggere la strega Ampfel con le sole nostre forze senza ricorrere a magie o incantesimi. Ho individuato la rete delle traditrici e presto sarà distrutta. Quindi rinunciamo alla richiesta della lettura della conoscenza del sapere».
Krimhilde sobbalza nell’ascoltare la risposta di Baldegunde che manda in fumo il suo piano. Gioca la carta Aglaja. «La ragazza insiste nel definire Markus uno stregone. Sono stata troppo precipitosa nel condannarla l’altro giorno…».
Baldegunde scuote la testa. «Mia regina, Markus al ritorno dalle montagne innevate si rimetterà al vostro giudizio come ha sempre fatto. Se sarà riconosciuto colpevole delle accuse assurde di una ragazzina in preda a una crisi ormonale, seguirà le regole accettando il vostro verdetto».
Poi si alza e fa con il capo un inchino profondo. Per lei il colloquio è terminato.
***
La strega Ampfel sente che la fine è prossima. Quell’incubo che sta minando la sua volontà è diventato reale. Maledice quel giorno di tanti anni prima quando ha condannato Annaberga, la figlia di Mechthilde, a diventare una statua di ghiaccio e roccia. “Ora sarebbe lei in grado di combattere quei due umani e succedermi alla guida dei nerd di montagna”. Però ritiene inutili queste recriminazioni, perché il nemico è sulla porta di casa e lei ha le armi spuntate.
Si agita sul divano divorata dal veleno, incapace di uscire da questa situazione, quando irrompe l’apprendista strega Rotapfel.
«Signora, c’è agitazione fuori. I nerd guerrieri si muovono come le formiche a cui hanno distrutto il formicaio!»
La strega Ampfel si raddrizza e sta per replicare, quando il drago Michele appare sulla soglia. Sta trattenendo l’agitazione e gli sbuffi di fuoco. «Due umani in sella a dei cavalli bianchi stanno salendo per giungere qui».
Il drago Michele descrive le ultime vicende. Hanno superato indenni i posti di blocco all’inizio e lungo il sentiero. «I nerd guardiani sono molto impressionati. Raccontano storie non credibili. Le frecce li attraversano senza ferirli. I cavalli sembrano dotati di poteri magici. Il fuoco non scalfisce la loro andatura».
La strega Ampfel con questo racconto rivive le scene del suo incubo che da molti giorni l’accompagna durante la notte.
«Qualcuno afferma che sono illusioni ottiche create con tecniche sconosciute. Altri parlano di fantasmi risalenti a migliaia di anni fa. Però tutti concordano che è un nemico dai contorni imprevedibili. Tutto questo sta generando uno scompiglio difficile da gestire».
La strega Ampfel socchiude gli occhi. Scorrono le immagini dell’incubo notturno. Non è mai riuscita a vedere come finisce ma fra non molto lo conoscerà.
«Ho disposto i nerd guerrieri intorno alla casa per proteggervi».
La strega Ampfel è divorata dalla febbre per il veleno che sta invadendo il suo corpo. L’apprendista strega trema vedendola così prostrata. Non si sente pronta a prendere il suo posto, deve imparare ancora tantissimo ma forse non ha lo stigma della leader. Sobbalza quando vede comparire due umani. Un uomo e una donna. Lui alto e massiccio, dal viso franco. Lei non meno alta rispetto al compagno, col viso bruciato dal sole. Apre la bocca ma la richiude subito. Non riesce a capacitarsi come possano essere entrati saltando il dispositivo del drago Michele. Alza le mani per lanciare degli strali elettrici.
«Non serve a nulla» ammonisce la strega Ampfel. «Quelli che vedi sono una proiezione della realtà nella tua mente. Quindi sprechi tempo e risorse come hanno fatto i nerd guerrieri».
Il drago Michele irrompe nella stanza e rimane scioccato nel vedere quelle due figure che sorridono beffarde nel centro. “Come hanno fatto?” E si prepara a lanciare uno sbuffo di fuoco dalle narici.
«Fermati! Metti a fuoco l’intera stanza» e poi si rivolge a queste due figure di cui una gli è familiare. «Cosa volete?»
«Vogliamo neutralizzarti per sempre».
La strega Ampfel scuote la testa. «Sto morendo. Il veleno ha preso possesso di me. Datemi una morte rapida con la verga e così smetterò di soffrire».
Stringe le labbra per non lasciarsi sfuggire nessun lamento. Dopo pochi istanti di lei non rimane che un mucchietto di cenere.
L’apprendista strega vorrebbe fuggire ma i piedi sembrano inchiodati al pavimento e non riesce a muoversi e osserva con gli occhi terrorizzati la mutazione del drago Michele in un grosso lucertolone squamoso.
Poi come sono comparsi così scompaiono, mentre loro non tornano allo stato iniziale.
Superato il torrente Ginestro Markus prende il sentiero di destra diretto alla casetta di Mechthilde, mentre Baldegunde raggiunge il Castello di Mezzo.
Dinnanzi a Krimhilde mostra un sacchetto con delle ceneri grigie. «Ecco cosa rimane della strega Ampfel» e le comunica la sua volontà di non essere più la capitana delle dragonesse a cavallo.
«Dove andrete?»
«Nel bosco del non ritorno».
Con un inchino si congeda, lasciando basita la regina.
Su Caffè letterario è stata da poco pubblicata la puntata 36 di Krimhilde e le fanciulle scomparse.
La potete leggere anche qui.
Uscita la regina tutti si accalcano intorno a Baldegunde. Markus si allontana in silenzio. Si sente fuori posto in quel consesso tutto al femminile. Ha bisogno di riflettere su quella lettera che potrebbe trarre in inganno. Si rifugia nel loro appartamento a meditare in silenzio.
Che sia una trappola come il suo sesto senso gli ha suggerito subito dopo la lettura, adesso ne ha quasi la assoluta certezza. Da dove discenda questa sicurezza non lo sa ma quelle parole suonano false. Ignora il tenore dei due messaggi ricevuti da Grummhilde, perché dal loro rientro nel Castello ha potuto scambiare con la compagna pochissime parole. Forse leggendoli potrebbe confermare o smentire le sue sensazioni. Poi c’è un altro dettaglio che l’ha colpito: Krimhilde non ha risposto con un secco no alla richiesta della sua compagna, né ha fatto un sfuriata com’è nel suo carattere. In quei due messaggi ci devono essere riferimenti ai libri proibiti. “È inutile far congetture astratte. Al rientro di Baldegunde ne parleremo”.
Da tutto questo ha ricavato che sarà più difficile convincere le guardiane della biblioteca segreta a lasciargli sfogliare quei testi. Sorride perché sa qualcosa in più sul potere di determinate erbe. “Di certo queste conoscenze non ci permettono di affrontare una guerra contro la strega Ampfel ma sono state utile nella liberazione delle ragazze”. Nello sfiorare questo argomento ha un brivido. “Aglaja è una mina vagante. Un grosso problema da gestire”.
Decide di affrontare un problema per volta.
Sta sorseggiando un calice di vino rubicondo, quando sente bussare alla porta. Non sta aspettando nessuno e Baldegunde ha le chiavi per entrare. Ignora quel rumore fastidioso, fingendo di non esserci. Intuisce che dietro a quella porta ci sono rogne che è meglio evitare.
«Markus! Lo so che siete lì! Aprite per evitare situazioni spiacevoli!»
Ancora una volta il suo sesto senso ha avuto un’intuizione felice. Quella voce l’ha imparata a conoscere nelle ultime ventiquattro ore. “Che sbraiti pure ma qui non mette piede. Potrà inventarsi tutto quello che vuole ma rimarrà con un pugno di sabbia”. La sente sbraitare per almeno dieci minuti prima che se ne vada. Gli sembra di aver udito oscure minacce. Alza le spalle. Sa come difendersi dalle eventuali calunnie.
Deposto il calice vuoto sorride soddisfatto per come sono andati gli avvenimenti dalla mattinata. La regina lo ha ammesso al suo cospetto. “È nota la sua avversione verso il sesso maschile. Ha un compagno solo per procreare e trasmettere il potere. I due ragazzi nati dalla loro unione vivono da emarginati. Però oggi mi ha voluto davanti a lei e ha apprezzato le mie opinioni”.
Pensa che tra due giorni tornerà tutto come prima ma sa di aver guadagnato il rispetto di molte persone, che prima lo ignoravano.
Nella confusione della sala delle udienze Baldegunde perde di vista Markus e quando lo cerca con gli occhi non lo trova. Immagina che si sentisse a disagio tra tutte quelle donne. Poi individua Aglaja che sta discutendo con animosità con Agnete. “Quella ragazza finirà male se non smette di puntare Markus e non solo lui. La devo tenere sotto controllo”. Sulla porta c’è Bathilde, la fedele dragonessa, e con la testa le accenna di avvicinarsi.
«Ti affido un compito delicato. So che lo onorerai bene. Là» e col viso indica la direzione, «c’è Aglaja che sta creando problemi a Markus. Tienila sotto controllo e tu sia la sua ombra fedele».
La dragonessa annuisce e ritorna alla sua postazione senza perdere nemmeno per un attimo il contatto visivo con Aglaja.
“La capitana ha visto giusto”. La ragazza si sta dirigendo verso l’ala del castello che ospita la foresteria delle dragonesse. Anche lei, come Baldegunde, occupa un appartamento, un monolocale che ha arredato con cura. È ancora single nonostante i ventidue anni e non pare molto intenzionata a trovarsi un compagno nonostante le insistenze della famiglia e la pressione occulta della capitana. “Io preferisco una donna a un uomo ma questo potrebbe creare molti problemi nella società chiusa del Castello”.
Segue come un ombra Aglaja e conosce anche la sua meta: l’appartamento di Markus. Quindi anche se perde il contatto visivo, sa dove ritrovarla, perché conosce quei corridoi come le sue tasche. La sente urlare, picchiare con insistenza sulla porta. Un paio di dragonesse sbirciano per vedere chi sta facendo tutto quel baccano. Bathilde fa loro segno di tacere e di osservare. La loro testimonianza può essere decisiva.
Quando finisce la sceneggiata, Aglaja infuriata se ne va verso un’altra ala del Castello. La dragonessa ritiene finito il suo compito di pedinamento e ritorna alla sua postazione vicino alla porta della sala d’onore.
***
La strega Ampfel geme per il dolore che le ferite e il veleno gli procurano. Si sente indebolita e a tratti dubita che riesca a cavarsela. Aspetta per tutto il giorno con trepidazione che Belfagor le porti un messaggio di risposta, che non arriva.
Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la puntata numero 34.
La potete leggere anche qui.
La strega Ampfel con gli occhi chiusi congeda il drago Michele. “È affidabile, abile e intuitivo ma rimane un bravo soldatino. Non prende mai un’iniziativa personale fuori dagli schemi”.
L’incubo torna a ossessionarla come le ferite che non rimarginano mai. Quel volto senza faccia che nel sogno la minaccia e la mette in cattività ha un nome ma il viso rimane oscurato da una nebbia sporca e grigia.
La donna, la compagna, sa chi è e conosce i suoi lineamenti. Alta per essere una donna, dagli arti robusti frutto della disciplina militaresca. Non è una sprovveduta ma un’abile guerriera dalla mente pronta e scattante. “Se ne avessi una come lei a guidare questi rozzi buzzurri! Altro che drago Michele, bravo ma senza inventiva o quel vanaglorioso del draghetto Matteo!”
Sono recriminazioni inutili. Non ce l’ha e non la può inventare.
«Signora!» Irrompe agitata l’apprendista strega Rotapfel. «Asmodeo e Belfagor sono tornati a casa».
La strega Ampfel si raddrizza, gemendo per il dolore, riapre le palpebre che sbatte più volte accecata dalla luce intensa del sole che tramonta.
«Come? Entrambi?»
«Sì» ribadisce avvicinandosi.
«Ma portavano dei messaggi?» ribatte, sbuffando.
«No».
La strega Ampfel si accascia sul divano, perché ha compreso che la sua anima nera nel Castello è stata catturata. Il suo riferimento, la sua informatrice non esiste più.
«Maledetti!» E si chiude nel silenzio per valutare la situazione. Scuote la testa. “C’è poco da riflettere. L’intero piano s’è afflosciato. Non esiste più”. Deve organizzare la difesa. “L’incubo parla chiaro e quei due demoni sono puro veleno. Di certo cercheranno di annientarci”.
Riflette sulla prossima mossa. Non ha molte alternative oltre a drago Michele e draghetto Matteo. Rotapfel rimarrà sempre apprendista strega, perché non ha lo stigma della vera strega. Quindi non le resta che convocarli per fissare la strategia difensiva.
***
Baldegunde scende cortile d’onore dove continuano i festeggiamenti per il ritorno delle cinque fanciulle scomparse.
Markus è restato in disparte per godersi lo spettacolo. Non vuole interferire nelle manifestazioni di giubilo collettivo. Dentro di sé ha un cruccio. Aglaja, la più intraprendente delle cinque ragazze, continua a puntarlo, lanciando occhiate che mostrano la sua volontà a stare con lui. Sa che sarà un pericolo per lui.
In silenzio si sfila dalla folla festante per raggiungere la foresteria. C’è quasi riuscito quando echeggia «Markus. Vieni a festeggiare con noi». Lui sa a chi appartiene quella voce e si guarda in giro sperando di scorgere Baldegunde, la sua ancora di salvezza. Se finge di non aver sentito, rischia l’ira di Aglaja e le relative conseguenze. Se torna sui suoi passi, si trova coinvolto con lei e questo non gli piace affatto. Incerto tra lo sparire o ritornare avverte alle sue spalle un odore noto: quella della sua compagna. L’abbraccia e le sussurra: «Aglaja sta facendo la sciocca con me».
Baldegunde sussulta perché aveva già notato questo comportamento. «Hai fatto bene a farmelo notare» mente la capitana e a braccetto fendono la folla.
Aglaja fa una smorfia arricciando il naso. Il suo piano è fallito. “Ci sarà un’altra occasione”.
«Ragazze» attacca Baldegunde. «Vi devo scortare all’infermeria per controllare il vostro stato. Poi grande festa nella mensa. Vi vedo un po’ deperite. La prigionia ha affilato i vostri visi. La nostra regina vuol parlare con voi».
Markus si sente libero e si sfila dalla compagna.
«Ti aspetto nella foresteria» e si dirige verso il loro appartamento. Prima passa a prendere qualcosa dalla mensa, perché a parte la cena nella Casa delle Anime Immortali non ha mangiato nulla o quasi.
È notte fonda quando Baldegunde barcollante per la stanchezza fa il suo ingresso. Markus ha preparato il letto pensando di poterla stringerla e giacere con lei. Ha profumato le lenzuola fresche di bucato. Anche lei vorrebbe ma si sente sporca e puzzolente perché in questi due giorni ha curato poco l’igiene personale. È troppo stanca per farsi una doccia e rimanda al giorno dopo il suo desiderio.
Non è il gallo sprecone che sveglia Markus ma un malizioso raggio del sole che annuncia la nuova giornata. Con delicatezza si sfila dall’abbraccio della compagna per non svegliarla. La osserva e percorre con lo sguardo i lineamenti del viso cotto dal sole. Sembrano duri ma sono delicati come la fossetta sul mento, le guance rotonde e quelle labbra sottili come una lama.
Baldegunde allunga una mano e sente il vuoto. “Eppure era lì, abbracciato a me” e si rizza alla ricerca del compagno, che è lì con un vassoio a tavolino su cui sono in bella mostra brioche, pancetta scottata sul fuoco, uova in camicia e il bollitore del caffè.
«Buongiorno tesoro. Riposato bene?» E sistema il vassoio tra di loro.
«Stavo pensando che…» inizia pulendo la bocca dalle briciole della brioche alla crema mascherata.
«Mangiamo. Ai pensieri ci pensiamo dopo» ribatte tagliando una strisciolina di pancetta.
Baldegunde ride. “Ha ragione. Avrei rovinato questa atmosfera rilassante. Per i pensieri ci sarà tempo tutta la giornata”.
Messo in disparte il tavolino, Markus l’abbraccia e con delicatezza bacia il collo.
«Ma sono tutta sporca».
«Il tuo profumo mi inebria».
Si stanno facendo le coccole, quando un bussare deciso le interrompe.
«Uffa! Nemmeno un momento d’intimità ci lasciano!»
Markus scalcia le lenzuola, infila una tunica sul corpo nudo e apre la porta. È Grishinde, la ciambellana di Krimhilde.
«La nostra regina vi aspetta nel salone d’onore far cinque minuti».
Dalla camera giunge un “Chi è?” infastidito.
«Ditele che saremo lì tra mezz’ora. Tempo di una doccia e vestirci».
Come esercitazione di Scrivere Creativo è dato questo incipit:
“Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”
“Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”. L’ispirazione si seccò a Marcello.
Fissò il foglio bianco con solo quelle due righe. Depose l’hastil d’oro e rimase con l’occhio bloccato sui quei puntini di sospensione.
Marcello odiava il computer e scriveva le sue storie con la penna stilografica, suscitando i risolini ironici degli amici. Però lui si ostinava a usarla mentre tastiera e mouse restavano inoperosi. “A cosa serve la videoscrittura se poi non mando nulla a una casa editrice?” Si grattò con vigore la guancia pelosa come per esorcizzare il blocco dello scrittore. Alle sue spalle sulla libreria stava la fila ordinata di quaderni ad anelli di vari colori. Rosso per i romanzi, blu per i racconti e giallo per le poesie. Il rosso era predominante, gli altri facevano da corona.
Accartocciò il foglio che finì con lancio perfetto nel cestino, già pieno fino all’orlo. Ne prese uno vergine dalla pila sulla scrivania e ricominciò a scrivere con la sua bella grafia rotonda.
“Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”
Ma nulla. La mente si ostinava a chiudersi su se stessa. Non ne voleva sapere di proseguire. L’incipit l’aveva colpito ma tutto si era arenato a lì. “Lo lascio sedimentare?” Intrecciò le mani dietro la nuca e strinse gli occhi. Gli sembrò una buona idea. Messo il cappuccio alla penna che depose con delicatezza sul foglio appena scarabocchiato, andò alla finestra. “Sedimenta, sedimenta” e immaginò che la pila di fogli riempiti con i suoi pensieri si sarebbe animata in una danza degna di quella dei moscerini. Davanti ai suoi occhi si parò uno spettacolo verde: era la campagna che nonostante la lunga siccità era un verde che tendeva al giallo chiaro.
«Ma Laura chi è?»
Marcello si specchiò nel vetro chiedendosi se lui aveva una Laura.
«No. Nessuna Laura in vista. Quindi giovedì gnocchi e per di più da solo. Niente in ginocchio da te» commentò Marcello, che si girò di scatto, tornando alla sua postazione.
L’avvincente romanzo Krimhilde e le fanciulle scomparse si arricchisce di una nuova parte su Caffè Letterario.
La stessa la potete leggere qui.
Il drago Michele rimpiange di non aver preso con se la sacca dei viveri. La sete gli secca la gola e lo stomaco brontola. “Speriamo che faccia presto a ritornare”. Ha le gambe informicolate per la postura e le mani intorpidite. Vorrebbe alzarsi e camminare ma gli ordini sono ordini e vanno rispettati.
Non passa molto tempo quando le due dragonesse vedono una figura conosciuta avvicinarsi all’albero dove il drago ha appeso qualcosa.
Bathilde trasalisce, perché è una delle cortigiane più ascoltate della regina Krimhilde. “Una traditrice!” Rimane in silenzio senza muovere un muscolo, mentre la compagna vorrebbe intervenire.
La donna si allontana a passo svelto come se avesse fretta di sparire.
Bathilde rimpiange che Baldegunde sia scomparsa da due giorni. Dovrà fare rapporto alla sua vice, di cui non riesce a sopportare la spocchia. “Chissà come reagirà conoscendo il nome di chi sta tradendo la nostra Regina. Mi aspetto che non crederà una parole di quello che le dirò e non farà nulla”.
Il sole sta tramontando sulla pianura del Concerto, quando la vedono tornare. Come guidata da un filo invisibile va verso il roveto dove il drago è acquattato. Non riesce a vedere cosa consegna, né udire cosa si dicono. Poi lei si dirige verso il Castello di Mezzo, mentre lui riprende la strada del Ginestro.
«Cosa facciamo?» Chiede Marchilde che vorrebbe mettersi sulle tracce del drago.
«Seguiamo discretamente Grumhilde» la gela Bathilde. «È tempo sprecato seguire il drago. Sappiamo dove è diretto».
In silenzio seguono Grumhilde senza farsi notare. Sono due ombre che seguono un corpo.
Osservato che la traditrice rientra nel Castello, ritornano sui loro passi per pattugliare il tratto di Ginestro a loro assegnato.
Marchilde sgrana gli occhi per il comportamento di Bathilde. Lei sarebbe corsa senza indugio a fare rapporto a Brumfilde, a prendere istruzioni sulle prossime mosse da compiere. Però il sergente sembra snobbare tutto questo. Vorrebbe esprimere ad alta voce il suo pensiero ma preferisce tacere, seguendola in silenzio.
Si addentrano nel bosco mentre l’oscurità comincia ad allungare le ombre.
«Ci accampiamo in prossimità del guado dei Passi Perduti, facendo i turni di guardia fino al mattino».
Il posto lo conoscono perché il punto di riferimento del loro pattugliamento. «Hai sentito?» Mormora Marchilde indicando con la mano la direzione.
«Sì. Andiamo a controllare chi sono. Mi sembrano voci femminili».
In una piccola radura vedono sei donne e un uomo raccolti attorno a un fuoco. Però la sorpresa maggiore è riconoscere tra loro la capitana delle dragonesse a cavallo, il loro comandante.
Senza fare rumore si avvicinano. Solo Markus avverte la loro presenza e dà l’allarme. Non hanno strumenti per difendersi, né potrebbero averne perché solo le dragonesse a cavallo sono autorizzate a portare le armi.
Baldegunde allertata dal compagno si erge in tutta la sua stazza a difesa delle ragazze che continuano a ridere e scherzare. Non si sono accorte di nulla. Però lei riconosce chi sta alla guida del piccolo gruppo: è Bathilde, una delle più fedeli dragonesse. Le va incontro aiutandola a smontare da cavallo.
«Mi compiaccio con te, Bathilde perché stai eseguendo i miei ordini».
La dragonessa vorrebbe inginocchiarsi per rendere omaggio alla sua capitana.
Baldegunde l’abbraccia con calore sotto lo sguardo incredulo di Marchilde rimasta sul cavallo.
«Stavamo giusto per mangiare qualcosa. Tuberi di dente di leone e di patata selvatica, messi a cuocere sotto la cenere. Poi qualche erba da mangiare cruda. Roba povera».
Bathilde accetta a condizione che loro condividano parte delle scorte.
«Pensavamo di accamparci non molto distante dal guado dei Passi Perduti ma forse è meglio che restiamo con voi per proteggervi» suggerisce Bathilde al termine del modesto pasto. Non trova il momento giusto per esternare quello che ha visto.
Baldegunde intuisce che deve raccontare qualcosa di delicato e importante. Fatte coricare le ragazze e affidata a Marchilde la loro protezione, si allontana dal fuoco con Markus, invitando la sergente a seguirli.
«Ma…» borbotta ritenendo il compagno della capitana un elemento estraneo alle sue dichiarazioni.
«Markus… è il mio compagno da una vita e di lui mi fido ciecamente. Senza il suo aiuto le cinque ragazze rapite sarebbero ancora prigioniere. Quindi puoi parlare senza reticenze» spiega Baldegunde alla perplessa dragonessa.
Bathilde comincia un po’ titubante e man mano che il resoconto si snoda acquista sicurezza. Markus ascolta in silenzio senza mai intervenire, lasciando questo compito alla capitana.
Baldegunde si sarebbe morsa la lingua, quando si lascia sfuggire un apprezzamento non proprio lusinghiero su Grumhilde. Ha perso le staffe quando doveva mantenere la calma.
Baldegunde avrebbe voluto esonerare Markus dal suo turno di guardia ma lui afferma di sentirsi bene e rispetterà la turnazione.
Al sorgere del sole La capitana col compagno e le ragazze si avviano verso il Castello di Mezzo, mentre le due dragonesse riprendono il pattugliamento dell’area assegnata.
Ieri è ripreso il gioco linguistico di Eletta Senso. Oggi continuo a tenervi compagnia con queste mini creazione.
L’incipit da cui partire è
“Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …”.
Partendo da questa breve frase si deve costruire un mini racconto usando meno di 300 parole.
Ecco il risultato
«Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …».
Sandro scuote la testa. Ci deve riflettere. “Ho ancora diverse ore per decidere” e se ne va senza rispondere.
Arnaldo non è convinto della decisione del suo superiore ma abbozza un sorriso di circostanza. Sa che poi dovrà correre come un forsennato per essere pronto alle sedici e trenta. Ricapitola cosa serve ma abbandona subito l’impresa perché tenere a mente tutti i dettagli è troppo per le sue capacità.
Si siede. Prende un blocco di carta riciclata e un lapis copiativo a cui fa una bella punta. Si gratta la testa perché non sa da dove iniziare.
Anna, la sua fida assistente, lo osserva perché appare chiaro che Arnaldo è in difficoltà. “Per cosa?” Eppure oggi non ci sono criticità come ieri, quando hanno dovuto preparare la sala B per un’urgenza. Sorride ma il giorno prima non ne ha avuto il tempo. Si avvicina con passo felpato. «Problemi?»
Arnaldo sobbalza. Non l’aveva sentita arrivare e straccia il foglio dal blocco. «No!» Ma poi ci ripensa. «Sì!»
Anna lo accarezza sul collo. «Posso rendermi utile?»
«Sì e no. Non riesco a fare la lista di quello che serve».
Lei aggrotta la fronte. Non capisce di quale lista si tratta. Guarda il cestino: è pieno di carta riciclata appallottolata.
«Oggi arriva Giovanni alle sedici e trenta e…».
«…E non sai come fare».
Arnaldo annuisce con un movimento della testa dall’alto verso il basso.
Anna scoppia a ridere e poi ridiventa seria. «Giovanni? Un bravo cucciolone».
Per tenervi compagnia questo martedì ho scovato un disegno approssimativo e attorno a questo ho costruito un mini racconto.
Ecco il racconto.
Era la festa della Vulandra al Parco Urbano di Ferrara. Tutti sul prato a naso in su per vedere quelle forme variopinte che il vento porta in alto.
Simone passando di fianco all’area in macchina con suo padre le vide volare nel cielo che si muovevano sinuose e affascinanti. Rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto un aquilone, ne ignorava l’esistenza.
Simone era un bambino sveglio di otto anni che aveva sempre vissuto in città. Il suo mondo era chiuso tra quattro mura: quelle del suo appartamento. La televisione, i videogiochi, il computer erano i suoi compagni nelle ore di relax. La corte del condominio era off limits per i bambini, sempre occupato dalle auto dei condomini. Gli unici spazi verdi che conosceva erano i parchi cittadini e la minuscola area nel cortile della sua scuola. Alla domenica i genitori lo portavano dai nonni in campagna ma questa non era più quella di una volta col pollaio e le stalle. Adesso era tutto pulito e ordinato. Il piccolo orto dietro la casa, il giuggiolo e il melograno nel giardino di fronte e il prato su cui correre senza pericoli. Però gli animali di un tempo, il pollo, il maiale, la mucca, non si vedevano più. Li aveva osservati sul libro scolastico. Troppo poco per soddisfare la sua curiosità.
L’auto di suo padre era ferma al semaforo, che dava il via libera a una folla festante di bambini e adulti diretti nel Parco Urbano. Simone sembrava paralizzato dalla sorpresa di vedere nel cielo azzurro sostenuto da un vento gagliardo tanti oggetti colorati.
«Papà» disse girando il collo per osservarli, mentre la macchina ripartiva col verde. «Perché non ci andiamo anche noi domani? Siamo in festa».
Lorenzo sorrise. Ricordi di quando era bambino e preparava l’aquilone con stecche di bambù, carta colorata, colla di farina prodotta in casa e un rocchetto di spago. Aveva la forma di un rombo con una lunga coda colorata. Poi via di corsa nel prato delle sottomura cittadine per farlo innalzare nel cielo. “Altri tempi” sospirò il padre. “La fantasia non mancava per crearci i giochi”.
«Ma certo, Simone» e gli scompigliò i capelli mentre l’auto correva verso il centro città. «Domani, se non piove, ci andiamo».
A fine aprile era ormai un appuntamento fisso per Ferrara il festival della Vulandra dove si potevano ammirare piccoli capolavori d’ingegneria aerea accoppiata alla fantasia dei progettisti. Però Simone non ci era mai stato né Lorenzo gli aveva proposto di andarci.
Era un’occasione ghiotta per entrambi. Un pomeriggio all’aria aperta sui prati del Parco Urbano a due passi dal centro storico. Lorenzo aveva accompagnato nel settembre precedente il figlio ad ammirare la festa delle mongolfiere ma quello della Vulandra non era un appuntamento ancora provato.
Era il giorno di San Giorgio, il patrono della città, quando padre e figlio sulle loro biciclette raggiunsero il Parco Urbano, brulicante di bambini e di molti adulti, che erano tornati indietro nel tempo. Il cielo era colorato da mille forme, guidate dalle mani esperte dei loro proprietari. Un tripudio di gioia e spensieratezza.
In un angolo del prato un uomo circondato da bambini ma non solo spiegava come costruire un aquilone. Simone ascoltava senza dire una parola, senza perderne nemmeno una sillaba dell’istruttore. Doveva immagazzinarle tutte, perché voleva costruirsi un aquilone.
«Papà, ne facciamo uno anche noi?» chiese Simone, mentre andavano a recuperare le loro biciclette.
«Certamente» affermò Lorenzo, tenendolo per mano. «Sabato passiamo dal negozio di hobbystica in Corso Giovecca a comprare quanto serve».
Il padre era tornato bambino, mentre il figlio si riappropriava dei divertimenti di un tempo.
1
Gestisci Consenso Cookie
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.