Konnie – parte diciannove

nuova copertina Un caso per tre

Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicata la parte diciannove di Konnie.

La potete leggere anche qui.

28 agosto 2144 ore 8

Le prime ore della giornata tingono di rosa le cime delle Torri del Vajolet e del gruppo del Catinaccio, mentre nubi rosate volano leggere come piume nel cielo di un azzurro slavato.

Questa meravigliosa vista sorprende i due ragazzi al loro risveglio all’alba del nuovo giorno, mentre Cucciolo è già fuori alla caccia di improbabili prede.

I due ragazzi, dopo aver ammirato questo spettacolo che la natura riserva agli amanti del bello, ragionano sulle prossime mosse.

«Credo che ci sia poco da osservare qui a Bozen. A parte i ruderi ricoperti di erica e muschio e come l’assenza umana ha spinto la natura a riappropriarsi di quello che era suo» esordisce Alba con tono serio.

«Hai ragione» concorda Matteo, annuendo col capo.

«Quindi se sei d’accordo. Oggi lo dedichiamo all’esplorazione di quello che è rimasto. Domani mattina all’alba prendiamo la via del ritorno» aggiunge la ragazza, proseguendo nel suo ragionamento. «La salita al Karersee è ostica affrontata col tempo buono. Diventa pericolosa in caso di pioggia o vento. Siamo stati fortunati negli ultimi giorni. Sole e qualche nuvola ci hanno fatto compagnia».

«Sì, l’inizio è stato poco promettente con pioggia e neve. Poi per fortuna il tempo si è stabilizzato al bello. Inutile sfidare la buona sorte. Domani si ritorna».

Chiacchierando, si sono dimenticati dell’assenza di Cucciolo. Mentre riempiono gli zaini con gli oggetti usati nella notte, Alba si accorge che il lupetto è scomparso. «Il nostro portafortuna» ridacchia mentre lo dice, «non c’è. Pare sparito nel nulla. Stanotte era con noi sotto la tenda ma al risveglio non c’era. Dobbiamo cercarlo».

Matteo si guarda intorno alla ricerca visiva del lupetto. «Dove si è cacciato?» borbotta aggrottando la fronte. «È un giovane in cerca di guai!» Sbuffa infastidito, perché può essere in un qualsiasi posto. Prova a chiamarlo inutilmente.

Si sono affezionati a questo giovane lupo molto affettuoso. Sembra un talismano, perché da quando è con loro la buona sorte pare avere avuto un occhio di riguardo per loro. Sanno che prima del rientro alla Città del Sole dovranno fare una scelta: o sfidare le regole portandolo all’interno oppure abbandonarlo nel bosco. Gli animali all’interno del loro mondo non sono molti ma sono tutti utili alla comunità per quello che possono offrire. Cani e gatti sono banditi. Cucciolo sarebbe una bocca in più da sfamare e poi di certo sarà contaminato.

I ragazzi si erano fermati per la notte nelle adiacenze di quello che resta del Duomo, decidono di andare verso la ferrovia, sperando di rintracciare Cucciolo. «Chissà dove si è cacciato» borbotta Matteo tenendo per mano Alba. Quando sono usciti dalla Città del Sole la prima volta non c’era nulla tra loro. Una semplice amicizia e neppure troppo stretta. Lui faceva gli occhi dolci verso Clarissa senza che lei ricambiasse il suo interessamento. Alba invece faceva coppia fissa con Marcello ma senza che fosse sfociato in qualcosa di più di una calda amicizia. Poi il destino sotto forma di un sorteggio li aveva messi in coppia. Da quel giorno hanno imparato a conoscersi meglio e apprezzarsi a vicenda. Così hanno compreso che poteva esserci qualcosa di più di una banale compagnia dovuta all’essere insieme. Come il germoglio cresce e si sviluppa sul ramo sotto l’effetto del sole, della pioggia e del vento, così è sbocciato tra Matteo e Alba un tenero affetto che diventa un giorno dopo l’altro più solido. Hanno scoperto delle affinità che ignoravano che esistessero: la curiosità di scoprire il mondo e come vivevano i loro genitori. Entrambi si riconoscono diversi dai coetanei che sono rimasti nella Città del Sole. A loro l’ignoto non fa paura, anzi li stimola. Gli altri preferiscono il caldo rifugio della città sotterranea. Matteo in modo discreto tende a proteggere la compagna ma non prende mai una decisione senza ascoltare il suo parere che tiene in grande considerazione. Lei avverte sicurezza perché è certa che in qualsiasi situazione può contare su di lui.

Anche questa mattina la direzione da prendere è stata presa dopo che hanno vagliato i possibili obiettivi. Vogliono stimare lo stato della rete ferroviaria. Il ponte è messo piuttosto male ma i restanti binari sono da valutare.

Mentre si dirigono verso la stazione sentono in lontananza la voce di Cucciolo.

 

1

Konnie – parte sedicesima

Mondi paralleli – link per l’acquisto https://amzn.eu/d/gtcYxrA

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte sedicesima di Konnie, il mio romanzo distopico. Lo potete leggere anche qui.

12 agosto 2144 Bozen

Konnie si sveglia, perché una lama di luce lo colpisce sugli occhi. Raggi di sole illuminano l’interno passando attraverso i buchi del soffitto.

Ha ancora davanti agli occhi quella visione che lo ha perseguitato durante la notte. Due persone imprigionate in uno scafandro argentato come l’alluminio e un cucciolo di cane dal pelo tutto arruffato. Camminano su strade a lui sconosciute, stanno scendendo dalla montagna. Si sforza a ricordare altri dettagli. La testa gli duole, pare scoppiare per la forte emicrania.

Si mette ritto e si bagna la bocca con la borraccia. Altri spezzoni del sogno ritornano a galla. Sono diretti a Bozen. «Sono degli umani oppure degli extraterrestri?» Si sfrega gli occhi e prova ad alzarsi. Traballa e ha la vista appannata. Prova a mangiare qualcosa ma lo stomaco è chiuso. Rinuncia. Mette lo zaino sulle spalle ed esce all’aria aperta. La temperatura è fresca e l’aria gli accarezza il viso svegliandolo.

Cammina non troppo saldo sulle gambe ma deve fare un po’ di moto per riattivare la circolazione. Ricorda che sua madre gli aveva parlato di una piazza con un monumento al centro dove alla sera si radunavano tutti i giovani. «Forse è questa» borbotta ruotando lo sguardo circolarmente. Però adesso è una desolazione. Palazzi crollati, la pavimentazione spaccata in più punti che hanno fatto emergere alberi ed erbacce.

Cammina con lentezza e raggiunge la stazione di cui è rimasto solo uno scheletro annerito. Ritorna indietro ma avventurasi in quel dedalo di strade anguste alle spalle della piazza non ci pensa nemmeno: troppo pericoloso. Il porticato è semi crollato e quello che resta sembra più un miracolo di equilibrio precario piuttosto che la sicurezza di non rimanere sotto un crollo.

Torna verso quello che un tempo era una chiesa. La osserva dallo spiazzo antistante. A parte la facciata che per miracolo è rimasta integra il tetto è franato in più punti. Ci gira intorno e in più punti i muri laterali lasciano intravvedere altari e quadri ridotti in pessime condizioni. L’abside sembra miracolosamente integra ma Konnie scuote il capo. «Non credo che l’interno sia messo in buone condizioni».

Si allontana vagando per le vie più ampie. Evita quelle più strette ingombre di rottami. Ogni tanto ascolta il rumore sordo di calcinacci che rovinano a terra.

Arrivato vicino a un corso d’acqua, la cui portata lascia intravvedere rocce e sassi, decide di ritornare al suo rifugio. Avverte stanchezza e il sole sta declinando dietro ai monti illuminando la pianura.

«Forse domani provo ad attraversare il ponte e spingermi verso le montagne».

1

Konnie – parte quindicesima

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè letterario è stata da poco pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

25 agosto 2144

Il tempo è rimasto stabile con una temperatura gradevole. Questo ha favorito la marcia dei due ragazzi.

«Fino a questo momento non abbiamo fatto cattivi incontri» afferma Matteo, mentre prepara la colazione dove un tempo era l’abitato di Vigo di Fassa che adesso è ridotto a un ammasso di pietre sgretolate.

«Forse la presenza di Cucciolo li ha tenuti lontani» replica Alba con tono sicuro, mentre il lupetto alza la testa, sentendosi chiamato in causa. «Dobbiamo decidere quale strada prendere per arrivare al Karersee. Quella più diretta e corta o quella più facile ma lunga?»

Matteo sembra riflettere ma dentro di lui punterebbe a quella più corta. Vuole arrivare in fretta a Bozen e prendere la via del ritorno il prima possibile. L’esperienza del maltempo al Passo Pordoi ha lasciato il segno in negativo.

«Se sei d’accordo, prenderei il Karerpass, cercando di fare tappa sul lago prima di scendere su Bozen. Un paio di giorni di riposo prima di intraprendere il percorso di ritorno. Da una settimana non riusciamo a contattare Città del Sole».

Alba annuisce perché il crono programma è lo stesso che ha pensato lei. «Sì, in effetti non abbiamo dato notizia di noi. Pensi che ci sia una ragione per cui non riusciamo a contattarli?»

Il ragazzo scuote la testa in segno di diniego. «No. D’altra parte non abbiamo mai testato le comunicazioni a lunga distanza».

Stanno raccogliendo tutte le loro attrezzature per sistemarle negli zaini, quando sentono ringhiare Cucciolo in posizione di difesa. Mostra i denti minaccioso puntando verso un gruppo di alberi alla loro destra.

Alba sbianca e si sistema al riparo di un muretto miracolosamente ancora in piedi. Matteo si gira per osservare quale pericolo incombe su di loro.

Dal boschetto vede spuntare una sagoma imponente: un orso, anzi un’orsa seguita dei due piccoli.

«Buono Cucciolo. Se non li minacciamo, se ne vanno per la loro strada» sussurra Matteo, accarezzando la testa del lupetto, che sembra aver compreso il suggerimento del ragazzo. Il ringhio si smorza ma la postura rimane quella di prima: pronto ad attaccare se l’orsa si avvicina troppo con intenzioni bellicose.

Con calma Matteo raccoglie le ultime cose senza perdere di vista l’orsa. I due orsacchiotti giocano fra loro sotto lo sguardo vigile della madre che in apparenza pare disinteressarsi dei due ragazzi e del lupetto.

«Vieni Cucciolo» ordina Matteo avviandosi con Alba verso l’imbocco della strada che li dovrà condurre a Karersee.

«Ho avuto paura» ammette Alba arrancando su una strada alquanto dissestata. «Ho letto che le orse sono particolarmente aggressive quando sono con i loro cuccioli. Poi il ringhiare feroce di Cucciolo mi ha fatto pensare male».

Il lupetto sentendo il suo nome solleva la testa con la lingua rossa a penzoloni per la salita e la sete. Negli ultimi giorni ha integrato la sua dieta andando a caccia di piccole prede nei boschi lungo la strada. Però nella giornata odierna preferisce rimanere vicino ai due ragazzi. Non gli sembra un luogo adatto per allontanarsi. Ci sono solo roccia e dirupi e la vegetazione è scarsa.

Arrivati in cima al passo, lo spettacolo è desolante: non c’è nulla che sia rimasto in piedi. Il bosco ha ricoperto quasi tutto quello che un tempo era il paese. Il lago s’intravvede a malapena e si confonde con l’abetaia. Vanno alla ricerca di uno spiazzo dove piantare la tenda. Lo trovano dove un tempo era un’area di ristoro attrezzata, di cui non ne è rimasta traccia, sommersa da erba secca e rovi di more. Matteo col coltellaccio crea una zona libera, dove sistemano la tenda.

La sera è stellata e fredda. Accendono un piccolo fuoco usando rami e arbusti secchi. Non li riscalda ma possono tenere lontano dei predatori notturni in collaborazione del fine udito di Cucciolo.

«Proviamo a stilare un bilancio dei nostri dieci giorni» suggerisce Matteo, mentre mastica un pezzo di formaggio.

«Pensavo meglio ma anche peggio» replica Alba distendendo le gambe. «L’inizio è stato duro con tutto il maltempo che abbiamo subito ma poi il tempo stabile ci ha consentito di procedere più spediti».

Il ragazzo annuisce ma il suo pensiero è su come hanno trovato il mondo esterno. «Credo, se un giorno l’aria sarà respirabile senza protezioni, la situazione richiederà molti lavori. Le vie di comunicazione sono in pessimo stato e non rimane nulla dei paesi. La natura si è ripreso tutto quello che era suo».

«Ma non siamo arrivati a Bozen. Potrebbe esserci lì una situazione migliore…».

Matteo ride. «Sei una ottimista inguaribile» la interrompe. «Dubito che la situazione sia migliore. In questi dieci giorni non abbiamo incontrato nessun essere umano. Temo che siamo rimasti solo noi». Osserva il minigeiger che segnala valori ancora elevati e pericolosi per l’uomo. Scuote la testa al pensiero dell’ottimismo della compagna.

Alba non si dà per vinta. «Dobbiamo esplorare la pianura prima di trarre delle conclusioni negative».

Matteo sorride per non smorzare i pensieri positivi della ragazza. Le prende la mano e gliela stringe con vigore. «Ora pensiamo a riposarci per essere in forma domani mattina. Se siamo fortunati, possiamo raggiungere in serata Bozen».

Poi si distendono dentro la tenda mentre il fuoco divampa allegro con l’ultima legna che lo alimenta. Cucciolo tra di loro sembra già nel mondo dei sogni perché le zampe tremano. Tuttavia sanno che un minimo rumore lo svegliare all’istante.

Le ombre rossastre guizzano attraverso il telo a formare immagini fantastiche.

0

Konnie – parte dodicesima

I tre cunicoli – carteaceo

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo post del racconto Konnie, pensando di far cosa paicere lo ripublico anche qui.

10 agosto 2144 Bozen

Konnie si deve fermare ogni venti passi. Fatica a respirare, tossisce. Avverte stanchezza con le gambe che gemono per il dolore. Cerca riparo dalla luce troppa intensa. Gli occhi lacrimano e faticano a rimanere aperti.

Quello che intravvede attraverso la visione opaca dello sguardo è tutto nuovo. I suoi ricordi basati sui filmati visti nelle lunghe serate nel bunker non collimano con quello che osserva intorno. Nemmeno le montagne che contornano la città sono le stesse. Sembra che abbiamo un altro aspetto. «Come?» Rantola col cuore che batte all’impazzata.

Carcasse arrugginite di qualcosa che battezza come auto sostano ai bordi di quello che un tempo era una strada. Ruderi o montagne di macerie sono ricoperte di verde.

Ascolta il rumore tipico di acqua che scorre sulla sua destra. «Dove sono?» Ricorda che suo padre gli ha descritto tre fiumi che passano per la città. «Quale dei tre?» La curiosità lo spinge ad avvicinarsi. Dalla sponda osserva che un fitto bosco gli preclude quasi per intero la vista. Intravvede un rigagnolo d’acqua in basso. «Forse è solo un’illusione ottica» Prosegue il suo cammino sulla sponda che lascia intuire che un tempo c’erano dei sentieri che a fatica sono percorribili.

Si allontana sempre più dal suo rifugio e capisce che non vi farà più ritorno. Non ha il senso dell’orientamento e tutti i posti sembrano uguali. Non saprebbe riconoscere da dove è passato. Questo lo spinge a proseguire.

Il sole è alto sull’orizzonte e fa molto caldo. Suda copiosamente. Si ferma all’ombra di imponente abete per detergersi il sudore e bere qualcosa dalla borraccia.

Alza verso il cielo lo sguardo e rimane affascinato: un azzurro così nitido non lo ricorda. Ride scuotendo la testa. Il suo occhio per ottant’anni ha visto solo grigio e nero, i colori unicamente nei film e nelle illustrazioni dei libri. «Dovrebbe essere mezzogiorno». L’ha dedotto dal fatto che il sole è alto nel cielo. La calura è insopportabile ma vuole spostarsi in città alla ricerca di un riparo per la notte.

«In città?» Ride, alzandosi a fatica. «Ma sono già in città! Forse in centro».

La fitta boscaglia nata sulla sponda del fiume rende l’aria ancor più rovente e afosa. S’incammina mentre sta sudando copiosamente. Si gira più volte. Gli pare di udire dei latrati alle sue spalle. «Lupi o cani?» Non vede nulla. «Se mi assalgono, per me è finita». Anche volendo non riesce accelerare il passo. Vede la traccia di un sentiero che scende dolcemente verso il basso. «Forse mi porta in centro città» borbotta mentre lo segue.

L’intuizione è corretta. Case crollate, selciato divelto è l’immagine che si presenta alla sua vista. Si ferma a rifiatare mentre studia il percorso da seguire. Non si fida infilare quelle stradine strette dove a fatica potrebbe procedere. Una desolazione è quello che vede. Preferisce proseguire in quella più ampia perché la parte centrale sembra meno ostruita.

Arriva in uno slargo dove alla sua destra osserva la facciata di una chiesa. Si ferma appoggiandosi al tronco di albero. Fatica a respirare, gli manca l’aria.

0

Konnie parte nona

Su Caffè Letterario è stata pubblicata la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

Oggi nel 1476 nasceva a Ferrara Alfonso primo d’Este, il protagonista del mio romanzo storico i tre cunicoli , insieme a Giacomo anche lui nato a Ferrara il 21 luglio di molti secoli dopo.

I tre cunicoli – carteaceo

È la storia romanzata dell’amore tra Alfonso e Laura Dianti col contorno di altri personaggi in parte reali e in parte di fantasia.

10agosto 2144 Bozen ore 10

Sono passati sei mesi da quando Konnie ha fatto una sortita all’esterno. Il compleanno degli ottanta è passato e avverte tristezza come se incombesse su di lui una sciagura. In realtà da troppo tempo è solo e avverte che la sua ora si avvicina a grandi passi. Non ha più stimoli. Le pagine bianche del suo diario sono finite da oltre un anno ma anche se ce ne fossero altre non saprebbe come scrivere i suoi pensieri. Non ha materiale per la scrittura.

Si trascina stancamente da una stanza all’altra e questa apatia è cresciuta un giorno dopo l’altro. Si è accentuata da quando ha fatto sei mesi prima una sortita fuori dal bunker. Avverte dolori articolari ed emicranie. Ogni tanto ha eruzioni cutanee dolorose che crescono. Ricorda bene le raccomandazioni di Marie, sua madre. «Non uscire se i sievert superano il valore di uno. Potresti rimanere in vita solo con l’aiuto di cure ospedaliere. Purtroppo gli ospedali non esistono più».

Però lui non ha intenzione di trasformare il bunker nel suo sarcofago come è stato per i suoi genitori. «Preferisco morire all’aria aperta. Le mie ossa diventeranno polvere».

Anche le scorte di cibo sono ridotte al lumicino. «Forse bastano per una settimana o anche meno».

Konnie si agita inquieto tra dolori e paure dell’ignoto. Si alza dalla sedia a fatica ma ha deciso. «Esco e sarà quel che sarà!» A fatica si trascina nella sua stanza. Prende una cartella di cuoio nero dove dentro ci mette il diario, la piantina del bunker e la sua localizzazione. Poi ci aggiungerà le chiavi per aprire le porte. In una sacca di iuta grezza infila qualche capo di vestiario, e le vivande rimaste. Spegne la luce e si avvia verso l’uscita. Il generatore atomico garantirà la corrente elettrica per molti anni. Quindi terrà in vita l’area del freddo, la purificazione dell’aria e tutto quello che funziona in modo elettrico. È l’unico apparato che non ha mai destato preoccupazioni.

Fa i gradini che lo conducono all’esterno con grande fatica. Gli manca il fiato e sono ancora più sdrucciolevoli rispetto all’altra volta. Non sembrano finire mai. Prima di aprire la porta che lo conduce all’esterno si appoggia alla parete socchiudendo gli occhi. Deve calmare il battito cardiaco e regolarizzare il respiro.

Esce e rimane abbagliato. La luce intensa ferisce la sua vista. Chiude gli occhi e li copre con una mano. Avverte un calore intenso sulle guance e sulla testa. Il suo corpo è abituato alla temperatura costante del bunker e alla luce soffusa delle lampade interne.

S’inginocchia perché gli mancano le forze per restare ritto. Si fa forza per alzarsi usando un bastone da montagna di suo padre.

È preso tra due fuochi: proseguire o ritornare nel bunker. «No, non posso tornare indietro. Devo andare avanti per vedere se incontro qualche essere umano». La decisione è presa senza tentennamenti.

Konnie non conosce nulla di quello che vede intorno a lui. Alla sua destra ci sono dei ruderi. «Forse è la casa dei miei genitori o meglio quello che resta». Sono cresciuti degli alberi all’interno e dei rampicanti sui pochi muri in piedi. Davanti delle erbe sono alte quasi come lui. Ricorda vagamente che sua madre gli aveva descritto la presenza di un giardino ben curato tra l’abitazione e la strada. Ride perché adesso ci sono solo erbacce che con fatica fende per raggiungere la strada o quello che resta.

Alle sue spalle osserva incassata due speroni rocciosi una stretta gola, mentre davanti si apre una pianura.

parte una, parte due, parte tre parte quattro parte cinque parte sei parte sette parte ottava 

Foto di cottonbro studio: https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-che-tostano-bicchieri-di-vino-3171837/

Il 21 luglio è anche una data molto cara a me. È il mio compleanno

Tanti auguri.

1

Konnie – parte settima

Su Caffè Letterario è stata pubblicata la settima puntata di Konnie che potete leggere anche qui.

Buona lettura

Le cime delle montagne intorno si tingono di rosa e le ultime stelle si confondono col cielo.

Alba si muove grugnendo. Avverte dolori alle spalle e formicolio alle mani. Si drizza eretta, guardandosi stupita intorno. Non si trova nella sua cameretta nella Città del Sole ma sulla nuda terra, dura e scomoda. Poi scoppia in una risata liberatoria. Ricorda che con Matteo sono usciti dalla calda cuccia della Città del Sole per esplorare quello che c’è tra loro e Bozen.

Il ragazzo si sveglia per le risate di Alba. Distende le articolazioni che sono intorpidite per la postura sconnessa assunta durante il sonno.

«Sveglia, dormiglione!» Urla la ragazza trattenendo la risata. «La giornata è splendida e la vista è mozzafiato».

Fatta la colazione col caffè liofilizzato e qualche galletta abbrustolita si rimettono in viaggio dopo avere ripiegato la tenda. Continuano a segnare il loro passaggio mentre scendono verso valle. Sono alla ricerca della strada che secondo la carta porta al Passo Pordoi e da lì a Canazei.

«Eppure per costruire il nostro rifugio» borbotta Matteo, «di certo c’era una strada o un sentiero che serviva per il trasporto del materiale e delle persone. Questo mi ha raccontato Michele qualche anno fa».

Alba scuote il capo. «Ci dovrebbe essere ma la natura in assenza degli umani ha ripreso possesso di tutto il suo regno e cancellando tracce e ricordi».

Il ragazzo scuote la testa perché non è d’accordo. “Almeno una traccia ci dovrebbe essere rimasta ma sembra tutto bosco e basta”.

Quando il sole, leggermente velato da nubi bianche frastagliate che si muovono veloci nel cielo azzurro, è alto, i due ragazzi decidono per una breve sosta. Sono affaticati perché gli zaini pesano e devono prestare attenzione a non mettere i piedi su pietre o rocce per evitare passi falsi. Trovano una piccola radura ricoperta da enormi felci e fiori sconosciuti. La filmano a memoria futura. Fa caldo, un caldo afoso che potrebbe presagire un violento temporale. Il contatore geiger segnala un livello di radioattività di circa due sievert o poco più, ancora alto e pericoloso.

Sentono muovere qualcosa tra le felci come una specie di guaito. Matteo impugna quel coltellaccio che dondola sul suo fianco. Spunta un muso con la lingua rossa a penzoloni. Gli occhi implorano cibo e il corpo si muove sofferente come se fosse ferito. Il ragazzo rinfodera l’arma. Ha capito che non è una minaccia.

«Un cane oppure un lupetto?» Chiede Alba, gettandogli la galletta che stava mangiando.

L’animale si sdraia poco distante e afferra con le zampe anteriori il cibo che sgranocchia in fretta.

«Ha fame il cucciolo!» ridacchia Matteo dando un colpetto sulla spalla della ragazza.

Ridono vedendolo mangiare con avidità quel pezzo di pane. Alba gli lancia un cubetto di carne secca, che l’animale prende al volo masticandolo con vigore. La lingua a penzoloni fa intuire che oltre la fame abbia pure sete. Matteo si guarda intorno alla ricerca di qualcosa dove possa versare l’acqua. L’unico oggetto è una foglia verde che recide con un colpo del coltellaccio. La gira e dalla borraccia fa cadere delle gocce. Il cucciolo si frappone con la lingua per bagnarsi la gola.

Alba gli accarezza la testa. Un gesto che gradisce. «Ciao Cucciolo! Noi andiamo». I due ragazzi riprendono a scendere a zig zag ma si fermano subito. Qualche passo dietro loro c’è il lupetto intenzionato a seguirli.

«Bene, abbiamo la scorta» ridacchia la ragazza, che riprende la discesa. Il cucciolo sia pure a fatica si è accodato a qualche metro di distanza. Zoppica come se avesse una ferita alla zampa anteriore destra. Si fermano per vedere cosa non funziona. Il lupetto si lascia visitare e con la lingua lecca la mano di Matteo.

«Ha una brutta ferita infetta ma non solo» spiega il ragazzo con tono serio, mentre prende del disinfettante dalla sacca che porta a tracolla. «La zampa è più corta delle altre. Ecco perché il branco l’ha abbandonato».

Finita la medicazione riprendono la discesa col lupetto che si è sistemato tra loro. La sua andatura è meno zoppicante ma comunque fatica a tenere il loro passo.

«Finalmente!» esclama Matteo scorgendo sulla loro destra il segno di una vecchia strada tutta sconnessa e ricoperta da arbusti ed erba. La pavimentazione in macadam è quasi sparita ma camminare è più agevole rispetto al bosco.

Fatti tre tornanti sentono il rumore dell’acqua che scorre tra i massi, mentre Cucciolo sparisce attratto da quel suono.

«Andiamo a vedere. Possiamo riempire le tanichette con acqua fresca» suggerisce Matteo infilando un groviglio di rovi.

È una piccola cascatella che forma una pozza, prima di fluire a valle. I due ragazzi ridono vedendo Cucciolo che beve con abbondanza. Riempiono le tanichette di tessuto appese alla cintola e pensano di fermarsi per la notte nella piccola radura adiacente al minuscolo laghetto formato dal piccolo salto d’acqua tra le rocce. Però capiscono che il posto non è salubre vedendo il lupetto che si allontana dopo essersi dissetato.

1

Konnie – parte sesta

Su Caffè Letterario è stata pubblicata la sesta parte del racconto Konnie, che potete leggere anche qui.

Mondi paralleli – link per l’acquisto https://amzn.eu/d/gtcYxrA

Konnie ha quasi ottant’anni. Gli mancano poco più di sei mesi al compleanno. Si sente stanco con le forze che giorno dopo giorno tendono a scemare. Con lentezza strascicando i piedi va a controllare la radioattività esterna. Sa che è un proforma perché decresce con molta lentezza. «Due sievert» scuote la testa pronunciando queste due parole. Però sente il richiamo di uscire, di vedere cosa c’è là fuori, di scoprire un mondo ignoto.

«Non importa se morirò!» Ammette con se stesso con tono fatalistico. «Tanto dovrò morire. Se non oggi, domani. Finora ho visto solo queste pareti grigie. Anzi quasi nere!» Ridacchia socchiudendo gli occhi. «Fuori ci saranno altri colori oltre al bianco, il grigio e il nero di questo bunker?»

Mette una polo nera stinta, calza delle scarpe che gli stringono i piedi, indossa un paio di jeans che stanno dritti da soli. Prende le chiavi che gli permetteranno di rientrare dopo la passeggiata all’esterno.

Con passo strascicato e col cuore che batte a mille apre la porta che gli consente di risalire in superficie.

Accende la torcia per illuminare i gradini. È la prima volta che li percorre. Prova una sensazione strana, quasi sconosciuta: brividi di freddo. Un acre odore di muffa, di aria stagnante assale le sue narici. Fa una smorfia. Rimpiange l’aria asettica del bunker. Mette il piede sul gradino che sembra scivoloso. Lo illumina: è ricoperta da una patina di verde che imbratta la scarpa. Quando prova a caricare il peso sulla gamba, questa tende a scivolare verso il basso. Si afferra al corrimano che avverte ruvido e si issa sul gradino superiore e così con gli altri. Ne avrà fatti una dozzina e ha il fiatone. La tentazione di invertire la marcia è forte ma la curiosità vince sulla stanchezza che gli attanaglia i polpacci.

Rifiata, sta sudando e quella sensazione di freddo è sparita. Passo dopo passo, gradino dopo gradino arriva in cima. Le scale sono finite. Illumina una porta d’acciaio dalle cui fessure filtra una lama di luce.

«Ci dovrebbero essere delle chiavi appese per aprirla» mormora mentre dirige il fascio luminoso in modo circolare. «Eccole!»

Le afferra, mentre sfiora la tasca per sentire le altre. Apre e fa due passi fuori. Rimane accecato. Per lunghi istanti i suoi occhi percepiscono solo una luce troppa intensa che gli impedisce di vedere cosa lo circonda. Ha un brivido di freddo, sente la pelle accapponarsi, la bocca comincia a tremare senza che lui riesca a fermarla. Strizza gli occhi, riducendoli a una fessura, in modo istintivo porta la mano sinistra sulla fronte. Quello che vede lo terrorizza: è tutto bianco che riluce sotto i raggi del sole. Sulla sua sinistra osserva dei ruderi, sulla destra una distesa candida. «È questo il mondo esterno?» Si gira e rientra nella cavità che ospita il suo mondo.

0

Konnie – parte quinta

 

Mondi paralleli – link per l’acquisto https://amzn.eu/d/gtcYxrA

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quinta parte del racconto Konnie. Di seguito qui la potete leggere.

15 agosto 2144

Il gran momento è arrivato Alba e Matteo curvi sotto il peso degli zaini salutano tutti. «Arrivederci! Tra quattro settimane torniamo con la speranza che possiamo uscire da questa Città del Sole senza problemi!»

È tutto un abbraccio e un arrivederci condito da qualche lacrima e tanti consigli. Poi dopo le ultime pacche sulle spalle entrano senza timori nella stanza che li separa dal mondo esterno. Un clack sonoro suggella la chiusura. Si tratta di aspettare che l’altra porta si apra per uscire e cominciare la nuova esplorazione.

«Alba, a destra o sinistra?»

La ragazza consulta la bussola, un retaggio del mondo antico che è sparito per l’insania di qualche potente. La pone sulla carta che servirà per raggiungere Bozen. «A sinistra. Dovremo trovare un paese o meglio un gruppo di paesi che prendono il nome di Livinallongo o quello che resta di loro».

Scendono attraverso un’abetaia non senza qualche difficoltà. Abeti crollati a terra e un sottobosco irto di spine e di rovi che coprono forre e altre insidie. Devono fare attenzione perché non esistono sentieri e sentono il rumore sordo dell’acqua che scorre senza vederla o individuare dov’è. Mettere un piede in fallo può rappresentare la fine della loro vita, perché nessuno li verrà a cercare.

Nell’uscita precedente si sono limitati a girare nelle vicinanze e non è stato facile ritrovare la strada del ritorno verso l’ingresso della Città del Sole. Si sono persi più volte perché è sembrato a loro di essere passati di lì mentre non era vero. Quindi l’esplorazione è stata piuttosto un girare confuso, a volte in tondo. Questa volta segnano con dei segnali il tragitto che fanno per raggiungere la strada, ammesso che esista ancora.

La protezione contro le radiazioni e il peso degli zaini non consente di muoversi con agilità mentre scendono con prudenza verso il fondovalle. La luce incerta del bosco non aiuta i due ragazzi che si fermano per calmare l’agitazione interna. La discesa è ripida più di quello che ricordano quando un mese fa hanno fatto la prima uscita.

«Mat, sei sicuro che stiamo scendendo nel modo giusto?» mormora con tono affranto Alba che sta sudando copiosamente dentro la tuta, mentre il casco si appanna. Si ferma, aspetta che la visibilità torni accettabile.

Matteo ritorna sui suoi passi e affianca la ragazza. «Premi questo bottone» e le indica un pulsante verde all’altezza delle orecchie. «Serve per togliere l’umidità all’interno del casco».

«Grazie, Mat! Non ricordavo questo dettaglio che Arturo ha aggiunto per evitare situazioni come questa».

Come la prima volta hanno perso il senso del tempo. Non hanno strumenti per misurarlo. Si basano sul sole. Il cielo è sereno privo di nuvole, mentre il sole declina dietro le montagne di fianco. Però non sarà sempre così, perché una giornata nuvolosa o grigia per la pioggia li trarrà in inganno.

«Alba, cosa ne pensi se cerchiamo un posto per la notte? Le ombre si fanno lunghe e il buio infittisce» propone Matteo che ha notato le sue difficoltà a muoversi con scioltezza. La stanchezza può diventare pericolosa in montagna, specialmente in un ambiente di sicuro ostile.

La ragazza annuisce, perché stava per proporlo. Avrebbero sperimentato il riparo costruito da Arturo. Scendono ancora più a valle finché un trovano una radura circondata da alberi molti alti che non sono abeti o larici. L’erba è giallastra, secca come se fosse da tempo che non piovesse. Decidono di sistemarsi sotto una folta chioma di albero. Qui dal terreno affiorano robuste radici e l’erba è rada e bassa.

Hanno da poco posizionato la tenda, quando di colpo si passa dal chiarore del giorno al crepuscolo della sera. Il cielo è ancora chiaro ma nel bosco l’oscurità diventa notte. Accendono una torcia alimentata da combustibile nucleare che illumina l’area dove sono accampati.

La stanchezza e lo stress compiono il miracolo di farli addormentare subito. Un sonno senza immagini.

[continua]

0

Nuovo post su Caffè Letterario

Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post che replico anche qui.

21 Luglio 2144 – Sarntal

Sono passati cento anni da quando il mondo si è autodistrutto con’insensata guerra atomica. Era tutto cominciato vent’anni prima, nel 2024, con guerre regionali in Europa, in Medio Oriente, in Africa. Poi le scaramucce hanno innescato altri incendi in Asia e in America centrale. E il fuoco è divampato ovunque. L’industria della guerra prosperava sfornando munizioni, armi sempre più letali, droni guidati da quella che con grande pompa chiamavano Intelligenza Artificiale, AI per tutti. Pochi si arricchivano col sangue di molti innocenti.

Poi è stato un tutti contro tutti esiziale. All’inizio è stata qualche atomica tattica, che di tattico ha avuto solo il nome, perché le aree contaminate sono cresciute mese dopo mese, anno dopo anno. Alla fine il botto finale ha chiuso la partita nel 2044. La contaminazione radioattiva ha raggiunto valori insopportabili. Dieci e oltre sievert in ogni parte del globo terrestre senza eccezioni di sorta. La gente ha cominciato a morire tra atroci sofferenze, gli animali a sparire. I più ricchi si sono rifugiati nei propri bunker atomici per non morire come mosche sulla carta moschicida. I meno fortunati invece sono morti. Le città sono diventate luoghi spettrali dove la natura ha ripreso il sopravento, cominciando a sgretolare tutte le opere umane.

Amelia con Alfredo e un gruppo di amici pacifisti dopo essersi sgolati invano contro le scelleratezze di una guerra globale hanno deciso di costruire una città sotterranea per salvare un nucleo di uomini accomunati da un unico ideale: pace e concordia. Hanno realizzato una specie di Città del Sole sotto terra, simile a quella idealizzata da Tommaso Campanella molti secoli prima. Il posto individuato è sotto le montagne tra Veneto e Alto Adige. Sono riusciti appena in tempo a finirla e rifugiarsi lì, quando il mondo è collassato auto distrutto dall’insensatezza di chi stava al potere.

Cento anni dopo gli eredi di quel nucleo di visionari, che avevano compreso il pericolo che stavano correndo, hanno deciso di uscire dalla loro Città del Sole. La radioattività è ancora alta ma con le protezioni adeguate è possibile cominciare a muoversi all’esterno con cautela.

Quando si sono rifugiati sotto terra erano diverse centinaia di coppie con bambini e qualche anziano. Adesso sono cresciuti a un migliaio di persone tra giovani e adulti e ogni spazio della Città del Sole si è saturato nel tempo. La convivenza non è mai stata minacciata dagli egoismi personali. Però è arrivato il tempo di mettere il naso fuori per osservare cosa è rimasto della civiltà umana con la visione futura di ripopolare un mondo che a tutti appare ignoto.

Il loro modello non è verticista ma tutti sono alla pari. Le decisioni vengono prese dopo una pacata discussione che valuta tutti gli aspetti. Quando hanno pensato di uscire nel mondo di sopra, in modo collegiale hanno stabilito che solo gruppi di volontari si sarebbero avventurati all’esterno, tenendosi in contatto tra loro e con la Città del Sole. Ignorano cosa avrebbero trovato nell’ambiente esterno e come si presenta in questo momento il vecchio mondo che hanno conosciuto solo attraverso vecchi video e fotografie e dai racconti dei genitori o nonni. Nessuno di loro l’ha mai visto di persona. Il muoversi fuori dalla Città del Sole è un salto nel buio. Ignorano quali pericoli avrebbero affrontato.

Alba e Matteo, due giovani di vent’anni di terza generazione, si offrono volontari insieme a un’altra dozzina di coppie per esplorare l’ignoto. Con l’ausilio degli anziani pianificano le aree da esplorare con l’aiuto di vecchie cartografie dell’Istituto Geografico Militare molto dettagliate. Vengono caricate su vecchi tablet a colori che serviranno loro come guida per orientarsi. Dovranno camminare a piedi in assenza di altri mezzi di locomozione. Avranno scorte alimentari per circa dieci giorni. Quindi dovranno regolarsi per il rientro alla Città del Sole. L’unica arma di difesa sarà un alpenstock che servirà loro per aiutarsi a camminare nei sentieri di montagna. Per ripararsi nella notte dovranno arrangiarsi.

Indossate le protezioni e caricati sulle spalle gli zaini Alba e Matteo salutano la comunità e si avviano guidati dal GPS solare verso il mondo esterno.

La luce del giorno acceca i loro occhi abituati a quella artificiale della Città del Sole. Devono schermarsi per abituare la loro vista a qualcosa di insolito. Quello che vedono è molto diverso dai video osservati sotto terra. La natura appare di un verde più intenso e lascia filtrare debolmente delle spire di luce attraverso il fogliame fitto di alberi che non riconoscono. Si muovono con cautela nel sottobosco costituito da piante basse e spinose costellate da fiori dai colori vivaci, quasi violenti. È un mondo tutto nuovo quello che appare ai loro occhi curiosi. Anche i rumori sono delle novità per le loro orecchie abituate ai suoni ovattati e leggeri della Città del Sole. Devono abituare i loro sensi a sensazioni diverse di quelle vissute per vent’anni. Non possono sperimentare il gusto e il tatto per ragioni di sicurezza, né le diversità del mondo che stanno scoprendo.

Dopo dieci giorni ritornano al loro caldo nido. Descrivono un ambiente selvaggio dove è difficile muoversi perché non esistono più sentieri o strade come sono segnate sulle mappe. Hanno rischiato di finire in fondo a burroni perché il terreno è franato a valle. Hanno incontrato animali strani che li hanno osservati come intrusi. Hanno percepito suoni mai ascoltati. Quando le chiome degli alberi si sono diradate per mostrare il cielo, hanno visto figure bianche correre sullo sfondo azzurro, lasciandoli basiti. Ai loro occhi ingenui è apparso un mondo fantastico che hanno faticato a descrivere al loro rientro.

Anche gli altri gruppi hanno parlato di un ambiente che ha superato la loro immaginazione. Tutti hanno concordato che per le prossime esplorazioni bisogna migliorare l’attrezzatura da portare per rendere più comodo il trascorrere della notte e difendersi dai pericoli che si possono incontrare.

Tuttavia la curiosità di esplorare quello che sta fuori la loro Città del Sole è troppo forte per rinunciare a capire se sarà possibile riemergere dal sottosuolo. Così in accordo col resto della comunità Alba e Matteo decidono di eseguire un’escursione molto più lunga nel tempo verso la città più vicina: Bozen.

[fine prima parte]

0

15 ottobre 1950

Su Caffè Letterario è stato pubblicato un nuovo articolo che potete leggere anche qui.

La Maharani Gayatri Devi osservava gli alberi del giardino interno nel palazzo di Japur e provava un filo di nostalgia per essere lì e non altrove. Avrebbe desiderato stare a Londra, dove aveva studiato prima del matrimonio con il Maharaja Sawai Man Singh II. Con l’indipendenza dell’India nel 1947 aveva perso lo status regale pur conservando il titolo di principessa.

Era di una bellezza misteriosa come molte delle maharani. Aveva lasciato alle spalle un’infanzia felice trascorsa lontano dall’India. Dapprima a Londra, poi a Losanna. Erano i ricordi londinesi quelli più felici anche se erano lontani nel tempo.

Si domandò se Lord David Mounbatton si ricordava di lei. Erano coetanei, entrambi nati nel 1919 a distanza di pochi giorni. David era nato il 12 maggio e Gayatri il 19 dello stesso mese a Londra. Lei era restata nella capitale inglese fino all’età di dodici anni, prima di ritornare a Cooch Behar nel West Bengal, dove il padre era il principe Jitendra Narayan di Cooch Behar. La madre Indira Raje di Baroda, una principessa della casta Maratha, era innamorata dell’Europa. Ritornò con la figlia quasi subito a Londra, dove la iscrisse in un college esclusivo, il Monkey Club, per avviarla alla professione di segretaria.

Lord David era il figlio cadetto di un Sea Lord inglese, legato alla corona inglese. Si incontrarono al ballo delle debuttanti che tutti gli anni si teneva in febbraio presso il Monkey Club. Gayatri avrebbe compiuto diciott’anni qualche mese più tardi. Ballarono tutta la sera senza stancarsi mai. Parevano una coppia affiatata. Impeccabili nei movimenti, sempre sorridenti con tutti. Lui alto e biondo, lei più bassa e dalla capigliatura corvina. C’era contrasto nei visi: lord David dal pallore chiaro, Gayatri dalla carnagione olivastra. Anche gli occhi erano del tutto diversi. Lui un azzurro ceruleo, lei scuri quasi neri. Però era un gradevole accostamento.

Si frequentarono fino a giugno, quando il padre le ordinò di ritornare senza indugi in India. Si salutarono scambiando la promessa di non perdersi di vista. Gayatri non sapeva che era stato combinato il suo matrimonio con quello che sarebbe diventato, qualche anno più tardi il Maharaja di Japur. Una fastosa cerimonia suggellò le nozze e l’anno successivo divenne la Maharani.

Lei però non aveva dimenticato quel lord inglese alto e biondo dal sorriso dolce, che aveva popolato i suoi sogni di diciottenne. Questo ricordo rimase confinato dentro di lei, anche se ogni tanto riaffiorava il desiderio di conoscere la sua sorte.

Gli anni trascorsero lieti e spensierati, appena lambiti dalla seconda guerra mondiale, che percepiva lontana dai fasti della corte di Japur. Poi arrivò l’indipendenza dell’India e la perdita del suo status regale, senza che questo incidesse minimamente nella sua vita.

Lei era sempre la Maharani, rispettata con deferenza dai suoi concittadini. Continuava a vivere in un’ala del palazzo reale, come se non fosse successo nulla nel 1947.

Il 15 ottobre del 1950 era una giornata soleggiata e calda nonostante fosse la stagione dei monsoni. Gayatri osservava il giardino da una finestra dei suoi appartamenti. In un angolo della stanza stava la dama di compagnia più fidata, che lavorava su un piccolo telaio. Era bassa di statura e coi capelli corvini. La Maharani lo guardò incerta se chiamarla oppure no. Si alzò e si diresse verso la camera da letto.

Da un secretaire aprì un cassettino, nascosto da una ribalta, e prese un sacchetto di pelle. Lo aprì e controllò il contenuto. Erano i gioielli indossati tredici anni prima durante il ballo delle debuttanti. Un collier di diamanti e rubini, un paio di orecchini a goccia, un bracciale d’oro tempestato di rubini e smeraldi. Li ripose nel sacchetto e richiuse il cassetto.

Tornò nella stanza dove Amrisha aveva continuato a lavorare al telaio. L’osservò e rifletté. Aveva saputo che tra quindici giorni un fratello della donna, un cadetto della ‘marine de commerce’, si sarebbe imbarcato su un aereo con destinazione Londra. Qui doveva armare una nave alla fonda a Newcastle upon Tyne in Inghilterra. Di lei poteva fidarsi sia per la discrezione sia per la fedeltà. Sarebbe stato il vettore più sicuro per trasmettere quello che per anni aveva conservato con gelosa segretezza.

Si avvicinò, mentre la ragazza sollevava il viso. Un viso ovale incorniciava due grandi occhi scuri.

«Vieni, Amrisha. Ho bisogno di parlarti» le susssurò con tono autoritario, accennando col capo di sedersi accanto a lei.

«Mi dica, Maharani» rispose con voce deferente.

«Devo trasmettere un cofanetto a Londra in assoluta segretezza. Nessuno deve sapere che proviene da me».

La ragazza strinse le labbra, perché aveva intuito chi doveva trasportarlo.

«Mio fratello, Banshidhar, partirà per Londra il due novembre insieme ad altri suoi compagni. Lui potrebbe portare con sé il suo pacchetto».

«È una persona fidata?» Le domandò, conoscendo già la risposta.

«È la discrezione fatta persona. Sapendo che è lei, Maharani, lo sarà ancora di più» ribattè di slancio con tono sicuro.

«Quando lo vedi?»

«Lo saluterò tra quindici giorni, quando passerà dall’abitazione dei miei genitori a Baroda» rispose abbassando gli occhi.

«Prima che tu parta per Baroda, ti consegnerò il pacchetto e una lettera. Grazie, Amrisha. Puoi tornare alle tue occupazioni» e la congedò.

0