Comincia con questa puntata un nuovo viaggio. Buona lettura
Foto di Juliana Stein da Pexels
Ha cominciato camminando con cautela, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti. Uno di seguito all’altro.
Una maratona e poi di colpo, lo scatto: i fianchi che spingono verso l’alto, i muscoli delle gambe che si rattrappiscono e si slanciano in avanti. Le suole delle scarpe di tela battono l’asfalto rugoso. I gomiti sollevati oscillano avanti e indietro.
Non ha mai corso così. Non ricorda di averlo mai fatto. Non ricorda niente.
Ogni tanto, l’ululato di un clacson da un’automobile in corsa la sferza e la fa barcollare. Un urlo prolungato che si smorza e muore in avanti, in quel punto imprecisato dell’orizzonte verso il quale Simona corre.
Non solleva mai lo sguardo da terra. Vede la punta delle scarpe di tela bianca apparire e scomparire davanti a sé.
Simona continua a correre finché il fiato la sorregge, perché sa che deve allontanarsi il più possibile da quel luogo, dove è rimasta paralizzata dalla paura.
Cosa c’era in quel posto da incutere angoscia? Non lo sa nemmeno lei, è consapevole che là sta il male o meglio un uomo che lo personifica.
Perché si è recata da sola e a piedi nel deposito di uno sfasciacarrozze, avendo ben chiaro che quell’uomo avrebbe tentato di aggredirla e stuprarla?
«Sei stata una sciocca ragazza, mia cara Simona» farfuglia col fiatone per la lunga corsa disperata. «Lo sapevi che Mark voleva una cosa sola: il tuo sesso. E lo voleva con le buone o le cattive, lo voleva e basta! Cosa ti è venuta in mente di andare in quel deposito? Non avevi capito che il luogo era solitario e disabitato? Pensa alle indicazioni che ti ha dato questa mattina a Central Park? Ti ha detto: ‘Vai alla stazione delle corriere Amtrack e prendi l’autobus per New Haven. Quando sei a New Rochelle scendi alla terza fermata dopo il paese. Fai cento passi oltre la fermata, sulla tua sinistra c’è un piccolo viottolo che porta a un fabbricato. Io sarò lì ad aspettarti. Ricordi bene le istruzioni?’ Cosa pensavi che ci fosse lì? Il paradiso terrestre? O l’inferno? Ricorda che ti aveva detto come vestirti: una camicetta bianca leggera, una gonna corta e sotto solo un perizoma in miniatura. Con un abbigliamento del genere dove credevi di andare? A una festa danzante per debuttanti? Sei stata una grossa ingenua non pensare che lui ti voleva fottere! E poi pensavi di cavartela con una scopata? Magari fosse stata solo quella! No, non ci siamo per nulla! Chissà quali altri progetti aveva in mente! Eppure non sei una bambina, ma sei una donna matura.»
Simona ricorda con terrore la faccia contratta di Mark che l’afferra per le spalle per sbatterla sull’erba sudicia di olio e benzina pronto a sollevare la gonna e strappare il perizoma di dimensioni ridottissime. L’aveva comprato, dopo essersi lasciati a Central Park, nella 3th Avenue da Bloomingdale’s nel reparto di lingerie per indossarlo nel pomeriggio, proprio per lui.
C’era quasi riuscito, ma ha perso tempo con la cerniera dei jeans inceppata e lei si era rialzata di scatto ed era corsa via dietro una pila di carcasse di gomme.
Questa è stata la sua salvezza. Mark ha imprecato nello slang del Bronx mentre la cercava dove si era nascosta. Lo ho sentito vicino, mentre si spostava, cercando l’uscita in quel labirinto di carcasse arrugginite e corrose dalla pioggia, di portiere e gomme accatastate in pile instabili pronte a crollare a ogni refolo di vento. Il cuore batteva impazzito per il terrore di finire nelle mani dell’uomo, deciso a farla sua a tutti costi.
Quando è stata in prossimità dell’uscita, che vedeva come il miraggio della fata Morgana, aveva capito che Mark era lontano. Si è corsa sulla strada, dove non è al sicuro, ma forse può contare sugli automobilisti di passaggio.
Dopo la lunga corsa col cuore in gola e con la paura unita come ombra dietro di lei, è alla fine arrivata alla fermata dell’autobus, dove è discesa allegra e fiduciosa un’ora prima.
Scruta sotto il sole cocente di luglio la strada, pregando che la corriera gialla si stagli all’orizzonte e si materializzi presto.
Sente la camicetta aderire al seno, zuppa di sudore, che scivola lento verso la gonna e ancora più giù lungo le cosce, mentre i capezzoli scuri e duri si stagliano netti sulla stoffa bianca. Il sudore lascia una scia di odore animalesco, quasi mascolino per la paura e la lunga corsa. Però non gliene importa nulla, prega che l’autobus arrivi in fretta. Si sente sporca dopo essere stata sbattuta sul lurido prato dello sfasciacarrozze, anche se non riesce a vedere la schiena e i capelli. Viste le condizioni della gonna, anche la camicia non sarà messa meglio: imbrattata di grasso nero e strappata in più punti.
Si torce le mani in preda all’ansia perché la corriera tarda a venire, mentre le macchine sfrecciano davanti a lei. Finalmente la sagoma amica del bus si profila in lontananza sul lungo rettifilo nero che solleva ondate di vapore.
«Avanti!» sussurra ansiosa Simona. «Muoviti! Sei la mia salvezza! Dio, ti prego, fa correre quella lumaca!».
Vede il grosso lampeggiante giallo in azione, perché l’ha vista e si appresta ad accostare.
La porta anteriore si spalanca, come la grande bocca di una balena per accoglierla al sicuro dentro il grande ventre. Scorge in lontananza la macchina di Mark, che con lentezza sta scrutando i bordi della strada alla ricerca della preda sfuggita.
Infilata la moneta nella feritoia, si rannicchia sul sedile centrale per nascondersi alla vista del cacciatore, perché non è ancora in salvo. Spera che a Mark non venga in mente di salire sull’autobus a una delle prossime fermate. Deve trovare un sistema per mettere più strada possibile tra loro. Gli occhi cadono sulla mappa dei trasporti urbani, che evidenziano che alla prossima fermata potrebbe scendere per prendere la metropolitana fino all’appartamento nelle vicinanze di Times Square a Manhattan.
I pochi passeggeri non sembrano curarsi di lei, ma cercano refrigerio dai finestrini aperti.
“Meglio così” pensa Simona. “Un problema in meno”.
Sbircia dietro e davanti sperando di non scorgere la Buick nera di Mark, prima di allungare lo sguardo alla fermata che si avvicina. Tira un respiro di sollievo, forse riesce a farcela a tornare nel Residence Inn Patriot, dove alloggia da quando è arrivata a New York, senza essere intercettata da Mark.
Quaranta minuti dopo è al sicuro nella sua stanza al quinto piano, che guarda il Bryant Park. Si guarda allo specchio: è in condizioni terribili. Toglie la camicetta, strappata in alcuni punti e nera di grasso, di fango e di altri sudiciumi, e la getta nel cestino, insieme alla gonna inservibile.
Rimane nuda, perché il minuscolo perizoma è rimasto sul prato dello sfasciacarrozze come un trofeo perduto. Controlla tutte le abrasioni del corpo prima di mettersi sotto la doccia bollente a togliersi odori e sozzure raccattati durante il tentativo di Mark di violentarla.
Era il 30 giugno 2009, quando Simona è giunta a New York con un volo Air France via Parigi tre sere prima per incontrare Mark, con cui aveva chattato per oltre un anno. I genitori non volevano che volasse in America a fare conoscenza con uno sconosciuto incontrato sul web. Lei ha quarant’anni e vive da single da una vita e non ha voluto ascoltare i loro consigli.
Si è presa due settimane di ferie per andare nella Grande Mela. Il viaggio e il soggiorno sono costati relativamente poco a causa del cambio favorevole e per di più si faceva una bella vacanza in una città per lei mitica che le è sempre sembrata irraggiungibile.
Adesso le pare di essere piombata in un incubo.