Massimolegnani – orea rovescio – ha scritto un post con due incipit troncati a metà. Ebbene ho raccolto la sfida e propongo la mia continuazione del secondo.
Di fronte a lui la donna chinò il capo. Sembrava affranta, soverchiata dalla vergogna, invece stava raccogliendo le forze, come un’atleta prima di spiccare il salto, voleva far esplodere la collera in un’invettiva che avrebbe fatto tremare i vetri alle finestre e i baffi tinti a quel pallone gonfiato. Tu, disse sollevando un indice imperioso, tu…
…abbassò l’indice. Era sbollito tutto come un pallone forato.
Lo guardò e poi gli volse le spalle che sembravano spiovere verso il basso rassegnate. La vergogna di avere un compagno fannullone era troppo per lei che credeva nell’onestà delle persone. E lui pareva proprio non averla.
Più di una volta aveva dimostrato di essere inaffidabile e bugiardo. Questo la faceva vergognare tantissimo. Aveva origliato i commenti malevoli delle vicine sul compagno e i risolini di compatimento su di lei. Avrebbe voluto replicare a muso duro ma poi aveva capito che avevano ragione.
Sonia era una donna di cinquant’anni ma ne dimostrava dieci di più. Quel bastardo del compagno le stava succhiando tutta la linfa vitale, prosciugandola. Piccola, vestita modestamente ma sempre ordinata. Capelli raccolti a crocchia a formare uno chignon appena abbozzato. Non c’era vicina che non si prodigava a darle dei consigli che ascoltava con umiltà senza trovare quella forza necessaria per troncare quel rapporto ormai logoro. Però dopo tanti anni non se la sentiva di abbandonarlo anche se avrebbe meritato di subire questa mortificazione.
Angelo rimase a guardarla mentre si allontanava verso la cucina. Sollevò le spalle in segno d’indifferenza. Alto con una bella pancia pronunciata aveva in testa radi capelli gialli. In realtà avrebbero dovuti essere candidi ma l’unto li rendeva di un colore indefinito tra il giallo e il grigio sporco. Avrebbero avuto bisogno di un bel lavaggio ma Angelo erano settimane che rimandava.
Si sedette sulla poltrona con le mani in grembo. Questa volta l’aveva fatta grossa e difficilmente Sonia l’avrebbe perdonato. Quando l’aveva vista congestionata in viso, paonazza e con la giugulare che pulsava pericolosamente si era detto che era arrivato al capolinea. Poi aveva tirato un sospiro di sollievo quando, dopo averlo additato e urlato in faccia «Tu», se ne era andata in cucina. Il respiro che aveva trattenuto proruppe dal petto con un rumore sordo.
“Sonia è fin troppo paziente con me” rifletté Angelo, grattandosi la guancia ispida ricoperta da una peluria bianca. “Io l’avrei presa a calci nel culo e sbattuta fuori dalla porta”. Invece no. Gli sembrò di averla sfangata ancora una volta oppure era solo un’illusione. Provò a non pensarci perché la sua vita era una collezione d’insuccessi.
Ricordò il motivo dell’ira della compagna: invece di comprare le scatolette per Tobi, il loro gatto, aveva giocato alle slot machine nel bar sotto casa e ovviamente aveva perso tutto. Anzi aveva contratto un debito di cento euro con Martino, che glieli aveva prestati.
Il gatto miagolò strusciandosi sul calzone logoro in cerca di una coccola.
Angelo lo allontanò in malo modo. Non aveva nessuna voglia delle sue fusa. Si torse le mani, perché non sapeva come chiedere a Sonia quei cento euro da restituire a Martino. Lui non lavorava o meglio faceva lavoretti saltuari di poco conto, perché era in mobilità e prossimo al licenziamento. Se non ci fosse stata Sonia avrebbe dovuto mendicare un piatto alla Charitas.
Però adesso la priorità era recuperare cento euro. Una somma enorme per loro che dovevano lesinare anche il centesimo.
«Tobi che facciamo?» disse al gatto che era rimasto offeso da quel gesto poco urbano.
«Lascia perdere Tobi» gli sibillò acida Sonia. «Alza il culo e vai a pulire le scale del condominio, se vuoi stare ancora in questa casa».