Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post. Una storia come tante altre. Un’immagine e le parole che l’immagine mi crea.
Buona lettura
Fantasie e realtà
Su Caffè Letterario ho pubblicato un nuovo post. Una storia come tante altre. Un’immagine e le parole che l’immagine mi crea.
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Eccoci con l’appuntamento del venerdì con Simona e Mark. Le puntate precedenti le trovate qui.
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Mark per la seconda volta si ritrova sul marciapiede davanti al residence, ma non demorde dal proposito di prendersi Simona. “Sei mia. E non puoi sfuggirmi” riflette schiumando di rabbia, mentre osserva l’edificio dall’esterno.
Però non ha fatto i conti con Dick e la security, perché lui ha allertato i suoi uomini.
«Tenete d’occhio i video che riprendono gli ascensori. Chiamatemi se inquadrate un uomo dalla carnagione chiara, quasi calvo e tendente alla grasso, che si muove in modo furtivo» ha ordinato prima d’iniziare il giro d’ispezione.
Sente il cicalino che squilla.
«Dimmi».
«Il tipo sta prendendo l’ascensore al livello uno del parcheggio».
«Ok» risponde mentre comanda a un paio dei suoi uomini di convergere al quinto piano. Lui impreca in silenzio perché è lontano dagli ascensori e si trova al decimo piano.
Mentre Mark si avvicina alla suite 510 per fare la festa alla preda che gli è sgusciata tra le mani, non sa che è stato intercettato dalla security. Lui pensa al suo orgoglio ferito di maschio, che vuole vendicare. È convinto che sarà un gioco da ragazzi aprire la serratura elettronica. “Lei non si aspetta un mio attacco nel posto dove si sente al sicuro” si dice, mentre un sorriso gli illumina il viso.
«Bastard!» sibilla indispettito, perché la serratura non cede. «Eppure sette anni fa i residence Inn Patriot avevano delle serrature ridicole, quando abbiamo rifatti i contratti assicurativi a copertura dei rischi globali. Avevo calcato la mano nel segnalare le disfunzioni della security e delle chiusure delle stanze per gonfiare il costo della polizza. Vuol dire che hanno messo mano al portafoglio per ridurre l’importo annuale».
Mark, come broker assicurativo per conto di AIX, aveva segnalato che i residence presentavano delle falle di sicurezza sia sulla robustezza delle serrature, sia per possibili intrusioni dall’esterno. L’assicurazione si doveva cautelare contro i rischi per furto e pericolo attentati.
Mentre accende una sigaretta, Mark si deve ricredere sulle falle sicurezza, perché la security ha funzionato pizzicandolo due volte con estrema facilità e la serratura non si è aperta ai suoi tentativi. Rivede il film di poco prima e sorride che gli è andata bene, perché vista l’inutilità dei tentativi, ha avuto poco tempo per scappare senza danni. “Stavolta ho commesso infrazioni più gravi che mi avrebbero portato in una cella di sicurezza” si dice fumando la sigaretta.
Ha sentito voci concitate e passi veloci in avvicinamento, percependo di aver perso la partita. Si è guardato intorno infilando le scale, perché gli ascensori sarebbe stati una trappola per lui. Sa che possono essere bloccati da remoto con lui dentro.
La fuga non è stata semplice, pensa ricordando quei frangenti. Ha sentito dei passi che salivano dal basso per intercettarlo. Con mossa rapida è risalito di due piani, dirigendosi verso le scale del lato opposto. Conosce la dislocazione delle cam di sorveglianza, che evita. Ha dovuto giocare d’astuzia prima che potessero organizzare meglio la caccia. Sceso di due piani si è diretto verso il montacarichi posto di fianco alla porta di servizio. Ha spinto il tasto ground zero per depistare gli addetti, mentre ha proseguito la corsa verso il basso senza incontrare nessuno.
«Dick» avverte una voce dei controllori. «Ha preso il montacarichi lato B. Si dirige verso ground zero».
«Grazie» risponde mentre avverte i suoi di bloccare l’uscita.
Mark, arrivato al livello uno del parking, ha percorso la rampa che porta all’uscita, tenendosi al riparo delle telecamere di sorveglianza. Ha azionato la fotocellula che apre il cancello di uscita, mescolandosi con le persone che transitano nella la zona.
Dopo un ultimo sguardo torvo al residence getta la sigaretta e si avvia verso la macchina parcheggiata nella 38th Street.
«Per stanotte maledetti piedipiatti avete vinto la battaglia, ma la guerra continua» borbotta.
Dick capisce che non sarà facile pescare il tipo, perché si muove con sicurezza disarmante, anticipando le loro mosse.
“Se ha attaccato con simile certezza la serratura, vuol dire che ignora che sono state cambiate negli ultimi tre anni per evitare la loro apertura con troppa facilità” pensa avviandosi verso la suite 510. “Anche la security è stata riorganizzata per sventare minacce di attentati. Questi interventi sono stati eseguiti per limitare l’esosità dell’assicurazione AIX. La direzione, fatti due conti, ha tagliato il costo della polizza con nuove serrature e una sicurezza interna più efficiente. Nel giro di due anni si è ripagata la spesa”.
È un frenetico rincorrersi fra i vari piani, finché l’interfono non comunica che la persona cercata è uscita attraverso il cancello del parcheggio sotterraneo.
Dick ha la certezza assoluta che quel tipo conosce bene la struttura del residence e che potrebbe tornare. Di sicuro non è uno sprovveduto, perché non ha commesso il minimo errore. Poi ha evitato di essere inquadrato impedendo di avere la percezione dove si trovava.
«Questa volta mi hai beffato. Ma la prossima mi troverai più preparato e non mi sfuggirai» sibilla a denti stretti un infuriato Dick, che ha sventato l’attacco senza riuscire a catturare l’intruso.
Dell’episodio deve fare un rapporto dettagliato alla direzione e decidere la protezione del cliente. Non vuole correre rischi di denunce o di pessima pubblicità al Gruppo. I concorrenti sarebbero implacabili.
Arrivato alla suite 510 bussa con discrezione.
«Miss Ferrari, tutto bene?»
Con cautela vede spuntare il viso impaurito di una giovane donna, che annuisce.
“È una bella ragazza e ha attirato le mira di un maniaco. La stranezza è che sia arrivata da tre giorni incappando in una persona decisa a entrare nel suo appartamento. Domani devo approfondire l’esatta dinamica degli eventi” riflette Dick rassicurato che il cliente non ha subito danni.
«Spero che il resto della notte sia più tranquillo. Per evitare altri spiacevoli inconvenienti lascerò al piano una delle mie persone. In caso di necessità non esitare a comporre la chiamata delle emergenze interne. Qualcuno di noi arriverà subito. Non devi avere paura, qui sarai protetta. Notte». Aspetta che chiuda la porta prima di tornare nel suo ufficio.
Dick scuote il capo perché intuisce che la situazione non è normale.
Eccoci col tredicesimo appuntamento con Simona a New York. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.
Simona è in preda al terrore, mentre si avvicina silenziosa alla porta, stringendo con forza il telefono.
La paura la sta paralizzando, mentre la determinazione e lo spirito battagliero sembra essere svanito all’improvviso.
Sente armeggiare con discrezione ma con energia sulla serratura, mentre osserva la sedia oscillare con decisione.
Trattiene il fiato, ma ascolta il respiro convulso che proviene dall’esterno, mentre rimane indecisa se chiamare la reception per richiedere aiuto.
Il dito è appoggiato sul tasto verde della chiamata, ma la mente non vuole comandare la pressione.
“L’incubo si sta materializzando” riflette in un momento di lucidità “Però non riesco a decidermi. Chiamo o non chiamo? E se questi rumori sono frutto della mia fantasia a causa del brutto sogno precedente? Che figura ci faccio?”
Eppure solo mezz’ora prima non aveva queste indecisioni, ma si mostrava sicura di sé. Adesso è irresoluta, indecisa, ma soprattutto è il terrore che fa da padrone. Assiste impotente ai tentativi di aprire la porta mentre la mente fatica a trattenere i pensieri. Se vedrà sbucare Mark come un fantasma che attraversa i muri, è consapevole che non riuscirà a opporsi, rimarrà inerte a meno che uno choc non la risvegli dal torpore psichico nel quale si sente avvolta.
Sta immobile a un metro da quel fragile simulacro che la divide da lui e non reagisce al pensiero che, se riesce a entrare, lei sarà in balia di Mark senza nessuna barriera difensiva a protezione.
Torna indietro nel tempo, quando aveva solo venticinque anni e stava con Roberto. Non comprende il motivo per il quale lei associa sempre Mark a quel vecchio amore, naufragato tra gli scogli dell’indifferenza e della trasgressione.
Sta collegando questi momenti d’indecisione all’episodio avvenuto molti anni prima. Sono ricordi lucidi e precisi, che riaffiorano in questi istanti drammatici.
Roberto aveva proposto una serata trasgressiva in un locale a luci rosse per fare qualcosa di diverso dalla solita routine. L’aperitivo con gli amici, quattro salti al disco pub, la corsa nella notte per tornare a casa.
In passato si era sempre rifiutata di parteciparvi, resistendo alle lusinghe di un’esperienza eccitante secondo lui ma deprimente per lei. Era decisa a dire di no, perché il pensiero di fare sesso con uno sconosciuto o sotto gli occhi di estranei non riusciva a concepirlo. Ne aveva sentito parlare nelle lunghe serate invernali come un momento di eccitazione e di forte trasgressione, che terminava sempre con una ammucchiata di gruppo. In quel periodo il rapporto con Roberto era in crisi e sperava di ricucirlo accondiscendendo alla richiesta di una serata speciale. Così si era ritrovata coinvolta in giochi erotici di coppia senza che lei se ne rendesse conto. Con loro c’erano altre due coppie di perfetti sconosciuti, che secondo lui erano suoi amici. Per lei erano persone raccolte casualmente per strada. Per ravvivare la serata aveva portato diverse canne e un po’ di coca. Simona dopo qualche tiro di fumo aveva trovato la forza di dire di no alla coca.
Ripensandoci è contenta di essersi rifiutata quella volta e le volte successive. “Non ho mai voluto iniziare con la droga per finire come lui: un tossico che sta consumando gli ultimi spiccioli della sua vita”.
Davanti ai suoi occhi continuano a passare le immagini di quella serata che ricorderà per tutta la vita.
Alla fine della serata si sono ritrovati in un privè su un enorme letto: un’ammucchiata di sballati tra alcol e droghe a fare sesso secondo le regole degli scambisti.
Quanto a lei sono toccati due uomini dei quali non ricorda il nome, ma nemmeno ha memorizzato i volti. La sua partecipazione è stata più fisica che mentale senza provare nessun piacere. Non ha osato guardare il proprio corpo dopo aver fatto sesso. Lei ha provato un senso di disgusto, di sporcizia interna senza trovare la forza psichica di ribellarsi. Per auto punizione ha accettato senza protestare le attenzioni simultanee di due coppie, mentre Roberto si faceva l’ennesima canna assistendo sorridente alle loro prestazioni sessuali.
Adesso prova fastidio, ricordando quel lontano episodio. Il suo corpo è stato per ore in balia di mani, di lingue, di sessi di persone sconosciute, finché non è scoccata improvvisa la scintilla di reagire a quelle depravazioni. Di scatto ha allontanato tutti, si è rivestita e senza salutare ha preso un taxi per tornare a casa.
Per diversi giorni ha rifiutato ogni contatto con Roberto. Non ha osato porsi davanti allo specchio o toccare il proprio corpo, perché percepiva le sensazioni sgradevoli di quelle persone che lo hanno maneggiato come un oggetto di lussuria.
Come allora una scintilla è scaturita dalla mente, innescando la sua reazione, così in questo frangente si riscuote dall’apatia nella quale è caduta.
Osserva la porta, ascolta i rumori. Adesso sono mutati. Sente dei passi che si allontanano in fretta, delle voci concitate che si rincorrono e un bussare discreto.
«Miss Ferrari, tutto bene? Siamo della security e vogliamo accertarci che non abbia subito molestie» dice una voce sconosciuta dietro la porta. «Siamo spiacenti per l’episodio, ma vogliamo assicurarti che non si verificherà più in futuro. Mi senti?»
Simona uscita dal torpore che l’aveva avvolta risponde di sì, mentre con cautela apre la porta per inquadrare il suo salvatore.
Si trova dinnanzi un giovane, che la saluta e le augura la buona notte.
Richiude con dolcezza quella fragile protezione e si allontana in silenzio sempre col telefono impugnato a mo’ di arma inoffensiva.
«Ancora una volta mi è andata bene» sussurra con la voce incrinata dalla paura. «Fino a quando la buona sorte mi proteggerà? Perché ho questi momenti di apatia? Perché non riesco a reagire alle minacce al momento opportuno?»
Queste domande affollano la testa di Simona, mentre scoppia in un singhiozzo convulso e isterico come sfogo dello stress patito.
Massimolegnani – orea rovescio – ha scritto un post con due incipit troncati a metà. Ebbene ho raccolto la sfida e propongo la mia continuazione del secondo.
Di fronte a lui la donna chinò il capo. Sembrava affranta, soverchiata dalla vergogna, invece stava raccogliendo le forze, come un’atleta prima di spiccare il salto, voleva far esplodere la collera in un’invettiva che avrebbe fatto tremare i vetri alle finestre e i baffi tinti a quel pallone gonfiato. Tu, disse sollevando un indice imperioso, tu…
…abbassò l’indice. Era sbollito tutto come un pallone forato.
Lo guardò e poi gli volse le spalle che sembravano spiovere verso il basso rassegnate. La vergogna di avere un compagno fannullone era troppo per lei che credeva nell’onestà delle persone. E lui pareva proprio non averla.
Più di una volta aveva dimostrato di essere inaffidabile e bugiardo. Questo la faceva vergognare tantissimo. Aveva origliato i commenti malevoli delle vicine sul compagno e i risolini di compatimento su di lei. Avrebbe voluto replicare a muso duro ma poi aveva capito che avevano ragione.
Sonia era una donna di cinquant’anni ma ne dimostrava dieci di più. Quel bastardo del compagno le stava succhiando tutta la linfa vitale, prosciugandola. Piccola, vestita modestamente ma sempre ordinata. Capelli raccolti a crocchia a formare uno chignon appena abbozzato. Non c’era vicina che non si prodigava a darle dei consigli che ascoltava con umiltà senza trovare quella forza necessaria per troncare quel rapporto ormai logoro. Però dopo tanti anni non se la sentiva di abbandonarlo anche se avrebbe meritato di subire questa mortificazione.
Angelo rimase a guardarla mentre si allontanava verso la cucina. Sollevò le spalle in segno d’indifferenza. Alto con una bella pancia pronunciata aveva in testa radi capelli gialli. In realtà avrebbero dovuti essere candidi ma l’unto li rendeva di un colore indefinito tra il giallo e il grigio sporco. Avrebbero avuto bisogno di un bel lavaggio ma Angelo erano settimane che rimandava.
Si sedette sulla poltrona con le mani in grembo. Questa volta l’aveva fatta grossa e difficilmente Sonia l’avrebbe perdonato. Quando l’aveva vista congestionata in viso, paonazza e con la giugulare che pulsava pericolosamente si era detto che era arrivato al capolinea. Poi aveva tirato un sospiro di sollievo quando, dopo averlo additato e urlato in faccia «Tu», se ne era andata in cucina. Il respiro che aveva trattenuto proruppe dal petto con un rumore sordo.
“Sonia è fin troppo paziente con me” rifletté Angelo, grattandosi la guancia ispida ricoperta da una peluria bianca. “Io l’avrei presa a calci nel culo e sbattuta fuori dalla porta”. Invece no. Gli sembrò di averla sfangata ancora una volta oppure era solo un’illusione. Provò a non pensarci perché la sua vita era una collezione d’insuccessi.
Ricordò il motivo dell’ira della compagna: invece di comprare le scatolette per Tobi, il loro gatto, aveva giocato alle slot machine nel bar sotto casa e ovviamente aveva perso tutto. Anzi aveva contratto un debito di cento euro con Martino, che glieli aveva prestati.
Il gatto miagolò strusciandosi sul calzone logoro in cerca di una coccola.
Angelo lo allontanò in malo modo. Non aveva nessuna voglia delle sue fusa. Si torse le mani, perché non sapeva come chiedere a Sonia quei cento euro da restituire a Martino. Lui non lavorava o meglio faceva lavoretti saltuari di poco conto, perché era in mobilità e prossimo al licenziamento. Se non ci fosse stata Sonia avrebbe dovuto mendicare un piatto alla Charitas.
Però adesso la priorità era recuperare cento euro. Una somma enorme per loro che dovevano lesinare anche il centesimo.
«Tobi che facciamo?» disse al gatto che era rimasto offeso da quel gesto poco urbano.
«Lascia perdere Tobi» gli sibillò acida Sonia. «Alza il culo e vai a pulire le scale del condominio, se vuoi stare ancora in questa casa».
Il nostro Mark non demorde e ci riprova. Prosegue la storia di Simona. Per chi avesse perso qualcosa la può rintracciare qui.
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Il prato brulica di persone alla ricerca di un posto a sedere. Diversi eventi fanno degna cornice a questo angolo di verde situato nelle vicinanze di Times Square e i locali sono pieni.
Ha fortuna perché si libera un tavolo, senza dover attendere molto. Preferisce al classico dinner un brunch a base di Buttermilk Pancakes with Banana & Walnuts mixed berry salad, banana bourbon compote. Classic Eggs Benedict Canadian bacon, chive hollandaise sauce, roasted fingerling potatoes. Acqua minerale. Per dessert Chocolate Coconut, Créme Brulee, Coconut Sorbet.
La serata calda e immersa in un’atmosfera rilassante gli consente di dimenticare per un po’ i progetti della notte. Le portate sono di suo gradimento. La fama del posto è meritata.
“Quella troietta mi fa impazzire. Ma stanotte sarà mia!” pensa gustando il dessert. “Acc! Chi mi cerca?” Non desidera essere disturbato e chiude la chiamata. È concentrato sul piano e non vuole interferenze. La telefonata è di una donna contattata la sera prima in una sexchat. Per lei non c’è posto, forse nelle prossime sere.
“Per primo deve smontare quello stronzo nero che mi ha messo nel mirino. Poi devo tentare di arrivare agli ascensori senza farmi notare. Il numero della suite lo conosco. È stato sufficiente osservare la casella dove hanno messo la mia busta. Sono stato fortunato perché era visibile e io ho due occhi da falco. Con un pizzico di fortuna in un baleno sono davanti alla porta” e si fa una bella risata.
Finito di cenare, si incammina verso il residence Inn Patriot, fischiettando un motivetto. Allegro intuisce che sarà una notte speciale.
Osserva la reception e nota con soddisfazione che il personale è cambiato. Ha via libera per raggiungere Simona salvo intoppi. Sa che questi sono sempre in agguato e non deve abbassare la guardia.
Con noncuranza entra per avviarsi agli ascensori, ma si trova sbarrata la strada da un bianco che ha tutta l’aria di essere della sicurezza. A prima vista gli è sembrato un cliente, ma la troppa fiducia nelle sue capacità di riconoscere le persone l’ha tradito.
«Dove vuoi andare?» chiede con tono che non ammette repliche.
«Alla suite 510» risponde sicuro Mark. «Ho un appuntamento con Miss Ferrari».
L’addetto lo blocca e lo fa accomodare in una saletta, mentre verifica le affermazioni di Mark.
«Mi spiace, ma non c’è nessuna Miss Ferrari alla suite 510» dice con tono secco. «O mi spiega perché ha tentato di salire senza passare dalla reception o chiamo la polizia».
Sa di essere in trappola e deve confezionare una bugia credibile se vuole uscire senza danni dal residence. Non lo preoccupa la minaccia della polizia, perché sa che lo lascerebbero andare dopo qualche ora. Però nel frattempo la bella Simona potrebbe cambiare suite o residence. E lui ne avrebbe perso le tracce.
In fretta confeziona la storiella, raccontando che ha conosciuto Miss Ferrari sul web e che lei è arrivata dall’Italia nella grande mela il giorno prima per incontrarlo.
«Vedi» dice Mark. «C’è una chiamata al mio telefono dalla suite 510, se leggi i tabulati delle telefonate uscenti» e aggiunge con tono dimesso: «Mi ha chiesto di raggiungerla per la notte. Non pensavo che ci fosse tutta questa fiscalità».
Dick, il poliziotto privato, lo osserva con attenzione poco convinto dal racconto che a prima vista è probabile. Però resta il fatto che anche John, del turno precedente, ha segnalato un tentativo sospetto d’introdursi di soppiatto di un uomo che corrisponde a quello che sta davanti alui. Nell’arco di poche ore ha provato due volte a salire senza passare dalla reception o farsi annunciare. Inoltre la data di arrivo non coincide. Deduce che solo una parte del racconto è vera, ma il resto no.
“Se chiamo il poliziotto di quartiere, questo lo lascia libero in un amen, perché non ha compiuto nessuna infrazione. Se gli permetto di salire, rischio grosso, perché non ho vigilato a dovere. Miss Ferrari ha detto con decisione di non aspettare nessuno né stasera né domani. Lo accompagno alla porta e gli dico di girare al largo” riflette Dick.
Senza troppo chiasso e dare nell’occhio accompagna Mark fuori dal residence con l’ingiunzione di non provarci più.
«Se vuoi salire nella suite di qualche donna alloggiata qui, passa dalla reception e fatti annunciare» intima con tono secco.
Per la seconda volta si trova sul marciapiede prospiciente l’ingresso con la minaccia nemmeno troppo velata di finire in pasto ai piedipiatti. NYPD non ha la fama di essere tenera coi molestatori, ma lui non dà ascolto alla ragione e si apposta all’ingresso del parking sotterraneo pronto a cogliere l’occasione giusta.
“La fortuna non mi ha girato le spalle” si dice osservando un pickup che si appresta a scendere nel parcheggio sotterraneo. E lui si appresta a salire dietro per raggiungere gli ascensori.
Mark sorride, perché la notte è appena iniziata.
Massimolegnani – orea rovescio – ha scritto un post con due incipit troncati a metà. Ebbene ho raccolto la sfida e propongo la mia continuazione del primo. Per il secondo pazientate qualche giorno. Se qualcuno volesse farsi avanti, si palesi.
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La sua mimica facciale assomigliava a una fiumara calabrese. Impetuosa, violenta, fuori dagli argini, dopo un temporale primaverile, e totalmente inespressiva, svuotata, un faccione inutilmente ampio, durante la siccità estiva. Mai un’espressione che fosse di equilibrio tra i due estremi, mai un…
…un sorriso intermedio. Passava da moti di rabbia all’indifferenza totale verso chi gli stava di fronte. Le mezze misure non esisteva per lui.
Simone guardò fuori dalla finestra. La giornata prometteva bene, ma era lui che si sentiva fuori posto. Era inutile girarci attorno: Sonia l’aveva destabilizzato con la violenta discussione la sera precedente. Stava finendo col mettersi le mani addosso, quando calò una bonaccia tra loro come se nulla fosse stato. Poi ognuno si ritirò nelle proprie stanze.
Simone e Sonia pur essendo sposati da sei mesi dormivano in due camere separate e distanti tra loro. Se per qualche ignoto motivo o pulsazione sessuale uno dei due desiderava consumare un amplesso d’amore si spostava dalla propria stanza in quella dell’altro. Poi ognuno dei due tornava nella propria. Mai una volta dopo la prima notte di matrimonio si erano dati la sveglia nello stesso letto.
Simone si chiese se questo rapporto fosse sano e la risposta era stata negativa. Le loro discussioni sugli argomenti più futili finivano sempre in rissa. Una tempesta di parole che si placava in un abbraccio dolce.
Ieri sera non era stato diverso. La discussione verteva su chi doveva accudire Tobi, il gatto tigrato che avevano raccolto per strada. Era lui il vero padrone della casa e non Simone o Sonia.
«È compito tuo» aveva tuonato Sonia agitando le mani vorticosamente, mentre Tobi apriva un occhio disturbato da quella voce acuta.
«E perché?» rimbeccò Simone alzando il tono di un’ottava rispetto a quello di Sonia. «L’hai raccolto tu».
La moglie divenne paonazza strozzando le parole che volevano uscire dalla gola.
«Ma tu non hai detto nulla!» urlò con tono feroce Sonia. «Anzi eri felice come un bambino, quando l’ho portato a casa».
«E con questo cosa vuoi dire?» strepitò Simone con lo sguardo assassino. «Forse è di mia proprietà?»
Tobi si alzò disgustato da quelle urla feroci che ferivano le sue orecchie e con passo regale, lanciando di sottecchi sguardi schifati, si avviò verso la lettiera.
Simone si alzò dalla poltrona, abbracciò Sonia seduta sul divano e disse: «Vieni Tobi che andiamo a fare un giro in giardino».
Nuova puntata che vede protagonista Mark. Cosa architetta il nostro uomo? Leggete se siete curiosi di conoscere gli sviluppi. Per chi avesse perso qualche puntata precedenti li trova qui.
credits by https://miviajeanewyork.wordpress.com/2013/06/10/bryant-park-public-library/
Mark sogghigna mentre ritorna alla postazione PC, perché sa come rintracciare Simona.
«Sono stato uno sciocco a non pensarci subito!» esclama soddisfatto. «Quella troietta ha i minuti contati. Lo smacco mi ha annebbiato la testa, ma sbollita l’ira ha ricominciato a funzionare a dovere».
Lui sa cosa cercare: si collega al suo account di Verizon per stampare il tabulato delle chiamate del giorno precedente.
«È inutile perdere tempo col registro sul mio telefono. Con l’elenco stampato si fa prima» prosegue con un ghigno feroce. «La troietta è furba. Nessuna chiamata da una scheda italiana. Solo Nord America».
I numeri da controllare sono circa una dozzina che si riducono a quattro dopo aver scartato quelli impossibili per distanza geografica od operatori indisponibili nell’area di New York. “Due sono fissi e due telefonia mobile. Se per caso ha comprato una scheda al JFK dopo l’arrivo, potrebbe essere uno dei due” pensa sorridente.
Compone il primo e sente «Hello» dall’inconfondibile accento maschile. Riattacca soddisfatto cancellando il numero. Prova il secondo. Una cadenza del sud gli fa capire che non corrisponde a Simona, il cui inglese è pulito, scolastico e privo di accentazioni particolari.
«Rimangono i due fissi, che indicano il passaggio dal centralino. Li chiamo e sento a chi corrispondono» dice, perché è sicuro di essere arrivato a dama.
Chiama il primo e ascolta: «Hello. Inn Patriot Times Square speaking».
Riattacca perché certo di aver centrato il bersaglio.
«È qui che la troietta si nasconde. Aspettami, sto arrivando!» urla con la voce roca. «Ma prima controlliamo il secondo per precauzione».
Al secondo risponde una ditta di Manhattan, che conosce. Ha lo stesso sguardo del gatto che ha appena pranzato col topolino, mentre esce dall’appartamento.
Si dirige verso la 6th Avenue deciso a riprendersi la preda sfuggita poche ore prima. Guida con calma, non ha fretta, perché sa che non gli sguscerà di nuovo tra le mani. Non ci sarà un nuovo problema con la cerniera, perché lei sarà in trappola senza scampo e dovrà accettare quello che ha intenzione di fare.
Sorride sornione, mentre parcheggia nelle vicinanze.
Entrato punta decisamente verso gli ascensori, ma una voce autoritaria lo ferma.
«Sto andando da Miss Ferrari» risponde Mark senza esitazioni. Deve dimostrare sicurezza se la vuole fare franca.
«Nessuna Miss Ferrari alloggia qui» replica una persona di colore alta e prestante dallo sguardo arcigno.
Non gli sembra il caso di fare il furbo perché la grinta usata per parlare e la corporatura minacciano solo guai. Ritiene opportuno abbassare l’intensità della voce.
«Eppure mi ha detto che ha un appartamento qui» suggerisce con tono umile l’uomo.
«Mi dispiace ma le tue informazioni sono incorrette» e lo accompagna fuori dalla bussola senza molti complimenti.
Mark schiuma di rabbia per essere stato cacciato in malo modo e sibilla: «Sporco negro, me la pagherai!»
Però deve modificare i suoi piani e non può tornare all’ingresso finché il cerbero nero è appostato lì perché non fa sconti. Non desidera l’arrivo della polizia, perché per lui potrebbero nascere guai a iosa. Gli conviene essere prudente e battere in ritirata per il momento.
Si guarda intorno alla ricerca di un posto dove scrivere una lettera. Si sistema in un bar. In attesa di un Martini con l’oliva pensa a cosa mettere nero su bianco.
“Niente minacce, solo un avvertimento” sorride mentre verga poche righe che infila nella busta bianca. Sopra in maiuscolo scrive
Miss Simona Ferrari – Inn Patriot Times Square, NY
Finisce il Martini. “La vendetta è un piatto freddo da gustare con calma” riflette con l’occhio di chi pregusta i prossimi sviluppi. “Prima ti metto ansia, poi mi conoscerai meglio. Cerchiamo un ragazzino che per un dollaro sarà contento di consegnare la missiva”.
Esce alla ricerca del messaggero, mentre il sole tramonta tingendo di rosso le facciate dei grattacieli.
Senza fatica trova un ragazzo di colore che va a consegnare la busta felice col suo dollaro in tasca. Adesso deve aspettare che il cerbero nero smonti dal servizio per attuare la seconda parte del piano.
Mark cammina fino al parco Bryant. “Devo aspettare la mezzanotte prima che possa mettere le mani su Simona. Tanto vale mettere qualcosa sotto i denti”. Pensa di cenare all’aperto al Park Bryant Grill che ne ha sentito parlare, anche se non si è mai recato al Bryant Park. “La cornice è splendida e dovrò faticare per trovare un tavolo libero” riflette arrivando al ristorante.
Eccoci con la decima puntata che vede protagonista Simona in un viaggio nella grande mela, che si sta tramutando un incubo. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.
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La stanchezza, lo stress accumulato e il non perfetto adattamento al nuovo fuso orario conducono Simona in breve in braccio a Morfeo.
È in un appartamento che non conosce piccolo e disordinato. Due stanze: una camera con un letto matrimoniale dozzinale e una sala con l’uso di cucina nemmeno troppo pulita. Il letto è semi disfatto e le lenzuola sono stropicciate con macchie gialle qua e là.
Simona è vestita con la camicetta bianca e la gonna del pomeriggio e sotto nulla. Non ha paura ma si aggira guardinga, perché sembra disabitato. Dalla finestra della stanza da letto si intravede la scala di sicurezza. Si domanda perché è lì, non ricorda come ci sia arrivata.
Apre i cassetti: dentro indumenti maschili. Si trova in un appartamento dove vive un uomo. Chi è? Non riesce a capirlo ma un particolare l’inquieta: la porta d’ingresso è chiusa a chiave e lei non ce l’ha per aprirla.
«Userò la scala di sicurezza per scendere».
Però la finestra è bloccata. Perlustra l’appartamento alla ricerca come uscire. La tranquillità di poco prima si incrina e uno stato d’ansia la fa muovere a scatti. Cerca le chiavi nei cassetti, dove trova attrezzature sadomaso. “Dove sono capitata?” si domanda in preda al terrore.
In frigo scova una bottiglia di acqua Evian, che beve tutta d’un fiato per alleviare l’arsura.
Simona stanca di stare chiusa lì dentro si avvia verso la finestra decisa a sfondarla, quando sente una chiave girare nella serratura. Si ferma. Aspetta di vedere il misterioso inquilino.
Come se si fosse spenta la luce, i suoi occhi non scorgono nulla, né riesce a parlare. È immobilizzata con le braccia stese di fianco alla testa e le gambe divaricate.
Vorrebbe urlare, chiedere aiuto, implorare che non le facciano del male ma dalla bocca non esce nemmeno un sussurro. Percepisce la presenza di più persone che parlano, che ansano, senza distinguere i tratti dei loro visi. Ha gli occhi coperti da una benda.
Sono voci familiari. Ascolta Roberto col tono impastato, quando è sotto l’effetto della droga e del alcol. “Non cambierà mai! Avrà sempre il suo solito cliché: borioso, fatto e inconcludente”.
Le parole pronunciate dal primo grande amore si sovrappongono a quelle garrule, effeminate di Enrico che domanda quando può iniziare. “Nemmeno lui è cambiato. Pensa solo a se stesso. Quale imperdonabile leggerezza ho commesso mettendomi con lui”.
Ascolta l’inconfondibile accento dialettale di Anna, che smania di mettere le sue mani sul corpo di Simona. “No, lei proprio no! Il solo pensiero di sentire le sue dita che frugano dentro di me, rende più penosa questa situazione”.
All’appello manca Mark e il suo slang. “Perché?” si chiede ma come avessero letto nel suo pensiero ascolta le parole del messaggio ricevuto nel pomeriggio, mentre la pelle diventa grinza come un’arancia. “E lui che temo. Lui sa essere sadico. Però non posso chiedere aiuto”.
Non vede i volti, ma sente le loro voci che si accavallano una sopra l’altra. Sono tutti tesi a dare sfogo alle loro menti malate.
Percepisce un enorme dildo posato sul ventre pronto per essere manovrato con cattiveria. La mente sta cedendo alla paura per l’impotenza delle reazioni da parte sua, quando ode in lontananza un trillo acuto che si ripete cadenzato. Le loro voci diventano stridule e paiono in dissolvenza, mentre comprende che i lacci che le immobilizzano i polsi e le caviglie lentamente si sciolgono.
«Sono libera» urla con tutto il fiato che ha in gola e si mette ritta sul letto col corpo madido di sudore.
Il trillo continua a perforare i suoi timpani. Si guarda attorno mentre legge l’orario sul soffitto: zero e quindici p.m.
“È stato solo un sogno ed è mezzanotte appena passata”. Sente quel suono continuare. “Da dove proviene?” Si gira verso la mensola dove sta appoggiato il telefono che lampeggia.
«Hello» grida nel ricevitore.
«Miss Ferrari. È la reception che parla. Mi scusi se l’ho svegliata, ma un signore insiste nel dire che ha un appuntamento urgente con lei e vuole salire».
Simona rabbrividisce prima di rispondere. «Non conosco nessun signore a New York» mente. «Se insiste chiami la polizia. Non voglio essere disturbata. Notte».
E chiude la conversazione bruscamente.
Si alza a controllare la chiusura della porta e vi appoggia una sedia, prima di tornare a letto.
Il sonno è sparito. È sveglia e trema al pensiero di Mark che possa comparire dalla porta della suite.
Infila un paio di jeans e una maglietta leggera, mentre riflette sul sogno e sulla realtà, che in questo momento si confondono come l’acqua del mare col cielo.
Le sembra di udire dei movimenti dalla porta e si precipita tenendo in mano il telefono con impostato il numero della reception.
E trattiene il respiro.
Eccoci ancora con Simona che prosegue il suo viaggio a New York. Per chi avesse perso qualche puntata le può trovare qui.
Buona lettura
Simona riprende il foglio mentre mangia un trancio di pizza e lo rilegge per l’ennesima volta.
Don’t run away from me!
My dick ‘ll reach wherever you are, my blonde pussy.
I’ll fuck you and you ‘ll be my bitch.
Catch ya in a few. Check it out!
M.
«Ma va a fanculo, bastardo! Avrai pane per i tuoi denti! Se ne hai ancora!» urla con la bocca piena, mentre si versa una birra. «Dunque, mi hai scovato. Non devo nascondermi, perché sai dove sono. Sei un lurido bastardo! In rete eri gentile, ma qui sei violento».
Mentre la rabbia monta sempre di più, appallottola il messaggio e urla: «Mi vuoi scopare? Provaci se ci riesci!»
Manda giù l’ultimo sorso di birra, mentre si distende sul sofà. Deve far sbollire l’ira che le sta annebbiando la mente.
«Non scapperò!» aggiunge mentre accende il televisore. «Non mi avrai, né sarò la tua puttana. Mi hai sottovalutato, bastardo!»
Ride con le lacrime agli occhi ripensando alla chat. Gli ha mostrato il pelo nero del suo sesso e gli ha raccontato scopate del tutto inverosimili. Mark si è fatta un’opinione errata di lei: pronta ad aprire le gambe. Ride perché si è divertita sentirlo ansare mentre si masturbava. Ha commesso un unico errore che poteva costarle caro: accettare quell’invito ambiguo del pomeriggio ma lo ha creduto diverso: un uomo e non una bestia. Adesso lo conosce e non ripeterà lo sbaglio. “Chi persevera non avrà scampo, ma questo non vale per me” pensa.
Osserva lo schermo del televisore senza interesse. “Sex and City l’ho già visto. Un thriller non mi pare il caso, anche se Moon, della saga di Twilight mi incuriosisce. Lo vedrò in Italia” riflette decidendo di leggere qualcosa con il sottofondo della musica classica.
La rabbia sta sbollendo. Simona si aggira per la suite con solo le mutandine, perché la serata è torrida.
Accende la postazione internet e si connette a Twitter per leggere qualche cinguettio. Non le interessa se Mark sia in linea e poi può usare un altro nick che lui non conosce.
«Chi se ne frega» sbotta facendo il login con Simo69.
Legge molti cinguettii senza rispondere, perché non c’è nulla d’interessante. Sa che lui lascia sempre la connessione attiva, ma di sicuro sarà in giro alla caccia di qualche preda.
«Si, ho capito chi è! È il classico cacciatore di fanciulle da adescare. Non mi stupirei che sia un pedofilo. Però su Twitter è passato senza lasciare tracce».
Tra la posta scopre una mail di Irene di due giorni prima, che le annuncia il suo arrivo per il quattro luglio.
“Peccato, che non l’abbia letta subito. Di sicuro non avrei contattato Mark prima del suo arrivo. Chissà come avrà fatto a scovarmi nel giro di poche ore. Eppure sono stata discreta. Ma adesso basta pensare a quel bastardo”.
Spegne tutto, regola la temperatura della suite per la notte e nuda si getta nel lettone.
Prosegue il viaggio di Simona che non sembra una passeggiata. Per chi volesse, senza impegno 😀 , trova qui le altre puntate.
Buona lettura.
Mentre legge il foglio, Simona sente squillare il telefono. Inghiotte la saliva, osserva il display e risponde.
«Ciao bella! Come va?» urla una voce lontana che riconosce subito.
«Bene» risponde fiocca Simona rassegnata a parlare con Irene.
«Tutto bene? Hai una strana voce come se avessi mangiato un topo! Ho una splendida notizia…».
«Si, tutto bene. Solo che non mi aspettavo la tua telefonata. Quale notizia?» ribatte con tono più franco.
«Nella mattinata parto per New York e atterro alle tre e trequarti! Ah! È vero che per te è ancora pomeriggio. Dimenticavo la differenza di fuso orario. Non vedo l’ora di abbracciarti! Mi ospiti nella tua suite?»
Simona rimane a bocca aperta senza parole. Osserva il telefono e il foglio che tiene stretto nell’altra mano e non sa cosa rispondere. Pensieri confusi si ammassano nella testa tanto che si sente frastornata. È stata una giornata dura e difficile sotto tutti gli aspetti.
«Ci sei? Non sento più nulla. Devo dedurre che non sei contenta di avermi tra i piedi!» afferma con la voce spezzata dall’amarezza.
«No, no! Semplicemente è una notizia strepitosa! Certo che posso ospitarti nella mia suite. Oltre al letto matrimoniale, luxury bed come dicono i fogli promozionali, che può ospitare almeno tre persone, c’è anche un divano letto nel salotto. Non hai che l’imbarazzo della scelta: o vieni nel lettone con me o dormi da sola sul divano…» e accennò a una mezza risata per nulla imbarazzata.
Non è la prima volta che dorme con una donna senza costituirle motivo di turbamento. Con Irene ha perso il conto.
«Non cambi mai! Lo sai che preferisco gli uomini, ma ti terrò compagnia nel lettone! Però niente scherzi! Si dorme solo e basta. Mi vieni a prendere all’aeroporto?»
«Certo. Mi deludi però» ribatte con una punta di malizia senza disagio e aggiunge: «Non sapevo che avessi pronunciato i voti di castità. Dunque a domani».
«Nessun voto di castità!» esclama con voce squillante. «Se mi trovi un negrone, me lo faccio nel lettone!» e una nuova risata fragorosa arriva alle orecchi di Simona. «Dicono che sono dei portenti! Ma con te niente! Piuttosto dimmi: con Mark come va? Com’è? Ti rompo le uova nel paniere?»
Simona ha un momento d’incertezza nel rispondere alla domanda. Vorrebbe mentire ma preferisce una risposta cauta.
«Mark?» fa una piccola pausa prima di spiegarsi. «Non è quello che pensavo e credo che difficilmente lo vedrò nei prossimi giorni».
Irene trattiene il fiato e resta in silenzio, sperando che l’amica sia meno parca di parole.
«Mi terrai compagnia in giro per New York, che non ho ancora visto per nulla. A parte il Central Park. A domani” conclude Simona.
La notizia che l’amica sarà domani a New York le solleva un po’ lo spirito dopo una giornata stressante. Nella mano sinistra tiene stretto il foglio, che rilegge.
«Vedremo» replica bellicosa, depositandolo sul tavolo. Si sente più forte e decisa. L’arrivo dell’amica ha alzato il tono di adrenalina.
«Domani è un altro giorno».