Un viaggio, un incubo – ventesima puntata

Che fine avrà fatto Simona? Rapita? Andata via? Per chi fosse interessato qui trova le precedenti puntate.

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La telefonata inquietante distoglie Dick dall’euforia di avere intercettato il presunto cognome di Mark e quindi dare un volto a questa persona.

«Dick, qui c’è l’amica di Miss Ferrari. È in preda al panico e afferma che è sparita. Balbetta ed è terrorizzata» dice la voce concitata del portiere di notte.

Un’imprecazione gli sfugge mentre vede materializzarsi le sue paure.

Scende nella hall e trova una donna dalla corporatura non proprio snella che continua a berciare a ruota libera in maniera confusa.

«Sono Dick» le dice afferrandola per un braccio. «Vieni con me e parliamo con calma. Grazie Martin» e si appartano in un salottino.

Telefona per avere un po’ d’acqua fresca, mentre cerca di mettere a suo agio Irene visibilmente frastornata e in confusione.

Lei continua a parlare in maniera frenetica, saltando da un particolare all’altro senza seguire un filo logico, impedendo di comprendere come si sono svolti gli eventi.

Dick fatica a seguirla e riflette: “Devo calmarla. Altrimenti non si comprende nulla e si perde tempo prezioso per niente. Se è quello che penso, ogni secondo diventa importante e vitale”.

«Chi sei?» chiede secco per mettere ordine alla loquacità incontrollata della donna.

Come se avessero staccata la spina, Irene zittisce e guarda il viso severo dell’uomo che le sta di fronte. Si accorge di essere finita nel panico. Stringe le labbra e corruga la fronte. Osserva il viso di Dick: ha la fronte spaziosa e lo sguardo franco sia pure tendente al severo. Si chiede chi è e perché è in quel salotto.

«Irene» risponde come un automa.

«Bene, Irene» fa Dick addolcendo il tono della voce. «Quando sei arrivata?»

«Oggi pomeriggio alle tre e trequarti. Simona mi è venuta a prendere al JFK…».

«Simona è miss Ferrari?» chiede con calma e gentilezza Dick, interrompendola.

«Si» ammette sistemandosi meglio sulla poltroncina. «Siamo arrivati al residence per depositare i bagagli».

Irene fa una breve pausa ma Dick col capo le fa cenno di proseguire il resoconto.

«Non avevo intenzione di restare chiusa nella suite» prosegue. «Abbiamo deciso di raggiungere New York Public Library, ma ci siamo fermate al Bryant Park. Faceva troppo caldo e abbiamo cercato refrigerio nel parco».

Dick annuisce e interrompe il racconto con qualche domanda.

Irene spiega che il parco stava chiudendo, quando hanno deciso di tornare al residence.

«Mi sono fermata un istante alla giostra dei cavalli. Che meraviglia!» esclama entusiasta prima di riprendere il racconto. «Lì ho perso i contatti con Simona. Poiché diceva di essere stanca ho pensato che fosse rientrata da sola. Ma mi sono sbagliata. È scomparsa… Non so dove sia finita!» e scoppia in un pianto convulso.

Dick l’abbraccia e le accarezza i capelli.

«Ok. Ora ho il quadro completo della serata» afferma Dick alzandosi dalla sua poltrona. «Andiamo al Bryant Park. Forse miss Ferrari è là ad aspettarti».

Escono in silenzio dal salottino e si dirigono verso Bryant Park ma ha brutti presentimenti. Deve fare questo sopralluogo per avere la certezza che sia sparita. Ritiene inutile questo giro ma per innescare una caccia all’uomo si è sempre in tempo senza rimetterci la faccia.

Percorrono il mezzo miglio, arrivando prima della chiusura dei cancelli. Incontrano gli ultimi ritardatari, ma di Simona non trovano traccia né dentro né in prossimità del cancello. Si allungano alla NYPL ma trovano solo qualcuno seduto sui gradini tra i due leoni. Fanno qualche domanda senza ottenere la risposta che sperano di sentire.

Dunque è certo che la donna sia stata rapita. Dick sa chi è stato e ne parla con Irene che rimane stupita. Ignorava questi dettagli ma pensandoci ricorda la reticenza di Simona sull’argomento. Adesso comprende il segreto che le ha tenuto nascosto.

Rientrano nell’ufficio di Dick per organizzare le ricerche. Telefona all’ispettore Todd, che conosce di persona e opera a Park Row, One Police Plaza, la sede principale del NYPD.

«Todd, sono Dick, Come stai?» inizia con i convenevoli ma sente dei grugniti non proprio amichevoli in risposta. Sa che è un orso ruvido ma nasconde una grande umanità. «Ho un problema e vorrei confrontarmi con te».

Nuovi grugniti lo invitano a proseguire.

«La questione è delicata. Solo tu mi puoi consigliare la strada giusta» ribatte con pacatezza, ignorando i borbottii e inizia il racconto degli avvenimenti.

Durante lo snodarsi del resoconto l’ispettore non emette più grugniti d’insofferenza ma senza fare commenti acidi presta attenzione alle parole di Dick che espone con chiarezza gli eventi.

«Mi libero delle quattro rogne che sto trattando e arrivo da voi» afferma tutto d’un fiato Todd. «Non fate nulla e non dite nulla».

Dick osserva Irene che ha lo sguardo perso nel vuoto come se la colpa della scomparsa di Simona fosse sua.

«Todd, oltre a essere un amico, è il migliore detective del NYPD. Vedrai che recuperiamo in fretta miss Ferrari» spiega Dick per rassicurarla anche se pensa che non sarà una passeggiata.

Irene lo guarda e annuisce, ma è assente con la testa. Il capo si muove per riflesso condizionato piuttosto che per la sua volontà.

Nell’attesa Dick fa ricerche su Mark Flannagan, partendo dalla scarna scheda presente nel loro database. Consulta l’elenco telefonico on line di New York, rintracciando una mezza dozzina di omonimi. Si annota indirizzo e telefono.

“Se ho fortuna, bastano un paio di telefonate e lo becco di sicuro” riflette mentre annota qualche altro dato ricavato da Google. “Viceversa è il classico ago nel pagliaio da cercare. In questo caso mi serve l’aiuto di Todd”.

Dopo una mezz’ora abbondante entra un uomo dalla corporatura massiccia e dai modi bruschi, che si piazza sulla poltrona dinnanzi a Dick senza salutare nessuno né presentarsi a Irene.

Senza tanti preamboli chiede volgendo lo sguardo verso Irene: «È questa l’italiana?» Poi la invita a esporre il resoconto della serata. Ascolta paziente lo snocciolare degli avvenimenti senza interromperlo per porre delle domande.

Aggrotta la fronte e stringe la labbra, capisce che è un caso da prendere con le molle. Sa solo che miss Ferrari è scomparsa e non è tornata al residence. Potrebbe esserne andata via di sua volontà, senza coercizioni come possono fare le persone adulte, ma sarebbe possibile il contrario.

Afferma pacato che gli episodi della notte precedente sono inquietanti, ma associare quel Mark col tizio che ha tentato di penetrare nella camera di Simona con l’eventuale rapitore sono solo supposizioni senza certezze. Non si conosce il cognome, mancano fotografie a parte alcuni fotogrammi sgranati delle registrazioni video. Si ignora cosa abbia combinato durante la giornata quella donna. Insomma sono più i punti di domanda che quelli esclamativi.

Inarca una sopracciglia e sbotta: «Quali sono gli elementi che vi spingono a credere che sia stata rapita?»

Irene ha un sussulto di vitalità. Mi mette eretta e guarda negli occhi il detective prima di rispondere: «Simona era strana quando le ho telefonato ieri sera. Sembrava reticente, incerta, assente, come se avesse subito un trauma. Non era la Simona che ricordavo. Allegra, spigliata, dinamica…».

Dick l’interrompe, ricordando un dettaglio sfuggito nel racconto. Lo ritiene importante.

«Todd, ieri sera miss Ferrari ha ricevuto un messaggio recapitato da un ragazzino di colore» spiega catturando l’attenzione del poliziotto. «Presumo che sia nella suite. Potrebbe rivelare particolari decisivi per comprendere cosa è successo stasera».

Entrati nella suite dopo una breve ricerca ritrovano la busta con dentro un foglio. Decidono di leggerlo con calma nell’ufficio di Dick. Il contenuto scioglie ogni dubbio residuo. Però inizia la parte più complessa della ricerca: individuare dove è stata nascosta.

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Un viaggio, un incubo – diciannovesima puntata

La storia di Simona entra nel vivo e si avvia verso la conclusione. Qui potete leggere le puntate precedenti.

 

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Mark rientra nelle prime ore del pomeriggio nell’appartamento accaldato e soddisfatto, perché è riuscito a piazzare una mezza dozzina di polizze vita, che gli frutteranno ricche provvigioni.

Si fa una lunga doccia, mentre mette a punto il piano per Simona.

«La devo pescare da sola. Caricata sull’auto, poi sarà un gioco da ragazzi! Non può impunemente prendersi gioco del vecchio Mark!» esclama mentre una risata roca illumina la bocca.

Si concentra sul posto ideale dove tendere l’agguato e alla fine lo trova. “Devo avere solo un pizzico di fortuna e poi sarà mia”. Un sorriso gli illumina gli occhi. Ha trovato il punto: l’aspetterà nei pressi del residence. È soddisfatto del piano.

Cambia vestito. Indossa dei vecchi jeans e una polo bianca. Si spruzza un po’ di profumo e poi si dirige con l’auto verso il residence, parcheggiando defilato ma con la visuale dell’ingresso.

Dopo un po’ la vede scendere dalla limousine con un’altra ragazza e inarca le sopracciglia. “Chi è la donna con lei?” si chiede perplesso. Questo potrebbe complicare le cose, ma forse gli agevola il piano, perché sarà più facile intercettarla.

Aspetta paziente che escano dall’Inn Patriot. Non tardano molto per vederle uscire e dirigersi verso il Bryant Park. “Ottima scelta, cara Simona. Ora so dove caricarti in macchina” si dice soddisfatto. Il piano prende forma.

Parcheggia l’auto e le segue a piedi nel parco senza farsi notare. Fischietta allegro, notando che come al solito è stracolmo di persone in cerca di refrigerio sotto gli alberi o sdraiati sul prato. Non c’è una panchina libera, tutte le postazioni sono piene di uomini e donne, che di sicuro non presteranno attenzione a una ragazza appoggiata in modo scomposto a un uomo.

Le osserva mentre si dirigono ai tavoli del Bryant Park Cafè, mentre lui si apposta non visto al limitare del prato.

Ormai è quasi buio e quando le vede spostarsi dal Café al Grill sente un buco nello stomaco.

«Sluts!» dice acido. «Voi mangiate e io qui a pancia vuota! Sluts

Mark pazienta perché sa che la preda è vicina e la vuole catturare.

«Sii paziente e avrai in premio questa donna! Sarà un divertimento assicurato. She will have that deserves it, the slut» ripete più di una volta a voce bassa, mentre reprime i morsi della fame. Per quella ci penserà più tardi.

È buio e la confusione è sovrana nel parco, dove sciamano sul prato moltissime persone. Neppure una panchina libera o un tavolino vuoto. Tutti sono alla caccia disperata di un posto e aspettano che se ne liberi uno.

Il momento si avvicina mentre le segue. Irene si attarda a osservare la giostra dei cavalli e lui colpisce con un colpo secco alla nuca Simona che crolla tra le sue braccia. La trascina verso l’auto senza che faccia un gemito.

Dick ha cupi presentimenti, mentre prosegue il lavoro che sembra non finire mai. La testa piena di pensieri gli impedisce di concentrarsi su quanto sta facendo. Alle dieci p.m. finisce e trasmette il rapporto alla direzione con un ritardo di qualche ora.

Adesso può dedicarsi alla ricerca del Mark di Miss Ferrari. Apre il fascicolo AIX, scarta le polizze piene di codicilli legali e passa a esaminare gli allegati tecnici. Uno di questi, vecchio di sette anni, porta la firma di un certo Mark Flannagan, che spara a zero sull’inefficienza delle serrature elettroniche e sulla disorganizzazione della security. Secondo il report l’assicurazione nello stipulare le polizze per coprire i rischi sulla sicurezza deve tenere conto di queste due gravi deficienze che la potrebbero esporre a probabili risarcimenti. Mark Flannagan suggerisce un contratto con premi maggiorati per coprire i rischi sulla sicurezza.

Un certo Anthony Davis in un allegato, datato tre anni dopo quello di Flannagan, consiglia il cambio delle serrature elettroniche e la riorganizzazione della security. Attraverso tabelle tecniche asserisce che nell’arco di un biennio l’investimento sarebbe riassorbito dai minori costi della polizza assicurativa. La direzione l’anno successivo ha deliberato la spesa e rinegoziato l’importo.

«Dunque è questo Mark Flannagan il Mark di Miss Ferrari!» esclama soddisfatto. «Un broker indipendente che lavorava per conto di AIX. Ecco il motivo di tanta sicurezza nei primi tentativi di entrare nel residence e poi quello notturno ben più pericoloso! Domani mi metto in contatto con l’assicurazione per conoscere l’indirizzo di questo Mark».

Dick sorride per i risultati dell’indagine e per l’intuizione avuta. Il sorriso si smorza in fretta perché la reception l’informa che Miss Ferrari è sparita nel nulla e che l’amica italiana arrivata oggi è in preda al panico.

La notizia riaccende i cupi presentimenti del primo pomeriggio, mentre si avvia alla reception per conoscere i dettagli.

 

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Un viaggio, un incubo – diciottesima puntata

Eccoci all’appuntamento del venerdì con la diciottesima puntata dell’avventura di Simona. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

Buona lettura.

Simona è incerta se deve raccontare l’episodio del giorno precedente oppure tacere. È un grosso dilemma che non riesce a districare. Alla fine decide di omettere il brutto episodio.

Irene vuole sapere tutto di Mark: com’è, cosa fa, quali impressioni ha ricavato senza incontrare grandi entusiasmi. Poche parole appena sussurrate escono dalla sua bocca, impedendo che il discorso si ampli e si approfondisca. Mostra scarso interesse a parlarne.

L’amica è piena di brio. Sembra aver smaltito in fretta la differenza di fuso orario, è un fiume in piena, mentre Simona nicchia, vorrebbe starsene tranquilla nella nuova suite, discorrere di questioni futili, poco impegnative.

«È presto per chiudersi qui. Il sole è ancora alto sull’orizzonte. Usciamo. Ho voglia di vedere delle novità» chiosa garrula come un merlo. «Ho letto di Holly. Non ti ricordi?»

«Holly?» ribatte Simona sgranando gli occhi. «Chi sarebbe?»

Irene sbotta in una fragorosa risata di fronte la candida ignoranza di Simona.

«Non ha mai visto il mitico George Peppard e Audrey Hepburn in ‘Breakfast at Tiffany’s’?» chiede con un sorrisino ironico, amicando con un occhio. «Non dire che ignori sia il libro che il film! Ha fatto sognare milioni di donne! Ho letto di un possibile itinerario in giro per Manhattan sulle tracce di Holly. Potemmo cominciare dalla New York Public Library, che è qui vicino, accanto al Bryant Park. Mi piacerebbe una foto sui leoni che stanno in cima alla scalinata. Quattro passi a piedi per sgranchire le gambe dopo essere stata molte ore seduta sono salutari».

Irene non smette di parlare, di estrarre nuove idee, di proporre itinerari e ristoranti come se fosse la guida, l’angelo salvatore dei turisti della grande mela.

Simona si trova in difficoltà, non sa come spiegare all’amica che Mark la sta braccando e ci ha provato più volte. Rimpiange di avere taciuto per prendere tempo. Giudica inadatto il momento per raccontare la brutta avventura con Mark. Si ripromette di farlo al rientro nella suite.

«Va bene» accondiscende rassegnata, mentre mentalmente spera che Dio gliela mandi buona. Ha cattive sensazioni e l’umore è basso.

Di passo lesto si avviano verso il Bryant Park ma rallentano perché il caldo afoso le avvolge in una nube di vapore acqueo che le costringe a riparare nel grande prato sotto gli alberi.

«È una favola!» esclama stupita Irene «E tu volevi costringermi a stare chiusa nella suite? È stracolmo di gente ed è immenso!»

Come una bambina incantata davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli si ferma a leggere l’elenco degli spettacoli della sera. I gridolini di gioia si sprecano. Le guide di New York citano di sfuggita questo polmone verde vicino a Times Square nel cuore di Manhattan. È una mancanza grave, annotandosi mentalmente di segnalare questo nel forum di viaggi che frequenta sul web.

Si rifugiano nel Shady Side, il lato all’ombra, che presenta la più alta densità di corpi umani del globo. Apre la bocca per lo stupore. Lo spettacolo offerto dalle persone sotto il sole di luglio sedute su una singolare sedia con un piccolo tavolino incorporato per appoggiarvi sopra qualcosa e una specie d’incavo per carte o bicchieri.

Osserva ogni dettaglio: il grande giardino con le enorme begonie che colorano di rosso lo sfondo verde, i numerosi alberi che fanno da corona al prato curato in modo impeccabile.

«Sono assettata» esclama dopo avere parlato a macchinetta. «Ho letto che c’è un Café nell’edificio in fondo». E si avvia con decisione.

Simona viaggia a rimorchio dell’amica, annuisce, trotterella a fatica dietro di lei, che con tre falcate divora il prato.

È l’ora dell’aperitivo e tutti i tavoli all’aperto sono impegnati. Per Simona non è una novità il bar American Style: tutti in piedi attorno a un tavolino rotondo alto. Per Irene sì: osserva lo spettacolo, lo commenta, cerca l’approvazione dell’amica che si limita a pochi monosillabi.

Il sole sta calando dietro i grandi edifici e non inonda più il prato.

Simona è inquieta, si sente a disagio fra tutto quel vociare confuso e quel via vai tra tavolino e bancone con nuovi Martini e salatini. La testa le gira, forse è un po’ brilla, ma è lo stress accumulato che pretende il ticket. Si mostra serena, ascoltando Irene e rispondendo alle sue domande ma dentro non cessano le sensazioni negative attenuate dalla presenza dell’amica e dal fatto di essere circondata da molte persone.

A Simona si chiudono gli occhi per la stanchezza. È stremata e vorrebbe essere nella suite. La notte precedente quasi insonne e popolata da incubi terrificanti bussa nella sua testa senza fare sconti.

Irene ha fame e ritiene che sia ancora presto per rinchiudersi nel residence e passano nel locale accanto, Bryant Park Grill, per mangiare qualcosa.

Simona ordina prosciutto di Parma, melone, fichi neri, mascarpone importato e vino rosso, con un contorno di patatine fritte. Irene si fa dei ravioli al formaggio di capra conditi da qualcosa che vagamente assomiglia a un intruglio, dove si mescolano diversi ingredienti non ben identificati, e un filetto di salmone grigliato con salse varie.

«Non è male» afferma Irene con la bocca piena, mentre Simona osserva con disgusto quei piatti male assortiti.

Tra non molto Bryant Park chiude. Le due ragazze si avviano verso l’Avenue of Americas per ritornare al residence. Irene si ferma incantata al Carrusel, la giostra dei cavalli, che la fanno ritornare bambina quando moriva dalla voglia di fare un giro su quei cavalli dondolanti di cartapesta che girano in tondo.

Quando gira gli occhi non trova più la sago Carrusel ma di Simona e si inquieta. Si avvia nervosa all’uscita senza trovarla.

«Dove cazzo è andata?» dice in italiano mentre percorre di corsa le poche centinaia di yarde che la dividono dal residence.

Si ferma alla reception e chiede se Simona sia già rientrata, ottenendo una risposta negativa. Adesso in preda al terrore rifà la strada inversa sperando d’incontrarla. Incontra solo dei nottambuli semi sbronzi. Un senso di angoscia le chiude la gola perché Simona sembra essersi volatilizzata. Pare svanita nel nulla.

«Mi sono fermata un breve istante alla giostra dei cavalli e lei, puff! Si è smaterializzata» esclama con voce angosciata senza calmare l’intimo subbuglio.

Non le resta che tornare al residence per denunciare la sua scomparsa.

Riflette che non riuscirà a dormire, mentre la stanchezza cala su di lei.

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un viaggio, un incubo – diciassettesima puntata.

E così siamo arrivati alla diciassette. La storia ha un momento di relax. Arriva Irene. Per le altre puntate le trovate sempre qui.


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Simona terminato il pranzo si accinge a raggiungere il JFK Airport. Potrebbe prendere il bus o la sotterranea che con un costo modesto le permettono di arrivare in orario, ma ricorda le avvertenze di Dick. «Evita di prendere metropolitana o autobus, se puoi, usa il taxi, più costoso ma sicuro».

All’uscita da ESPN vede un Yellow Cab e lo ferma: «JFK Airport. Non ho fretta».

Nell’area degli arrivi aspetta di vedere sbucare il viso sorridente dell’amica. È in anticipo ma pazienta vedendo i viaggiatori di altri voli.

Irene è l’amica del cuore, che conosce da una vita. Sono cresciute in pratica in simbiosi: dove c’era una, c’era anche l’altra.

Lei supera Simona in altezza di una buona spanna. Col suo metro e ottanta è decisamente alta per essere una donna. Ha capelli biondi, rigorosamente artificiali, che lasciano intravvedere la crescita naturale, castano scuri. La stranezza sta nel colore degli occhi: un grigio azzurro perfettamente allineato con biondo dei capelli, invece del nocciola che accompagna di solito le castano scure. Simona è rimasta sempre incantata da quegli occhi e dalle lunghe ciglia che avrebbe voluto avere anche lei. Si deve accontentare di capelli vagamente rossi e occhi grigio verdi.

Arrivata a quarant’anni il corpo di Irene si è appesantito. Questo handicap la assilla perché fatica ad attirare qualcuno. È single come Simona, ma non demorde nella ricerca del grande amore, che sembra sfuggirle dalle mani ogni volta che crede di averlo trovato.

Irene avrebbe voluto fare il viaggio con lei, ma Simona è stata irremovibile: «Vado da sola». Così a malincuore ha rinunciato in un primo tempo, poi ha deciso di partire lo stesso a costo di rompere l’amicizia con Simona.

Atterra dopo un viaggio di undici ore e non vede l’ora di riabbracciarla. Percorso il lungo tunnel del terminal One intravvede dalle vetrate l’amica che la sta aspettando. Vorrebbe correre e stringerla. Però ha due incombenze da espletare. Passare al vaglio dell’addetto alla immigrazione, US Public Health, Immigration and Naturalization, con la minuziosa verifica di passaporto e documenti per l’ingresso negli States e ritirare il bagaglio. L’attesa alla dogana sembra interminabile, snervante, ma deve avere pazienza, perché è quello che ha letto sulle varie guide sugli arrivi negli USA: “Devi pazientare. Ci sono sempre code”.

Alla fine l’abbraccio liberatorio e i baci calorosi con Simona diventano realtà.

«Prendiamo una limousine con autista? Mi hanno detto che è un’esperienza scioccante!» chiede con l’entusiasmo di una ragazzina.

«Ma è carissima! Costa una follia! E poi siamo solo in due!» risponde imbarazzata Simona al pensiero dell’esborso per pagarla.

«Non ti preoccupare. Pago io! Poi… mi hanno detto che si trovano con facilità altri coi quali condividere la spesa».

Simona la guarda come se fosse spuntata da un mondo alieno: al solo pensiero di dividere l’auto con altri cinque o sei sconosciuti le mette ansia. Il ricordo di Mark è troppo fresco per rischiare.

«Va bene la limousine, ma niente estranei. Solo noi due!» afferma, dettando le condizioni per il viaggio all’interno di auto che sembra un transatlantico.

Per nulla convinta Irene acconsente alle limitazioni poste, anche se rimarca che ci sarebbero state altre tre ragazze pronte a salire con loro.

«No. Non desidero estranei!» ribadisce Simona con fermezza. «Uomini o donne non ha importanza. Sono sempre persone sconosciute».

La Cadillac Escalade è veramente enorme per ospitare solo le due ragazze, che parlano fitto degli ultimi avvenimenti durante il tragitto verso il residence.

Dick le osserva dalla finestra dell’ufficio quando scendono dal SUV e fanno il loro ingresso.

«Chi è quella ragazza che accompagna Miss Ferrari? Un nuovo arrivo? Un’altra sciocca alla ricerca di emozioni forti?» esclama scuotendo la testa.

Adesso sono due le donne da proteggere, mentre gli torna in mente la ricerca del mattino interrotta che deve essere ripresa. “Stasera con calma completo l’esame della documentazione”.

E torna a immergersi nella pratica che ha assorbito le sue forze e che deve completare senza ritardi prima delle sette.

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Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato – seconda parte

Elena delle volpi  ha detto che la storia che potete leggere qui, non nha finale e mi ha chiesto di completarla. In effetti era mia intenzione di lasciare il finale aperto così che ognuno di voi poteva completarlo come meglio credeva.

Alla fine ho ceduto e presento la seconda parte ovvero come penso che sia andata a finire la storia.

Buona lettura.

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Fumetto di Andrea Pazienza

 

A Venusia di solito l’ingresso è aperto o socchiuso. Nessuno ha intenzione di andare a rubare in casa d’altri. Così Bruno può mettere la testa dentro senza suonare.

Amelia sbianca, mentre Dario sta per sbottare. “Che fare?” si domanda la donna, che si siede sulla sedia in cucina. È in ambasce. Non sa cosa fare. Guarda Dario sperando di trovare la giusta ispirazione per rispondere a Bruno che continua a urlare: «Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre».

Il figlio è nell’ingresso e si muove cauto. Non capisce perché i genitori non rispondano. Eppure li ha intravvisti attraverso i vetri della cucina.

«Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre» ripete come un disco rotto, avanzando di qualche passo verso la cucina.

L’ingresso è separato dalla cucina da un corridoio che termina con la porta sull’orto. Tutte le stanze della casa ruotano attorno a questo. Sulla destra c’è sala da pranzo e salotto. Sulla sinistra cucina, un servizio e le scale che portano alla zona notte.

Amelia si alza. Sa che deve affrontare Bruno prima che Dario lo investa come un uragano. Ne hanno parlato giusto ieri sera, mentre in salotto lei sferruzzava in modo svogliato e lui leggeva un libro.

«Che facciamo se Bruno si presenta alla porta?» ha chiesto Amelia alzando gli occhi verso il marito.

Dario ha emesso un ruggito prima di rispondere. «Lo prendo a calci nel sedere finché non torna da dove è venuto».

Amelia ha sospirato, pensando che il marito ha ragione. Quel figlio, finché è rimasto a Venusia, ha dato solo grattacapi. Fannullone, indolente e arrogante erano gli aggettivi che le sono tornati in mente. E forse non bastano per descrivere la loro esasperazione.

Però è sempre figlio loro. Sa in anticipo che a parte i buoni propositi sbandierati nella lettera sarà difficile che cambi personalità Era così già all’età di quindici anni. Adesso che ne ha dieci in più sarà improbabile che possa diventare quello che ha appena urlato.

Amelia esce dalla cucina seguita da Dario che mormora parole di fuoco da “l’ammazzo” a “lo prendo a calci nel culo”. Si volta, mentre ascolta i passi cauti di Bruno nel corridoio, mette un dito sulle labbra del marito. «Sss» fa per mettere fine a quel turpiloquio.

«Bruno perché sei tornato?»

Il ragazzo posa per terra la sacca che tiene sulla spalla. Strabuzza gli occhi perché la domanda non gli sembra pertinente. “Perché sono tornato? Mi pare evidente. Rivoglio il mio posto in questa casa”. Però resta in silenzio. La domanda l’ha mandato in cortocircuito. Balbetta qualcosa, mentre Amelia trattiene Dario.

«Lascialo rispondere» sussurra in un orecchio, abbracciandolo.

Bruno si ferma incerto se proseguire o tornare fuori. «Sono tornato perché sono pentito» bela in un sussurro, che le orecchie di Amelia appena percepiscono.

Il naso è ancora più affilato sull’ovale del viso bianco e smagrito con gli occhi infossati. I capelli sembrano un cespuglio di more tanto sono aggrovigliati e sporchi. I vestiti cascano addosso come sacchi troppo ampi per quello che devono coprire, sempre che si possano chiamare così. Sono talmente luridi e cenciosi che non sarebbero adatti nemmeno per strofinare per terra. Nei piedi porta dei sandali sformati che non assomigliano per nulla agli originali.

È talmente messo male che se fosse posto tra i filari della vigna paterna farebbe scappare tutti i predatori del cielo e della terra per lo spavento.

Bruno ha ai suoi piedi per terra la sacca di juta che ha tenuto sulla spalla destra e con gli occhi implora perdono.

Amelia lo guarda. Le fa pena vederlo ridotto in quello stato. Di slancio lo abbraccia per dargli il ben tornato, sapendo perfettamente che quel figlio inquieto andrà via di nuovo dopo averli fatti dannare con le sue intemperanze.

Dario osserva muto e gira i tacchi fuggendo nel salotto.

 

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Un viaggio, un incubo – sedicesima puntata

Pazientate e leggete la nuova puntata. Per chi ha perso le precedenti le può trovare qui.

Buona lettura.

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Mark rientra nel suo appartamento e si getta vestito sul letto fantasticando con quali sevizie vorrà sottoporre a Simona, quando sarà sua prigioniera. Sono sogni confusi e incerti che durano fino al risveglio del mattino.

«Slut!» è il primo commento quando riapre gli occhi.

«Slut!» ripete più volte, mettendosi in posizione eretta. «Ci vorrebbe una canna, ma non fumo per fortuna! Il residence è off. Dovrò trovare un’altra soluzione e sarà definitiva».

Si sente sporco e accaldato, ma ha bisogno di qualcosa di forte prima. Si prepara un caffè per riprendere vigore.

La giornata è piena d’impegni già scadenzati e la pratica Simona viene accantonata.

«Devo lavorare se voglio vivere» chiosa sorseggiando rumorosamente il caffè.

Una doccia veloce elimina umori e sudore che si sono incrostati sulla pelle tra il giorno precedente e la notte agitata. Indossa il vestito buono per fare colpo sui potenziali acquirenti delle polizze vita che sta piazzando con discreto successo.

È un bravo broker e molte assicurazioni gli offrono opportunità di lavoro, perché è convincente nel proporre le polizze, anche le più difficili da piazzare.

«Simona, aspettami. Tra non molto arrivo» afferma allegro, chiudendo la porta alle spalle.

Dick è inquieto. L’episodio notturno gli ha messo agitazione.

“Non è la prima volta che capita. Però stavolta ho sensazioni cattive. Quella giovane italiana” fa una breve pausa respirando rumorosamente. “Sarà giovane come sembra? Quella donna italiana ha un discreto fascino e sembra una calamita nell’attirare guai. Pare ingenua, ma secondo me non lo è. Poi quale malsana idea ha avuto di trasformare una conoscenza virtuale in una reale? Per di più si sciroppa un bel viaggetto per conoscere un tizio ambiguo. Il racconto è monco, anche se in apparenza sembra ben coordinato. Quale mistero inconfessabile mi ha nascosto? Ci sarà tempo e modo per conoscerlo. Ora concentriamoci su questo misterioso Mark”.

Secondo le sue ipotesi l’uomo deve essere qualcuno che conosce a fondo il mondo dei residence Inn Patriot, perché si è comportato con troppa sicurezza in ogni frangente.

Conosceva i punti deboli che ha cercato di sfruttare a suo vantaggio e in particolare sulle procedure operative della security. Ignorava il cambio delle serrature elettroniche e le nuove e più severe disposizioni sui controlli di chi entra nelle strutture. Queste lo hanno fregato. Essendo avvenute negli ultimi due anni, la ricerca si deve concentrare su fornitori o consulenti della security prima delle modifiche sulla sicurezza.

Dick deve farsi autorizzare per procedere nelle indagini e accedere alla documentazione.

Forte dell’autorizzazione ottenuta con qualche difficoltà, inizia a scorrere i documenti, che non sono moltissimi ma che devono essere esaminati con attenzione.

Esclude i fornitori, che non trattano nello specifico le due tematiche. Accantona in modo provvisorio altri che si interfacciano o con le serrature elettroniche o con la riorganizzazione della security. “Li riprendo in un secondo momento, se non trovo nulla d’interessante”.

Rimangono in evidenza una decina di documenti e una ventina di persone. “Dovrei farcela in poco tempo a esaminarli tutti”.

Scarta un paio di consulenti, perché nessuno di loro si chiama Mark, prima di passare al malloppo più consistente: le polizze assicurative e relativi allegati tecnici.

Sta per aprire la documentazione AIX, quando una chiamata lo distoglie e lo porta lontano dall’ufficio.

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Un viaggio, un incubo – quindicesima puntata

L’avventura di Simona si arricchisce di una nuova puntata. Per le altre basta cliccare qui.

Foto di Lukas Kloeppel da Pexels

Buona lettura

Tutto è finito. Mark non è riuscito nel suo intento, quel giovane l’ha rassicurata che per stanotte può dormire sonni tranquilli. Simona, invece di coricarsi nel letto, si siede sul divano mentre piange in silenzio.

Rimane sdraiata fino al mattino tra brevi sonni e risvegli bruschi con la mente invasa da ricordi amari e incubi angoscianti.

Si sente indolenzita per la scomoda posizione con gli occhi impastati di lacrime secche.

Due sono i pensieri che l’angosciano: l’incubo notturno interrotto dal provvidenziale squillo del telefono e il tentativo di Mark di forzare l’apertura della porta.

Si domanda perché ha sognato un appartamento sconosciuto con una precisa e meticolosa nitidezza. I ricordi sono netti e non cancellabili.

«Si trova in America, perché quel tipo di casa esiste solo qui» mormora, mentre sente inumidire le ciglia. «Eppure non ho frequentato nessun appartamento americano, a parte il residence, ma non è questo. È forse un ricordo di un film?»

Scuote la testa, mentre le lacrime bagnano la maglietta. Tuttavia quell’appartamento le è apparso familiare, come se fosse di casa lì. Però un altro pensiero si forma nella sua mente sul legame tra il viaggio americano, affrontato con grande entusiasmo e trasformatosi in un incubo, e quelle quattro persone. Non esiste ma per un motivo o per un altro quei tre uomini e la donna sono associati a ricordi, che hanno segnato la sua vita.

Simona distende le gambe sul divano, mentre la giornata si preannuncia afosa. Una leggera foschia aleggia tra le guglie dei grattacieli.

Analizza il sogno perché ricorda la sensazione terribile provata, quando ha tentato di chiedere aiuto e la voce non usciva dalla gola. È entrata nel panico per quella afasia. Sentiva le loro voci, ma non la sua. “È come se fossi rinchiusa in una bara senza riuscire a comunicare con l’esterno” pensa mentre un brivido percorre il suo corpo accaldato.

Tuttavia quello, che la spaventa, è stato il senso d’impotenza percepito: avvertiva i loro movimenti, senza che lei potesse muoversi o difendersi. Comprende cosa possa provare chi si trova in una condizione d’incapacità nell’uso della parola o delle mani. È una sensazione terribile.

“Come sono finita in quell’appartamento con Roberto, Enrico, Anna e Mark?” si chiede una volta di più. Però quello che la tiene in ansia è stato quando Mark ha tentato di entrare. Lei è rimasta paralizzata dalla paura. “Paura?” si domanda, stringendosi con le braccia. “No, peggio. Incapacità di reagire di fronte al pericolo”.

Quella manovra non avrebbe avuto successo con un atteggiamento mentale più aggressivo. Quello che la sta preoccupando è stata la mancanza di una qualsiasi reazione nervosa e l’apatia nel chiedere aiuto. In altre situazioni analoghe riconosce che le è già capitato. Dunque percepisce i pericoli, ma non è capace di attuare la strategia difensiva che la sua mente ha elaborato.

“Sì, io ero dietro la porta col telefono in mano, ma mi sentivo paralizzata, come nel sogno. Se fosse entrato, lui avrebbe fatto di me quello che voleva senza nessuna reazione da parte mia. Sono questi passaggi a vuoto che mi terrorizzano, perché capisco che non riesco a trovare la giusta scarica di adrenalina per difendermi. E se domani ricapitasse come mi comporterei? È questo che mi rende fragile”.

La notte insonne, lo stress degli eventi del giorno precedente la fanno sentire debole con la sola voglia di piangere.

“Oggi arriva Irene e non voglio farmi trovare ridotta a uno straccio. Non ho nessuna voglia di spiegare il motivo per il quale sono stanca e terrorizzata”.

Fa una doccia corroborante. Rimane a lungo sotto il getto che massaggia la pelle e la testa, percependo che la stanchezza sta scivolando via nel tubo di scarico insieme all’acqua insaponata. Avvolta in un morbido accappatoio e con un bel turbante azzurro a racchiudere i capelli bagnati, si concede una ricca colazione che consuma in camera.

Mette un Cd dei Coldplay in sottofondo, accende la TV- e inizia il breakfast sostanzioso come un pranzo. Seduta al piccolo tavolo di mogano in mutandine e reggiseno coi capelli umidi mangia bacon, uova al tegamino, salciccia, sandwich, verdure di ogni tipo. Il tutto condito con succo d’arancia e l’immancabile pancake ricoperto di sciroppo d’acero.

Mangia con lentezza per assaporare il gusto degli alimenti, quando sente suonare il campanello. Infila una polo bianca e un paio di jeans stinti. “Di certo non posso presentarmi seminuda” pensa, aprendo con cautela una fessura nella porta.

È Dick che le annuncia il cambio di suite.

«Stanotte non mi sono presentato» afferma allungando la mano. «Sono Dick, il responsabile della sicurezza del residence. Ti informo che la direzione è dispiaciuta per l’inconveniente notturno. Per evitare che possa ripetersi ha deciso, su mio suggerimento, di trasferirti in un’altra suite al terzo piano, dove sia più facile controllare il corridoio d’accesso. Riteniamo che quella persona ritenterà d’introdursi. Però stimiamo strano il comportamento. Per caso è un tuo conoscente?»

Questa domanda la impietrisce perché non sa come rispondere.

“Devo dire la verità oppure confezionare una bella bugia?” si domanda incerta Simona.

Alla fine decide per raccontare la verità, perché in effetti Mark le ha messo in corpo una bella fifa.

«So solo che si chiama Mark. Il cognome e dove abita lo ignoro. Ha una Buick nera. L’ho conosciuto su Twitter e poi abbiamo conversato a lungo con Messenger e Skype. Visto che avevo due settimane di ferie e non sono mai venuta a New York ho pensato di unire alla vacanza anche la sua conoscenza. Ieri mattina si siamo incontrati per la prima volta in Central Park. Però la prima impressione non è stata favorevole tanto che avevo deciso di non incontrarlo più. Come sia risalito dove alloggio non lo so, perché non glielo avevo comunicato».

«Gli hai telefonato dal residence?» domanda Dick.

«Si».

«Dai tabulati delle chiamate alla sua utenza ha ricavato l’indirizzo. Ora è un po’ più chiaro. Rimane come abbia puntato alla tua suite. Per caso ti ha mandato una lettera?»

«Sì».

«È uno stratagemma semplice ma sempre efficace. Basta osservare in quale casella viene deposta la busta e il numero della suite è indovinato» afferma Dick sorridente.

Si rallegra per l’opportuna decisione di cambiare l’appartamento e lasciare vuoto il 510, che farà sorvegliare discretamente senza insospettire nessuno.

Diversi tasselli sono stati incastrati nei posti giusti, ma percepisce che qualcosa è stato taciuto. “Dettagli o punti importanti?” si chiede. Alla fine opta che siano particolari secondari dal tono del racconto e ininfluenti per il programma di protezione.

«Due raccomandazioni» suggerisce Dick col volto serio. «Non frequentare posti isolati o poco frequentati, specialmente di notte. Per gli spostamenti usa in prevalenza il taxi. È più sicuro. Fai attenzione quando ti muovi per New York. Quel tipo è scaltro e pericoloso. Senza altre indicazioni non è possibile attivare la polizia. Se prepari le tue cose, tra mezz’ora passa un inserviente per il trasloco. Buona giornata» fa Dick congedandosi.

Lei riflette su quanto le ha riferito. Dunque è in pericolo e deve muoversi con cautela. Per fortuna è in arrivo Irene. Questo la rasserena un poco.

In fretta raccoglie il suo bagaglio, controlla di non avere dimenticato nulla e si trasferisce nella nuova suite al terzo piano.

Il trasloco l’ha resa di buon umore mentre si avvia all’ESPN per il pranzo. Il locale dista solo meno di mezzo miglio dal residence.

Si guarda intorno, ma non scorge il viso di Mark.

Forse ha capito d’avere perso la guerra e l’ha lasciata perdere.

 

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Un viaggio, un incubo – quattordicesima puntata

Eccoci con l’appuntamento del venerdì con Simona e Mark. Le puntate precedenti le trovate qui.

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Foto di Quintin Gellar da Pexels

Mark per la seconda volta si ritrova sul marciapiede davanti al residence, ma non demorde dal proposito di prendersi Simona. “Sei mia. E non puoi sfuggirmi” riflette schiumando di rabbia, mentre osserva l’edificio dall’esterno.

Però non ha fatto i conti con Dick e la security, perché lui ha allertato i suoi uomini.

«Tenete d’occhio i video che riprendono gli ascensori. Chiamatemi se inquadrate un uomo dalla carnagione chiara, quasi calvo e tendente alla grasso, che si muove in modo furtivo» ha ordinato prima d’iniziare il giro d’ispezione.

Sente il cicalino che squilla.

«Dimmi».

«Il tipo sta prendendo l’ascensore al livello uno del parcheggio».

«Ok» risponde mentre comanda a un paio dei suoi uomini di convergere al quinto piano. Lui impreca in silenzio perché è lontano dagli ascensori e si trova al decimo piano.

Mentre Mark si avvicina alla suite 510 per fare la festa alla preda che gli è sgusciata tra le mani, non sa che è stato intercettato dalla security. Lui pensa al suo orgoglio ferito di maschio, che vuole vendicare. È convinto che sarà un gioco da ragazzi aprire la serratura elettronica. “Lei non si aspetta un mio attacco nel posto dove si sente al sicuro” si dice, mentre un sorriso gli illumina il viso.

«Bastard!» sibilla indispettito, perché la serratura non cede. «Eppure sette anni fa i residence Inn Patriot avevano delle serrature ridicole, quando abbiamo rifatti i contratti assicurativi a copertura dei rischi globali. Avevo calcato la mano nel segnalare le disfunzioni della security e delle chiusure delle stanze per gonfiare il costo della polizza. Vuol dire che hanno messo mano al portafoglio per ridurre l’importo annuale».

Mark, come broker assicurativo per conto di AIX, aveva segnalato che i residence presentavano delle falle di sicurezza sia sulla robustezza delle serrature, sia per possibili intrusioni dall’esterno. L’assicurazione si doveva cautelare contro i rischi per furto e pericolo attentati.

Mentre accende una sigaretta, Mark si deve ricredere sulle falle sicurezza, perché la security ha funzionato pizzicandolo due volte con estrema facilità e la serratura non si è aperta ai suoi tentativi. Rivede il film di poco prima e sorride che gli è andata bene, perché vista l’inutilità dei tentativi, ha avuto poco tempo per scappare senza danni. “Stavolta ho commesso infrazioni più gravi che mi avrebbero portato in una cella di sicurezza” si dice fumando la sigaretta.

Ha sentito voci concitate e passi veloci in avvicinamento, percependo di aver perso la partita. Si è guardato intorno infilando le scale, perché gli ascensori sarebbe stati una trappola per lui. Sa che possono essere bloccati da remoto con lui dentro.

La fuga non è stata semplice, pensa ricordando quei frangenti. Ha sentito dei passi che salivano dal basso per intercettarlo. Con mossa rapida è risalito di due piani, dirigendosi verso le scale del lato opposto. Conosce la dislocazione delle cam di sorveglianza, che evita. Ha dovuto giocare d’astuzia prima che potessero organizzare meglio la caccia. Sceso di due piani si è diretto verso il montacarichi posto di fianco alla porta di servizio. Ha spinto il tasto ground zero per depistare gli addetti, mentre ha proseguito la corsa verso il basso senza incontrare nessuno.

«Dick» avverte una voce dei controllori. «Ha preso il montacarichi lato B. Si dirige verso ground zero».

«Grazie» risponde mentre avverte i suoi di bloccare l’uscita.

Mark, arrivato al livello uno del parking, ha percorso la rampa che porta all’uscita, tenendosi al riparo delle telecamere di sorveglianza. Ha azionato la fotocellula che apre il cancello di uscita, mescolandosi con le persone che transitano nella la zona.

Dopo un ultimo sguardo torvo al residence getta la sigaretta e si avvia verso la macchina parcheggiata nella 38th Street.

«Per stanotte maledetti piedipiatti avete vinto la battaglia, ma la guerra continua» borbotta.

Dick capisce che non sarà facile pescare il tipo, perché si muove con sicurezza disarmante, anticipando le loro mosse.

“Se ha attaccato con simile certezza la serratura, vuol dire che ignora che sono state cambiate negli ultimi tre anni per evitare la loro apertura con troppa facilità” pensa avviandosi verso la suite 510. “Anche la security è stata riorganizzata per sventare minacce di attentati. Questi interventi sono stati eseguiti per limitare l’esosità dell’assicurazione AIX. La direzione, fatti due conti, ha tagliato il costo della polizza con nuove serrature e una sicurezza interna più efficiente. Nel giro di due anni si è ripagata la spesa”.

È un frenetico rincorrersi fra i vari piani, finché l’interfono non comunica che la persona cercata è uscita attraverso il cancello del parcheggio sotterraneo.

Dick ha la certezza assoluta che quel tipo conosce bene la struttura del residence e che potrebbe tornare. Di sicuro non è uno sprovveduto, perché non ha commesso il minimo errore. Poi ha evitato di essere inquadrato impedendo di avere la percezione dove si trovava.

«Questa volta mi hai beffato. Ma la prossima mi troverai più preparato e non mi sfuggirai» sibilla a denti stretti un infuriato Dick, che ha sventato l’attacco senza riuscire a catturare l’intruso.

Dell’episodio deve fare un rapporto dettagliato alla direzione e decidere la protezione del cliente. Non vuole correre rischi di denunce o di pessima pubblicità al Gruppo. I concorrenti sarebbero implacabili.

Arrivato alla suite 510 bussa con discrezione.

«Miss Ferrari, tutto bene?»

Con cautela vede spuntare il viso impaurito di una giovane donna, che annuisce.

“È una bella ragazza e ha attirato le mira di un maniaco. La stranezza è che sia arrivata da tre giorni incappando in una persona decisa a entrare nel suo appartamento. Domani devo approfondire l’esatta dinamica degli eventi” riflette Dick rassicurato che il cliente non ha subito danni.

«Spero che il resto della notte sia più tranquillo. Per evitare altri spiacevoli inconvenienti lascerò al piano una delle mie persone. In caso di necessità non esitare a comporre la chiamata delle emergenze interne. Qualcuno di noi arriverà subito. Non devi avere paura, qui sarai protetta. Notte». Aspetta che chiuda la porta prima di tornare nel suo ufficio.

Dick scuote il capo perché intuisce che la situazione non è normale.

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Un viaggio, un incubo – tredicesima puntata

Eccoci col tredicesimo appuntamento con Simona a New York. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

da Pixabay credits AdinaVoicu

Simona è in preda al terrore, mentre si avvicina silenziosa alla porta, stringendo con forza il telefono.

La paura la sta paralizzando, mentre la determinazione e lo spirito battagliero sembra essere svanito all’improvviso.

Sente armeggiare con discrezione ma con energia sulla serratura, mentre osserva la sedia oscillare con decisione.

Trattiene il fiato, ma ascolta il respiro convulso che proviene dall’esterno, mentre rimane indecisa se chiamare la reception per richiedere aiuto.

Il dito è appoggiato sul tasto verde della chiamata, ma la mente non vuole comandare la pressione.

“L’incubo si sta materializzando” riflette in un momento di lucidità “Però non riesco a decidermi. Chiamo o non chiamo? E se questi rumori sono frutto della mia fantasia a causa del brutto sogno precedente? Che figura ci faccio?”

Eppure solo mezz’ora prima non aveva queste indecisioni, ma si mostrava sicura di sé. Adesso è irresoluta, indecisa, ma soprattutto è il terrore che fa da padrone. Assiste impotente ai tentativi di aprire la porta mentre la mente fatica a trattenere i pensieri. Se vedrà sbucare Mark come un fantasma che attraversa i muri, è consapevole che non riuscirà a opporsi, rimarrà inerte a meno che uno choc non la risvegli dal torpore psichico nel quale si sente avvolta.

Sta immobile a un metro da quel fragile simulacro che la divide da lui e non reagisce al pensiero che, se riesce a entrare, lei sarà in balia di Mark senza nessuna barriera difensiva a protezione.

Torna indietro nel tempo, quando aveva solo venticinque anni e stava con Roberto. Non comprende il motivo per il quale lei associa sempre Mark a quel vecchio amore, naufragato tra gli scogli dell’indifferenza e della trasgressione.

Sta collegando questi momenti d’indecisione all’episodio avvenuto molti anni prima. Sono ricordi lucidi e precisi, che riaffiorano in questi istanti drammatici.

Roberto aveva proposto una serata trasgressiva in un locale a luci rosse per fare qualcosa di diverso dalla solita routine. L’aperitivo con gli amici, quattro salti al disco pub, la corsa nella notte per tornare a casa.

In passato si era sempre rifiutata di parteciparvi, resistendo alle lusinghe di un’esperienza eccitante secondo lui ma deprimente per lei. Era decisa a dire di no, perché il pensiero di fare sesso con uno sconosciuto o sotto gli occhi di estranei non riusciva a concepirlo. Ne aveva sentito parlare nelle lunghe serate invernali come un momento di eccitazione e di forte trasgressione, che terminava sempre con una ammucchiata di gruppo. In quel periodo il rapporto con Roberto era in crisi e sperava di ricucirlo accondiscendendo alla richiesta di una serata speciale. Così si era ritrovata coinvolta in giochi erotici di coppia senza che lei se ne rendesse conto. Con loro c’erano altre due coppie di perfetti sconosciuti, che secondo lui erano suoi amici. Per lei erano persone raccolte casualmente per strada. Per ravvivare la serata aveva portato diverse canne e un po’ di coca. Simona dopo qualche tiro di fumo aveva trovato la forza di dire di no alla coca.

Ripensandoci è contenta di essersi rifiutata quella volta e le volte successive. “Non ho mai voluto iniziare con la droga per finire come lui: un tossico che sta consumando gli ultimi spiccioli della sua vita”.

Davanti ai suoi occhi continuano a passare le immagini di quella serata che ricorderà per tutta la vita.

Alla fine della serata si sono ritrovati in un privè su un enorme letto: un’ammucchiata di sballati tra alcol e droghe a fare sesso secondo le regole degli scambisti.

Quanto a lei sono toccati due uomini dei quali non ricorda il nome, ma nemmeno ha memorizzato i volti. La sua partecipazione è stata più fisica che mentale senza provare nessun piacere. Non ha osato guardare il proprio corpo dopo aver fatto sesso. Lei ha provato un senso di disgusto, di sporcizia interna senza trovare la forza psichica di ribellarsi. Per auto punizione ha accettato senza protestare le attenzioni simultanee di due coppie, mentre Roberto si faceva l’ennesima canna assistendo sorridente alle loro prestazioni sessuali.

Adesso prova fastidio, ricordando quel lontano episodio. Il suo corpo è stato per ore in balia di mani, di lingue, di sessi di persone sconosciute, finché non è scoccata improvvisa la scintilla di reagire a quelle depravazioni. Di scatto ha allontanato tutti, si è rivestita e senza salutare ha preso un taxi per tornare a casa.

Per diversi giorni ha rifiutato ogni contatto con Roberto. Non ha osato porsi davanti allo specchio o toccare il proprio corpo, perché percepiva le sensazioni sgradevoli di quelle persone che lo hanno maneggiato come un oggetto di lussuria.

Come allora una scintilla è scaturita dalla mente, innescando la sua reazione, così in questo frangente si riscuote dall’apatia nella quale è caduta.

Osserva la porta, ascolta i rumori. Adesso sono mutati. Sente dei passi che si allontanano in fretta, delle voci concitate che si rincorrono e un bussare discreto.

«Miss Ferrari, tutto bene? Siamo della security e vogliamo accertarci che non abbia subito molestie» dice una voce sconosciuta dietro la porta. «Siamo spiacenti per l’episodio, ma vogliamo assicurarti che non si verificherà più in futuro. Mi senti?»

Simona uscita dal torpore che l’aveva avvolta risponde di sì, mentre con cautela apre la porta per inquadrare il suo salvatore.

Si trova dinnanzi un giovane, che la saluta e le augura la buona notte.

Richiude con dolcezza quella fragile protezione e si allontana in silenzio sempre col telefono impugnato a mo’ di arma inoffensiva.

«Ancora una volta mi è andata bene» sussurra con la voce incrinata dalla paura. «Fino a quando la buona sorte mi proteggerà? Perché ho questi momenti di apatia? Perché non riesco a reagire alle minacce al momento opportuno?»

Queste domande affollano la testa di Simona, mentre scoppia in un singhiozzo convulso e isterico come sfogo dello stress patito.

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