Siamo a quota meno tre dalla vetta. Qui ci sono le altre venticinque puntate.
Foto di Quintin Gellar da Pexels
Il piano di Dick non è complesso e può funzionare anche senza l’aiuto di un pizzico di fortuna che non guasterebbe.
«Sono certo che l’eccessiva sicurezza del nostro tipo ci agevolerà nel rintracciare l’appartamento» incomincia illustrando quello che ha in mente.
È convinto che non abbia spento il telefono, perché secondo i tabulati di Verizon è sempre rimasto acceso anche nei giorni precedenti. Non si capisce perché lo dovrebbe fare stanotte.
Del telefono di miss Ferrari dà quasi per scontato che se ne è dimenticato o forse non l’ha nemmeno cercato. Dick è convinto che con tutta probabilità non ci ha pensato per nulla, poiché ha dato per assodato che nessuno la cercherà. L’unico dubbio è che abbia carica a sufficienza per stare acceso l’intera notte.
Secondo le ultime informazioni in questo momento il cellulare di Mark è fermo nel caseggiato del Bronx.
Dick prova a chiamare il numero di Mark che squilla una, due e più volte. Un sorriso soddisfatto illumina il suo viso.
«Todd, chiama il numero di Miss Ferrari, mentre io faccio lo stesso con l’altro» suggerisce Dick pensando di creare confusione.
Lo fanno e poi smettono. Adesso devono solo mettere in atto il suo piano.
«Se ci sbrighiamo, lo dovremmo cogliere con le mani nel sacco» afferma Todd persuaso che l’idea di Dick si rivelerà vincente.
Todd chiama i suoi uomini e li informa che tra poco li raggiungerà. Devono fare attenzione ai movimenti nel caseggiato.
Arrivati a sirene spente, tutti e quattro perlustrano i dintorni del complesso. Vogliono essere certi che Mark non possa sgusciare dalle loro mani come un’anguilla. Il passo successivo sarà la localizzazione dove Miss Ferrari è tenuta prigioniera.
John e Ricky salgono le scale di sicurezza con circospezione alla ricerca di finestre illuminate o di voci umane. Sono le cinque passate da poco e con ogni probabilità sono ben pochi gli inquilini svegli a questa ora. Cercano di fare il minimo di rumore per evitare che qualcuno senta e faccia baccano allarmando l’individuo cercato. La perlustrazione dura circa mezz’ora e alla fine credono di aver localizzato l’appartamento: si trova al quinto piano. Rumori sospetti e movimenti al suo interno li convincono che sia quello giusto.
«Todd, c’è un appartamento al quinto piano, che ha luci accese appena visibili. Si sentono rumori di passi e una voce maschile che sembra parlare da solo. Cosa dice non riusciamo a comprenderlo» comunica Ricky con un filo di voce appena percettibile.
«Restate lì senza farvi notare, pronti a bloccare eventuali tentativi di fuga. Al mio segnale entrate dalla finestra».
Todd e Dick raggiungono il piano segnalato per dare l’avvio al progetto elaborato durante il viaggio.
Compongono il numero di Mark, sperando di captare con certezza da quale porta arriva il tono di chiamata.
Sentono rumori nel corridoio di destra, ma non riescono a localizzarli con precisione perché la comunicazione cessa.
Todd ricompone il numero dell’uomo, Dick quello di Simona e scoppia il putiferio. Adesso sono certi della porta: è l’appartamento 517.
«Fuck!» impreca sottovoce con tono volgare il poliziotto. «Ho scambiato il cinque col sei! Sono stato troppo precipitoso nel leggere il numero. Ora sarebbe già libera».
Ricky lo richiama confermando che hanno individuato con precisione la finestra da dove arriva quella sinfonia di suonerie e rumori che stanno svegliando mezzo caseggiato.
«Okay. State pronti a intervenire. Dobbiamo beccare quel porco con le mani nella marmellata».
Loro si devono tenere pronti a sfondare la finestra, mentre Todd e Dick faranno lo stesso con la porta d’ingresso.
Sentono passi confusi con imprecazioni dietro la porta come se qualcuno fosse in agitazione.
Armeggiano silenziosi con la pistola LockAid che apre tutte le serrature in modo sicuro col minimo rumore. Todd non potrebbe usarla senza l’autorizzazione del giudice ma se ne frega. Si sentono i click dei cilindri che scattano sotto la pressione delle linguette della pistola. La porta di dischiude ma una catenella impedisce l’apertura completa.
Senza pensarci, danno un paio di spallate robuste alla porta che si spalanca con un frastuono che sveglia l’intero edificio.
Quasi in contemporanea il rumore di vetri infranti fa da contraltare con quello generato da Todd.
Non si preoccupano delle voci provenienti dall’esterno, mentre si precipitano all’interno.
Calma ragazzi ancora un piccolo sforzo e poi questo incubo sarà finito. Per i più temerari qui può trovare le puntate precedenti.
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Vedendola irrigidirsi, Mark rinforza il bavaglio con un asciugamano sulla bocca.
«Shut! Ora non potrai urlare!» grida con tono cattivo nell’orecchio sinistro di Simona. «È vero che non sentirò i tuoi lamenti, né le suppliche, ma vedrò l’espressione dei tuoi occhi. Aspettami, tramp! Un secondo e sarò da te! Vedrai come godrai quando ti scopo».
Ha un sogghigno diabolico, mentre gli occhi di Simona tentano di reggere lo sguardo senza mostrare il terrore che ha dentro di sé.
Mark tiene in mano il resto di un panetto di burro con cui ha spalmato il sesso di Simona. Ghigna divertito.
«Questo è miracoloso» urla minaccioso nelle orecchie, mentre lei sostiene lo sguardo di sfida.
Con calma riprende ad applicarlo e ansa per il piacere toccandole il pelo che si unge e diventa lucido.
Le fantasie erotiche, che il gesto scatena, lo fanno venire di nuovo, lordando le gambe di Simona.
«Fuck!» impreca mentre cosparge di burro tutto il corpo. Ansa mentre tocca i capezzoli duri con la speranza di rianimare il suo membro.
Simona volge il viso verso la finestra. Vede un chiarore filtrare attraverso il vetro, mostrando la sagoma della scala antincendio.
Le sembra di vedere delle ombre. Sbatte gli occhi ma pensa che sia solo suggestione. Torna concentrarsi su Mark che ha ripreso a ungerla. È il seno il suo obiettivo. I capezzoli si induriscono sono il suo energico massaggio.
Lo sente mentre riprende ad ansare e strofinarsi sul fianco destro. Il suo è un roco grido di una persona in preda a forte eccitazione sessuale.
Simona volge il viso verso sinistra dove sta la finestra per non incontrare quello di Mark che alita vicino a pochi centimetri.
Ha un moto di schifo per questa vicinanza. Vorrebbe urlare ma il grido si smorza in gola.
Ha un sussulto perché vede qualcosa. “Un’ombra?” Pensa. “No. Due”. Si chiede chi possano essere. “Due inquilini senza le chiavi di casa?” Scuote il capo perché non è possibile. Vorrebbe agitare una mano per richiamare la loro attenzione ma non può. Si è dimenticata di Mark, di quello che sta facendo, della sua eccitazione, perché si è concentrata su due possibili angeli salvatori.
“Calma, Simona” si dice continuando a osservare i movimenti di quelle due ombre. Non si accorge che Mark si è quasi disteso sopra di lei. Il rumore del suo respiro sempre più eccitato non la distrae, concentrata su quelle due ombre, che le appaiono la scialuppa di salvataggio nel naufragio della nave.
Un rumore infernale lo sorprende e si guarda intorno smarrito alla ricerca dell’origine.
Cari lettori pazientate un po’ perché tra cinque puntate il vostro martirio avrà termine. Per i più temerari può trovare qui l’arretrato.
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I telefoni smettono di emettere le loro melodie. La calma sembra di nuovo raggiunta senza che lui abbia fatto nulla.
«Pieces of shit! Avete finito di spaccare? Dove sono?» impreca volgarmente.
Vorrebbe spegnerli per non essere più disturbato. Ricomincia la perlustrazione alla loro ricerca, perché non ricorda dove ha posato il suo e dove sia nascosto quello di Simona. È sollevato perché non suonano più. È lucido, sveglio completamente. Ha un ghigno cattivo.
Pensa di prendere un panetto di burro dal frigorifero ma prima deve compiere un’operazione impellente. Deve vuotare la vescica. Il membro diventa duro al pensiero di quello che ha in mente.
«Ha la bocca tappata quella puttana» dice soddisfatto mentre tira lo sciacquone. «Se non l’avessi fatto, avrebbe strillato come una gallina e l’intero caseggiato sarebbe in subbuglio. Avrebbero chiamato la polizia e fine del gioco. Essere prudenti è meglio per non correre rischi. Mi piacerebbe sentire la sua voce implorare pietà, ma la precauzione è doverosa».
Una franca risata lo sprona a mettere in atto quello che ha architettato.
Simona rimane in vigile attesa, ascoltando rumori, frastuoni, urla, imprecazioni, suonerie in un concerto cacofonico. Un attimo di pausa.
Le fitte sono diminuite d’intensità, ma le ricordano quanto è avvenuto e questo non l’incoraggia. Si domanda, quanto durerà la tregua tentando di tenere alta la tensione per fronteggiare il nuovo assalto.
Si chiede perché, nonostante tutti i buoni propositi strillati con molta convinzione, alla fine non riesce quasi mai ad attuarli. Doveva raccontare il tentativo nello sfasciacarrozze, descrivere meglio le sembianze di Mark, dare tutti gli indizi per rintracciarlo. Però lei ha taciuto per un malinteso pudore e un’eccessiva riservatezza. Adesso ne sconta le conseguenze.
“Chissà se mi stanno cercando? Chi ha chiamato il mio numero? Irene? Mia madre?”
Si trova sul letto legata fra puzze e odori sgradevoli, incapace di chiedere aiuto. E rammenta l’incubo dell’altra notte che si sta materializzando. Nel sogno è stato un trillo a salvarla, ma dubita che possa avvenire nelle circostanze attuali. Non ha creato una situazione a suo favore, tacendo. Adesso è in balia di Mark e deve preparare la resistenza. “Per quanto?”
“Peccato non poter chiedere aiuto. Il baccano di prima ha svegliato mezzo mondo. Se potessi, qualcuno mi sentirebbe chiamando la polizia”. Sente dei passi che si avvicinano.
«Aiuto! Help!» Un grido strozzato da una stoffa ruvida nella bocca. Il respiro si fa faticoso mentre teme di morire asfissiata.
Simona si agita perché non può vedere cosa ha in mente Mark. L’ha sentito trafficare in cucina, lo sente vicino a lei. Respira a fatica e il petto si muove come un mantice nel tentativo d’immagazzinare aria. Il bavaglio che copre la bocca impedisce una respirazione nasale corretta. Avverte la mancanza di aria e la sensazione di asfissia. Deve mantenersi lucida né farsi prendere dal panico.
Mark si avvicina. Lo sente ridere sguaiatamente, mentre un brivido percorre la schiena umida e sozza. È consapevole che inizia la partita decisiva. Deve mantenere saldi i nervi, non cedere alle provocazioni e opporre la resistenza passiva più tenace possibile . Sa che è una battaglia quasi persa in partenza, perché lui è deciso a farle la festa e non sarà gioiosa.
Riflette e si prepara a non mostrare paura. Percepisce le sue mani sul corpo. Lo sente parlare in termini sconnessi e respirare rumorosamente. Intuisce che è eccitato e quindi più pericoloso. Ha una sensazione sgradevole. Mani unte massaggiano il suo sesso. Stringe le gambe in modo istintivo ma le corde incidono la pelle delle caviglie già martoriate in precedenza. Vorrebbe urlare ma dalla gola esce un gorgoglio.
I gemiti di Mark crescono d’intensità. Ha compreso il suo piano. La vuole violentare sfruttando il burro o qualcosa di simile. Cresce l’ansia e il senso d’impotenza. Il petto si muove frenetico per il terrore che sta crescendo.
Crede che il gesto sarà compiuto e si rassegna a subire, quando percepisce del liquido vischioso e caldo scendere sulla gamba destra. Ha un sorriso sbieco. Non è soddisfazione ma sollievo per il momentaneo scampato pericolo.
Lo sente imprecare, mentre l’ansito di Mark si mescola con le parole. È un farfugliare incoerente che toglie un pizzico di ansia a Simona, che riprende a respirare con più calma. Una volta di più la buona sorte l’assiste e ringrazia Dio.
“Quanto tempo ho a disposizione, prima che Mark ritenti l’assalto?” si chiede Simona che cerca una posizione più comoda. Però le corde sono implacabili e incidono la pelle martoriata. Il sangue riprende a uscire dove le corde hanno inciso la carne.
Questa volta niente errori. La puntata è quella giusta 😀 La storia continua e volge verso il finale. Qui potete rileggere le altre puntata.
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Buona lettura
Mark va nella cucina imprecando agitando il dildo come un’arma. Deve per il momento rinunciare a scopare Simona. Troppo dolore. Però un sorriso assassino increspa le sue labbra.
«Per il momento rinuncio a fotterla» esclama con una punta di odio. «Ma rimpiangerà di avermi bloccato. Slut!»
Apre il frigo per prendere una birra ghiacciata che ingolla in tre sorsate. Si netta la bocca con la mano. Fa un rutto potente e poi un altro.
Un ghigno cattivo si stampa sul suo viso. Torna nella camera da letto brandendo il dildo.
«Adesso, slut, capirai cosa vuol dire esserti opposta» esclama agitando il dildo sotto gli occhi atterriti di Simona.
Lo fa scivolare nell’incavo del seno, mentre le strizza con cattiveria un capezzolo. Simona serra le palpebre e stringe i denti. Cerca di rimanere rigida, mentre sente il dolore acuto provocato dalla mano di Mark. Vorrebbe urlare ma non può. Scivolano delle lacrime sul viso.
Mark vuol giocare con il terrore e il dolore di Simona. La vuol sentire implorare di smetterla e acconsentire di fare sesso con lui. Gli bruciano due cose: l’essere sfuggita alla violenza dallo sfasciacarrozze e l’essersi opposta stringendo i muscoli pelvici poco prima.
Gli appoggia il dildo sul pube, finge di penetrarla, urla parole sconnesse.
Simona è impietrita dal terrore. Sa che questa volta la violenza arriverà e sarà brutale. D’istinto stringe i muscoli pelvici. Sente il dildo pericolosamente vicino. Stringe ancora di più cercando di chiudere la gambe ma i legacci segano la carne delle caviglie. Nuovo sangue e siero colano dalle ferite.
Mark riporta il dildo verso la bocca, rifacendo il percorso inverso di poco prima. Vorrebbe ficcarlo in gola ma non può. Dovrebbe togliere il bavaglio e Simona potrebbe urlare e svegliare il caseggiato. Rinuncia a malincuore e ripete l’operazione precedente.
Il dildo è sul pube pronto a penetrarla con violenza, quando la suoneria di un telefono riecheggia nell’appartamento.
Ha un sussulto. Si ferma. Si guarda smarrito intorno alla ricerca della fonte sonora, che continua a far sentire la sua voce. Decide di ignorarla. Smette ma passati pochi secondi riprende insistente. Deve far tacere quel telefono e comincia la ricerca, mentre la voce di un vicino infastidito urla improperi. Sente battere sulla parete che sembrano di cartone.
«Get the fuck out of here…You’re such a fuck!» grida verso la parete indispettito, mentre il suono del telefono continua ostinato a farsi sentire.
Il frastuono non cessa, mentre qualcuno dal piano di sotto lo manda al diavolo con male parole.
«È notte!» strepita un altro vicino battendo con veemenza un oggetto sul muro.
Sembra che mezzo caseggiato sia stato svegliato dal rumore della suoneria e dalle urla dei locatari inferociti.
Mark è paralizzato dalla rabbia, perché l’hanno interrotto sul più bello. Si aggira per la stanza per mettere a tacere il telefono. Rovescia una sedia nella penombra, suscitando nuove veementi proteste dei vicini.
Mentre si avvia verso la cucina dove ricorda di aver messo il suo telefono, un’altra suoneria si mescola con la sua.
L.A.Women dei The Doors irrompe nella stanza. Mark si blocca. Proviene da un angolo dove stanno i vestiti di Simona. Alza le spalle e si dirige verso la cucina deciso a vedere chi lo chiama con tanta insistenza. Per quell’altro lo metterà a tacere più tardi.
Simona avverte forti dolori, che le provocano fitte lancinanti a intermittenza senza che lei possa nulla per alleviarli. Non può difendersi, deve solo subire. Percepisce l’angoscia che sta sormontando la volontà di reagire, ma riflette che non può permettere che lui faccia quello che vuole del suo corpo.
“Il primo assalto è respinto con fatica” valuta dolorosamente. “Ma prima che finisca sarà un calvario. E anche il dopo non sarà migliore, ammesso che ci possa essere un dopo”.
Sente la suoneria. Non è la sua, deduce che sia quella di Mark. Ascolta le urla sconnesse e spera che risponda per consentirle di riprendere fiato e forze nell’attesa del prossimo attacco.
“Il bruciore è insopportabile. E non so, se la prossima volta resisterò. Ma mi devo concentrare. Non devo abbassare le difese. Devo rendere la vita al mio aguzzino il più difficile possibile. Lui vorrà divertirsi e non avrà voglia di rompere il giochino tanto presto. Gli toglierò la soddisfazione di farlo. Poi sarà quello che sarà. È inutile farsi molte illusioni”.
Il telefono smette di eseguire L.A.Women dei The Doors con delusione di Simona, che non può godere di una tregua più lunga.
Mark alla fine lo trova dove l’ha lasciato: sul tavolo in cucina ma ha già smesso come l’altro. Ha perso la concentrazione, la voglia di vendetta.
«Slut avrai quello che ti meriti» esclama aprendo il frigo. «Ho la notte a mia disposizione. E domani, dopodomani e finché non mi stancherò».
Prende un’altra birra ghiacciata e un contenitore con un quarto di pollo immerso in una salsa piccante. La tensione e le contrarietà gli hanno messo fame e sete.
«Fuck! Ho passato la notte insonne e non ho combinato nulla» dice pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Bel fesso sono stato. Chi mi cerca a quest’ora? Potrei dormire e mi hai svegliato»
È arrabbiatissimo verso l’ignoto scocciatore. Controlla il display: un numero di New York e per di più sconosciuto. Aggrotta la fronte per concentrarsi sul da farsi, stringe gli occhi a una fessura invisibile e cerca di arginare il nervosismo che sta salendo a livelli di guardia.
«Calmati» fa, mentre impreca contro le donne e le loro fottutissime ostinazioni.
Gli si chiudono gli occhi. La giornata odierna è stata faticosa per il lavoro e la ricerca di Simona. Appoggia la testa sulle braccia e comincia a russare. Sogna e immagina di fare sesso con Simona, finché di nuovo il suono del telefono non lo sveglia.
«Fuck!» impreca sollevando la testa, mentre legge l’ora: 5.40 a.m. «E smettila cazzo di telefono di suonare».
È un numero di New York diverso dal precedente. Aggrotta la fronte per capire chi lo cerca a quell’ora.
“Rispondo oppure chiudo?” si interroga dimenticandosi di Simona.
Decide di chiudere la chiamata, per farlo smettere, mentre riprende a imprecare. Sente le braccia intorpidite e la mente annebbiata dal sonno.
Simona ascolta i rumori che provengono dalla stanza non troppo distante, forse la cucina, perché le pare che siano associati all’apertura di un frigorifero o di uno sportello.
Non riesce a comprenderne la natura e si inquieta nell’incertezza, perché vorrebbe prepararsi mentalmente alla difesa passiva.
“Cosa sta architettando?” si domanda angosciata, mentre tenta di sollevare la testa per osservare l’apertura della porta senza scorgere nulla se non un chiarore lontano.
Si aspetta di vedere comparire Mark, ma nuovamente la musica dei The Doors risuona insistente: una melodia familiare. Lo sente urlare parole sconnesse e imprecare furiosamente.
“Questo è il mio telefono! Qualcuno mi sta cercando, finalmente!” si dice con un principio di euforia e ricorda che sta nella tracolla che aveva al Bryant Park.
Mark continua a urlare indemoniato, mandando al diavolo lo scocciatore. Non comprende che è un altro telefono che squilla con insistenza.
«Dov’è?» urla irato, mentre rovescia la sedia e trascina a terra una bottiglia che sembra una bomba, quando tocca il pavimento.
Il rumore è assordante, mentre qualcuno lo manda al diavolo con male parole.
«È notte! Si dorme» strepita un vicino battendo con veemenza una scarpa sul muro.
Mark in preda al nervosismo si agita convulsamente e continua a snocciolare una sequela d’insulti nei confronti di tutti come se loro fossero colpevoli di tutto il fracasso.
I telefoni a turno continuano a squillare. I due suoni lo confondono e l’ira completa il quadro. Si aggira, apre e chiude cassetti, rovista e impreca ad alta voce.
Per un disguido con la data di programmazione ho programmato per martedì 17 la ventiduesima puntata. Per cui questa che è la ventunesima viene pubblicata in ritardo. Mi scuso coi i lettori del mio imperdonabile errore. Buona lettura
Qui, per chi fosse curioso o avesse perso qualche puntata precedente, trova le altre.
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Simona si risveglia, è distesa su un letto con le braccia e le gambe immobilizzate. Trema e vorrebbe urlare ma non riesce. Tenta di muovere le braccia ma griderebbe per il dolore: delle corde incidono i polsi. Gira il capo e si guarda intorno vedendo solo buio. Pensa di essere bendata o aver perso la vista ma le sembra d’intravedere dall’unica finestra l’ombra di una scale esterna. Respira a fondo ma avverte un dolore sordo alla base della testa e due lacrime scendono sulle guance finendo ai lati del viso.
Ha un flash. Ricorda le immagini dell’incubo della notte precedente. Sembra che i fotogrammi si sovrappongano con la realtà che sta vivendo e comprende che sarà difficile uscire indenne. Se l’altra notte l’incubo si è interrotto per il trillo del telefono prima che Mark tentasse di entrare, questa volta non ci saranno angeli salvatori che verranno in suo aiuto.
“Ieri notte” riflette scoprendo di essere nuda col corpo madido di sudore per lo stress. “Ieri notte durante l’incubo non potevo chiedere aiuto, esattamente come ora. C’erano oltre Mark anche Roberto, Enrico e Anna e sono stata salvata da un provvidenziale trillo del telefono”. Un brivido di freddo le fa accapponare la pelle al pensiero che nessuno squillo la salverà. Si augura che l’agonia duri poco e non sia eccessivamente dolorosa. Sa che, dopo avere abusato di lei, dovrà sparire fisicamente senza lasciare tracce.
Le sue narici avvertono l’acre odore del sudore che il suo corpo emette. Ha sempre odiato le persone che lasciano nell’aria una nuvola di afrore agliaceo. Le ascelle, la schiena sono bagnate e puzzano tremendamente. Qualsiasi movimento le costa dolore, perché le cinghie segano la carne a ogni spostamento. Avverte che sta perdendo sangue dove stringono.
Ammette di essere stata imprudente, tacendo a Dick il particolare della tentata violenza dallo sfasciacarrozze. Avrebbe dovuto aprirsi, perché di certo avrebbe suggerito qualche contromossa. Anche con Irene è stata reticente e forse avrebbe compreso i motivi per cui non voleva uscire.
Pentirsi adesso è inutile, perché le sue sono lacrime di coccodrillo.
“Non sono una ragazzina, ma una donna adulta di quarant’anni” ricorda con una punta d’amarezza. “Lasciarsi irretire in rete da uno sconosciuto, concedergli quello che ho permesso non è consono della mia età”. Questi tardivi pensieri valgono poco nella sua situazione. Inoltre la decisione della partenza per New York le fa capire quanto sia stata avventata in questa avventura con uno sconosciuto.
Ha deciso senza ascoltare nessuna ragione, senza riflettere sui pericoli di un viaggio alla ricerca di qualcosa presente nella sua mente.
“Ho avuto la presunzione di superare qualsiasi ostacolo con le mie forze, d’ignorare avvertimenti che hanno squillato inutilmente” si dice sapendo in quale tragica situazione si è cacciata. Non ha voluto coinvolgere nessuno fidandosi del suo intuito per risolvere da sola le questioni con Mark. Intuisce di essere nei guai e sono molto seri. Comincia a piangere, mentre l’aria della stanza è impregnata dal suo odore pungente e aspro. Il caldo della notte la fa sudare in abbondanza.
Non sa misurare il tempo. Le sembra che siano passati dei secoli da quando si è risvegliata. E non ha nemmeno la percezione per quanto tempo è stata incosciente.
“Un’ora? Due ore?” si interroga, ma le pare che le lancette si siano fermate. Non è conscia che ora della notte sia. Ha un’unica certezza: c’è ancora buio.
Non ode alcun rumore a parte il suo respiro affannoso. Non sarebbe in grado di spiegare dove è rinchiusa, qualora riuscisse a liberarsi. I suoni sono inesistenti o talmente ovattati da risultare impercettibili.
Si domanda dove sono finiti i suoi vestiti e perché lui non c’è. Vuole tenere la mente impegnata perché l’ansia e il panico non abbiano il sopravvento. Se vuole conservare un briciolo di speranza di cavarsela, deve rimanere lucida e ragionare con calma senza tradire l’angoscia che porta dentro.
“Mi stanno cercando?” si chiede ma intuisce l’inutilità della domanda. “Non sanno chi è e dove mi tiene prigioniera. Come posso credere che riescano a liberarmi se ignorano tutto? Le mie sono solo fantasie disperate”.
Le pare di udire in lontananza un rumore di treno, ma forse è solo suggestione. Il silenzio è tombale.
Il caldo nella stanza sta diventando insopportabile mentre suda e respira con affanno. Sente lo stimolo di urinare, ma si trattiene, perché percepire l’afrore dell’urina misto a quello del sudore sarebbe un lezzo rivoltante. Inoltre sarebbe un’umiliazione per lei, perché Mark potrebbe pensare che è avvenuto per lo stimolo del panico. In parte è vero ma ha bevuto con abbondanza durante la serata ed è naturale che debba vuotare la vescica.
Stringe i denti, ma il dolore al basso ventre diventa lancinante. Prega di resistere allo stimolo.
Il rumore della serratura che si apre agisce da detonatore: un liquido caldo scivola fra le cosce. Sembra che non finisca più.
Piange perché si sente umiliata, ma deve mantenere calma e lucidità se vuole contrastare Mark.
Intravvede nel vano della porta una luce e la sagoma corpulenta di Mark. Se aveva qualche barlume di speranza che il suo aguzzino non fosse lui, adesso deve prendere atto della realtà e rimanere fredda per contrastarlo a parole, visto che fisicamente non lo può fare.
Solleva il capo a fatica per seguire le mosse dell’uomo, mentre percepisce sotto il suo corpo l’umido misto di urina e sudore. Ha una smorfia di nausea, perché la stanza è piena di odori sgradevoli.
«My slut!» esclama entrando nella camera, arricciando il naso per l’olezzo poco invitante presente nell’aria.
«No shit! Ti sei pisciata addosso dalla paura!» afferma Mark con la forza del tono ironico. «Mio dio, che puzza! Che schifo! Ti dovrò lavare prima di fotterti!»
Poi impreca minacciosamente, agitando sotto il naso di Simona un enorme dildo.
«Sporca troia mi hai rovinato un materasso nuovo! Avrai quel che ti meriti!» afferma in preda dell’ira.
Lei ascolta in silenzio senza muovere un muscolo della faccia. “Ti ho rovinato un materasso nuovo?” si dice aggrottando la fronte. “Ben ti sta! Non mi vuoi scopare sporca e sudata? E chi se ne frega! Signore aiutami!”
Poi prega che il supplizio duri poco. Vorrebbe essere già morta ma sa che l’agonia sarà lunga e dolorosa.
La stanza è parzialmente illuminata da una lampada a terra, ma non ha importanza per lei, perché così non vede il suo aguzzino.
Mark apre la finestra nel tentativo di eliminare l’odore, ma entra un fiotto di aria umida e maleodorante tale da costringerlo a richiuderla subito.
In preda all’ira per il contrattempo non prende nessuna decisione. Quello che aveva immaginato è saltato e non riesce a organizzare un piano alternativo.
Continua a insultarla sperando in una reazione che non arriva. Simona rimane immobile, decisa a usare l’arma d’ignorarlo per innervosire Mark e costringerlo a qualche errore. Lei deve usare la psicologia per coltivare qualche speranza di riuscire a cavarsela.
Mark innervosito per la mancata reazione di Simona decide di scoparla anche se è sporca di urina. Si spoglia e tenta di penetrarla.
Simona irrigidisce i muscoli pelvici. Lei sente delle fitte atroci, ma stringe i denti, costringendolo a desistere. Mark urla parole sconnesse, perché ha provato dolore.
Una nuova valanga d’insulti la investe, ma Simona finge di non capirli. Non può parlare per via del bavaglio sulla bocca ma la sua immobilità è uno schiaffo per Mark.
Per il momento è riuscita a mantenere la lucidità e respingere i suoi assalti. Il prezzo è alto: avverte spasmi lancinanti nel basso ventre.
“Quanto potrò resistere?” si chiede con affanno senza mostrarlo apertamente. Sa che la prossima volta sarà ancora più doloroso.
Il tempo scorre a suo favore. Fuori il cielo è ricoperto di stelle che lei non può vedere.
Simona è prigioniera. Ce la farà a uscirne fuori? Leggete questa puntata e le prossime e lo scoprirete. Qui trovate le puntate arretrate.
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Dick mostra a Todd gli esiti delle sue ricerche.
«Secondo me il cognome è Flannagan, un broker che ha seguito e firmato gli allegati tecnici alla proposta della polizza assicurativa per i nostri residence. Abbiamo qualche fotogramma ricavato dai monitor. Non sappiamo null’altro di lui».
Il detective si collega all’archivio per investigare sul potenziale rapitore. Non trova nulla d’interessante. Sta per abbandonare le ricerche, quando s’imbatte in una foto della patente per un’infrazione stradale di alcuni anni prima.
La stampano e la confrontano con i fotogrammi.
«Sembra proprio lui!» esclama Dick. «Se fosse vero, sappiamo come si chiama. Sulla patente quale indirizzo è registrato?»
Sul viso stanco di Dick compare un sorriso di soddisfazione. Sono ore che stanno scandagliando archivi e documenti e nonostante i numerosi caffè la stanchezza affiora.
Dick si appoggia allo schienale della poltrona e vorrebbe partire subito alla caccia dell’uomo.
«Forse riusciamo a beccarlo prima che sparisca o possa fare del male a miss Ferrari» afferma con la voce impastata di caffè e stanchezza. «Il tempo gioca a nostro favore, perché lui si sente tranquillo. Non immagina che lo abbiamo individuato. Per me è un elemento pericoloso».
Irene pare risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta e chiede: «Allora possiamo liberare Simona? Quando?»
Todd mugugna qualche parola poco intellegibile mentre ricerca l’ultimo indirizzo di Mark. Sembra infastidito dalle pieghe che ha preso il caso. Non era sua intenzione trovarsi coinvolto.
È incerto se aprire ufficialmente una pratica oppure procedere in autonomia senza nessuna ufficialità. Qualunque decisione possa prendere, è conscio di avere violato il regolamento. Ritiene inutile sfidare la fortuna e decide di avvertire il capo di quello che sta accadendo.
«Phil ho una questione non proprio chiara per le mani» esordisce con l’ispettore capo, prima di descrivergli tutti gli avvenimenti.
«All’inizio ero perplesso, ma poi leggendo un messaggio, che un certo Mark Flannagan ha scritto, non ho avuto dubbi. L’intuito mi dice che lei non se ne è andata via di sua spontanea volontà» spiega Todd usando un tono rassicurante. «A sentire Dick Smith, il responsabile della security dei residence Inn Patriot, miss Ferrari avrebbe taciuto particolari importanti su come ha trascorso il pomeriggio di due giorni fa. Forse dettagli che sarebbero decisivi nello stabilire se è stata rapita oppure no. L’amica italiana, arrivata oggi, dice che l’ha percepita reticente su Mark, come se volesse nascondere qualche segreto inconfessabile. Insomma a tutti è apparsa impaurita, ma decisa a occultare qualcosa come se volesse risolvere da sola la grana che aveva per le mani».
Todd rimane in silenzio mentre l’ispettore capo parla.
«Dick avrebbe individuato con relativa certezza chi sarebbe il presunto sequestratore» risponde a una domanda del superiore. «Io ho l’ultimo indirizzo ufficiale di questa persona. Mi autorizzi a fare una visita a Mark Flannagan per sincerarmi di avere preso una cantonata.. Però se avessi il supporto della mia squadra, John e Ricky, sarebbe l’ideale e sarei più tranquillo».
Phil rimase muto per qualche istante prima di dare il suo okay all’operazione e allertare i poliziotti richiesti da Todd.
«Mi raccomando niente colpi di testa, né azioni pericolose per l’ostaggio» afferma Phil come ultima raccomandazione. «Tenetemi informato sugli sviluppi. Kick butt!»
A Dick sembra sparita tutta la stanchezza al pensiero di cominciare la grande caccia. Todd rimane una sfinge, mentre prende accordi con la sua squadra.
Spediscono a letto Irene, incapace di tenere gli occhi aperti, nonostante le vigorose rimostranze di essere sveglia e per nulla stanca. Sono irremovibili su questa decisione, perché reputano che sarebbe d’impiccio e basta. Irene prima di sparire fornisce loro il numero di telefono di Simona.
Pensano che possa tornare utile per individuare con precisione dove si trova. «Non credo che abbia avuto il buon senso di spegnerlo. Lui si sente tranquillo» conclude Dick mentre prepara con Todd il piano. Si accordano con John e Ricky per dare loro le ultime raccomandazioni.
«Mi raccomando. Prudenza e niente sirene. Lui non deve sospettare di essere stato individuato. Se notate qualcosa di sospetto avvertitemi subito» ribadisce con autorità Todd.
Il piano prevede che si spostino nel quartiere dove Mark presumibilmente ha l’appartamento. Nessuna certezza ma fanno assegnamento sulla buona stella. L’indirizzo segnato sulla patente è un casermone con centinaia di appartamenti. Non è certo che questo sia ancora valido ma confidano nella buona sorte. Pertanto devono ispezionare il caseggiato per individuare le possibili vie di fuga. Solo in un secondo tempo verificheranno se abita ancora lì. Qualora Mark risieda in quell’edificio, decideranno al momento come provare a liberare l’ostaggio. Sono convinti che abbia portata Simona dove abita.
Il caseggiato è posto all’incrocio tra Lydig Ave e Williamsbrigde Rd, un po’ fatiscente e con una decina di piani e diverse centinaia di appartamenti. Troppi da passare in rassegna tutti, riflette Dick la cui fiducia sembra incrinata.
Todd si accosta alla macchina dei suoi uomini dando le ultime istruzioni, prima d’immergersi in una serie di telefonate.
«È al sesto piano. L’appartamento 617» dice con tono piatto avviandosi verso l’ingresso.
Senza troppa fatica entrano nell’edificio e si dirigono verso gli ascensori. Dick è perplesso per la facilità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Gli sembra una passeggiata ma intuisce che presto arriveranno le difficoltà. Preso dal facile entusiasmo di avere individuato la persona, dalla semplicità con la quale hanno scovato l’indirizzo tuttavia intuitivamente pensa che siano incappati in una cantonata. Dentro di sé spera che le sensazioni negative siano errate.
Davanti alla porta contrassegnata dal numero 617 sono incerti se entrare senza preavvisi oppure farsi aprire dall’inquilino.
«Cosa dici?» chiede Todd sottovoce «Entriamo forzando la serratura o suoniamo alla porta?»
Dick sente crescere dentro sensazioni negative e preferisce una soluzione più legale.
Guardano l’ora: è mezzanotte.
«Certo se non è il nostro Mark Flannagan, si prende un bello spavento l’inquilino del 617» chiosa Dick per nulla allegro.
Todd ridacchia alle parole di Dick e ribatte con la sicurezza di chi non commette errori. «Se invece lo è, il coccolone se lo piglia lui!»
Suonano e bussano con vigore. Percepiscono dei suoni strascicati che si avvicinano alla porta.
«Chi è?» chiede una voce femminile assonnata non giovanile.
«Polizia» risponde Todd agitando il distintivo davanti all’occhio magico.
Sentono trafficare con la catenella e poi due scrocchi per aprire una fessura. Allunga una mano col distintivo nel pertugio e osserva la persona che in camicia da notte s’intravvede. Scuote il capo, perché sembra che i dubbi di Dick siano realizzati.
«Cerco un certo Mark Flannagan» dice Todd usando un tono di comando. «Il suo ultimo indirizzo ufficiale è questo».
La donna dai capelli bianchi e arruffati scuote il capo in segno di diniego. «Mi spiace, ma vivo col mio vecchio, che sta su una carrozzina come un vegetale. Non conosco nessun Mark Flannagan».
Todd capisce che sta dicendo il vero ma insiste con le domande.
«Da quanto tempo abitate qui?»
«Da sei mesi. Ignoro chi abitasse prima di noi. Dovrebbe chiederlo all’amministratore. Se vuole vado a prendere l’indirizzo e il telefono».
Todd fa segno col capo di no e la ringrazia. «Andiamo di fretta. Mi spiace averti svegliata. Notte» e ritira la mano, mentre sentono richiudere la porta con due mandate.
«Oh! shit!» impreca Todd mentre si avviano a raggiungere la strada.
Intuisce di essere nella merda, perché la persona cercata è diventata un ufo mescolata a milioni di persone. Rischiano di perderci la faccia, quando un’idea balena nella testa di Todd.
«Il nostro Mark come ha fatto a scoprire l’indirizzo di Miss Ferrari?» domanda Todd scuro in volto.
«Tramite i tabulato delle chiamate! Poiché di sicuro ha chiamato per conoscere a chi corrisponde un certo numero chiamante. Miss Ferrari deve aver usato il telefono del residence per essere individuata da Mark. Possiamo usare lo stesso trucco con lui. Torniamo in ufficio ed esaminiamo i tabulati» esclama trionfante Dick.
Todd annuisce perché l’idea è giusta. Poi sarà lui a convincere la compagnia telefonica a localizzare la cellula del telefono di Mark.
La Chevrolet verde di Todd si dirige verso il residence dove esaminano i tabulati con le chiamate uscenti ed entranti. Non ci mettono molto a isolare il numero chiamato da Simona, che compare sia in uscita sia in entrata.
«Ottima mossa, Dick!» si congratula Todd soddisfatto. «Ora è il mio turno con Verizon».
Scoprono con grande sorpresa che il telefono è localizzato proprio in quel caseggiato dove si sono recati due ore prima.
«Quella vecchia megera ci ha infinocchiati!» sbraita Todd.
«Non credo. Il numero dell’appartamento forse non è 617. Ricontrolla» suggerisce Dick.
«Okay. Torniamo là. Verizon mi avverte se si sposta. Ha confermato che intorno alla dieci era nei pressi del Bryant Park, poi si è spostato in Lydig Ave dove è rimasto per circa un’ora. A mezzanotte era nel West Village, spostandosi nel Midtown West, rientrando alle due, pochi minuti fa. Lo possiamo beccare in fallo».
Sono tesi ma soddisfatti di come procede la caccia.
Che fine avrà fatto Simona? Rapita? Andata via? Per chi fosse interessato qui trova le precedenti puntate.
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La telefonata inquietante distoglie Dick dall’euforia di avere intercettato il presunto cognome di Mark e quindi dare un volto a questa persona.
«Dick, qui c’è l’amica di Miss Ferrari. È in preda al panico e afferma che è sparita. Balbetta ed è terrorizzata» dice la voce concitata del portiere di notte.
Un’imprecazione gli sfugge mentre vede materializzarsi le sue paure.
Scende nella hall e trova una donna dalla corporatura non proprio snella che continua a berciare a ruota libera in maniera confusa.
«Sono Dick» le dice afferrandola per un braccio. «Vieni con me e parliamo con calma. Grazie Martin» e si appartano in un salottino.
Telefona per avere un po’ d’acqua fresca, mentre cerca di mettere a suo agio Irene visibilmente frastornata e in confusione.
Lei continua a parlare in maniera frenetica, saltando da un particolare all’altro senza seguire un filo logico, impedendo di comprendere come si sono svolti gli eventi.
Dick fatica a seguirla e riflette: “Devo calmarla. Altrimenti non si comprende nulla e si perde tempo prezioso per niente. Se è quello che penso, ogni secondo diventa importante e vitale”.
«Chi sei?» chiede secco per mettere ordine alla loquacità incontrollata della donna.
Come se avessero staccata la spina, Irene zittisce e guarda il viso severo dell’uomo che le sta di fronte. Si accorge di essere finita nel panico. Stringe le labbra e corruga la fronte. Osserva il viso di Dick: ha la fronte spaziosa e lo sguardo franco sia pure tendente al severo. Si chiede chi è e perché è in quel salotto.
«Irene» risponde come un automa.
«Bene, Irene» fa Dick addolcendo il tono della voce. «Quando sei arrivata?»
«Oggi pomeriggio alle tre e trequarti. Simona mi è venuta a prendere al JFK…».
«Simona è miss Ferrari?» chiede con calma e gentilezza Dick, interrompendola.
«Si» ammette sistemandosi meglio sulla poltroncina. «Siamo arrivati al residence per depositare i bagagli».
Irene fa una breve pausa ma Dick col capo le fa cenno di proseguire il resoconto.
«Non avevo intenzione di restare chiusa nella suite» prosegue. «Abbiamo deciso di raggiungere New York Public Library, ma ci siamo fermate al Bryant Park. Faceva troppo caldo e abbiamo cercato refrigerio nel parco».
Dick annuisce e interrompe il racconto con qualche domanda.
Irene spiega che il parco stava chiudendo, quando hanno deciso di tornare al residence.
«Mi sono fermata un istante alla giostra dei cavalli. Che meraviglia!» esclama entusiasta prima di riprendere il racconto. «Lì ho perso i contatti con Simona. Poiché diceva di essere stanca ho pensato che fosse rientrata da sola. Ma mi sono sbagliata. È scomparsa… Non so dove sia finita!» e scoppia in un pianto convulso.
Dick l’abbraccia e le accarezza i capelli.
«Ok. Ora ho il quadro completo della serata» afferma Dick alzandosi dalla sua poltrona. «Andiamo al Bryant Park. Forse miss Ferrari è là ad aspettarti».
Escono in silenzio dal salottino e si dirigono verso Bryant Park ma ha brutti presentimenti. Deve fare questo sopralluogo per avere la certezza che sia sparita. Ritiene inutile questo giro ma per innescare una caccia all’uomo si è sempre in tempo senza rimetterci la faccia.
Percorrono il mezzo miglio, arrivando prima della chiusura dei cancelli. Incontrano gli ultimi ritardatari, ma di Simona non trovano traccia né dentro né in prossimità del cancello. Si allungano alla NYPL ma trovano solo qualcuno seduto sui gradini tra i due leoni. Fanno qualche domanda senza ottenere la risposta che sperano di sentire.
Dunque è certo che la donna sia stata rapita. Dick sa chi è stato e ne parla con Irene che rimane stupita. Ignorava questi dettagli ma pensandoci ricorda la reticenza di Simona sull’argomento. Adesso comprende il segreto che le ha tenuto nascosto.
Rientrano nell’ufficio di Dick per organizzare le ricerche. Telefona all’ispettore Todd, che conosce di persona e opera a Park Row, One Police Plaza, la sede principale del NYPD.
«Todd, sono Dick, Come stai?» inizia con i convenevoli ma sente dei grugniti non proprio amichevoli in risposta. Sa che è un orso ruvido ma nasconde una grande umanità. «Ho un problema e vorrei confrontarmi con te».
Nuovi grugniti lo invitano a proseguire.
«La questione è delicata. Solo tu mi puoi consigliare la strada giusta» ribatte con pacatezza, ignorando i borbottii e inizia il racconto degli avvenimenti.
Durante lo snodarsi del resoconto l’ispettore non emette più grugniti d’insofferenza ma senza fare commenti acidi presta attenzione alle parole di Dick che espone con chiarezza gli eventi.
«Mi libero delle quattro rogne che sto trattando e arrivo da voi» afferma tutto d’un fiato Todd. «Non fate nulla e non dite nulla».
Dick osserva Irene che ha lo sguardo perso nel vuoto come se la colpa della scomparsa di Simona fosse sua.
«Todd, oltre a essere un amico, è il migliore detective del NYPD. Vedrai che recuperiamo in fretta miss Ferrari» spiega Dick per rassicurarla anche se pensa che non sarà una passeggiata.
Irene lo guarda e annuisce, ma è assente con la testa. Il capo si muove per riflesso condizionato piuttosto che per la sua volontà.
Nell’attesa Dick fa ricerche su Mark Flannagan, partendo dalla scarna scheda presente nel loro database. Consulta l’elenco telefonico on line di New York, rintracciando una mezza dozzina di omonimi. Si annota indirizzo e telefono.
“Se ho fortuna, bastano un paio di telefonate e lo becco di sicuro” riflette mentre annota qualche altro dato ricavato da Google. “Viceversa è il classico ago nel pagliaio da cercare. In questo caso mi serve l’aiuto di Todd”.
Dopo una mezz’ora abbondante entra un uomo dalla corporatura massiccia e dai modi bruschi, che si piazza sulla poltrona dinnanzi a Dick senza salutare nessuno né presentarsi a Irene.
Senza tanti preamboli chiede volgendo lo sguardo verso Irene: «È questa l’italiana?» Poi la invita a esporre il resoconto della serata. Ascolta paziente lo snocciolare degli avvenimenti senza interromperlo per porre delle domande.
Aggrotta la fronte e stringe la labbra, capisce che è un caso da prendere con le molle. Sa solo che miss Ferrari è scomparsa e non è tornata al residence. Potrebbe esserne andata via di sua volontà, senza coercizioni come possono fare le persone adulte, ma sarebbe possibile il contrario.
Afferma pacato che gli episodi della notte precedente sono inquietanti, ma associare quel Mark col tizio che ha tentato di penetrare nella camera di Simona con l’eventuale rapitore sono solo supposizioni senza certezze. Non si conosce il cognome, mancano fotografie a parte alcuni fotogrammi sgranati delle registrazioni video. Si ignora cosa abbia combinato durante la giornata quella donna. Insomma sono più i punti di domanda che quelli esclamativi.
Inarca una sopracciglia e sbotta: «Quali sono gli elementi che vi spingono a credere che sia stata rapita?»
Irene ha un sussulto di vitalità. Mi mette eretta e guarda negli occhi il detective prima di rispondere: «Simona era strana quando le ho telefonato ieri sera. Sembrava reticente, incerta, assente, come se avesse subito un trauma. Non era la Simona che ricordavo. Allegra, spigliata, dinamica…».
Dick l’interrompe, ricordando un dettaglio sfuggito nel racconto. Lo ritiene importante.
«Todd, ieri sera miss Ferrari ha ricevuto un messaggio recapitato da un ragazzino di colore» spiega catturando l’attenzione del poliziotto. «Presumo che sia nella suite. Potrebbe rivelare particolari decisivi per comprendere cosa è successo stasera».
Entrati nella suite dopo una breve ricerca ritrovano la busta con dentro un foglio. Decidono di leggerlo con calma nell’ufficio di Dick. Il contenuto scioglie ogni dubbio residuo. Però inizia la parte più complessa della ricerca: individuare dove è stata nascosta.
La storia di Simona entra nel vivo e si avvia verso la conclusione. Qui potete leggere le puntate precedenti.
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Mark rientra nelle prime ore del pomeriggio nell’appartamento accaldato e soddisfatto, perché è riuscito a piazzare una mezza dozzina di polizze vita, che gli frutteranno ricche provvigioni.
Si fa una lunga doccia, mentre mette a punto il piano per Simona.
«La devo pescare da sola. Caricata sull’auto, poi sarà un gioco da ragazzi! Non può impunemente prendersi gioco del vecchio Mark!» esclama mentre una risata roca illumina la bocca.
Si concentra sul posto ideale dove tendere l’agguato e alla fine lo trova. “Devo avere solo un pizzico di fortuna e poi sarà mia”. Un sorriso gli illumina gli occhi. Ha trovato il punto: l’aspetterà nei pressi del residence. È soddisfatto del piano.
Cambia vestito. Indossa dei vecchi jeans e una polo bianca. Si spruzza un po’ di profumo e poi si dirige con l’auto verso il residence, parcheggiando defilato ma con la visuale dell’ingresso.
Dopo un po’ la vede scendere dalla limousine con un’altra ragazza e inarca le sopracciglia. “Chi è la donna con lei?” si chiede perplesso. Questo potrebbe complicare le cose, ma forse gli agevola il piano, perché sarà più facile intercettarla.
Aspetta paziente che escano dall’Inn Patriot. Non tardano molto per vederle uscire e dirigersi verso il Bryant Park. “Ottima scelta, cara Simona. Ora so dove caricarti in macchina” si dice soddisfatto. Il piano prende forma.
Parcheggia l’auto e le segue a piedi nel parco senza farsi notare. Fischietta allegro, notando che come al solito è stracolmo di persone in cerca di refrigerio sotto gli alberi o sdraiati sul prato. Non c’è una panchina libera, tutte le postazioni sono piene di uomini e donne, che di sicuro non presteranno attenzione a una ragazza appoggiata in modo scomposto a un uomo.
Le osserva mentre si dirigono ai tavoli del Bryant Park Cafè, mentre lui si apposta non visto al limitare del prato.
Ormai è quasi buio e quando le vede spostarsi dal Café al Grill sente un buco nello stomaco.
«Sluts!» dice acido. «Voi mangiate e io qui a pancia vuota! Sluts!»
Mark pazienta perché sa che la preda è vicina e la vuole catturare.
«Sii paziente e avrai in premio questa donna! Sarà un divertimento assicurato. She will have that deserves it, the slut» ripete più di una volta a voce bassa, mentre reprime i morsi della fame. Per quella ci penserà più tardi.
È buio e la confusione è sovrana nel parco, dove sciamano sul prato moltissime persone. Neppure una panchina libera o un tavolino vuoto. Tutti sono alla caccia disperata di un posto e aspettano che se ne liberi uno.
Il momento si avvicina mentre le segue. Irene si attarda a osservare la giostra dei cavalli e lui colpisce con un colpo secco alla nuca Simona che crolla tra le sue braccia. La trascina verso l’auto senza che faccia un gemito.
Dick ha cupi presentimenti, mentre prosegue il lavoro che sembra non finire mai. La testa piena di pensieri gli impedisce di concentrarsi su quanto sta facendo. Alle dieci p.m. finisce e trasmette il rapporto alla direzione con un ritardo di qualche ora.
Adesso può dedicarsi alla ricerca del Mark di Miss Ferrari. Apre il fascicolo AIX, scarta le polizze piene di codicilli legali e passa a esaminare gli allegati tecnici. Uno di questi, vecchio di sette anni, porta la firma di un certo Mark Flannagan, che spara a zero sull’inefficienza delle serrature elettroniche e sulla disorganizzazione della security. Secondo il report l’assicurazione nello stipulare le polizze per coprire i rischi sulla sicurezza deve tenere conto di queste due gravi deficienze che la potrebbero esporre a probabili risarcimenti. Mark Flannagan suggerisce un contratto con premi maggiorati per coprire i rischi sulla sicurezza.
Un certo Anthony Davis in un allegato, datato tre anni dopo quello di Flannagan, consiglia il cambio delle serrature elettroniche e la riorganizzazione della security. Attraverso tabelle tecniche asserisce che nell’arco di un biennio l’investimento sarebbe riassorbito dai minori costi della polizza assicurativa. La direzione l’anno successivo ha deliberato la spesa e rinegoziato l’importo.
«Dunque è questo Mark Flannagan il Mark di Miss Ferrari!» esclama soddisfatto. «Un broker indipendente che lavorava per conto di AIX. Ecco il motivo di tanta sicurezza nei primi tentativi di entrare nel residence e poi quello notturno ben più pericoloso! Domani mi metto in contatto con l’assicurazione per conoscere l’indirizzo di questo Mark».
Dick sorride per i risultati dell’indagine e per l’intuizione avuta. Il sorriso si smorza in fretta perché la reception l’informa che Miss Ferrari è sparita nel nulla e che l’amica italiana arrivata oggi è in preda al panico.
La notizia riaccende i cupi presentimenti del primo pomeriggio, mentre si avvia alla reception per conoscere i dettagli.
Eccoci all’appuntamento del venerdì con la diciottesima puntata dell’avventura di Simona. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.
Buona lettura.
Simona è incerta se deve raccontare l’episodio del giorno precedente oppure tacere. È un grosso dilemma che non riesce a districare. Alla fine decide di omettere il brutto episodio.
Irene vuole sapere tutto di Mark: com’è, cosa fa, quali impressioni ha ricavato senza incontrare grandi entusiasmi. Poche parole appena sussurrate escono dalla sua bocca, impedendo che il discorso si ampli e si approfondisca. Mostra scarso interesse a parlarne.
L’amica è piena di brio. Sembra aver smaltito in fretta la differenza di fuso orario, è un fiume in piena, mentre Simona nicchia, vorrebbe starsene tranquilla nella nuova suite, discorrere di questioni futili, poco impegnative.
«È presto per chiudersi qui. Il sole è ancora alto sull’orizzonte. Usciamo. Ho voglia di vedere delle novità» chiosa garrula come un merlo. «Ho letto di Holly. Non ti ricordi?»
«Holly?» ribatte Simona sgranando gli occhi. «Chi sarebbe?»
Irene sbotta in una fragorosa risata di fronte la candida ignoranza di Simona.
«Non ha mai visto il mitico George Peppard e Audrey Hepburn in ‘Breakfast at Tiffany’s’?» chiede con un sorrisino ironico, amicando con un occhio. «Non dire che ignori sia il libro che il film! Ha fatto sognare milioni di donne! Ho letto di un possibile itinerario in giro per Manhattan sulle tracce di Holly. Potemmo cominciare dalla New York Public Library, che è qui vicino, accanto al Bryant Park. Mi piacerebbe una foto sui leoni che stanno in cima alla scalinata. Quattro passi a piedi per sgranchire le gambe dopo essere stata molte ore seduta sono salutari».
Irene non smette di parlare, di estrarre nuove idee, di proporre itinerari e ristoranti come se fosse la guida, l’angelo salvatore dei turisti della grande mela.
Simona si trova in difficoltà, non sa come spiegare all’amica che Mark la sta braccando e ci ha provato più volte. Rimpiange di avere taciuto per prendere tempo. Giudica inadatto il momento per raccontare la brutta avventura con Mark. Si ripromette di farlo al rientro nella suite.
«Va bene» accondiscende rassegnata, mentre mentalmente spera che Dio gliela mandi buona. Ha cattive sensazioni e l’umore è basso.
Di passo lesto si avviano verso il Bryant Park ma rallentano perché il caldo afoso le avvolge in una nube di vapore acqueo che le costringe a riparare nel grande prato sotto gli alberi.
«È una favola!» esclama stupita Irene «E tu volevi costringermi a stare chiusa nella suite? È stracolmo di gente ed è immenso!»
Come una bambina incantata davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli si ferma a leggere l’elenco degli spettacoli della sera. I gridolini di gioia si sprecano. Le guide di New York citano di sfuggita questo polmone verde vicino a Times Square nel cuore di Manhattan. È una mancanza grave, annotandosi mentalmente di segnalare questo nel forum di viaggi che frequenta sul web.
Si rifugiano nel Shady Side, il lato all’ombra, che presenta la più alta densità di corpi umani del globo. Apre la bocca per lo stupore. Lo spettacolo offerto dalle persone sotto il sole di luglio sedute su una singolare sedia con un piccolo tavolino incorporato per appoggiarvi sopra qualcosa e una specie d’incavo per carte o bicchieri.
Osserva ogni dettaglio: il grande giardino con le enorme begonie che colorano di rosso lo sfondo verde, i numerosi alberi che fanno da corona al prato curato in modo impeccabile.
«Sono assettata» esclama dopo avere parlato a macchinetta. «Ho letto che c’è un Café nell’edificio in fondo». E si avvia con decisione.
Simona viaggia a rimorchio dell’amica, annuisce, trotterella a fatica dietro di lei, che con tre falcate divora il prato.
È l’ora dell’aperitivo e tutti i tavoli all’aperto sono impegnati. Per Simona non è una novità il bar American Style: tutti in piedi attorno a un tavolino rotondo alto. Per Irene sì: osserva lo spettacolo, lo commenta, cerca l’approvazione dell’amica che si limita a pochi monosillabi.
Il sole sta calando dietro i grandi edifici e non inonda più il prato.
Simona è inquieta, si sente a disagio fra tutto quel vociare confuso e quel via vai tra tavolino e bancone con nuovi Martini e salatini. La testa le gira, forse è un po’ brilla, ma è lo stress accumulato che pretende il ticket. Si mostra serena, ascoltando Irene e rispondendo alle sue domande ma dentro non cessano le sensazioni negative attenuate dalla presenza dell’amica e dal fatto di essere circondata da molte persone.
A Simona si chiudono gli occhi per la stanchezza. È stremata e vorrebbe essere nella suite. La notte precedente quasi insonne e popolata da incubi terrificanti bussa nella sua testa senza fare sconti.
Irene ha fame e ritiene che sia ancora presto per rinchiudersi nel residence e passano nel locale accanto, Bryant Park Grill, per mangiare qualcosa.
Simona ordina prosciutto di Parma, melone, fichi neri, mascarpone importato e vino rosso, con un contorno di patatine fritte. Irene si fa dei ravioli al formaggio di capra conditi da qualcosa che vagamente assomiglia a un intruglio, dove si mescolano diversi ingredienti non ben identificati, e un filetto di salmone grigliato con salse varie.
«Non è male» afferma Irene con la bocca piena, mentre Simona osserva con disgusto quei piatti male assortiti.
Tra non molto Bryant Park chiude. Le due ragazze si avviano verso l’Avenue of Americas per ritornare al residence. Irene si ferma incantata al Carrusel, la giostra dei cavalli, che la fanno ritornare bambina quando moriva dalla voglia di fare un giro su quei cavalli dondolanti di cartapesta che girano in tondo.
Quando gira gli occhi non trova più la sago Carrusel ma di Simona e si inquieta. Si avvia nervosa all’uscita senza trovarla.
«Dove cazzo è andata?» dice in italiano mentre percorre di corsa le poche centinaia di yarde che la dividono dal residence.
Si ferma alla reception e chiede se Simona sia già rientrata, ottenendo una risposta negativa. Adesso in preda al terrore rifà la strada inversa sperando d’incontrarla. Incontra solo dei nottambuli semi sbronzi. Un senso di angoscia le chiude la gola perché Simona sembra essersi volatilizzata. Pare svanita nel nulla.
«Mi sono fermata un breve istante alla giostra dei cavalli e lei, puff! Si è smaterializzata» esclama con voce angosciata senza calmare l’intimo subbuglio.
Non le resta che tornare al residence per denunciare la sua scomparsa.
Riflette che non riuscirà a dormire, mentre la stanchezza cala su di lei.
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