Dal diario di uno scrittore – estate 1972

Avevo scelto di lasciare un porto sicuro per avventurarmi in un mare ignoto, del quale non conoscevo i potenziali pericoli. Però mi dicevo: “Devo inseguire i miei sogni e cercare nuove esperienze. Se non adesso, quando?” Sì, perché ero un giovane di belle speranze che credeva in se stesso e negli ideali coi quali era cresciuto.

Dunque pieno di entusiasmo irresponsabile mi ero gettato tutte le paure dietro le spalle e avevo deciso di accettare un nuovo lavoro in una grande città. Conoscevo bene quello che stavo lasciando ma in ugual misura ignoravo quello che mi avrebbe aspettato.

“E poi se non si rischia che vita posso attendermi nel futuro?” mi dissi nell’affrontare questo cambiamento radicale nelle abitudini e nelle conoscenze. Tutto era novità, tutto era incognito: dai nuovi colleghi di lavoro alla metropoli con la fama di tritapersone.

Così cominciai una vita di pendolare tra Ferrara e Milano. Il lunedì mattina all’alba prendevo il treno dei lavoratori fino a Bologna e da lì l’Intercity per Milano. Al venerdì facevo l’operazione inversa. Una vita che non mi piaceva ma non potevo fare altrimenti. Finché non c’erano delle certezze, non potevo tramutare quella vita randagia, fatta di treni pieni e perennemente in ritardo in una più regolare senza la necessità degli spostamenti settimanali.

Quei viaggi snervanti e inconcludenti mi permettevano di osservare una moltitudine di persone molto diverse tra loro e con le quali condividevo questi spostamenti. La maggior parte all’andata la raccoglievo tra Piacenza e Milano, mentre altri salivano e scendevano in Emilia. Erano rari quelli che salivano a Bologna per raggiungere Milano. Nonostante le facce fossero sempre le stesse, era per me un mondo sconosciuto da esplorare e comprendere. Il tempo non mi mancava. In realtà era l’unica cosa della quale ce ne era in abbondanza.

Mi domandavo con un pizzico di curiosità, mentre li osservavo: ”Chissà cosa pensano di me, ammesso che se ne siano accorti”. Mi piaceva quel fantasticare su di loro, quel pormi delle domande e formulare le relative risposte, essendo conscio che mai avrebbero trovato repliche esaustive e certe. Però mi serviva per far trascorrere il tempo perché altrimenti sarebbe stato lungo e noioso.

Era stupefacente come fossero ripetitivi, grigi e senza fantasia. Il lunedì mattina gli uomini parlavano solo di rigori non concessi, di arbitri venduti, di gol fantasma. Le ragazze della gita fuori porta col moroso, della lite da comare con la pseudo amica, che tentava di soffiare il ragazzo. Le donne erano più silenziose, assonnate e stanche e leggevano Grazia o Intimità senza partecipare troppo alla varie discussioni. Era una costante. Ormai sapevo tutto di loro. Bastava origliare i loro discorsi.

Ascoltarli, vedere le loro facce ingrigite e senza sorriso mi permetteva di analizzare se questo vivere aveva un senso. Intuivo e comprendevo che un’esistenza da pendolare era squallida, rafforzando la volontà di diventare uno stanziale.

Però non era questo di cui volevo parlare. “Di loro ne parlerò un’altra volta, se ne avrò tempo e se voi avrete voglia di leggermi”.

Per accorciare il tempo del viaggio, tra uno scossone e un altro, tra una fermata normale e una straordinaria in mezzo alla campagna, viaggiavo accompagnato da un libro, che mi faceva da tutore e compagno di strada. Ero un gran divoratore di carta stampata, della quale mi piaceva odorare il profumo, udire il fruscio delle pagine sotto le dita. Col tomo ben in vista leggevo e ascoltavo, memorizzando entrambe le informazioni.

“Vedo già il sorrisino di compatimento sulle vostre labbra. Ebbene non so come facevo. Eppure è la pura verità. Oggi non ci riesco più ma allora ci riuscivo benissimo. Ricordo un corso, dove in un test si doveva scorgere in un groviglio di segni un’immagine. Si dà il caso che io ne vedevo due contemporaneamente con grande sorpresa del docente”.

Così mi venne l’insana voglia di scrivere un romanzo. Non mi ero mai cimentato in questa prova, limitando le mie ambizioni letterarie alla poesia come un emulo di novello Leopardi. Quando ero al liceo, mentre osservavo dalla finestra il resto dell’antico campanile della vicina chiesa, avevo sognato di trasformarmi in un poeta riverito e coccolato da tutti. Erano sogni giovanili, perché nessun poeta, per quanto famoso, aveva fatto fortuna. Allora non lo sapevo ma mi serviva per fantasticare onorificenze e gloria a gogò, riverito e ammirato da tutti. Così come un poetastro della domenica scrivevo compulsivamente poesie, che avevo l’ardire di donare alle mie presunte fiamme. Poi i sacri furori giovanili si erano assopiti, mentre mi era rimasto il gusto di leggere.

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«Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte… Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente… Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era prima?»i.

“Che bel incipit!” mi dissi, mentre leggevo le prime righe di questo straordinario libro dello scrittore olandese Toon Tellegen. Un emulo moderno di Esopo aveva raccolto in questo voluminoso libro ben trecento storie di animali del bosco che vivevano di luce propria come persone uniche e soprattutto umane.

I protagonisti erano loro, gli abitanti del bosco letterario di Tellegen. In una selva illuminata da sorrisi compiacenti e da feste di compleanno ognuno di questi speciali animali poteva trovare quello che gli piaceva dalla torta ai canditi.

Le loro storie erano un mix di aspetti che quotidianamente percepiamo. Un inno all’amicizia, alla curiosità, all’avventura e allo stesso tempo all’ozio ma piene di passioni e contraddizioni risolte con soave intelligenza, anche quando erano le più angoscianti.

Affascinato dai loro racconti, dai dialoghi o pensieri che più che animaleschi parevano un summa di buon senso, decisi che la mia strada sarebbe stata quello dello scrittore.

“Altro sogno o realtà?” mi domandai curioso come lo scoiattolo di Tellegen, protagonista della prima storia.

Un lunedì mattina di luglio armato di un blocco e di penna stilografica cominciai a elaborare il plot del futuro romanzo che mi avrebbe consegnato ai posteri come lo Scrittore, che avrebbe goduto di fama imperitura. Ovviamente erano solo fantasie ma l’immaginazione non mi mancava e l’ego di smisurata superbia nemmeno.

“Come comincio?” fu la prima domanda alla quale non riuscivo a dare un buona risposta. Tutto pareva banale ma erano le idee che mancavano o forse la spinta decisa e solerte di parole per avviare un discorso qualsiasi.

“Pessimo inizio. Tanto entusiasmo ma risultati deludenti” conclusi amaramente arrivato a metà tragitto tra Bologna e Milano.

Il blocco rimaneva vergine e la stilografica chiusa. Aprì nuovamente il libro di Tellegen e trovai finalmente l’ispirazione.

«Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio, oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso di una libellula, che poi senza fiatare lo portava sull’altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall’elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand’ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C’era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. E’ lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con grande dispiacere incontrò subito un’altra deviazione…»

“Ecco quello che ci vuole!” riflettei, mentre osservavo una ragazza, che l’amica chiamava Laura. “Ecco la mia protagonista!” Come se mi fossi svegliato di botto dopo un lungo sonno senza immagini, avevo scoperto la scintilla che avrebbe fatto di me lo Scrittore.

Però non potevo scopiazzare qualcosa che non avevo scritto io, anche se avrei potuto mettere un avvertenza di chi era la paternità di quello in corsivo.

“No, no. Meglio usare l’idea e scrivere un qualcosa di mio”. Così cominciai a riempire le pagine con la mia scrittura rotonda e precisa. Il sogno di scrivere qualcosa diventava realtà e il romanzo “Non passava giorno …” pure.

Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro allegro e spensierato per il bosco con la sua grande coda imponente, della quale era molto orgoglioso. Era un tipetto strano e pieno di risorse ma totalmente imprevedibile. Al mattino capitava sovente di lasciarsi cadere sul morbido muschio ai piedi dell’abete preferito, rimbalzando per la gioia con una grande capriola. Ma se era ispirato dalla natura, volava dalla punta di un ramo per finire nel torrente, che scorreva allegro nel bosco. Però non cadeva nell’acqua ma sul dorso di una libellula, che passava casualmente di lì e che lo traghettava sull’altra riva. Quando incontrava una strada, prendeva sempre la prima che vedeva senza pensarci su due volte. Se poi incrociava un sentiero laterale lo infilava, e se aveva dei progetti per la giornata, se li scordava regolarmente. Ma nulla poteva modificare il suo carattere allegro e giovale, pronto a dare il suo aiuto senza secondi fini nascosti. Così una mattina di buon ora stava andando dall’orso bruno, che traslocava dalla sua tana e aveva chiesto aiuto alla comunità del bosco, quando vide un sentiero ancora umido per la rugiada della notte che serpeggiava tra abeti e faggi, naturalmente lo prese senza esitazioni. All’imbocco c’era un cartello un po’ scolorito che diceva: STRADA VERSO …. E nient’altro. ‘E’ lì che devo andare!, pensò lo scoiattolo tutto allegro, ma con grande rammarico dopo pochi saltelli incontrò un’altra deviazione…”

Laura leggeva l’inizio della favola, che aveva scritto tanti anni prima, quando aveva sedici anni.

Era una mattina fredda, ma serena e soleggiata di marzo, quando salì nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso dismesso alcuni anni prima. Non sapeva nemmeno lei perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita, ma forse voleva semplicemente ingannare se stessa, perché ne conosceva perfettamente il motivo…

Ormai avevo scatenato la mia fantasia e difficilmente mi sarei fermato. Il treno era in movimento non solo realisticamente, come potevo percepire dal rollio meccanico del vagone ma anche metaforicamente attraverso la mia scrittura. E continuai a scrivere, viaggio dopo viaggio finché non arrivai alla parola fine.

“Ora che sono arrivato in fondo che me ne faccio di tutta questa carta?” mi domandai, mentre lo rileggevo durante un viaggio di ritorno nell’ottobre dello stesso anno.

“Cosa si fa? Si manda all’editore che ti fa firmare un sontuoso contratto e il gioco è fatto! Tu sei il nuovo scrittore emergente che diventerà il caso letterario dell’anno!”

Ancora fantasia e mancanza di umiltà. Magari fosse stato così semplice. In realtà trovare un editore disposto a investire su di te non era facile come entrare in un bar per un caffè.

Tanti cortesi rifiuti: «Il suo manoscritto non interessa la nostra linea editoriale» era la risposta più garbata ma c’era anche di peggio. Ormai deluso e disilluso di scovare un editore, un giorno ricevetti una lettera da una casa editrice, Orsobianco Edizioni, che si mostrava disponibile a pubblicare il romanzo. Nessun anticipo ma la miseria di qualche liretta per ogni libro venduto, ammesso ma non garantito che fossi riuscito a vendere qualcosa.

“Meglio questo che niente” mi dicevo mentre firmavo il contratto con questa casa editrice.

Così iniziò l’avventura di questo romanzo.

iToon Tellegen – “Lettere dal bosco” Donzelli Editore . Trad. Davide Santoro – 2007 Ho commesso un falso storico anticipando l’uscita trentacinque anni prima. Solo per finzione letteraria.

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Un viaggio, un incubo – ventottesima e ultima puntata

Cala la tela sulla storia di Simona. Si conclude questo racconto. E meno male dirà qualcuno. Per chi volesse, a suo rischio e pericolo, rileggere tutte le puntate le trova qui.

da Pixabay credits AdinaVoicu

Simona con gli occhi arrossati per la lunga veglia viene visitata per certificare la violenza subita e formalizza la denuncia verso Mark. La stanchezza annulla l’esame sgradevole che si aggiunge agli eventi spiacevoli della vacanza americana. Deve rispondere a molte domande che lei giudica odiose come se lei fosse l’imputata e non la vittima. Deve ripetere all’infinito ogni dettaglio sul perché non ha chiesto aiuto o come è stata drogata.

«È sicura di non essere stata consenziente all’inizio?» domanda il legale di Mark che vuole generare sospetti sulla versione di Simona.

«Perché è partita dall’Italia per incontrare il signor Flannagan? Perché non ha denunciato il tentativo di violenza di due giorni prima?» e altre domande ripetute con monotona e metodica violenza nello sforzo di trovare una breccia, una crepa nella quale insinuare dubbi e incertezze per favorire la liberazione di Mark. È un calvario, uno stillicidio che dura per molte ore prima che possa tornare al residence senza che nessuno corra in suo aiuto.

È pomeriggio inoltrato quando Simona rientra nella suite, accolta da Irene che ignora la liberazione avvenuta molte ore prima.

Si getta estenuata e affamata sul divano a ricapitolare tutti gli eventi accaduti per l’amica.

“Il sogno della notte precedente è stato una visione premonitore, perché l’ho vissuto nella realtà” riflette addentando un sandwich a base di formaggio, salse varie e pollo. Ha fame e non fa una piega sul miscuglio di sapori per nulla amalgamati.

«Irene» esclama Simona tra un sorso di caffè e l’altro. «Ho avuto un incubo l’altra notte» e lo descrive senza tralasciare nulla.

«Sembra incredibile» conclude pulendosi la bocca. «L’appartamento del sogno, nel quale ero rinchiusa, era quello di Mark! E sono stata salvata dal suono di un telefono come stamattina. Sono coincidenze oppure ho vissuto in anticipo gli avvenimenti di questa notte?»

Irene scuote il capo perché non sa come rispondere, ma giudica strana l’analogia tra sogno e realtà.

«Simo, non pensarci più!» la rassicura. «Ora tutto è finito. Questa è stata una pessima avventura che potrai raccontare ai tuoi figli, quando sarai vecchia».

Simona sorride con amarezza, perché forse non avrà figli a cui raccontare la sua pericolosa avventura.

«Quali figli?» chiede spalancando gli occhi nocciola. «Dopo questa esperienza rimarrò single a vita! Di uomini non ne vorrò avere vicino per un bel pezzo! Ci vorrà tempo prima che possa dimenticare questo incubo».

Percepisce che non dimenticherà come ha trascorso la notte e il senso di angoscia che l’ha attanagliata nelle lunghe ore di veglia.

Una lunga doccia, il boccone appena gustato non riescono a risollevare il suo morale. Comprende quanto imprudente sia stata nel compiere la traversata dell’oceano. Una lezione bruciante l’ha imparata sulla propria pelle: non si deve fidare degli amici virtuali.

Gli incontri possono diventare una trappola pericolosa.

Il viaggio si è trasformato da piacere a incubo, mentre lei desidera riprendere l’aereo al più presto per dimenticare queste giornate orribili.

the end

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Un viaggio, un incubo – ventisettesima puntata

Allegri ragazzi questa è la penultima sofferenza che vi infliggo. Sempre per i curiosi trovate qui le altre ventisei.

Simona vede esplodere la finestra. Chiude gli occhi d’istinto per proteggersi dalle schegge di vetro. Un frastuono impressionante proviene dall’ingresso. Chiude gli occhi e reprime le lacrime che vogliono sgorgare impetuose. Il cuore batte forte per l’agitazione. Forse quelle ombre intravviste dalla finestra sono i suoi angeli salvatori. Scaccia il pensiero per non illudersi: la realtà potrebbe farle male.

Percepisce che Mark si è staccato dal suo corpo, disturbato dai passi e dal rumore di vetri infranti. Dopo un istante di silenzio sente che sta imprecando nello slang newyorchese. L’unica parola che capisce è “fuck”, l’ha sentita ripetere troppe volte. Immagina che sia una parola volgare ma ne ignora il significato. È una breve illusione. Di nuovo le sue mani sono sul suo corpo mentre Mark riprende ad ansare.

Todd e Dick fanno irruzione nella stanza e trovano un uomo nudo che tiene in mano qualcosa di sospetto. Cosa stia facendo non è chiaro. È accanto a un corpo disteso sul letto. La stanza è immersa nella penombra e faticano a distinguere la figura.

Todd, incerto se pronunciare le frasi di rito quando arresta qualcuno, lo sente parlare sconnesso con minacce e blandizie, mentre si volta verso di loro.

Un lezzo insopportabile di sudore, misto a urina e altri odori non distinguibili colpisce le narici. Accendono la luce per illuminare il locale.

Lo spettacolo li lascia interdetti.

Una donna nuda è legata alle spalliere del letto e un bavaglio di fortuna le copre la bocca. La luce improvvisa l’acceca, stringe gli occhi per proteggerli dal lampo abbagliante.

«È miss Ferrari!» urla sovrastando le voci esterne e le imprecazioni di Mark.

Simona sente una voce amica e tira un sospiro di sollievo. È solo un fugace istante Poi ricorda il suo stato. Si sente umiliata essendo nuda senza la possibilità di coprirsi. “Cosa m’importa” si dice per dimenticare il suo stato. “Tanti uomini mi hanno vista nuda e due in più non fanno differenza”.

È sollevata, perché la sua avventura si sta concludendo. Vorrebbe abbracciarli, ringraziarli ma non può. Aspetta che sciolgano i lacci e le diano qualcosa da indossare.

Sente la voce di Dick cattiva che urla verso Mark. Poi altre voci che non conosce e un vociare confuso che viene dall’ingresso.

Con gli occhi chiusi aspetta che qualcuno si ricordi di lei liberandola.

Mark, vistosi in difficoltà, reagisce chiedendo l’aiuto degli altri coinquilini contro gli intrusi che hanno violato la sua privacy e rovinato i suoi piani.

Dick l’afferra saldamente senza troppi complimenti, mentre Todd va sulla porta mostrando il distintivo del NYPD al nugolo di curiosi che affollano il corridoio.

«State indietro e tornate nei vostri appartamenti. Questa è un’operazione di polizia» dice con voce forte, azionando la chiamata per John e Ricky.

Il vociare confuso si trasforma in un brusio appena distinguibile, mentre i più ritornano da dove sono venuti. Alcuni impiccioni continuano a stazionare sul limitare della porta nel tentativo di captare voci o immagini.

Todd presidia l’ingresso finché non arrivano i due poliziotti a dargli il cambio.

Mark sbraita e si agita sperando di sfuggire alla morsa ferrea di Dick, che lo tiene sdraiato a terra immobilizzandolo con un ginocchio sulla schiena. Dick è incattivito e si trattiene dal dargli una pesante lezione per non compromettere l’esito dell’intera operazione.

«Se non la smetti con le buone, lo farai con le cattive» esplode con voce dura, bloccando ogni movimento o tentativo di svincolarsi.

L’uomo continua a vociare chiedendo l’assistenza di un legale.

«Avete violato il mio appartamento, mi bloccate senza motivo. Vi farò passare un brutto quarto d’ora, non appena potrò contattare il mio avvocato». Sbraita irosamente.

Todd lo ammanetta, mettendogli il distintivo sotto il naso.

«Chi passerà un brutto quarto d’ora sarai tu, maledetto porco!» gli urla nelle orecchie, snocciolando i reati commessi. «Sequestro di persona, violenza privata e sessuale, resistenza è quanto basta per sbatterti in galera e buttare via la chiave!»

Gli uomini sembrano essersi dimenticati di Simona, che respira con affanno e non può parlare.

Dick gira lo sguardo e incrocia quello di Simona che implora di essere liberata e di coprirsi, prima che arrivino frotte di poliziotti e giornalisti a invadere l’appartamento. Capita la richiesta con delicatezza scioglie i lacci. Rimuove il rudimentale bavaglio. Simona respira a pieni polmoni con boccate avide di aria.

Si mette ritta, mentre Dick lancia vestiti e intimo. Vorrebbe pulirsi ma non è il momento. Infila le mutandine un po’ sfilacciate e indossa il reggiseno. Scende dal letto per mettersi polo e gonna jeans. A piedi nudi cerca le scarpe che trova sotto la sua tracolla.

Simona si massaggia polsi e caviglie piagate dai lacci che hanno lacerato la pelle. Le ferite sanguinano e sono dolorose.

Vorrebbe baciarli, abbracciarli, ringraziarli, ma si trattiene. Si sente sporca, lercia, ma la voglia di libertà annulla ogni pudore o sensazione sgradevole. Ci sarà tempo per farsi una bella doccia calda per ripulire i cattivi odori che si trascina addosso.

«Mi avete salvata da una brutta situazione» ringrazia con un filo di voce. «Non so se sarei uscita con le mie gambe da qui».

Dick la osserva e conviene che è una bella donna. Non sa quanti anni possa avere, ma la figura snella e ben modellata accende il suo interesse di uomo. “Senza dubbio ha un corpo che meriterebbe ben altre attenzioni. Nonostante la pessima avventura conserva un fascino che attira. Se fosse disponibile” riflette, distogliendo la mente dall’immagine di Simona nuda.

Per esorcizzare il risveglio del desiderio, si domanda sui motivi che hanno spinto la giovane italiana a compiere un viaggio così lungo e infilarsi in una storia dai contorni strani e pericolosi. È sicuro che mancano dettagli importanti nel racconto fatto a suo tempo.

“Un banale incontro a Central Park e nulla più? Eppure c’è un buco di dodici ore tra l’abboccamento mattutino e il tentativo serale di penetrare nella camera. Cosa è successo? Qualcosa è avvenuto tale da sconvolgere sia l’italiana sia Flannagan per originare tutto questo. Ma cosa? Anche se tutto sembra terminato nel migliore dei modi, glielo chiederò per togliermi questa curiosità”.

Osserva l’uomo ammanettato, rivestito sommariamente in attesa di essere portato alla centrale di polizia, e non prova nessuna pietà, ma una sorda rabbia per il suo comportamento.

“Merita una dura punizione! Quello che ha fatto o tentato di fare non è spiegabile a meno che non soffra di turbe psichiche. Non è più giovane e neppure piacente. Eppure è riuscito ad attirare una bella donna come miss Ferrari! Da quel poco che ho letto sembra avere una discreta posizione sociale. Ha agito in modo sconsiderato. Quando fosse riuscito a scoparla, come si sarebbe comportato? Una violenza sessuale non sarebbe passata sotto silenzio, quindi… Rabbrividisco al solo pensiero di cosa avrebbe fatto poi! Povera miss Ferrari”.

Si avvicina in silenzio a Simona e le sussurra: «Sarà una giornata dura per te oggi, ma è sempre meglio di quello che ti avrebbe riservato questo porco».

Simona sussulta, mentre osserva il poliziotto, il suo salvatore. Adesso si accorge che è un bel uomo, molto di più di Mark. Si interroga come possa pensare all’aspetto fisico di una persona di sesso maschile dopo avere passato una notte così drammatica. “Sono veramente irrecuperabile al solo pensiero di osservare un uomo non come persona, ma come possibile amante” e scuote la testa mentre si avvia verso l’ingresso.

È stato un pensiero fuggevole ma rappresenta la spia che qualcosa in lei non funziona. Come nel sogno la sua disavventura si è risolta nel migliore dei modi. Emette un sospiro di sollievo. È pronta a lasciare l’appartamento e scacciare l’incubo di Mark.

Vorrebbe sputargli in faccia o dargli un calcio nei coglioni ma si trattiene, mentre Dick l’accompagna fuori passando tra due file di curiosi che la squadrano, la spogliano.

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un viaggio, un incubo – ventiseiesima puntata

Siamo a quota meno tre dalla vetta. Qui ci sono le altre venticinque puntate.

Foto di Quintin Gellar da Pexels

Il piano di Dick non è complesso e può funzionare anche senza l’aiuto di un pizzico di fortuna che non guasterebbe.

«Sono certo che l’eccessiva sicurezza del nostro tipo ci agevolerà nel rintracciare l’appartamento» incomincia illustrando quello che ha in mente.

È convinto che non abbia spento il telefono, perché secondo i tabulati di Verizon è sempre rimasto acceso anche nei giorni precedenti. Non si capisce perché lo dovrebbe fare stanotte.

Del telefono di miss Ferrari dà quasi per scontato che se ne è dimenticato o forse non l’ha nemmeno cercato. Dick è convinto che con tutta probabilità non ci ha pensato per nulla, poiché ha dato per assodato che nessuno la cercherà. L’unico dubbio è che abbia carica a sufficienza per stare acceso l’intera notte.

Secondo le ultime informazioni in questo momento il cellulare di Mark è fermo nel caseggiato del Bronx.

Dick prova a chiamare il numero di Mark che squilla una, due e più volte. Un sorriso soddisfatto illumina il suo viso.

«Todd, chiama il numero di Miss Ferrari, mentre io faccio lo stesso con l’altro» suggerisce Dick pensando di creare confusione.

Lo fanno e poi smettono. Adesso devono solo mettere in atto il suo piano.

«Se ci sbrighiamo, lo dovremmo cogliere con le mani nel sacco» afferma Todd persuaso che l’idea di Dick si rivelerà vincente.

Todd chiama i suoi uomini e li informa che tra poco li raggiungerà. Devono fare attenzione ai movimenti nel caseggiato.

Arrivati a sirene spente, tutti e quattro perlustrano i dintorni del complesso. Vogliono essere certi che Mark non possa sgusciare dalle loro mani come un’anguilla. Il passo successivo sarà la localizzazione dove Miss Ferrari è tenuta prigioniera.

John e Ricky salgono le scale di sicurezza con circospezione alla ricerca di finestre illuminate o di voci umane. Sono le cinque passate da poco e con ogni probabilità sono ben pochi gli inquilini svegli a questa ora. Cercano di fare il minimo di rumore per evitare che qualcuno senta e faccia baccano allarmando l’individuo cercato. La perlustrazione dura circa mezz’ora e alla fine credono di aver localizzato l’appartamento: si trova al quinto piano. Rumori sospetti e movimenti al suo interno li convincono che sia quello giusto.

«Todd, c’è un appartamento al quinto piano, che ha luci accese appena visibili. Si sentono rumori di passi e una voce maschile che sembra parlare da solo. Cosa dice non riusciamo a comprenderlo» comunica Ricky con un filo di voce appena percettibile.

«Restate lì senza farvi notare, pronti a bloccare eventuali tentativi di fuga. Al mio segnale entrate dalla finestra».

Todd e Dick raggiungono il piano segnalato per dare l’avvio al progetto elaborato durante il viaggio.

Compongono il numero di Mark, sperando di captare con certezza da quale porta arriva il tono di chiamata.

Sentono rumori nel corridoio di destra, ma non riescono a localizzarli con precisione perché la comunicazione cessa.

Todd ricompone il numero dell’uomo, Dick quello di Simona e scoppia il putiferio. Adesso sono certi della porta: è l’appartamento 517.

«Fuck!» impreca sottovoce con tono volgare il poliziotto. «Ho scambiato il cinque col sei! Sono stato troppo precipitoso nel leggere il numero. Ora sarebbe già libera».

Ricky lo richiama confermando che hanno individuato con precisione la finestra da dove arriva quella sinfonia di suonerie e rumori che stanno svegliando mezzo caseggiato.

«Okay. State pronti a intervenire. Dobbiamo beccare quel porco con le mani nella marmellata».

Loro si devono tenere pronti a sfondare la finestra, mentre Todd e Dick faranno lo stesso con la porta d’ingresso.

Sentono passi confusi con imprecazioni dietro la porta come se qualcuno fosse in agitazione.

Armeggiano silenziosi con la pistola LockAid che apre tutte le serrature in modo sicuro col minimo rumore. Todd non potrebbe usarla senza l’autorizzazione del giudice ma se ne frega. Si sentono i click dei cilindri che scattano sotto la pressione delle linguette della pistola. La porta di dischiude ma una catenella impedisce l’apertura completa.

Senza pensarci, danno un paio di spallate robuste alla porta che si spalanca con un frastuono che sveglia l’intero edificio.

Quasi in contemporanea il rumore di vetri infranti fa da contraltare con quello generato da Todd.

Non si preoccupano delle voci provenienti dall’esterno, mentre si precipitano all’interno.

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Un viaggio, un incubo – venticinquesima puntata

Calma ragazzi ancora un piccolo sforzo e poi questo incubo sarà finito. Per i più temerari qui può trovare le puntate precedenti.


Foto di Eneida Nieves da Pexels

Vedendola irrigidirsi, Mark rinforza il bavaglio con un asciugamano sulla bocca.

«Shut! Ora non potrai urlare!» grida con tono cattivo nell’orecchio sinistro di Simona. «È vero che non sentirò i tuoi lamenti, né le suppliche, ma vedrò l’espressione dei tuoi occhi. Aspettami, tramp! Un secondo e sarò da te! Vedrai come godrai quando ti scopo».

Ha un sogghigno diabolico, mentre gli occhi di Simona tentano di reggere lo sguardo senza mostrare il terrore che ha dentro di sé.

Mark tiene in mano il resto di un panetto di burro con cui ha spalmato il sesso di Simona. Ghigna divertito.

«Questo è miracoloso» urla minaccioso nelle orecchie, mentre lei sostiene lo sguardo di sfida.

Con calma riprende ad applicarlo e ansa per il piacere toccandole il pelo che si unge e diventa lucido.

Le fantasie erotiche, che il gesto scatena, lo fanno venire di nuovo, lordando le gambe di Simona.

«Fuck!» impreca mentre cosparge di burro tutto il corpo. Ansa mentre tocca i capezzoli duri con la speranza di rianimare il suo membro.

Simona volge il viso verso la finestra. Vede un chiarore filtrare attraverso il vetro, mostrando la sagoma della scala antincendio.

Le sembra di vedere delle ombre. Sbatte gli occhi ma pensa che sia solo suggestione. Torna concentrarsi su Mark che ha ripreso a ungerla. È il seno il suo obiettivo. I capezzoli si induriscono sono il suo energico massaggio.

Lo sente mentre riprende ad ansare e strofinarsi sul fianco destro. Il suo è un roco grido di una persona in preda a forte eccitazione sessuale.

Simona volge il viso verso sinistra dove sta la finestra per non incontrare quello di Mark che alita vicino a pochi centimetri.

Ha un moto di schifo per questa vicinanza. Vorrebbe urlare ma il grido si smorza in gola.

Ha un sussulto perché vede qualcosa. “Un’ombra?” Pensa. “No. Due”. Si chiede chi possano essere. “Due inquilini senza le chiavi di casa?” Scuote il capo perché non è possibile. Vorrebbe agitare una mano per richiamare la loro attenzione ma non può. Si è dimenticata di Mark, di quello che sta facendo, della sua eccitazione, perché si è concentrata su due possibili angeli salvatori.

“Calma, Simona” si dice continuando a osservare i movimenti di quelle due ombre. Non si accorge che Mark si è quasi disteso sopra di lei. Il rumore del suo respiro sempre più eccitato non la distrae, concentrata su quelle due ombre, che le appaiono la scialuppa di salvataggio nel naufragio della nave.

Un rumore infernale lo sorprende e si guarda intorno smarrito alla ricerca dell’origine.

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Un viaggio, un incubo – ventiquattresima puntata

Cari lettori pazientate un po’ perché tra cinque puntate il vostro martirio avrà termine. Per i più temerari può trovare qui l’arretrato.

da Pixabay credits AdinaVoicu

 

I telefoni smettono di emettere le loro melodie. La calma sembra di nuovo raggiunta senza che lui abbia fatto nulla.

«Pieces of shit! Avete finito di spaccare? Dove sono?» impreca volgarmente.

Vorrebbe spegnerli per non essere più disturbato. Ricomincia la perlustrazione alla loro ricerca, perché non ricorda dove ha posato il suo e dove sia nascosto quello di Simona. È sollevato perché non suonano più. È lucido, sveglio completamente. Ha un ghigno cattivo.

Pensa di prendere un panetto di burro dal frigorifero ma prima deve compiere un’operazione impellente. Deve vuotare la vescica. Il membro diventa duro al pensiero di quello che ha in mente.

«Ha la bocca tappata quella puttana» dice soddisfatto mentre tira lo sciacquone. «Se non l’avessi fatto, avrebbe strillato come una gallina e l’intero caseggiato sarebbe in subbuglio. Avrebbero chiamato la polizia e fine del gioco. Essere prudenti è meglio per non correre rischi. Mi piacerebbe sentire la sua voce implorare pietà, ma la precauzione è doverosa».

Una franca risata lo sprona a mettere in atto quello che ha architettato.

Simona rimane in vigile attesa, ascoltando rumori, frastuoni, urla, imprecazioni, suonerie in un concerto cacofonico. Un attimo di pausa.

Le fitte sono diminuite d’intensità, ma le ricordano quanto è avvenuto e questo non l’incoraggia. Si domanda, quanto durerà la tregua tentando di tenere alta la tensione per fronteggiare il nuovo assalto.

Si chiede perché, nonostante tutti i buoni propositi strillati con molta convinzione, alla fine non riesce quasi mai ad attuarli. Doveva raccontare il tentativo nello sfasciacarrozze, descrivere meglio le sembianze di Mark, dare tutti gli indizi per rintracciarlo. Però lei ha taciuto per un malinteso pudore e un’eccessiva riservatezza. Adesso ne sconta le conseguenze.

“Chissà se mi stanno cercando? Chi ha chiamato il mio numero? Irene? Mia madre?”

Si trova sul letto legata fra puzze e odori sgradevoli, incapace di chiedere aiuto. E rammenta l’incubo dell’altra notte che si sta materializzando. Nel sogno è stato un trillo a salvarla, ma dubita che possa avvenire nelle circostanze attuali. Non ha creato una situazione a suo favore, tacendo. Adesso è in balia di Mark e deve preparare la resistenza. “Per quanto?”

“Peccato non poter chiedere aiuto. Il baccano di prima ha svegliato mezzo mondo. Se potessi, qualcuno mi sentirebbe chiamando la polizia”. Sente dei passi che si avvicinano.

«Aiuto! Help!» Un grido strozzato da una stoffa ruvida nella bocca. Il respiro si fa faticoso mentre teme di morire asfissiata.

Simona si agita perché non può vedere cosa ha in mente Mark. L’ha sentito trafficare in cucina, lo sente vicino a lei. Respira a fatica e il petto si muove come un mantice nel tentativo d’immagazzinare aria. Il bavaglio che copre la bocca impedisce una respirazione nasale corretta. Avverte la mancanza di aria e la sensazione di asfissia. Deve mantenersi lucida né farsi prendere dal panico.

Mark si avvicina. Lo sente ridere sguaiatamente, mentre un brivido percorre la schiena umida e sozza. È consapevole che inizia la partita decisiva. Deve mantenere saldi i nervi, non cedere alle provocazioni e opporre la resistenza passiva più tenace possibile . Sa che è una battaglia quasi persa in partenza, perché lui è deciso a farle la festa e non sarà gioiosa.

Riflette e si prepara a non mostrare paura. Percepisce le sue mani sul corpo. Lo sente parlare in termini sconnessi e respirare rumorosamente. Intuisce che è eccitato e quindi più pericoloso. Ha una sensazione sgradevole. Mani unte massaggiano il suo sesso. Stringe le gambe in modo istintivo ma le corde incidono la pelle delle caviglie già martoriate in precedenza. Vorrebbe urlare ma dalla gola esce un gorgoglio.

I gemiti di Mark crescono d’intensità. Ha compreso il suo piano. La vuole violentare sfruttando il burro o qualcosa di simile. Cresce l’ansia e il senso d’impotenza. Il petto si muove frenetico per il terrore che sta crescendo.

Crede che il gesto sarà compiuto e si rassegna a subire, quando percepisce del liquido vischioso e caldo scendere sulla gamba destra. Ha un sorriso sbieco. Non è soddisfazione ma sollievo per il momentaneo scampato pericolo.

Lo sente imprecare, mentre l’ansito di Mark si mescola con le parole. È un farfugliare incoerente che toglie un pizzico di ansia a Simona, che riprende a respirare con più calma. Una volta di più la buona sorte l’assiste e ringrazia Dio.

“Quanto tempo ho a disposizione, prima che Mark ritenti l’assalto?” si chiede Simona che cerca una posizione più comoda. Però le corde sono implacabili e incidono la pelle martoriata. Il sangue riprende a uscire dove le corde hanno inciso la carne.

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Un viaggio, un incubo – ventitreesima puntata

Questa volta niente errori. La puntata è quella giusta 😀 La storia continua e volge verso il finale. Qui potete rileggere le altre puntata.


Foto di Eneida Nieves da Pexels

Buona lettura

Mark va nella cucina imprecando agitando il dildo come un’arma. Deve per il momento rinunciare a scopare Simona. Troppo dolore. Però un sorriso assassino increspa le sue labbra.

«Per il momento rinuncio a fotterla» esclama con una punta di odio. «Ma rimpiangerà di avermi bloccato. Slut

Apre il frigo per prendere una birra ghiacciata che ingolla in tre sorsate. Si netta la bocca con la mano. Fa un rutto potente e poi un altro.

Un ghigno cattivo si stampa sul suo viso. Torna nella camera da letto brandendo il dildo.

«Adesso, slut, capirai cosa vuol dire esserti opposta» esclama agitando il dildo sotto gli occhi atterriti di Simona.

Lo fa scivolare nell’incavo del seno, mentre le strizza con cattiveria un capezzolo. Simona serra le palpebre e stringe i denti. Cerca di rimanere rigida, mentre sente il dolore acuto provocato dalla mano di Mark. Vorrebbe urlare ma non può. Scivolano delle lacrime sul viso.

Mark vuol giocare con il terrore e il dolore di Simona. La vuol sentire implorare di smetterla e acconsentire di fare sesso con lui. Gli bruciano due cose: l’essere sfuggita alla violenza dallo sfasciacarrozze e l’essersi opposta stringendo i muscoli pelvici poco prima.

Gli appoggia il dildo sul pube, finge di penetrarla, urla parole sconnesse.

Simona è impietrita dal terrore. Sa che questa volta la violenza arriverà e sarà brutale. D’istinto stringe i muscoli pelvici. Sente il dildo pericolosamente vicino. Stringe ancora di più cercando di chiudere la gambe ma i legacci segano la carne delle caviglie. Nuovo sangue e siero colano dalle ferite.

Mark riporta il dildo verso la bocca, rifacendo il percorso inverso di poco prima. Vorrebbe ficcarlo in gola ma non può. Dovrebbe togliere il bavaglio e Simona potrebbe urlare e svegliare il caseggiato. Rinuncia a malincuore e ripete l’operazione precedente.

Il dildo è sul pube pronto a penetrarla con violenza, quando la suoneria di un telefono riecheggia nell’appartamento.

Ha un sussulto. Si ferma. Si guarda smarrito intorno alla ricerca della fonte sonora, che continua a far sentire la sua voce. Decide di ignorarla. Smette ma passati pochi secondi riprende insistente. Deve far tacere quel telefono e comincia la ricerca, mentre la voce di un vicino infastidito urla improperi. Sente battere sulla parete che sembrano di cartone.

«Get the fuck out of here… You’re such a fuck!» grida verso la parete indispettito, mentre il suono del telefono continua ostinato a farsi sentire.

Il frastuono non cessa, mentre qualcuno dal piano di sotto lo manda al diavolo con male parole.

«È notte!» strepita un altro vicino battendo con veemenza un oggetto sul muro.

Sembra che mezzo caseggiato sia stato svegliato dal rumore della suoneria e dalle urla dei locatari inferociti.

Mark è paralizzato dalla rabbia, perché l’hanno interrotto sul più bello. Si aggira per la stanza per mettere a tacere il telefono. Rovescia una sedia nella penombra, suscitando nuove veementi proteste dei vicini.

Mentre si avvia verso la cucina dove ricorda di aver messo il suo telefono, un’altra suoneria si mescola con la sua.

L.A.Women dei The Doors irrompe nella stanza. Mark si blocca. Proviene da un angolo dove stanno i vestiti di Simona. Alza le spalle e si dirige verso la cucina deciso a vedere chi lo chiama con tanta insistenza. Per quell’altro lo metterà a tacere più tardi.

Simona avverte forti dolori, che le provocano fitte lancinanti a intermittenza senza che lei possa nulla per alleviarli. Non può difendersi, deve solo subire. Percepisce l’angoscia che sta sormontando la volontà di reagire, ma riflette che non può permettere che lui faccia quello che vuole del suo corpo.

“Il primo assalto è respinto con fatica” valuta dolorosamente. “Ma prima che finisca sarà un calvario. E anche il dopo non sarà migliore, ammesso che ci possa essere un dopo”.

Sente la suoneria. Non è la sua, deduce che sia quella di Mark. Ascolta le urla sconnesse e spera che risponda per consentirle di riprendere fiato e forze nell’attesa del prossimo attacco.

“Il bruciore è insopportabile. E non so, se la prossima volta resisterò. Ma mi devo concentrare. Non devo abbassare le difese. Devo rendere la vita al mio aguzzino il più difficile possibile. Lui vorrà divertirsi e non avrà voglia di rompere il giochino tanto presto. Gli toglierò la soddisfazione di farlo. Poi sarà quello che sarà. È inutile farsi molte illusioni”.

Il telefono smette di eseguire L.A.Women dei The Doors con delusione di Simona, che non può godere di una tregua più lunga.

Mark alla fine lo trova dove l’ha lasciato: sul tavolo in cucina ma ha già smesso come l’altro. Ha perso la concentrazione, la voglia di vendetta.

«Slut avrai quello che ti meriti» esclama aprendo il frigo. «Ho la notte a mia disposizione. E domani, dopodomani e finché non mi stancherò».

Prende un’altra birra ghiacciata e un contenitore con un quarto di pollo immerso in una salsa piccante. La tensione e le contrarietà gli hanno messo fame e sete.

«Fuck! Ho passato la notte insonne e non ho combinato nulla» dice pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Bel fesso sono stato. Chi mi cerca a quest’ora? Potrei dormire e mi hai svegliato»

È arrabbiatissimo verso l’ignoto scocciatore. Controlla il display: un numero di New York e per di più sconosciuto. Aggrotta la fronte per concentrarsi sul da farsi, stringe gli occhi a una fessura invisibile e cerca di arginare il nervosismo che sta salendo a livelli di guardia.

«Calmati» fa, mentre impreca contro le donne e le loro fottutissime ostinazioni.

Gli si chiudono gli occhi. La giornata odierna è stata faticosa per il lavoro e la ricerca di Simona. Appoggia la testa sulle braccia e comincia a russare. Sogna e immagina di fare sesso con Simona, finché di nuovo il suono del telefono non lo sveglia.

«Fuck!» impreca sollevando la testa, mentre legge l’ora: 5.40 a.m. «E smettila cazzo di telefono di suonare».

È un numero di New York diverso dal precedente. Aggrotta la fronte per capire chi lo cerca a quell’ora.

“Rispondo oppure chiudo?” si interroga dimenticandosi di Simona.

Decide di chiudere la chiamata, per farlo smettere, mentre riprende a imprecare. Sente le braccia intorpidite e la mente annebbiata dal sonno.

Simona ascolta i rumori che provengono dalla stanza non troppo distante, forse la cucina, perché le pare che siano associati all’apertura di un frigorifero o di uno sportello.

Non riesce a comprenderne la natura e si inquieta nell’incertezza, perché vorrebbe prepararsi mentalmente alla difesa passiva.

“Cosa sta architettando?” si domanda angosciata, mentre tenta di sollevare la testa per osservare l’apertura della porta senza scorgere nulla se non un chiarore lontano.

Si aspetta di vedere comparire Mark, ma nuovamente la musica dei The Doors risuona insistente: una melodia familiare. Lo sente urlare parole sconnesse e imprecare furiosamente.

“Questo è il mio telefono! Qualcuno mi sta cercando, finalmente!” si dice con un principio di euforia e ricorda che sta nella tracolla che aveva al Bryant Park.

Mark continua a urlare indemoniato, mandando al diavolo lo scocciatore. Non comprende che è un altro telefono che squilla con insistenza.

«Dov’è?» urla irato, mentre rovescia la sedia e trascina a terra una bottiglia che sembra una bomba, quando tocca il pavimento.

Il rumore è assordante, mentre qualcuno lo manda al diavolo con male parole.

«È notte! Si dorme» strepita un vicino battendo con veemenza una scarpa sul muro.

Mark in preda al nervosismo si agita convulsamente e continua a snocciolare una sequela d’insulti nei confronti di tutti come se loro fossero colpevoli di tutto il fracasso.

I telefoni a turno continuano a squillare. I due suoni lo confondono e l’ira completa il quadro. Si aggira, apre e chiude cassetti, rovista e impreca ad alta voce.

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Un viaggio, un incubo – ventunesima puntata

Per un disguido con la data di programmazione ho programmato per martedì 17 la ventiduesima puntata. Per cui questa che è la ventunesima viene pubblicata in ritardo. Mi scuso coi i lettori del mio imperdonabile errore. Buona lettura

Qui, per chi fosse curioso o avesse perso qualche puntata precedente, trova le altre.

credits by pexels.com

Simona si risveglia, è distesa su un letto con le braccia e le gambe immobilizzate. Trema e vorrebbe urlare ma non riesce. Tenta di muovere le braccia ma griderebbe per il dolore: delle corde incidono i polsi. Gira il capo e si guarda intorno vedendo solo buio. Pensa di essere bendata o aver perso la vista ma le sembra d’intravedere dall’unica finestra l’ombra di una scale esterna. Respira a fondo ma avverte un dolore sordo alla base della testa e due lacrime scendono sulle guance finendo ai lati del viso.

Ha un flash. Ricorda le immagini dell’incubo della notte precedente. Sembra che i fotogrammi si sovrappongano con la realtà che sta vivendo e comprende che sarà difficile uscire indenne. Se l’altra notte l’incubo si è interrotto per il trillo del telefono prima che Mark tentasse di entrare, questa volta non ci saranno angeli salvatori che verranno in suo aiuto.

“Ieri notte” riflette scoprendo di essere nuda col corpo madido di sudore per lo stress. “Ieri notte durante l’incubo non potevo chiedere aiuto, esattamente come ora. C’erano oltre Mark anche Roberto, Enrico e Anna e sono stata salvata da un provvidenziale trillo del telefono”. Un brivido di freddo le fa accapponare la pelle al pensiero che nessuno squillo la salverà. Si augura che l’agonia duri poco e non sia eccessivamente dolorosa. Sa che, dopo avere abusato di lei, dovrà sparire fisicamente senza lasciare tracce.

Le sue narici avvertono l’acre odore del sudore che il suo corpo emette. Ha sempre odiato le persone che lasciano nell’aria una nuvola di afrore agliaceo. Le ascelle, la schiena sono bagnate e puzzano tremendamente. Qualsiasi movimento le costa dolore, perché le cinghie segano la carne a ogni spostamento. Avverte che sta perdendo sangue dove stringono.

Ammette di essere stata imprudente, tacendo a Dick il particolare della tentata violenza dallo sfasciacarrozze. Avrebbe dovuto aprirsi, perché di certo avrebbe suggerito qualche contromossa. Anche con Irene è stata reticente e forse avrebbe compreso i motivi per cui non voleva uscire.

Pentirsi adesso è inutile, perché le sue sono lacrime di coccodrillo.

“Non sono una ragazzina, ma una donna adulta di quarant’anni” ricorda con una punta d’amarezza. “Lasciarsi irretire in rete da uno sconosciuto, concedergli quello che ho permesso non è consono della mia età”. Questi tardivi pensieri valgono poco nella sua situazione. Inoltre la decisione della partenza per New York le fa capire quanto sia stata avventata in questa avventura con uno sconosciuto.

Ha deciso senza ascoltare nessuna ragione, senza riflettere sui pericoli di un viaggio alla ricerca di qualcosa presente nella sua mente.

“Ho avuto la presunzione di superare qualsiasi ostacolo con le mie forze, d’ignorare avvertimenti che hanno squillato inutilmente” si dice sapendo in quale tragica situazione si è cacciata. Non ha voluto coinvolgere nessuno fidandosi del suo intuito per risolvere da sola le questioni con Mark. Intuisce di essere nei guai e sono molto seri. Comincia a piangere, mentre l’aria della stanza è impregnata dal suo odore pungente e aspro. Il caldo della notte la fa sudare in abbondanza.

Non sa misurare il tempo. Le sembra che siano passati dei secoli da quando si è risvegliata. E non ha nemmeno la percezione per quanto tempo è stata incosciente.

“Un’ora? Due ore?” si interroga, ma le pare che le lancette si siano fermate. Non è conscia che ora della notte sia. Ha un’unica certezza: c’è ancora buio.

Non ode alcun rumore a parte il suo respiro affannoso. Non sarebbe in grado di spiegare dove è rinchiusa, qualora riuscisse a liberarsi. I suoni sono inesistenti o talmente ovattati da risultare impercettibili.

Si domanda dove sono finiti i suoi vestiti e perché lui non c’è. Vuole tenere la mente impegnata perché l’ansia e il panico non abbiano il sopravvento. Se vuole conservare un briciolo di speranza di cavarsela, deve rimanere lucida e ragionare con calma senza tradire l’angoscia che porta dentro.

“Mi stanno cercando?” si chiede ma intuisce l’inutilità della domanda. “Non sanno chi è e dove mi tiene prigioniera. Come posso credere che riescano a liberarmi se ignorano tutto? Le mie sono solo fantasie disperate”.

Le pare di udire in lontananza un rumore di treno, ma forse è solo suggestione. Il silenzio è tombale.

Il caldo nella stanza sta diventando insopportabile mentre suda e respira con affanno. Sente lo stimolo di urinare, ma si trattiene, perché percepire l’afrore dell’urina misto a quello del sudore sarebbe un lezzo rivoltante. Inoltre sarebbe un’umiliazione per lei, perché Mark potrebbe pensare che è avvenuto per lo stimolo del panico. In parte è vero ma ha bevuto con abbondanza durante la serata ed è naturale che debba vuotare la vescica.

Stringe i denti, ma il dolore al basso ventre diventa lancinante. Prega di resistere allo stimolo.

Il rumore della serratura che si apre agisce da detonatore: un liquido caldo scivola fra le cosce. Sembra che non finisca più.

Piange perché si sente umiliata, ma deve mantenere calma e lucidità se vuole contrastare Mark.

Intravvede nel vano della porta una luce e la sagoma corpulenta di Mark. Se aveva qualche barlume di speranza che il suo aguzzino non fosse lui, adesso deve prendere atto della realtà e rimanere fredda per contrastarlo a parole, visto che fisicamente non lo può fare.

Solleva il capo a fatica per seguire le mosse dell’uomo, mentre percepisce sotto il suo corpo l’umido misto di urina e sudore. Ha una smorfia di nausea, perché la stanza è piena di odori sgradevoli.

«My slut!» esclama entrando nella camera, arricciando il naso per l’olezzo poco invitante presente nell’aria.

«No shit! Ti sei pisciata addosso dalla paura!» afferma Mark con la forza del tono ironico. «Mio dio, che puzza! Che schifo! Ti dovrò lavare prima di fotterti!»

Poi impreca minacciosamente, agitando sotto il naso di Simona un enorme dildo.

«Sporca troia mi hai rovinato un materasso nuovo! Avrai quel che ti meriti!» afferma in preda dell’ira.

Lei ascolta in silenzio senza muovere un muscolo della faccia. “Ti ho rovinato un materasso nuovo?” si dice aggrottando la fronte. “Ben ti sta! Non mi vuoi scopare sporca e sudata? E chi se ne frega! Signore aiutami!”

Poi prega che il supplizio duri poco. Vorrebbe essere già morta ma sa che l’agonia sarà lunga e dolorosa.

La stanza è parzialmente illuminata da una lampada a terra, ma non ha importanza per lei, perché così non vede il suo aguzzino.

Mark apre la finestra nel tentativo di eliminare l’odore, ma entra un fiotto di aria umida e maleodorante tale da costringerlo a richiuderla subito.

In preda all’ira per il contrattempo non prende nessuna decisione. Quello che aveva immaginato è saltato e non riesce a organizzare un piano alternativo.

Continua a insultarla sperando in una reazione che non arriva. Simona rimane immobile, decisa a usare l’arma d’ignorarlo per innervosire Mark e costringerlo a qualche errore. Lei deve usare la psicologia per coltivare qualche speranza di riuscire a cavarsela.

Mark innervosito per la mancata reazione di Simona decide di scoparla anche se è sporca di urina. Si spoglia e tenta di penetrarla.

Simona irrigidisce i muscoli pelvici. Lei sente delle fitte atroci, ma stringe i denti, costringendolo a desistere. Mark urla parole sconnesse, perché ha provato dolore.

Una nuova valanga d’insulti la investe, ma Simona finge di non capirli. Non può parlare per via del bavaglio sulla bocca ma la sua immobilità è uno schiaffo per Mark.

Per il momento è riuscita a mantenere la lucidità e respingere i suoi assalti. Il prezzo è alto: avverte spasmi lancinanti nel basso ventre.

“Quanto potrò resistere?” si chiede con affanno senza mostrarlo apertamente. Sa che la prossima volta sarà ancora più doloroso.

Il tempo scorre a suo favore. Fuori il cielo è ricoperto di stelle che lei non può vedere.

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Un viaggio, un incubo – ventiduesima puntata

Simona è prigioniera. Ce la farà a uscirne fuori? Leggete questa puntata e le prossime e lo scoprirete. Qui trovate le puntate arretrate.

Foto di Quintin Gellar da Pexels

Dick mostra a Todd gli esiti delle sue ricerche.

«Secondo me il cognome è Flannagan, un broker che ha seguito e firmato gli allegati tecnici alla proposta della polizza assicurativa per i nostri residence. Abbiamo qualche fotogramma ricavato dai monitor. Non sappiamo null’altro di lui».

Il detective si collega all’archivio per investigare sul potenziale rapitore. Non trova nulla d’interessante. Sta per abbandonare le ricerche, quando s’imbatte in una foto della patente per un’infrazione stradale di alcuni anni prima.

La stampano e la confrontano con i fotogrammi.

«Sembra proprio lui!» esclama Dick. «Se fosse vero, sappiamo come si chiama. Sulla patente quale indirizzo è registrato?»

Sul viso stanco di Dick compare un sorriso di soddisfazione. Sono ore che stanno scandagliando archivi e documenti e nonostante i numerosi caffè la stanchezza affiora.

Dick si appoggia allo schienale della poltrona e vorrebbe partire subito alla caccia dell’uomo.

«Forse riusciamo a beccarlo prima che sparisca o possa fare del male a miss Ferrari» afferma con la voce impastata di caffè e stanchezza. «Il tempo gioca a nostro favore, perché lui si sente tranquillo. Non immagina che lo abbiamo individuato. Per me è un elemento pericoloso».

Irene pare risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta e chiede: «Allora possiamo liberare Simona? Quando?»

Todd mugugna qualche parola poco intellegibile mentre ricerca l’ultimo indirizzo di Mark. Sembra infastidito dalle pieghe che ha preso il caso. Non era sua intenzione trovarsi coinvolto.

È incerto se aprire ufficialmente una pratica oppure procedere in autonomia senza nessuna ufficialità. Qualunque decisione possa prendere, è conscio di avere violato il regolamento. Ritiene inutile sfidare la fortuna e decide di avvertire il capo di quello che sta accadendo.

«Phil ho una questione non proprio chiara per le mani» esordisce con l’ispettore capo, prima di descrivergli tutti gli avvenimenti.

«All’inizio ero perplesso, ma poi leggendo un messaggio, che un certo Mark Flannagan ha scritto, non ho avuto dubbi. L’intuito mi dice che lei non se ne è andata via di sua spontanea volontà» spiega Todd usando un tono rassicurante. «A sentire Dick Smith, il responsabile della security dei residence Inn Patriot, miss Ferrari avrebbe taciuto particolari importanti su come ha trascorso il pomeriggio di due giorni fa. Forse dettagli che sarebbero decisivi nello stabilire se è stata rapita oppure no. L’amica italiana, arrivata oggi, dice che l’ha percepita reticente su Mark, come se volesse nascondere qualche segreto inconfessabile. Insomma a tutti è apparsa impaurita, ma decisa a occultare qualcosa come se volesse risolvere da sola la grana che aveva per le mani».

Todd rimane in silenzio mentre l’ispettore capo parla.

«Dick avrebbe individuato con relativa certezza chi sarebbe il presunto sequestratore» risponde a una domanda del superiore. «Io ho l’ultimo indirizzo ufficiale di questa persona. Mi autorizzi a fare una visita a Mark Flannagan per sincerarmi di avere preso una cantonata.. Però se avessi il supporto della mia squadra, John e Ricky, sarebbe l’ideale e sarei più tranquillo».

Phil rimase muto per qualche istante prima di dare il suo okay all’operazione e allertare i poliziotti richiesti da Todd.

«Mi raccomando niente colpi di testa, né azioni pericolose per l’ostaggio» afferma Phil come ultima raccomandazione. «Tenetemi informato sugli sviluppi. Kick butt

A Dick sembra sparita tutta la stanchezza al pensiero di cominciare la grande caccia. Todd rimane una sfinge, mentre prende accordi con la sua squadra.

Spediscono a letto Irene, incapace di tenere gli occhi aperti, nonostante le vigorose rimostranze di essere sveglia e per nulla stanca. Sono irremovibili su questa decisione, perché reputano che sarebbe d’impiccio e basta. Irene prima di sparire fornisce loro il numero di telefono di Simona.

Pensano che possa tornare utile per individuare con precisione dove si trova. «Non credo che abbia avuto il buon senso di spegnerlo. Lui si sente tranquillo» conclude Dick mentre prepara con Todd il piano. Si accordano con John e Ricky per dare loro le ultime raccomandazioni.

«Mi raccomando. Prudenza e niente sirene. Lui non deve sospettare di essere stato individuato. Se notate qualcosa di sospetto avvertitemi subito» ribadisce con autorità Todd.

Il piano prevede che si spostino nel quartiere dove Mark presumibilmente ha l’appartamento. Nessuna certezza ma fanno assegnamento sulla buona stella. L’indirizzo segnato sulla patente è un casermone con centinaia di appartamenti. Non è certo che questo sia ancora valido ma confidano nella buona sorte. Pertanto devono ispezionare il caseggiato per individuare le possibili vie di fuga. Solo in un secondo tempo verificheranno se abita ancora lì. Qualora Mark risieda in quell’edificio, decideranno al momento come provare a liberare l’ostaggio. Sono convinti che abbia portata Simona dove abita.

Il caseggiato è posto all’incrocio tra Lydig Ave e Williamsbrigde Rd, un po’ fatiscente e con una decina di piani e diverse centinaia di appartamenti. Troppi da passare in rassegna tutti, riflette Dick la cui fiducia sembra incrinata.

Todd si accosta alla macchina dei suoi uomini dando le ultime istruzioni, prima d’immergersi in una serie di telefonate.

«È al sesto piano. L’appartamento 617» dice con tono piatto avviandosi verso l’ingresso.

Senza troppa fatica entrano nell’edificio e si dirigono verso gli ascensori. Dick è perplesso per la facilità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Gli sembra una passeggiata ma intuisce che presto arriveranno le difficoltà. Preso dal facile entusiasmo di avere individuato la persona, dalla semplicità con la quale hanno scovato l’indirizzo tuttavia intuitivamente pensa che siano incappati in una cantonata. Dentro di sé spera che le sensazioni negative siano errate.

Davanti alla porta contrassegnata dal numero 617 sono incerti se entrare senza preavvisi oppure farsi aprire dall’inquilino.

«Cosa dici?» chiede Todd sottovoce «Entriamo forzando la serratura o suoniamo alla porta?»

Dick sente crescere dentro sensazioni negative e preferisce una soluzione più legale.

Guardano l’ora: è mezzanotte.

«Certo se non è il nostro Mark Flannagan, si prende un bello spavento l’inquilino del 617» chiosa Dick per nulla allegro.

Todd ridacchia alle parole di Dick e ribatte con la sicurezza di chi non commette errori. «Se invece lo è, il coccolone se lo piglia lui!»

Suonano e bussano con vigore. Percepiscono dei suoni strascicati che si avvicinano alla porta.

«Chi è?» chiede una voce femminile assonnata non giovanile.

«Polizia» risponde Todd agitando il distintivo davanti all’occhio magico.

Sentono trafficare con la catenella e poi due scrocchi per aprire una fessura. Allunga una mano col distintivo nel pertugio e osserva la persona che in camicia da notte s’intravvede. Scuote il capo, perché sembra che i dubbi di Dick siano realizzati.

«Cerco un certo Mark Flannagan» dice Todd usando un tono di comando. «Il suo ultimo indirizzo ufficiale è questo».

La donna dai capelli bianchi e arruffati scuote il capo in segno di diniego. «Mi spiace, ma vivo col mio vecchio, che sta su una carrozzina come un vegetale. Non conosco nessun Mark Flannagan».

Todd capisce che sta dicendo il vero ma insiste con le domande.

«Da quanto tempo abitate qui?»

«Da sei mesi. Ignoro chi abitasse prima di noi. Dovrebbe chiederlo all’amministratore. Se vuole vado a prendere l’indirizzo e il telefono».

Todd fa segno col capo di no e la ringrazia. «Andiamo di fretta. Mi spiace averti svegliata. Notte» e ritira la mano, mentre sentono richiudere la porta con due mandate.

«Oh! shit!» impreca Todd mentre si avviano a raggiungere la strada.

Intuisce di essere nella merda, perché la persona cercata è diventata un ufo mescolata a milioni di persone. Rischiano di perderci la faccia, quando un’idea balena nella testa di Todd.

«Il nostro Mark come ha fatto a scoprire l’indirizzo di Miss Ferrari?» domanda Todd scuro in volto.

«Tramite i tabulato delle chiamate! Poiché di sicuro ha chiamato per conoscere a chi corrisponde un certo numero chiamante. Miss Ferrari deve aver usato il telefono del residence per essere individuata da Mark. Possiamo usare lo stesso trucco con lui. Torniamo in ufficio ed esaminiamo i tabulati» esclama trionfante Dick.

Todd annuisce perché l’idea è giusta. Poi sarà lui a convincere la compagnia telefonica a localizzare la cellula del telefono di Mark.

La Chevrolet verde di Todd si dirige verso il residence dove esaminano i tabulati con le chiamate uscenti ed entranti. Non ci mettono molto a isolare il numero chiamato da Simona, che compare sia in uscita sia in entrata.

«Ottima mossa, Dick!» si congratula Todd soddisfatto. «Ora è il mio turno con Verizon».

Scoprono con grande sorpresa che il telefono è localizzato proprio in quel caseggiato dove si sono recati due ore prima.

«Quella vecchia megera ci ha infinocchiati!» sbraita Todd.

«Non credo. Il numero dell’appartamento forse non è 617. Ricontrolla» suggerisce Dick.

«Okay. Torniamo là. Verizon mi avverte se si sposta. Ha confermato che intorno alla dieci era nei pressi del Bryant Park, poi si è spostato in Lydig Ave dove è rimasto per circa un’ora. A mezzanotte era nel West Village, spostandosi nel Midtown West, rientrando alle due, pochi minuti fa. Lo possiamo beccare in fallo».

Sono tesi ma soddisfatti di come procede la caccia.

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