“Nostra figlia…” udì in lontananza Davide dietro la porta.
Assurdamente l’eccitazione di vedersela lì davanti viaggiava in parallelo con un dolore cupo che si andava allargando dal petto fino alla gola, che pareva stretta in una morsa.
La aprì e si trovò di fronte Sandra, scarmigliata e col viso rigato di lacrime. Le sensazioni di prima si stavano tramutando in fastidio. ‘Che autorizzazioni ha per comparirmi davanti come un doloroso ricordo del passato?’ si domandò Davide con sguardo accigliato. Si girò di scatto, dandole le spalle.
La porta era aperta, mentre Sandra stava sulla soglia. Lei era lì. Doveva esserci un senso in quella presenza. Davide non lo sapeva ma doveva scoprirlo in fretta. Era un fantasma che si materializzava all’improvviso. Non poteva lasciare dubbi dentro di sé.
Il rumore della porta, che si chiudeva, lo fece sobbalzare. Sandra l’aveva accostata con delicatezza e vi si era appoggiata con la grazia e l’abbandono di un bambino sul punto di assopirsi.
“Tua figlia se ne è andata” aggiunse con un filo di voce.
Troppi concetti per una frase sola, e così breve per giunta, fu il pensiero di Davide.
“Come se ne è andata?” domandò, continuando a voltarle le spalle.
Avvertì solo un respiro rauco, interrotto dai singhiozzi. Si voltò per fissare in viso Sandra, che aveva il volto rigato dalle lacrime. Davide avrebbe voluto scuoterla, farsi spiegare quell’affermazione ma non riuscì a dire nient’altro. Si limitò a osservarla.
Lui in piedi impietrito da sensazioni dolorose. Lei accasciata per terra con le spalle appoggiate alla porta.
Davide percepì sul palmo la sensazione di lanugine calda della testolina della sua bambina, quando la portarono su dal nido dopo la nascita. Era grande e teneva su la testa, già curiosa e avida di vedere e sapere. Sandra non sapeva che fosse lì. Non glielo avrebbe permesso. Non poteva non vedere sua figlia, che da poche ore era venuta al mondo.
Era l’unico flash che aveva di lei. Poi un buio che dura da vent’anni. Adesso Sandra si presentava alla sua porta a invocare il suo aiuto. ‘Per cosa?’ si chiese Davide, socchiudendo gli occhi. ‘Se ne è andata, perché è morta oppure per qualche motivo ha lasciato la casa di Sandra?’ Era questo il suo dubbio che Sandra non aveva voluto chiarire. Si girò per osservarla.
Sandra era ancora una bella donna. Aveva cinquant’anni portati con dignità e decoro. Adesso era una pantera grigia, capace di essere una cacciatrice pericolosa. Lui aveva perso qualche capello, mostrando una incipiente calvizia. Quelli che restavano erano bianchi candidi. ‘Ma cosa ha fatto in tutti questi anni?’ sospirò Davide, tornando al quesito irrisolto, mentre corrugava la fronte. ‘Ma ora perché è qui?’
Ritornò indietro negli anni, quando lui e Sandra vivevano insieme. La bella favola era durata poco, schiantata contro un muro, composto da una miriade di incomprensioni, recriminazioni e sospetti. Lui sapeva di non avere nulla di cui vergognarsi, nulla di importante. ‘Ma cosa è rilevante e cosa non lo è in un rapporto a due?’ si era chiesto allora, quando Sandra se ne andò. Era la medesima domanda che stava per rivolgere a se stesso, vedendola con lo sguardo spento di una persona sconfitta.
L’unica certezza era che un giorno Sandra portò via il suo pancione e il suo odore, lasciando i suoi yogurt nel frigo. Da quel momento sparì. Solo casualmente seppe che era nata Sofia, perché un amico medico, che lavorava in ginecologia, lo avvertì del parto di Sandra. Era giusto che lo sapesse.
La corsa in ospedale fu diversa da come l’aveva immaginata. Da solo, col cuore in gola. La sensazione calda di quella testa di bimba, tutta nel suo palmo.
“Mettila giù” disse Sandra con lo sguardo gelido e vigile. “Subito”.
Lei non ebbe bisogno di gesti o di alzare il tono. Era già fin troppo imperiosa così, nonostante avesse partorito da poche ore. D’istinto Davide la strinse al petto.
“È anche mia” disse Davide, guardandola di sbieco. “Non puoi dirmi questo”.
“No, non lo è!” fece Sandra, chiudendo gli occhi.
Sofia la vide quel giorno e poi mai più.
Come un dèja vu Davide percepì l’angoscia di quel giorno, il mesto ritorno a casa, il pianto di rabbia e di impotenza. Fu determinato nella voglia di ricostruirsi una vita ma era anche sgomento, perché avvertiva la sensazione di non riuscirci.
Si riscosse. Tornò a guardare quella donna accasciata per terra. Chiedeva un aiuto, ignorandone i motivi. Non aveva spiegato nulla. Solamente che Sofia era andata. ‘Certo non l’ha detto’ fece Davide, avvicinandosi per alzarla da terra, ‘Ma è di sicuro sparita nel nulla come lei da questa casa’.
Formalmente erano ancora marito e moglie. Nessuno dei due aveva chiesto né la separazione, né il divorzio. Strana sensazione provò Davide. ‘È come se fosse rientrata dopo avere fatto la spesa sotto casa’. Scosse il capo, perché alla fine non era cambiata per nulla in questi anni. Era rimasta come la ricordava. Sandra doveva spiegare troppe cose. Dai motivi, per i quali se ne era andata, a cosa aveva fatto in questi vent’anni e per finire perché chiedeva il suo aiuto.
“Vieni” le disse Davide, sollevandola per un braccio.
Si sedettero accanto sul divano. Sandra si guardò intorno alla ricerca di ricordi familiari del passato. Ripassò lo sguardo due volte su oggetti e mobilio, senza cogliere nulla di familiare.
“È cambiato tutto” sussurrò Davide, che aveva intuito cosa cercasse con gli occhi.
Sandra annuì col capo. Davide aveva cancellato dalla loro casa ogni segno che potesse ricondurla alla loro unione. Lei chiuse gli occhi, perché non voleva umiliare il suo orgoglio con delle lacrime riparatrici.
Davide la sfiorò con lo sguardo, cercando le parole, oltre che ai pensieri, per lenire il suo stato d’animo.
“Racconta” le disse secco. Doveva sapere e finora era rimasto all’oscuro su tutto.
Al resto avrebbero pensato dopo. Agli anni persi, agli abbracci mancati, alla solitudine di uomo single. Per questi ci sarebbe stato tempo alla fine del racconto, adesso c’era altro. Più importante. I motivi per i quali Sofia se ne era andata.
“Abbiamo fatto tre giorni fa una litigata feroce” iniziò Sandra con un filo di voce. “Ha sbattuto la porta. Se ne è andata via con la macchina, facendo urlare le gomme”.
Davide sorrise. ‘Come potrebbe Sofia essere diversa dalla madre’ sogghignò divertito. ‘Il DNA non mente’. Ricordava bene le liti furibonde tra loro, che per poco non terminavano con l’arrivo dei carabinieri. Le porte sbattute con violenza. Le sgommate dell’auto. Un copione visto molte volte nei due anni da marito e moglie. Adesso Sofia lo ripeteva con sua madre con le medesime modalità.
“E poi?” suggerì Davide per stimolarla a parlare per comprendere i motivi del litigio e del perché Sandra era vicino a lui.
“Poi?” disse Sandra, alzando lo sguardo su di lui. “Niente”.
Per lei sembrava sufficiente quello che aveva detto. Era inutile sprecare parole.
“Come niente?” fece Davide, spalancando gli occhi per la sorpresa.
Un litigo finito nel nulla. Davide scosse la testa. Sandra non era cambiata. Era sempre la stessa. Quando ritornava, una volta sbollita l’ira, non c’era mai staro niente. Tutto era normale. Semplici incomprensioni sulle quali non c’era nulla da discutere.
“Per questo fai una tragedia?” domandò Davide sempre più basito dal comportamento di Sandra. “Se non c’è nulla ma un semplice litigio, perché sei qui vicino a me dopo vent’anni di silenzio?”
“Sa tre giorni ignoro dove sia” spiegò Sandra, che si stava ricomponendo e riprendendo il suo aplomb.
“Hai provato a cercarla?” chiese Davide, alzando il tono della sua voce. Scosse la testa. ‘Sempre così. Non è cambiata’ pensò, osservandola.
“Perché credi che sia qui?” fece Sandra, agitando le mani. “Qui a umiliarmi davanti a te?”
Lui la guardò di sbieco. Si era presentata chiedendo il suo aiuto e adesso affermava di essersi umiliata. Il conto non gli tornava. Non era l’assenza di tre giorni a preoccuparla ma qualcosa che non voleva rivelare. ‘Perché?’ si chiese con lo sguardo accigliato.
“Ma il motivo del litigio si conosce?” disse Davide leggermente alterato. “Oppure anche quello è niente?”
Sandra aprì la bocca e poi la richiuse, stringendo le labbra. Davide dava segni di impazienza. Si alzò e camminò nervosamente per la stanza. ‘Che vuole questa donna da me?’ pensò scuro in volto, mentre stava decidendo se metterla alla porta. La sua presenza gli aveva già rovinato la giornata e forse anche i prossimi mesi. Vedendola, l’amore assopito dentro di lui stava rialzando la testa in modo pericoloso. Ci aveva messo del tempo per scacciare la sua immagine dagli occhi ma era stato sufficiente vederla, perché tornasse di prepotenza a galla. Doveva agire prima che fosse troppo tardi.
Stava per afferrare Sandra e scuoterla con vigore, quando il campanello squillò. Si fermò di botto. Guardò in direzione della porta.
“Quale altro intruso si permette di rompere?” sbottò irosamente, andando ad aprirla.
C’erano due persone, che si tenevano per mano. Un uomo non più giovane e una ragazza di circa vent’anni, che varcarono la soglia senza curarsi di Davide. Lui rimase impietrito dalla sorpresa e per la rabbia di un’intrusione non gradita senza chiedere il permesso di entrare.
“Cosa fai qui?” apostrofò Sandra la ragazza, guardandola.
“Come sapevi che ero qui?” ribatté Sandra, che imporporò il viso per la collera.
Davide chiuse la porta e si domandò chi fossero questi due. ‘Perché diventa rossa?’ pensò. Non capiva nulla e sperò che ci fossero delle spiegazioni.
“È stata Bea a darmi questo indirizzo” replicò acida la ragazza, che teneva per mano un uomo ben più vecchio di lei. “Quando ho esauriti tutti quelli che conoscevo”.
“Solita impicciona, Bea” commentò Sandra, che faticava a controllarsi.
La ragazza finalmente si degnò di osservare Davide, come se fosse lui l’intruso in quella casa. Lo sguardo era fiero e le labbra fremevano per il nervosismo.
“E quello chi è?” domandò a Sandra la ragazza, indicandolo col viso.
“È tuo padre” disse ridendo.