Andando in treno

Andare a vivere in un romanzo inedito aveva i suoi vantaggi. Tutte le noiose banalità quotidiane che sbrighiamo nella vita reale intralciano lo scorrere della narrazione e quindi sono in genere evitate. L’automobile non aveva bisogno di fare il pieno, al telefono non si sbagliava mai numero, c’era sempre acqua calda a sufficienza e c’erano solo due tipi di aspirapolvere quello verticale e quello che ci si trascina dietro. C’erano altre differenze più sottili. Per esempio, non ti dovevano mai ripetere una frase perché non l’avevi capita bene, non c’erano due persone con lo stesso nome, non si parlava mai contemporaneamente né si aveva il fastidio di avere una parola sulla punta della lingua. Soprattutto, sapevi sempre chi era il cattivo. Ma c’erano anche alcuni svantaggi. Una carenza di colazioni…”1
 
In realtà non le ho scritte io queste poche battute ma le leggevo seduto in treno mentre andavo a Milano per incontrare una persona importante, almeno per me.
Immerso nei miei pensieri, viaggiavo in incognito e non sapevo il perché o meglio non volevo rivelare la mia vera identità ai miei compagni di viaggio.
Sono un vincente e non amo le sconfitte ma questi non sono gli argomenti dei miei pensieri in questo momento. Sembro un viaggiatore qualsiasi ma in realtà sono un editor di fama. Devo raggiungere l’autore di un romanzo che avrà sicuramente successo. Il mio editore mi dice che sono arrivate centomila prenotazioni. Ma credo che abbia esagerato. In Italia il successo comincia a diecimila copie e sono pochi i romanzi che superano questa quota”.
Dunque ero sprofondato in queste elucubrazioni mentali, che qualcuno ama chiamare con altro nome, quando ripercorrevo la storia di questo romanzo.
Il mio editore, del quale non rivelerò il nome, una mattina di novembre mi chiamò al telefono.
«Pietro» mi disse aprendo la comunicazione. «Ho un manoscritto inedito che mi è arrivato per vie traverse ..».
«Marco, non me la dai da bere. Se l’hai accettato, vuol dire che lo sponsor era forte. Tu cestini i romanzi inediti se non sono accompagnati da una nota veramente valida. O l’autore è qualcuno della casta o per qualche imprescindibile combinazione una persona con gli attributi ti ha imposto di leggerlo. Ti conosco da troppo tempo per non conoscere come operi».
«Pietro non complichiamo le cose senza far polemiche sterili. Il manoscritto è nelle mie mani e tu devi leggerlo. L’incipit mi pare favoloso. Potremmo avere per le mani il caso letterario dell’anno. Te lo spedisco per fax ..»
«Sarai impazzito? Vuoi intasarmi il fax? Se è solo cartaceo, scannerizzalo e mandami il file».
«E va bene. Come vuoi tu, Pietro. Però perderò un sacco di tempo ..»
«Per quando vuoi il mio parere?»
«Se fosse per me, immediatamente. Però restando serio, una settimana dopo la ricezione del manoscritto ..»
«Veramente io intendevo del flusso scansionato. Non del cartaceo. Comunque vuoi solo un parere positivo o ..»
«Oppure hai chiuso con me. Vedo che sei ancora sveglio. Domani sulla tua scrivania troverai il pacco col romanzo» e chiuse la conversazione senza nemmeno salutarmi.
In realtà il romanzo era veramente ben scritto e avrebbe incuriosito anche il lettore più scafato e difficile. Trattava di una vicenda ai limiti del normale o forse era più corretto ammettere che era una storia del paranormale per nulla ingenua ma ben costruita. Ambientata nei giorni nostri, era incentrata sulla figura di un giovane, Paolo Morieri, morto nel 1943, che si era presentato sull’uscio dello scrittore, pretendendo mille lire che gli aveva prestato qualche mese prima. Il personaggio al momento della morte aveva solo vent’anni ma era l’erede di un impero finanziario che avrebbe potuto comprare tutta l’Italia. Insomma avrete compreso che pareva una trama inverosimile come se un morto fosse resuscitato dopo sessant’anni e il tempo non avesse avanzato di un secondo. L’aspetto anomalo era che lo scrivente non era ancora nato nel 1943! Era un autentico grattacapo, del quale non vi svelerò la fine. Vi toglierei il gusto di leggerlo.
Lo scrittore, Alberto Arduini, era un famosissimo ricercatore del paranormale, una specie di medium, un’autentica autorità in quel campo. Avevo capito perfettamente perché il mio editore volesse un parere assolutamente positivo sul manoscritto. Era una vera bomba editoriale. Dovevo riconoscere che aveva avuto l’imbeccata giusta.
Sei mesi più tardi l’editore mise in moto tutta la batteria dei pubblicitari e dei critici letterari, il marketing al gran completo e dichiarò che aveva prenotazioni per oltre centomila copie. L’intera tiratura iniziale sarebbe andata esaurita nel giro di pochi minuti. Già vedevo le code prima delle aperture delle librerie, un po’ era capitato coi romanzi di Henry Potter.
Io non ho mai creduto a quel numero ma si sa che sono diffidente. Però oggi è il gran giorno. Il libro è stato stampato e fa bella mostra nelle vetrine di tutte le librerie d’Italia”. Stavo andando a conoscere l’autore e avevo preso con me una decina copie, che distribuì ad alcuni viaggiatori, selezionati secondo il mio intuito come i più idonei a leggerlo, presenti sul ETR1000 che collegava Roma a Milano. Volevo vedere come reagivano alla lettura del romanzo.
Dopo qualche tempo osservai le persone che avevano ricevuto una copia e rimasi interdetto.
Vedo che la prima copia, donata alla ragazza carina e sveglia qualche posto davanti a me, è usata come tavolino per una partita a battaglia navale con il compagno che le sta davanti. L’anziana signora, destinataria della seconda, lo sta sfogliando distrattamente come se fosse annoiata. L’unico che lo sta leggendo avidamente è un signore dai capelli bianchi e dal viso ancora giovanile, sistemato accanto a me”.
Continuavo a rimuginare i miei pensieri, pensando che forse le centomila copie fossero molto meno. A parte il viaggiatore accanto a me, gli altri non parevano eccessivamente interessati al libro. Anzi a dirlo in tutta schiettezza non gliene importava nulla. Avevano preso l’omaggio ma avevano preferito tornare alle loro occupazioni abituali. Chi leggeva la Gazzetta dello Sport, chi correggeva le bozze di qualcosa di più importante del romanzo.
Ero profondamente deluso e mi stavo incupendo alquanto pensando a quello che avrebbero scritto su Anobii. Era vero che molti guardavano con sospetto a quella comunità di lettori, che definivano saccenti e criticoni ma alla fine la loro opinione valeva molto di più di tanti prezzolati critici che scrivevano quello che detta loro l’editore.
Chiusi gli occhi mentre il paesaggio della Toscana scorreva rapidamente dal finestrino. Mi assopì ma forse fu solo un attimo perché rividi quello che era rimasto impresso prima di chiuderli. Solo il viaggiatore accanto a me continuava a leggere senza posa il romanzo, mentre la ragazza diceva «A2». Udì in risposta «Colpito». La battaglia navale era più interessante del Caso strano di un creditore fantasma, il titolo del libro.
Visto che non alzava gli occhi, né prestava attenzione alla hostess, che voleva offrire un quotidiano e qualcosa da bere e mangiare, decisi di parlare con lui.
Vedo che la sta appassionando” dissi cordialmente.
L’uomo alzò la testa dal libro e mi fissò con attenzione come se lo avessi distolto dall’occupazione più importante della sua vita.
Ripetei la domanda. “Interessante?”
Interessato!” replicò con voce chiara e decisa. “Interessato!” replicò come se non avessi udito la prima risposta.
Veramente notevole è la storia! Pare quasi che il protagonista morto abbia passato il suo tempo a dettare le pagine a suo zio” aggiunse con tono secco.
Concordai con lui sul tipo di risposta, annuendo vistosamente.
Forse dipende da dove si trova il protagonista ..” dissi convincente muovendo il capo.
Secondo lei dove si trova ora il protagonista?”
Forse in paradiso oppure in purgatorio ..”
E non perché all’inferno?” domandò, osservandomi con quegli occhi acquosi da vecchio.
Non mi sembra il posto adatto .. Non mi pare che in vita abbia combinato chi sa quali malanni o sfracelli da meritare ..”
Sì, sì” disse come per convincermi che non fosse il posto giusto per Paolo Morieri, il protagonista della storia.
Lei cosa pensa? Paradiso o purgatorio?” chiesi con delicatezza.
In paradiso forse no ma in purgatorio lo vedo benissimo. Ma in realtà lo vedo meglio ..” replicò con pacatezza, mentre gli occhi brillavano come se avessero riacquistato lucentezza.
Dove, se non sono indiscreto” lo sondai con cautela. Il suo pensiero mi incuriosiva e in un certo senso stimolava la mia vanità professionale.
A Vigevano” rispose senza tradire una benché minima emozione.
Lo scrutai con attenzione mentre sobbalzavo per l’affermazione.
A Vigevano? E perché?”
Se si trovasse in purgatorio, sarebbe stato un piccolo errore ma se è Vigevano ..”.
Ma cosa c’entra Vigevano con il Caso strano di un creditore fantasma?”
Nulla. Infatti. Se però si trovasse a Vigevano..”.
Ma non si trova a Vigevano” replicai alzando la voce.
La ragazza, che stava giocando a battaglia navale, si distrasse alla mia esternazione e invece di dire «A3» e mettere fine alla partita urlò «A9». «Hai perso!» replicò di rimando il compagno.
In realtà non si trova a Vigevano ma sta passando da Bologna”.
Ebbi l’impressione che il nervosismo stesse travolgendo le mie difese ma che quello che stava affermando era in qualche modo collegato al Caso strano di un creditore fantasma. L’intuito non mi aveva mai tradito e anche stavolta mi stava mettendo in guardia. Lo osservai con maggiore attenzione e aspettai che dicesse qualcosa.
Forse qualche influenza astrale ..” cominciai cautamente, visto che era ammutolito.
Basta!” replicò mettendosi eretto. “Sembra che da un mese a questa parte io sia diventato il caso nazionale di signore, attratte dal paranormale e da signori caustici e diffidenti in tutta Italia sui giornali e in TV. Signore, si da il caso che io sia Paolo Morieri. Non sono morto. E non sono mai stato morto. E quando morirò nel giorno che mi sarà destinato, dopo aver letto questo libro, non percepirò di essere al sicuro in nessun luogo dove mi metteranno!”
 

1Incipit tratto da “Il pozzo delle trame perdute” di Jasper Fforde- ed. Marcosy Marcos, trad. di Daniele A. Gewurz, pagg. 400 17€ – Jasper Fforde 2003 – Marcos y Marcos 2007

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Alba muore sul far del giorno

Buio. Terrore dipinto sugli occhi. Alba spalanca gli occhi nel tentativo di vedere il nulla. L’aguzzino ha smesso di tormentarla, ma sente ancora la lama rovente inciderle la carne, i seni, il pube. Le ferite bruciano come aghi di spillo, mentre strisce di sangue rappreso raggrinza la pelle. Legata senza possibilità di muoversi ma libera di urlare tutta la disperazione che ha nel corpo, percepisce qualcosa che scivola sul piede nudo.
Un urlo e un veloce squittire vola nell’aria. L’ansia, la paura, il panico muore nella gola. Spera che il carceriere finisca la sua opera e scenda il silenzio. L’ orrore accelera i battiti, le tempie sembrano esplodere, mentre qualcosa di morbido striscia sulla gamba.
“Ecco perché non torna! Vuole assistere alla mia agonia, ridendo di me, mentre muoio di paura!”.
Il cuore batte impazzito, mentre l’urina scivola calda sulle ferite. Brucia come la carne sul fuoco ma senza l’odore del bruciato.
Si dimena, urla, invoca aiuto che si perde nel vuoto del buio. Però loro diventano sempre più intraprendenti. Annusano, leccano, mordicchiano, mentre lei impazzisce nel panico.
Nuove ferite ulcerano la pelle che sanguina e gocciola sul pavimento. E’ in piedi addossata alla parete, nuda e indifesa, mentre la mente non comanda più nulla.
La voce muore nell’oscurità. Il cuore accelera ancora e produce un rumore sordo. Bum! Bum! Il dolore sovrasta i pensieri, la testa sembra esplodere come un petardo, mentre mille denti aguzzi trafiggono la carne.
Un ronzio penetra nelle orecchie, la bocca si secca come un torrente d’estate, un fiotto di sangue esce dal naso.
Altra urina inonda il pavimento mescolandosi al sangue che copioso zampilla dalle mille lacerazioni che compaiono sul corpo. La mente vaga mentre le forze lentamente svaniscono. Il terrore scivola dentro di lei che si aggrappa alla speranza che l’aguzzino sia mosso a pietà.
E’ orribile spegnersi in quel modo ma paga la fiducia concessa con troppa leggerezza. “Solo ieri ero allegra e spensierata, ma ora sono avvizzita come un fiore reciso da tempo”.
Anche gli ultimi pensieri volano via tra sussulti e dolori. Il cuore decelera all’improvviso. Il respiro diventa affanno. La bocca annaspa nell’aria. La testa reclina di lato.
Alba muore sul far del giorno.

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Dalla finestra scorgeva un ciliegio giapponese

Dalla finestra si scorgeva nel giardino vicino un ciliegio giapponese tutto rosa per i fiori sbocciati dopo il lungo inverno. Faceva contrasto con la quercia, piantata sulla pubblica via, ancora implume con piccole foglie di un bel verde smeraldo. Un piccolo uccello colorato si posò sui rami quasi nudi della quercia.
Marco si sforzò di indovinare quale fosse il suo nome, mentre c’era un via vai di gazze, che volavano intorno al ciliegio.
Era appoggiato alla testata del letto e ripensava alla sua infanzia, alle gioie ma anche ai dolori. Sogni e amori si mescolavano fra loro ma tutto rimaneva impastato come la farina nelle mani del fornaio prima di trasformarsi in un pezzo di pane.
Gli sarebbe piaciuto conoscere il mondo, viaggiare e sognare terre lontane ma viveva di lavori precari. Era un giorno senza chiamate che lo costringeva a rimanere a letto a rimuginare sulla sua vita.
Il contrasto tra l’intensa fioritura del ciliegio e il timido risveglio della quercia era uguale a quello che provava dentro di sé. Avrebbe voluto ma non poteva. Aveva amato ma adesso era solo. L’ultimo lavoro si perdeva nei ricordi mentre attendeva invano uno squillo.
«Sig. Marco Pinotti? Sono Marta del Objob. Le telefono perché ..». Era il dialogo immaginario che si aspettava ogni giorno da troppo tempo, ma quelli passavano e il telefono rimaneva muto.
Marta era una simpatica ragazza, che aveva conosciuto vagando tra gli uffici dei lavori interinali. Aveva più o meno la sua età, almeno questa era la sua valutazione. Di statura non definita, l’aveva vista sempre seduta, e una zazzera riccioluta del colore del grano maturo erano due particolari fisici che gli erano rimasti impressi. Si sorprese a pensare solo a quelli come se il resto del corpo non esistesse.
Avrebbe desiderato invitarla a mangiare una pizza ma le finanze personali gli impedivano di sgarrare dal budget giornaliero. Una pasta condita con un poco di sugo accompagnata da una verdura, quella a più buon mercato, era il pasto principale del mezzogiorno. Alla sera un frutto e qualche cracker per scacciare i morsi della fame. Il resto dei pochi risparmi era destinato al fitto del monolocale e alle bollette che puntuali, come un orologio svizzero, arrivano tutti i mesi.
Ormai stava raschiando il barile e se non arrivava una chiamata doveva dichiarare default. Questi grigi pensieri erano in contrasto con la tiepida giornata primaverile che si annunciava serena.
Non aveva nessuna voglia di alzarsi.
“Dove vado? A guardare le vetrine scintillanti di offerte e gadget che non posso permettermi? A desiderare qualcosa che rimarrà un sogno?” erano questi i pensieri dominanti.
Marco continuava a osservare quel piccolo volatile colorato che saltava di ramo in ramo beccando ogni tanto qualche piccolo insetto.
“E’ dura la vita, amico? Però almeno tu puoi volare libero e cercarti del cibo. Io dipendo invece dagli altri, dai loro umori, da altre mille limitazioni. Vorrei librarmi senza vincoli nell’aria e osservare il mondo da quel punto di osservazione ma non posso”.
Poi posò lo sguardo sulle gazze che parevano divertirsi e giocare tra loro in un balletto sfrenato e simpatico.
Un pizzico di scoramento lo avvolse tanto che l’idea di abbandonare quella città e rifugiarsi tra le vecchie mura di casa prese forma. Per lui sarebbe stata una sconfitta cocente.
Era partito con una minuscola valigia, piena di sogni, verso la grande città, convinto di spaccare il mondo. Però subito dovette combattere per mantenere il posto per pagare tutto lo stretto necessario per vivere. Lavorava molte ore, facendo economie su qualsiasi cosa.
Un giorno, arrivato davanti al cancello, lo trovò sbarrato con appeso un asettico volantino: «La società chiude per fallimento» con uno strano timbro inchiostrato.
“Come chiude?” si domandò ad alta voce osservando gli altri compagni di lavoro ugualmente sgomenti che si assiepavano attorno a lui.
“E’ fallita. Non lo sapevi?” disse uno alla sua destra.
“E adesso?”.
“Cercati un altro lavoro” replicò asciutto un operaio dalle mani grinzose.
“E i miei soldi?” continuò smarrito Marco.
“I nostri soldi? Forse qualche spicciolo tra qualche anno, se ne rimangono” disse amareggiato un omone con le mani in tasca.
Dal quel giorno cominciò il suo calvario. Un lavoro di due giorni come garzone di una panetteria, un mese come operaio a scaricare merci, quindici giorni come lavapiatti. L’elenco era lungo e non valeva la pena di rinvangarlo.
Passeggiando per una via stretta vicino al centro, lesse un cartello «Objob – Il tuo posto per trovare lavoro». Scrutò la vetrina dove erano appesi i soliti cartellini, ormai ingialliti dal tempo e dal sole che batteva spietato d’estate.
Spinse l’uscio ed entrò.
“Buongiorno” disse cortese, piazzandosi davanti alla postazione, dove una bionda riccioluta stazionava davanti a un monitor.
“Ciao, sono Marta. In che cosa posso esserti utile?” rispose alzando due splendidi occhi blu.
A Marco mancò la parola nel vederla. Deglutì in fretta, passò la lingua sulle labbra per umettarle e rispose un po’ incerto.
“Stavo cercando un lavoro ..” disse, pensando che era una risposta insulsa. Se era lì, era alla ricerca di un’occupazione. Senza dubbio Marta meritava una visita anche senza quella necessità, che stava diventando impellente.
“Sì, ho capito. Che tipo di lavoro? Cosa sai fare?” replicò con dolcezza mostrando uno splendido sorriso.
“Beh! ho lavorato per tre anni in una fabbrica di minuterie metalliche come ..” e si interruppe incantato prima di completare il discorso.
“Ero assegnato alla selezione dei pezzi. Un lavoro delicato. Poi l’azienda è fallita e ho svolto molti lavoretti. Garzone, operaio, cameriere,..”.
“Ho compreso” lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente la fronte.
Marco la trovò deliziosa. Quasi stava dimenticando il motivo per il quale era entrato.
“Non hai trovato niente di meglio?” chiese curiosa e sorpresa.
“No, purtroppo. Tutti, per quel lavoro, chiedevano una laurea. Sai, ho solo il diploma di un istituto professionale per l’industria e artigianato. Ero bravo ma sembra che sia servito a poco” disse Marco amareggiato.
Marta abbassò lo sguardo e cominciò a cercare qualcosa.
“Mi spiace ma non c’è nulla che possa fare al tuo scopo. Se vuoi lasciarmi i tuoi dati, nel caso che ..”.
Lui la guardò smarrito e disse che avrebbe accettato un qualsiasi lavoro perché non poteva rimanere ancora senza un’occupazione.
La ragazza gli diede alcuni indirizzi. Una piccola scintilla sembrava scoppiata tra loro, almeno questa era l’impressione di Marco. Gli lasciò i suoi dati e il numero di telefono.
“Se capita qualcosa, ti chiamo. Ciao” e si salutarono.
Lui stava aspettando questa telefonata, perché quegli indirizzi erano stati solo fonte di delusioni cocenti. Lavori umilianti, sottopagati. Però era meglio di niente. Si esaurirono in breve e adesso era in attesa. I soldi stavano finendo senza nessuna prospettiva a breve termine. Aveva cercato anche in altre agenzie di lavoro interinale ma la risposta era stata sempre la medesima «non abbiamo nulla per lei». Aveva provato a inviare qualche curriculum ma tutto era rimasto muto. La crisi stava mordendo tutti e nessuna si sbilanciava ad assumere, anche temporaneamente, qualcuno.
Continuò a guardare gli uccelli che volavano liberi da un ramo all’altro, dal ciliegio alla quercia. Era deluso e amareggiato quando risuonò una musichetta familiare, quella dei Doors. Osservo il display «numero privato» e toccò il tasto verde per rispondere.
“Ciao! Sono Marta. Ti ricordi? Quella del Objob ..” e fece una pausa.
“Ciao! Certo che mi ricordo di te!” rispose entusiasta, risollevandosi dal triste mutismo che l’aveva travolto.
“C’è una buona opportunità! Cercano una figura professionale come la tua. Contratto a progetto. Mesi sei. 1200€ al mese circa con buone prospettive per il futuro ..”.
“Oh!” fu l’unica risposta di Marco.
“Ma di questo ne parliamo dopo. Volevo invitarti a mangiare la pizza ..” continuò la ragazza.
Lui fu colto dal panico. Fece un rapido calcolo: in cassa rimanevano disponibili solo 100€. Dunque era impensabile uscire con Marta.
Stava per dire qualcosa, quando riudì la voce della ragazza.
“Volevo dirti. La pizza la preparo io. La mangiamo a casa mia, se sei libero”.
Marco guardò fuori. Sulla quercia quel piccolo uccello colorato continuava il suo banchetto, mentre le gazze stridevano felici sul ciliegio.
“Sì! Vengo volentieri! Ho due coke in frigo. Per festeggiare”.
La ragazza riassunse il suo tono professionale.
“Se mi dai l’okay, puoi cominciare domani. E’ una bellissima opportunità! Devi portarti solo il libretto di lavoro. Stasera ti spiego tutto. Alle otto”.
“Dove? Non so dove abiti” replicò prima che lei chiudesse la conversazione.
“E’ vero! In via della Vittoria, 13. Sai dove si trova?”.
“Sì. Alle otto. Ma quale campanello suono?”.
“Che sbadata! Mi sembra di conoscerci da una vita e do per scontato che tu sappia tutto! Mercuri. Terzo piano interno 15. Ciao! Ti lascio. E’ entrato qualcuno”.
A Marco sembrò di udire uno schiocco di labbra prima del segnale di libero.

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.. E lei fu lì..

..E lei fu lì. All’improvviso. Comparve dal nulla con il suo volto, il suo sorriso e quegli occhi che lui adorava. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima ma ogni volta gli pareva che uscisse dal bianco della carta o che affiorasse come se infrangesse una leggera crosta di ghiaccio. Doveva solo inclinare la bacinella affinché il liquido portasse a termine il miracolo: come per magia dove prima non c’era nulla, adesso c’era qualcosa. Poi lei compariva e lo fissava. Era l’istante impalpabile tra il vuoto e il pieno che gli rimaneva appiccicato a dosso come il miele sulle mani..
Marco spense la luce nell’anticamera prima di entrare nella camera oscura. Una tenue luce rossastra illuminava debolmente la stanza. Sembrava quei film di una volta, in bianco e nero, dove il protagonista sviluppava in un’atmosfera torbida negli aspetti. Si muoveva con sicurezza adattandosi alla scarsa luminosità con naturalezza. Una fila di cartoncini gocciolanti erano appesi a un filo che attraversava la stanza.
Li ignorò mentre riempiva la bacinella col liquido di sviluppo. Aveva un’altra serie di negativi da stampare con un unico soggetto: lei, la donna dei suoi sogni. Infilò il rullo nell’ingranditore senza tentennamenti. Si fermò un attimo a respirare prima di procedere con la stampa. Verificò che tutto fosse in ordine: bacinella, carta, filtri, rullo.
Marco odiava le moderne macchine digitali, perché diceva che perdonano tutti gli errori. Era rimasto fedele alla vecchia Fuijca Az1, un reperto archeologico nel mondo del digitale. Faceva sempre più fatica a trovare la pellicola giusta, specialmente quella in bianco e nero. Gli amici ridevano per le sue fissazioni. Però lui scuoteva la testa come per scacciare insetti fastidiosi. Per lui la fotografia era rimasta ai tempi di Frank Capa.
Ormai faceva tutto da solo dallo sviluppo del negativo alla stampa delle fotografie che riteneva ottimali. Non poteva sopportare la stampa meccanica, quasi industriale che ormai tutti praticavano. Aveva comprato per questo scopo un’attrezzatura di seconda mano, dismessa da uno studio fotografico, che si era convertito alle moderne teconlogie. L’aveva pagata pochissimo, qualche centinaio di euro, ma era come se fosse una Rolls Royce. Qualcosa di straordinario, di gran lusso dal valore inestimabile.
“Stampano anche l’aria” bofonchiò arrabbiato mentre lavava la pellicola dopo il procedimento di sviluppo, facendo attenzione che non rimanesse nemmeno una goccia di solvente.
“Non c’è il minimo pathos. Tutto meccanizzato con il prodotto finale inscatolato nella busta col solito CD delle miniature e delle foto in formato jpeg”.
Odiava quel mondo asettico e privo di anima, dove contava solo la velocità e la quantità di materiale trattato. Lui voleva trattare i singoli fotogrammi uno per uno, soppesandone le qualità. La fotografia doveva essere un’opera d’arte da lasciare in eredità a chi sarebbe venuto dopo di lui.
Appese la pellicola al filo e con phon la seccò con cura e delicatezza come se stesse asciugando i capelli dell’amata. Eva aveva una morbida cascata rossa, ondulata come il mare sotto la spinta di una leggera brezza. Marco si fermò un istante pensando a lei. Poi riprese a passare il getto caldo con attenzione, affinché non vi rimanesse una stilla di umidità.
Lei gli riempiva la mente con il suo sorriso, il suo corpo morbido e minuto, con quella chioma vaporosa e intrigante. Però erano soprattutto gli occhi, quelli che lo ammaliavano di più.
Con questi pensieri si avvicinò all’ingranditore, mettendo un nuovo fotogramma tra l’obiettivo e la luce. Si concentrò sulla messa a fuoco, anche se l’immagine della donna continuava a galleggiare eterea e impalpabile dinnanzi agli occhi.
Dopo aver armeggiato cautamente e pazientemente con l’obiettivo, coi filtri, si sentiva pronto a stampare la prima foto. Era ancora una volta il viso di Eva, colto mentre faceva una dei suoi sorrisi mozzafiato.
Un flashback apparve all’improvviso nell’osservare quel viso.
Era una domenica, qualche settimana prima per la precisione. Loro si trovavano nella pineta di ritorno dall’escursione domenicale al mare. Era una giornata ventosa che mitigava la calura di luglio. Un tipico giorno popolato dal quel turismo mordi e fuggi che ormai era diventato una costante in tempo di crisi. Mentre le ombre giocavano a rimpiattino con suo viso, Marco puntò l’inseparabile reflex verso di lei.
“Oh! No!” esclamò spalancando gli occhi in quel momento in ombra.
“Oh! Ancora una! Non ti stanchi mai?”
“No.” replicò dopo una serie di scatti in rapida sequenza.
L’abbronzatura dorata del corpo veniva valorizzata dal pareo azzurro che l’avvolgeva come un fascio di rose.
Eva si strinse a lui, facendogli sentire il profumo del suo corpo: un misto di crema solare e odore pungente che emanava sensualità. Marco inalò quell’effluvio di aromi che lo eccitarono. Si sarebbe fermato in quel tratto di pineta per fare all’amore con lei incurante delle persone che stavano intorno a loro ma proseguì.
Marco scacciò questi pensieri per concentrarsi sulla stampa della fotografia. Il timer suonò e spense la luce, mentre lui afferrò il cartoncino bianco e si avvicinò alla bacinella per lo sviluppo.
Ricominciava la magia del non c’era e del c’era.

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Amanda 48

Il Consiglio delle A era riunito al gran completo sotto un tetto di stel-le. Pietro sedeva a capotavola affiancato da una donna, che si stringe-va a lui felice. Non era più tanto giovane ma non sfigurava con le altre commensali. Ai lati stavano Amanda e Alessandra sulla destra e sulla sinistra Alice, Angelica e Arianna. Il tavolo era lunghissimo: tutti i po-sti erano occupati dalle altre A. Ognuna di loro indossava una tunica di lino bianca stretta sotto il seno con una corda alla quale era appeso il simbolo di una A in oro massiccio. Solamente Amanda e la donna accanto a Pietro vestivano in maniera differente, forse per sottolineare la diversità di provenienza. Lui si era chiesto il motivo per il quale tut-te le ragazze vestivano con una tunica bianca. Però il tempo delle do-mande sarebbe arrivato presto.
C’era un vociare allegro che riempiva la radura senza interrompere il silenzio della notte. Il soffitto era un cielo nero punteggiato da punti luminosi di stelle, che parevano dipinti. Nonostante l’autunno fosse ormai avanti con i rigori notturni, nessuno avvertiva freddo. Era il ca-lore di tutti quei corpi a riscaldare l’aria.
A Pietro questa visione ricordava un’altra tavolata che aveva vissuto tra sogno e realtà all’interno della baita qualche tempo prima. “Quanti giorni sono passati da allora?” si chiese, osservando questo consesso allegro e ciarliero. Gli pareva  che le giornate fossero volate vie e fos-sero molto lontane ma forse erano solo sensazioni.
Quella volta gli era sembrato un qualcosa di irreale con la stanza che si allargava o rimpiccioliva senza una logica apparente tanto che aveva dubitato delle sue facoltà sensoriali. Aveva anche pensato di essere in preda alle allucinazioni di qualche misteriosa droga, perché la visione variava in continuazione. Però questo convivio, assolutamente reale per la presenza di due donne che lo riempivano di gioia, gli faceva comprendere che allora non era stato un sogno ma pura realtà. Aveva perso la cognizione temporale coi giorni che si mescolavano con la notte in un vorticoso caleidoscopio di eventi e situazioni che sembra-vano un continuum senza soste. Anche gli ultimi avvenimenti, nei quali era rimasto coinvolto, testimoniavano questo tourbillon di sen-sazioni ed emozioni senza riscontri temporali.
“Quanti giorni o settimane sono trascorse dalla passeggiata nel bosco che ha originato la sequenza di episodi che mi hanno trascinato in questa avventura? Gli eventi si sono susseguiti a un ritmo talmente incalzante che mi domando se il sogno sta continuando tuttora oppu-re se questa è una bella realtà”.
Alice gli strinse un braccio come per rassicurarlo nel caso che ce ne fosse stato bisogno. La muta domanda di Pietro era una maniera mol-to umana per esprimere le sensazioni che stava provando immerso in questa atmosfera serena e tranquilla.
“Questa visione, che ti avvolge, è realtà! Tutte noi siamo reali come lo siamo sempre state. Tu, in quel momento, non sembravi propenso a credere a quello, che ti circondava” aggiunse la ragazza.
Pietro scosse il capo.
“Non è questo il tempo per discutere se ho sognato oppure no. Ci sono troppe domande inevase che meritano una risposta esauriente per perdere tempo su un aspetto marginale di quello che mi ha visto coinvolto”.
La mente era confusa perché tutti gli interrogativi si affollavano caoti-camente insieme e volevano la primogenitura. Doveva metterle ordine per venire a capo di tutti i suoi dubbi.
Innanzitutto voleva domandare a Amanda il perché se ne era andata senza lasciare traccia, lasciandolo nel dubbio e nell’affanno.
La figlia alzò un sopraciglio e increspò la fronte con una ruga. Le co-stava un filo di sofferenza rispondere, avrebbe voluto dirlo in privato, mentre parlarne di fronte a tutte quelle A la faceva soffrire.
Lui percepì il messaggio segreto che lei gli trasmetteva ma oramai l’aveva costretta a replicare.
“Volevo tornare alle origini, qui in questo bosco magico. Ma in parti-colare desideravo affrontare la vita senza nessun tutor. Sbagliare e im-parare. Commettere errori e migliorarmi. Questa è stata la molla. L’abbandono della tua casa confortevole e comoda è stata una prova, un sacrificio per me. Però ora sono consapevole che andava fatta. So-no cresciuta”.
Amanda fece una breve pausa prima di riprendere il discorso, perché voleva evitare l’argomento sugli attriti che l’avevano costretta ad ab-bandonare il bosco, che sentiva suo.
“Però non ti ho mai dimenticato. Mi ero ripromessa di venirti a trova-re dopo la vacanza a Londra con le amiche ma le circostanze hanno forzato la volontà. Sono felice di essere qui insieme a te, a Elisa e a tutte le altre. Ovunque andrò avrete un posto privilegiato nel mio cuore e non mancherò di venirvi a trovare con regolarità” concluse il ragionamento, ascoltato in silenzio da tutte le altre.
Pietro allungò una mano per stringere quella di Amanda. Una stretta che valeva molto di più di tante parole.
L’uomo si rivolse a Alice per capire i motivi del rapimento di Ales-sandra. Aveva notato la straordinaria somiglianza con la figlia, tanto che solo lui, che era il padre, poteva intuire quei minuscoli particolari che le differenziavano. Il naso leggermente più affilato, i lobi delle o-recchie più tondi, un sorriso più smagliante. Erano dettagli insignifi-canti ma non potevano sfuggirgli, perché era la sua sensibilità paterna che sapeva coglierli.
“Il rapimento di Alessandra è stato un errore da parte loro. Non sa-pevano che Amanda non viveva più nel bosco degli elfi da diverso tempo ..”.
“Ma perché proprio lei? E non un’altra?” la incalzò deciso.
Un sorriso illuminò il viso della ragazza che spiegò che l’obiettivo era proprio lei, perché era la figlia del Signore del bosco degli elfi.
“Io? Il Signore del bosco degli elfi?” esclamò stupito.
Alice gli illustrò che lui era stato designato da Marco come il succes-sore nella conduzione del bosco dimostrandosi in più di una occasio-ne all’altezza del compito. Amanda avrebbe dovuto prendere il suo posto, sempre che lei lo avesse desiderato, quando lui avesse deciso di passare la mano.
“Le spetta di diritto, anche se Alessandra è ..” concluse lasciando in sospeso il discorso.
Pietro corrugò la fronte, osservò ora Alice, ora Amanda, ora Alessan-dra e stava per formulare l’ennesima domanda, quando fu interrotto nei suoi pensieri.
“Amanda e Alessandra sono gemelle. Ecco perché sembrano due gocce d’acqua”.
La voce lo sorprese perché fino a quel momento era stata in silenzio. Si stringevano la mano come se avessero timore di perdersi una se-conda volta.
“Avrei voluto parlarne in privato ma ora si impone anche questo chia-rimento. Sei Amanda o Elisa?” chiese con forza alla donna seduta al suo fianco.
“Sono entrambe”.
“Come?” ribatté un Pietro esterrefatto.
“Si. Sono una donna elfo e come tutte ho un nome che comincia per A..”
Lui scosse il capo. Tutto quello che ascoltava sembrava un groviglio inestricabile. Doveva mettere ordine.

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Epilogo

Ellie ripone in un cassetto il diario di Angie. Ha letto molte pagine, altre rimangono da sfogliare, ma per il momento si sente appagata così. Non interessa conoscere il loro contenuto, perché sa che Angie e Dan nell’anno successivo regolarizzarono la loro unione, dalla quale nacque Patrick, il mitico nonno Pat. Poi il resto è storia recente, che conosce quasi a memoria. L’abbandono di Holland Island e della vecchia casa vittoriana, il trasferimento a Princess Anne, la partenza per il fronte europeo del nonno e il suo ritorno da reduce vittorioso. Poi ancora tanti altri eventi fino alla sua nascita. Tutti questi episodi li ha ascoltati innumerevoli volte dal nonno e sono rimasti impressi nella sua memoria come le fiabe narrate dai genitori.
Il week end lungo a Baltimore è stato un flop, almeno questa è la conclusione che ne ha tratto tornando a casa.
Annie e Matt sono stati dei padroni di casa impeccabili, gentili e pieni di premure. La loro abitazione, una villetta a schiera con un piccolo giardino davanti e uno scampolo di terra dietro, tenuto a orto, è molto graziosa. Ovviamente il paragone con la sua casa di Princess Anne è improponibile e impietoso, perché sia le dimensioni, sia la tipologia sono talmente diverse che è come confrontare una sedan Chevy Malibu con la city car della Toyota. Però in una città come Baltimore è un’abitazione confortevole e ambita da molti, soprattutto perché è in una zona tranquilla e piena di verde.
Ellie pensa che inviterà altre volte l’amica col marito, perché tra loro c’è molto feeling e molti argomenti in comune. Le conversazioni sono state sempre accese e interessanti, non si è mai annoiata come loro d’altronde. Matt è stato un cuoco eccellente, come Annie le aveva detto durante la settimana trascorsa a Princess Anne. Lei ha organizzato tutto con gusto e semplicità. Si è sempre sentita come a casa.
Però le è rimasto il rammarico di Dashiell, personaggio enigmatico, stravagante e alquanto odioso. Proprio ripensando a lui ha concluso che quei quattro giorni sono stati frustranti perché il suo atteggiamento ha rovinato tutto il resto.
Lui abita in pieno centro a Baltimore, in una vecchia casa di arenaria rossa, almeno questo era il colore originario. Il tempo e lo smog hanno trasformato il rosso in un grigio che lascia intravvedere sotto delle chiazze rossastre. Il suo è un tipico appartamento da single come struttura, pur essendo vasto per una persona sola, dove tutto ruota attorno alla camera da letto.
“Ha avuto la sfacciataggine di invitarmi a dormire a casa sua! Non ho compreso per chi mi abbia preso. E al mio rifiuto ha pure fatto l’offeso. E’ una persona insopportabile, indisponente e …”.
Sono questi i pensieri di Ellie ricordando quell’invito arrivato senza tanti giri di parole.
«“Stanotte sei mia ospite” aveva detto Dashiell all’arrivo da Annie a mezzogiorno».
“Non si è degnato nemmeno di salutarmi o chiedermi come stavo o se avevo fatto buon viaggio! Il benvenuto è stato «stanotte vieni a letto con me»! Più villano e strafottente di così non poteva essere. Se lui è abituato a trattare le donne che conosce come un oggetto o un trofeo da portare a letto, beh! con me ha sbagliato approccio”.
Adesso che seduta di fronte al caminetto del salotto ripensa a lui, sente ribollire il sangue mentre l’adrenalina cresce di intensità.
“Se ho voglia di andare a letto con un uomo, quello me lo scelgo io e non vengo scelta da lui. La mia disponibilità sessuale la decido nei tempi e nei modi. C’è maniera e maniera per rendersi attraenti e interessanti, ma il suo non lo è stato né nella forma né nel tempistica. Già mi aveva irritato il suo SMS durante il viaggio, figuriamoci poi il benvenuto detto con così signorile richiesta …”.
Al rifiuto garbato e deciso di Ellie, Dashiell se ne era andato senza salutare, scuro in volto e corrugato nel viso, lasciando basiti sia il fratello sia la cognata.
Aveva udito in lontananza durante la serata Annie che diceva a Matt: “Tuo fratello è impazzito? Rivede dopo due settimane Ellie e senza peli sulla lingua le chiede di passare la notte con lui! Sono rimasta senza parole! Poi offeso, come se lui avesse ragione, ha girato i tacchi e se ne è andato senza salutare. Un comportamento cafone e inqualificabile. La mia amica è stata fin troppo educata nella risposta. Io gli avrei mollato due ceffoni. Ogni volta che lo vedo, noto degli aspetti del carattere che non conoscevo. E purtroppo sempre più in maniera negativa”.
Non è stata capace di comprendere la risposta, solo qualche frammento indistinto «..maleducato.. a calci nel culo.. mi vergogno.. spero che ..» e poco altro. Ma non le sono interessate ascoltare con precisione le parole di Matt, perché un groppo le ha chiuso la gola e poi è stata troppo bruciante l’offesa per concentrarsi su quello che stava dicendo.
Ancora adesso sente gli occhi che si riempiono di lacrime come quel giorno, perché non aveva immaginato una simile conclusione. Non aveva accettato l’invito di Annie con la speranza di rivedere Dashiell, perché aveva compreso che natura che era in lui lo rendeva caustico, punzecchiante, ironico.
“No, no. Non avevo sperato che quel timido sentimento che aveva fatto capolino per Halloween potesse tramutarsi in qualcosa di più. Ma almeno ho creduto che potesse diventare un rapporto amichevole. Invece..”.
Nonostante il prodigarsi di Annie e di Matt per creare un minimo di calore attorno a lei, è rimasta latente la presenza di Dashiell, che avrebbe potuto comparire da un momento all’altro fingendo che non fosse successo niente.
Questa tensione aveva guastato il clima e l’atmosfera della vacanza. Ognuno di loro percepiva l’ansia che quell’episodio trascinava con sé.
Eppure momenti gradevoli e piacevoli ci sono stati, quando hanno passato un piacevole pomeriggio al Walters Art Museum con Annie che si è dimostrata un ottimo cicerone.
“Sono stata fortunata. In quei giorni si discuteva di Edgar Alla Poe e i suoi racconti a Enoch Pratt, una biblioteca pubblica posta nel centro di Baltimore. E’ enorme! Non ricordo di averne mai visitato una così imponente! E poi quanti eventi! Il calendario era fittissimo e un residente non aveva altro che l’imbarazzo della scelta!”.
Però il pensiero di Dashiell continua a torturarla.
“Non merita nulla, quel villano maleducato, ma è ricorrente. Ogni volta che penso a Annie, subito compare lui e quel viso da schiaffi! A volte mi dico che ne sono innamorata e che ho perso un’occasione. Ma non credo. Un uomo così non merita nessuna attenzione”.
Continua a fissare le fiamme del caminetto come se fosse ipnotizzata dal guizzare veloce del fuoco..
Era immersa nelle meditazioni quando sente la musica di Madonna, Like a virgin, risuonare dal telefono. Osserva il display illuminato e sussulta.
“E’ Dashiell! Cosa vorrà ancora? Perché ha deciso di torturarmi?” si domanda lasciando suonare il motivo, finché non cessa.
Una sottile ansia la prende mentre il respiro si fa più lento.
Un trillo e un breve avviso. E’ arrivato un sms.
“Sei per caso offesa?”.
“Sì” risponde infastidita e spegne il telefono.

FINE

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Thanksgiving Day

Il 20 novembre 2010 Ellie riceve una telefonata da Annie. Quando si sono lasciate il 2 novembre, si sono date appuntamento per il 25 dello stesso mese, il giorno della festa del ringraziamento.
Lei se ne era scordata senza rimorsi qualche giorno dopo, tornando alle occupazioni abituali, fatte del nulla.
“Ellie, ti aspettiamo per mercoledì prossimo! Ci sarà anche Dashiell!..”.
Ascoltare la voce di Annie le fa piacere, ma sentendo che l’avrebbe attesa per la vigilia del Thanksgiving day l’ha colta di sorpresa. Non ha ancora percepito se questa è una novità piacevole o una seccatura. Però il primo impatto è di contentezza perché al momento della partenza degli amici aveva pensato che fosse uno dei classici inviti senza un reale seguito. Al primo momento di euforia subentra una sottile paura che questo possa costituire una trappola. Una sensazione senza un motivo concreto.
Lei è rimasta un po’ in silenzio a riflettere prima di rispondere.
 “Annie, che piacere sentirti! Come sta Matt? Non so se …” risponde cercando di modulare la voce in maniera allegra ma non troppo.
L’amica ride ma insiste che deve essere presente alla festa, perché tutti si vogliono sdebitare della favolosa ospitalità ricevuta a Princess Anne.
“Qui tutti ti aspettano, compreso il tacchino! Non puoi mancare assolutamente! E’ solo un viaggio di 126 miglia! Circa tre ore di auto. Se non hai impegni per i giorni successivi sarò felicissima di ospitarti per il week end. Così possiamo riprendere le chiacchiere interrotte a casa tua! Sei mai stata a Baltimore?”
Altra pausa di silenzio, mentre cerca una scusa per declinare l’invito, perché non ha molta voglia di uscire dal proprio guscio e affrontare un mondo diverso da quello abituale. Però non trova nulla di sufficientemente solido e rinuncia a frapporre delle difese.
“No, almeno di recente. Ci sono stata con nonno Pat quando avevo dieci anni. Ma non ricordo nulla. Sei sicura che non disturberò la vostra quiete?” chiede con un filo di trepidazione nella speranza che l’amica le dia un appiglio per rinunciare.
Sente una nuova risata allegra prima di ascoltare nuovamente la voce.
“Disturbare la nostra quiete? Ma viviamo su un vulcano in eruzione! Matt e io saremo ben felici di ricambiare la squisita ospitalità di Princess Anne! Anche ieri sera abbiamo ricordato il pranzo da Gino’s e la gita in barca! E poi ..”.
Ellie la interrompe perché sa cosa vuole aggiungere. Il ricordo di Dashiell le brucia ancora, perché dopo averla punzecchiata per bene è sparito.
“Nemmeno una telefonata di ringraziamento! Un sms per dire «Ciao! Come va?»! Nulla! Come se fosse sparito dalla faccia della terra! E io che ..” riflette senza ascoltare quello che l’amica le dice.
Poi Annie le chiede di procurarsi carta e penna per dettarle le indicazioni della strada da seguire.
“Ma non c’è bisogno! Con Google map ..”
“No, no! Ascolta e segna. La nostra abitazione è vicino a Arundel Village Park nella 10th Street. Percorri la MD-10N verso la MD-2N in direzione Baltimore/Towson fino all’uscita 3. Qui prosegui a sinistra in direzione Brooklin fino all’incrocio con Church St…”
“Annie, vai troppo veloce.. Sembri un treno in corsa senza conducente …”.
“Ho capito, ho capito. Facciamo così. Quando sei entrata nella MD-10N ci chiami. Noi ti aspettiamo all’uscita 3. Mi raccomando segui la direzione Brooklin, altrimenti torni indietro!”.
“Va bene, va bene” dice controvoglia Ellie. “Farò come hai detto. Uno squillo quando sono entrata nella MD-10N”.
“Riesci a partire presto mercoledì?”.
“Presto? Come?”.
Nuova risata allegra risuona nell’orecchio di Ellie prima di capire che il presto è nella mattinata prima di mezzogiorno.
“A mercoledì!” conclude la telefonata Annie.
La ragazza osserva il Blackberry e scuote il capo. Rimpiange di non essersi opposta con maggior tenacia all’invito, perché il pensiero di rivedere Dashiell le tormenta la mente.
“Non so se odiarlo o ignorarlo. Il suo comportamento è stato indisponente. Ha giocato con me come il gatto col topo. Peccato che il ruolo della povera topolina è toccato a me!” rimugina baloccandosi il telefono nelle mani.
Un bip annuncia l’arrivo di un messaggio. Osserva lo schermo curiosa, perché gli sms arrivano di rado.
“Chi sarà mai?” si chiede mentre seleziona visualizza.
«Ciao! Come stai? Non ho avuto più tue notizie dopo la mia partenza! Sei forse irritata con me? Sì, lo so. A volte sono indisponente, ma … suvvia non prendertela! A mercoledì! Dashiell».
Il primo impulso è quello di cancellare il testo.
“E’ veramente una persona odiosa! Per quasi tre settimane non si fa vivo come se io non esistessi. Poi … Crede di prendersi gioco di me? Ma adesso che faccio? Rispondo oppure no?” riflette mentre l’ira lentamente va sbollendo.
Dopo la telefonata con Annie e il messaggio di Dashiell si sentepiù risoluta, energica, sicura di sé, meno debole psicologicamente. Percepisce che non è in balia degli altri e dei loro umori. Se ci fosse Dashiell in questo momento, comprende che sarebbe l’attimo buono per parlare dei suoi sentimenti o dei suoi sogni. Però è sola nella casa e lui è lontano, nascosto dietro lo schermo di un telefono. Dunque tutti i suoi propositi svaniscono mentre decide che non avrebbe risposto.
“Non merita che io mi sprechi per cercare delle parole che non sento mie. Se vuole uscire allo scoperto che faccia lui il primo passo. Io di messaggi ne ho lanciati diversi, ma è stato come metterli in una bottiglia e affidarli al mare” e riflette sugli ultimi avvenimenti.
La giornata odierna prima della telefonata di Annie è stata per Ellie un periodo pieno di pace in cui si è goduta la quiete della casa da sola sentendosi a proprio agio e in pace con se stessa. Quando capita, di solito non ha nessuna voglia di uscire per mettersi in mostra, non perché si sente timida o chiusa, ma per un senso di pigrizia dolce e amabile che la prende avvolgendola come un bozzolo. Per lei è un momento di relax senza pensare a nulla. Però la telefonata prima e il messaggio poi hanno rotto quest’atmosfera incantata e riportata nel mondo della realtà.
Adesso deve pensare che fra pochi giorni avrebbe preso la Buick nera per guidarla fino a Baltimore e quindi deve organizzare il viaggio.
Il dolce far niente la induce a sognare ma deve pensare al regalo da portare a Annie e Matt.
“Per Dashiell niente! E perché mai dovrei sprecare tempo e denaro a favore di qualcuno che mi ha ignorata per quasi tre settimane?” dice con tono astioso.
Inoltre deve prendere in considerazione quale abbigliamento è più adatto alla circostanza. Riflette anche che dovrebbe passare per un saluto dai lontani cugini che discendono da quella mitica zia Ethna, citata tante volte da Angie.
“Ma questa Ethna che grado di parentela ha con me? Era la sorella del mio bisavolo, Don, il padre di Angie. Quindi? E i suoi discendenti sono cugini o nipoti? Beh! devo ammettere a denti stretti che Dashiell aveva ragione. Sono parenti e basta. Il grado di parentela ha poca importanza” concluse senza troppi distinguo.
Si domanda se loro si ricordano di avere una parente che abita a Princess Anne nella casa di una zia. L’ultima volta che li aveva visti è stato oltre venti anni prima. Però il vero problema è come rintracciarli e contattarli.
Troppi pensieri si sono addensati sul capo di Ellie come nuvole cariche di pioggia, mentre lei avrebbe voluto continuare nel clima sereno precedente.
“Al diavolo tutti questi pensieri! Ci penserò lunedì. Oggi godiamoci gli ultimi scampoli di giornata senza arrovellarsi il cervello per trovare soluzioni che arriveranno limpide e facili tra pochi giorni”.
E riprende l’occupazione precedente: la lettura dell’ultimo libro di Katie Hickman “The pindar diamond”. E’ una storia dai contorni misteriosi, di avidità e di segreti, di passioni proibite e di tradimenti, ambientata tra i canali veneziani e le coste della Dalmazia, tra le celle dei conventi e le stanze oscure dell’harem di Costantinopoli.
Leggendo le pagine a poco a poco si dimentica di tutto, ricreando l’atmosfera che si era incrinata momentaneamente.
Lunedì sarà un altro giorno.

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Neve, neve

Il tempo di arrivare alla casa vittoriana e il cielo da grigio plumbeo diventò bianco compatto, mentre grossi fiocchi di neve iniziarono a scendere su vecchi cumuli color grigio sporco.
A prima vista sembrava la solita nevicata come ce ne erano state altre negli ultimi giorni, ma presto cominciò a soffiare un vento gelido e impetuoso che generò grossi accumuli.
Angie e Dan osservavano la tempesta di neve che pareva che volesse sommergere tutto in un turbinio bianco. La strada divenne una coltre bianca senza tracce umane, mentre il sibilo delle folate voleva insinuarsi nelle fessure delle finestre, che presto furono ricoperte da uno strato compatto di soffici fiocchi.
Dan le domandò se aveva scorte di legna sufficienti per riscaldare gli ambienti, perché di certo per diversi giorni sarebbe stato quasi impossibile approvvigionarsi.
“Se dobbiamo fare economie, è meglio conoscerlo in anticipo piuttosto quando non si può fare più nulla” concluse.
“Quello che mi preoccupa, sono le vivande. Ieri prima di partire, ho chiesto a Meg di portare a casa tutto quello che era deteriorabile o gettarlo via. Quindi non c’è nulla o quasi in casa” affermò allarmata una sconsolata Angie.
Dan scosse il capo un po’ scoraggiato e partì alla ricerca di uno store aperto per acquistare generi di prima necessità per i prossimi giorni.
La donna non avrebbe voluto che uscisse con una tempesta di neve che rendeva problematico anche solo camminare, rimanendo trepidante in attesa del rientro. Restò sempre alla finestra, tenendo sotto controllo la via.
Affondando per un paio di piedi nella neve, faticando non poco nel contrastare la violenza del vento, Dan riuscì a riguadagnare la strada di casa. Teneva ben stretto il bottino di vivande che era stato capace di procurarsi con notevole sforzo e qualche litigio.
Nell’androne debolmente illuminato da lampade a olio si scrollò di dosso tutta la neve che aveva raccolto e che ben presto si tramutò in acqua, che chiazzò di umidità il pavimento.
Angie lo aiutò a togliersi gli abiti ricoperti da un sottile strato di ghiaccio per sostituirli con altri tenuti al caldo vicino al camino proprio per questa evenienza.
“Dan, non dovevi uscire con questo tempo! Ti sarai preso sicuramente un accidente! Ero seriamente preoccupata! Solo ora mi sento sciogliere leggermente dalla tensione accumulata”.
L’uomo sorrise mentre con un fazzoletto di lino tentava di frenare il gocciolio del naso arrossato e umido. Lei afferrò i vestiti bagnati fradici per trasportarli in cucina accanto alla stufa ad asciugare.
“Per qualche giorno non moriamo di fame!” disse con un sorriso amaro Dan, mentre depositava il bottino conquistato sulla tavola.
Dalla legnaia in cantina portarono nelle varie stanze diverse ceste di legna per tenere alimentato il fuoco e riscaldare gli ambienti.
Angie riconosceva che lui aveva preso decisamente le redini del comando, come se fosse il vero padrone di casa. Dirigeva ogni operazione, impartiva le direttive, come se si dovesse affrontare un lungo assedio della neve in maniera che non venisse sprecato nessuna risorsa. Se fosse stata da sola, forse non sarebbe riuscita a organizzare con analoga precisione ogni aspetto dell’emergenza da fronteggiare.
“E’ inutile sprecare legna e carbone per riscaldare delle stanze dove non entreremo mai. E’ sufficiente concentrare il combustibile laddove pensiamo di trascorrere il nostro tempo. Lasciamo spenta la caldaia a carbone. Servirebbe a poco. Camini e stufe possono bastare per non morire assiderati”.
Il buio della sera li colse mentre erano occupati a tenere ben acceso il fuoco nelle diverse stanze, mentre il cielo  era rischiarato dal candore dei fiocchi che scendevano vorticosi. Il vento non accennava a diminuire, anzi pareva che rinforzasse sempre di più. Dopo un frugale pasto serale si sistemarono nel grande letto matrimoniale osservando le lingue rossastre che guizzavano imperiose nel camino.
“Non avrei mai pensato che tu avessi avuto il coraggio di affrontare il viaggio verso Deal Island dopo quasi una settimana di intense nevicate. Quindi ho creduto bene di farti una sorpresa, dopo aver preparato un bagaglio leggero per raggiungerti qui. Ma il destino è a volte curioso!” disse Dan mentre la stringeva a sé.
“Sì, il destino è curioso perché spesso ama giocare con noi, coi nostri sentimenti mentre ci sbeffeggia. Così ieri ci siamo incrociati senza vederci. Tu scendevi a terra, mentre io salivo a bordo. Però oggi siamo qui insieme”.
Questi pensieri ricordarono a Angie la megera, provocandole qualche brivido alla schiena.
“Sì, sono stata temeraria e incosciente perché poteva finire male. Devi sapere..” replicò la donna e cominciò a raccontargli l’avventura al Black Wharf’s.
“Hai alloggiato in quel covo di tagliagole e prostitute? E sei riuscita a riportare indietro tutto senza perdere un cappello? Nessuno è entrato nel tuo letto? Evidentemente ieri era la tua giornata fortunata!” concluse Dan mentre le accarezzava il viso.
“Davvero ho corso seri rischi? Ho capito subito che quella megera era ..”.
“Chi? Miss Pimpim? ..”.
“E chi sarebbe Miss Pimpim? Alla reception c’era una vecchia segaligna e secca come uno stecco, che mi ha rapinato 20 dollari! Ma ho compreso subito in quale postaccio ero capitata! Ero talmente stanca che non ho osato andarmene e cercarne un altro migliore”.
Dan rise di gusto mentre la baciava.
“Ringrazia la tua buona stella e Miss Pimpim, che per venti dollari ti ha fatto tornare a Holland Island sana e salva!” e la attirò verso di sé come per proteggerla da un nemico invisibile.
Mentre le spiegava i motivi di quel nomignolo curioso, pigramente scivolarono nel sonno.
La mattina li colse abbracciati, mentre la stanza era gelida. Il fuoco durante la notte era morto lentamente, mentre fuori infuriava la tempesta.
Per diversi giorni fu praticamente impossibile avventurarsi fuori di casa. Il vento aveva accumulato quasi tre piedi di neve sulle strade, mentre il portone era sommerso fino a metà. Folate gelide spazzarono via le nuvole dal cielo, ma trasformò tutto in ghiaccio.
Era una mattina freddissima ma illuminata da un sole limpido, quando Dan cominciò ad aprire un varco dalla soglia di casa alla strada, mentre Angie preparava una bevanda calda a base di vino, rum e spezie.
“Cos’è questo intruglio?” chiese tossendo per la vampata di calore e di energia prodotta dall’infuso.
“La preparava sempre Wina a mio padre nelle serate più fredde d’inverno. A lui piaceva molto e se ne scolava mezzo bricco”.
“Il gusto è buono e gradevole, ma per fortuna sto lavorando sodo di pala. Altrimenti sarei ubriaco e steso per terra! Saranno 60° almeno, dal calore sprigionato nello stomaco!”.
Il tempo si stabilizzò sul bello gelido nei giorni successivi.
Quando mancò quasi una settimana a Natale, Dan le annunciò che doveva ritornare a Deal Island per sbrigare alcuni affari urgenti, ma sarebbe tornato alla vigilia per portarla con lui nella sua casa.
“Preferisco rimanere qui e trascorrere le feste a Holland Island” gli disse seccamente Angie.
Lui rimase in silenzio cercando di comprenderne i motivi. La capiva perché l’esperienza del viaggio a vuoto precedente doveva essere stata scioccante. Però non riusciva a mettere a fuoco che problemi sarebbero sorti, visto che era lui che la veniva a prendere questa volta e non doveva affrontare il viaggio da sola.
La fissò e le rispose laconicamente «Come vuoi. Staremo noi due soli in questa grande casa». La partenza fu carica di malinconia ma l’arrivederci lasciò nei loro cuori un sapore gradevole per il breve periodo di lontananza.
Durante l’assenza di Dan, Angie si interrogò sul loro rapporto e sulle possibili implicazioni future. Circa un mese prima lui si era sbilanciato seriamente con una proposta di matrimonio dai toni inusuali, ma che le avevano prodotto molti pensieri positivi. Nei quasi quindici giorni, quando erano rimasti asserragliati nella casa a causa della neve e del gelo, aveva compreso che la loro relazione avrebbe potuto funzionare.
Però durante questo periodo Angie aveva accettato espansione e crescita personale con cautela adottando un punto di vista pragmatico. Qualsiasi cosa facesse o programmasse, era caratterizzata da prudenza e cautela. Le interessava ciò che avrebbe potuto realizzare nel concreto, ma cercava di tenere i piedi per terra senza mai perdere di vista la realtà. Non era né troppo idealista né troppo conservatrice.
“Forse sono stata troppo fredda con Dan senza mostrare quell’entusiasmo che la presenza avrebbe dovuto ingenerare. Ma l’esperienza di quel viaggio mi ha reso prudente. Non ero io che dovevo correre da lui, ma viceversa dovevo aspettare che lui mi venisse a prendere. Ecco dove ho sbagliato”.
Non aveva mai pensato che doveri e obblighi della vita fossero una restrizione ma li considerava invece un mezzo per raggiungere maturazione e saggezza. Questo era fondamentalmente un modo di vedere giusto, tuttavia doveva trovare un punto di equilibrio fra libertà e necessità di avere un compagno. Questo era l’obiettivo che si doveva porre a breve termine.
Durante l’assenza di Dan scoprì in che modo poteva tradurre in realtà le aspettative, perché era stata in grado di distinguere i sogni dalla realtà ed era stata capace di scartare ciò che non era solido e che le avrebbe impedito di mettere le basi per il successo.
Accolse con grande entusiasmo il ritorno perché aveva compreso che quello era l’uomo giusto per lei.

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La festa sta finendo

“Bel tipetto la zia..” dice ridendo Dashiell in una pausa della lettura del diario.
Ellie lo fulmina incenerendolo. “Non è mia zia, ma la bisnonna!..”
“Uh! Uh!” borbotta come infastidito “Ma come sei pignola! Zia, trisavola, bisnonna,.. alla fine è pur sempre una parente! Che differenza fa?”
Annie si stringe al marito ridacchiando e sussurra divertita. “E’ la prima volta che trovo divertente il fratellino! Le sue uscite sono in questi giorni esilaranti! Ma credo che lo faccia per innervosire Ellie, perché ha capito che lei ci tiene all’esatta parentela”.
La ragazza stringe le labbra per non far uscire quello che pensa. Non ama gettare benzina su fuoco anche perché sono ospiti e tra qualche giorno se vanno. E questi diverbi entreranno a far parte dei ricordi da raccontare per le feste di Natale, quando al termine del pranzo si citano gli episodi più curiosi e intriganti capitati nel passato.
“Queste battutine sono veramente sgradevoli e potrebbe risparmiarmele! Non credo che non abbia memorizzato l’esatto grado di parentela. Però si diverte ogni volta a estrarre un nuovo status per Angie! Lo dice, ne sono sicura, per sondare le mie reazioni e divertirsi alle mie spalle” riflette in silenzio, mentre aggrotta la fronte visibilmente irritata.
“Che strane facce fai! Ti apprezzo di più quando hai il viso disteso e sorridente e non corrucciato come in questo momento!” prosegue non notando nessuna reazione verbale.
Ellie rimane silenziosa, cercando di distendere le rughe che increspano il viso come onde nel mare senza molto successo.
Dashiell le prende una mano con dolcezza e la fissa con attenzione.
“Lo sai che aggrottando la fronte, rimangono le rughe! Così sembri più vecchia con la pelle tutta grinzosa! E dicono che non sei serena! Siamo rilassati a goderci questo sherry e … Devo farti i miei complimenti..”.
Matt sogghigna divertito.
“Mio fratello è un vero istrione! Punzecchia come una zanzara per poi trasformarsi in un candido angioletto. Adesso le ammannisce lo zuccherino. Quando inizia il discorso così non si sa dove arriverà” dice sottovoce a Annie, che annuisce per conferma.
Ellie si irrigidisce e tenta inutilmente di sottrarre la mano dalla presa di Dashiell che riprende a parlare dopo una breve pausa, come se si fosse aspettato una reazione di curiosità da parte della ragazza.
“Devo farti i complimenti, perché sei stata una padrona di casa perfetta e puntuale. Hai organizzato tutto con precisione, mettendoci ..” e rivolge lo sguardo al fratello e alla cognata alla ricerca di un segno di assenso “mettendoci a nostro agio. Sono passati diversi giorni, ma sono volati via leggeri! Quando fra qualche giorno riprenderemo la strada di casa …”.
E fa una piccola pausa per interrogare gli occhi di Ellie prima di riprendere il discorso.
“Dicevo… quando riprenderemo la strada di casa, credo che un velo di malinconia ci avvolgerà lasciandoti qui!”
Annie commenta col marito le ultime esternazioni, deducendo che il cognato è abile del dare un colpo prima al cerchio poi alla botte. Adesso è in versione dolce.
“Beh! Se vuoi ..” inizia a parlare Annie, subito bloccata dallo sguardo di Dashiell.
 Ellie continua a rimanere silenziosa, perché quelle parole la infastidiscono e non poco.
“Per chi mi ha preso? Fino all’altro ieri aveva un muso lungo un chilometro ed era assente mentalmente e visibilmente annoiato. Non andava bene nulla. Criticava e basta. Ora questa serenata sulla mia presunta bravura, sul trascorrere veloce delle ore, sul rimpiangere che loro partendo mi lasciano sola! Sembra più che voglia farsi perdonare le acidità dette in precedenza che essere sincero”.
“Volevi dire qualcosa, Annie?” le chiede con tono gentile Dashiell.
“Beh! No… Sì, in verità! Ellie la conosco da una vita, ma raramente l’ho vista così motivata e brava nei panni della padrona di casa. A dire il vero le occasioni sono state veramente poche. Però non sono sorpresa perché è sempre stata una ragazza posata e determinata nel raggiungere i propri obiettivi. Quando decide un traguardo difficilmente manca di centrarlo, ma in particolare lo raggiunge nel migliore dei modi” replica Annie rinfrancandosi man mano che parla.
Dashiell torna a osservare la ragazza senza allentare la presa delle mani e sorride come per farsi perdonare.
“Sei per caso..” inizia un nuovo discorso interrompendolo subito.
La pausa cade nel silenzio di tutti che la osservano.
“Dicevo.. se per caso ..”.
Ellie si riscuote dal torpore nel quale era piombata.
“Beh! Veramente .. no.. semplicemente .. insomma aspettavo che tu avessi finito il discorso..” e si ferma dopo aver farfugliato molti inizi senza concluderne uno.
“Anch’io sono stata bene con voi. Mi avete tenuto compagnia e coinvolta nelle vostre discussioni. Sono state giornate intense e diverse dal solito. Movimentate e interessanti. Di certo non mi sono annoiata. Inoltre ..Ma, sì! Perché non ripetere questa esperienza? Possiamo ritrovarci altre volte tutti insieme, quando i nostri impegni ce lo consentono”.
Annie sorride perché la tensione si è stemperata e coglie l’occasione per invitarla a Baltimora, perché presto sarà il Thanksgiving Day, una bella festa da trascorrere insieme. Però si schernisce perché non sarà all’altezza della amica come padrona di casa.
Dashiell è d’accordo sull’ultima affermazione della cognata, perché cucina e casa hanno sempre lasciato a desiderare.
“Sarebbe un’ottima opportunità per farti conoscere Baltimora. Di certo non è tranquilla come Princess Anne, ma ..” e continua a stringere le mani di Ellie.
“Sicuramente la tua antenata Angie..” dice sorridente “ha avuto molto coraggio affrontare un viaggio in quelle condizioni climatiche. Doveva essere cotta di …”.
“Dan..” suggerisce Annie.
“Sì, di Dan! Poi come è finita? Sicuramente si sarà sposata, se in qualche modo sei nata tu..” conclude con un largo sorriso.
Ellie, che si era distesa, corruga nuovamente la fronte e arriccia il naso irritata.
“Beh! la mia antenata ..” e volutamente calca sulla parola prima di riprendere il discorso.
“Angie era sicuramente coraggiosa, perché io al suo posto non sarei riuscita ad affrontare il viaggio. Però toglimi una curiosità. Come mai dimostri simile interesse verso una donna vissuta cento anni fa?”.
Dashiell sorride e prima di riprendere a parlare fa un grosso respiro.
“Forse è dovuto allo stereotipo che mi sono creato del mondo femminile di inizio novecento. Tutto chiesa e famiglia. Senza grande autonomia di pensieri e di azioni. Ma leggendo queste poche pagine del diario sono rimasto stupito. E mi sono domandato se sono state scritte effettivamente da lei oppure è una finzione letteraria. Ma ora basta pensare al passato. Torniamo al presente”.
Per chiudere degnamente una serata movimentata e ricca di spunti propone di scegliere un gioco di società tra quelli che Ellie ha.
In effetti Dashiell ha cercato emozioni e stimoli nel rapportarsi con Ellie, anche a costo di provocare una bella battaglia. Lo schema che ha in mente è difficile da gestire anche se sa che è fondamentalmente costruttivo. Comprende che non deve essere troppo impaziente perché intende costruire un legame duraturo. Le chiede solo di gratificare il proprio bisogno di emozioni. Non è sua intenzione creare i presupposti di un litigio. D'altra parte percepisce che questo è il momento giusto per mettere le carte in tavola e cercare un punto d'intesa. Si domanda se esistono remore fra loro. La risposta secondo lui è che non ci sono. Quindi può godersi allegramente questa nuova esperienza.

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Il ritorno

Angie aveva trovato a fatica una stanza presso Black Wharf’s dopo aver pregato una vecchia arpia a lungo. Non era stato facile convincerla, ma dopo molte insistenze aveva ceduto.
“Però il bagaglio non entra” aveva detto la proprietaria dopo l’estenuante battaglia per l’accettazione.
“Non posso lasciarlo sulla banchina!” aveva replicato Angie, tentando di moderare la voce e le parole senza riuscirci in maniera convincente.
“E’ troppo ingombrante! E poi non ho nessuno che possa trasportarlo in camera!”.
“Non mi dica che non ha nessuna stanza al piano terra da usare come deposito! Io riparto con postale delle dieci di domani mattina. Non mi interessa portarlo in camera”.
Dopo una lunga discussione dai toni accesi, finalmente il baule e le due grandi borse trovarono ospitalità nel sottoscala buio e umido.
“Fanno 20$ da pagare in anticipo” aggiunse acida la vecchia megera, che assomigliava più alla maitresse di una casa di appuntamento piuttosto che alla gerente di un albergo.
“Mi sembra una rapina! Venti dollari per una notte senza la colazione è esagerato” disse veemente Angie che stava perdendo le staffe.
“Prendere o lasciare! Se lei vuole la stanza, questo è il prezzo! Né un cent di più, né di meno. Il prezzo lo faccio io. Questa è la cifra che ricaverei per tutto il tempo che lei occupa la stanza”.
Angie ebbe un moto di smarrimento, interrogandosi in quale bettola era capitata. Si guardò intorno impacciata e sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era di freddo ma di sottile paura, perché i visi degli altri ospiti non erano del tutto rassicuranti.
“Dunque l’impressione che sia un albergo a ore è giusta! Ma io non posso girare Wenona alla ricerca di qualcosa di meglio!” rifletté in un attimo, prima di riprendere la schermaglia con la donna.
“Almeno mi può servire qualcosa in camera?” chiese dubbiosa sul buon esito della domanda.
La gerente la guardò di sbieco come se avesse pronunciato una bestemmia sull’altare maggiore al cospetto dei fedeli.
“Vuole la cena servita in camera? Non ho il ristorante, ma se lei è disposta ..”.
Spazientita Angie scosse la testa come se fosse infastidita da tutte quelle discussioni. Era nervosa perché Dan aveva mancato l’appuntamento, era impaurita perché era finita in posto non molto raccomandabile, era affamata perché erano molte ore che non mangiava nulla. Insomma aveva un diavolo per capello.
“Senta, quanto vuole ancora?” chiese quasi rassegnata ma incollerita.
“Non lo so. Dipende da quello che mi chiede Bob”. Il tono della voce era distaccato, mentre allargava le spalle in segno di incertezza.
“E Bob chi sarebbe, di grazia?”.
“E’ il cuoco del ristorante accanto alla mia pensione. Poi dipende da cosa vuole mangiare. Che ne so cosa vuole ordinare”.
“Ho capito! Ho capito! E’ meglio che faccia un salto nello store qui accanto. Mi pare essere finito in un covo di ..” e tacque per non compromettere una situazione al limite dell’assurdo, prima che la maitresse cambiasse idea sbattendola sul marciapiede innevato.
“E’ ancora in tempo se vuole andarsene. Io non la trattengo. Alle sue spalle c’è la coda che aspira alla sua camera! Ci sono altre pensioni in città. Non esiste solo la mia. Dunque paga questi venti dollari o le devo buttare i bagagli nella neve?” ringhiò la vecchia inferocita.
“Tenga i suoi venti dollari e che ..” e mise sul bancone due banconote da dieci prima di tacere per sempre.
Salita in camera furente e col sangue in ebollizione, depositò la borsa da viaggio nella stanza al primo piano. Senza darsi una rinfrescata ridiscese immediatamente per andare nello drugstore adiacente alla pensione per acquistare qualche genere alimentare. Con una borsa di carta piena di cibo e bevande si avviò con passo deciso, senza salutare la vecchia, per le scale oer raggiungere la stanza.
Si barricò dentro mettendo una sedia sotto la maniglia per quello che poteva servire. La camera era ampia con un letto matrimoniale di fattura scadente, un armadio in cattivo stato e in un angolo un portacatino rugginoso con annesso catino scrostato, il piattino, la brocca e un minuscolo asciugamani. Sotto il letto c’era un pitale dall’aspetto poco invitante per l’uso intenso e la scarsa pulizia.
“Tutto questo per venti dollari! E poi dove sono finita? Credo che difficilmente riuscirò a prendere sonno stasera. La stanza è gelida. Se non mi copro per bene, domani sono un pezzo di ghiaccio. Adesso diamoci da fare con questa minuscola stufa. Speriamo che l’arpia abbia messo legna a sufficienza. Con venti dollari mi compro una legnaia intera!”.
Accesa la stufa e controllata la scorta di legna, prese un po’ di pane e formaggio dalla busta per calmare la fame.
Ricapitolò tutte le disgrazie capitate, ma era inutile recriminare. Un tempo così inclemente avrebbe scoraggiato tutti meno lei. Dunque era colpa sua se si trovava in questa situazione sgradevole.
Dalla borsa da viaggio estrasse uno scialle di morbida lana e dei guanti di foderati di agnello, che indossò per proteggersi dal freddo. Spostò un dondolo di vimini vicino alla stufa, che era il punto più caldo della stanza. Recuperò dal letto e dall’armadio con le ante pericolosamente in bilico tutte le coperte utilizzabili che depose sul dondolo. Si sarebbe ricoperta con queste durante la notte, mentre adesso ricevevano quel poco di calore che la stufa emetteva. Sperò solo che non contenessero ospiti sgraditi, vista la scarsa pulizia che regnava ovunque. Le lenzuola, un tempo bianche, adesso erano di un colore che virava tra grigio sporco e il giallo opaco e non odoravano di sapone.
Guardò fuori dalla finestra senza vedere nulla: uno strato denso e sporco di ghiaccio impediva qualsiasi visuale esterna.
“Sarà un pomeriggio e una notte lunga quello che mi aspetta. Il tempo non passerà mai”.
Mise la busta con gli acquisti su una sedia vicino al dondolo, perché era sicura che il gelo li avrebbe conservati perfettamente nonostante la stufa producesse il massimo del calore possibile, equivalente a poco più di un alito appena fuori dal freddo.
E si preparò alla lunga veglia.
Un’alba lattiginosa e fredda l’accolse avvolta nelle coperte dopo una nottata popolata da incubi e rumori provenienti dalle stanze contigue.
Le era sembrato di ascoltare quel continuo scalpiccio di scarpe rumorose che salivano e scendevano le scale, come se fosse un pellegrinaggio di devoti. Quello che l’aveva terrorizzata maggiormente erano stati i gemiti e le bestemmie per nulla dissimulate che era stata costretta a udire con una certa frequenza. Più di una volta aveva avuto la percezione che qualcuno avesse provato a forzare la maniglia della porta d’ingresso senza successo.
Non meno angoscianti erano stati nelle pause di silenzio i sogni nei brevi dormiveglia nei quali cadeva stremata dalla stanchezza. Però assomigliavano maggiormente a incubi che a visioni oniriche. Quello più ricorrente era che uno sconosciuto entrava e la possedeva brutalmente nel letto senza che lei potesse opporre resistenza. Nessun piacere ma sensazioni dolorose pervadevano il corpo mortificando sia il fisico sia la mente.
Al risveglio queste impressioni erano talmente vivide che si domandava se fossero state realtà oppure no, mentre un debole chiarore illuminava la stanza e lei avvolta nelle coperta accanto alla stufa.
“Tra non molto potrò riprendere la via di casa. Questa esperienza marchierà a fuoco la mia carne. Sarà molto difficile dimenticarla. La delusione provata è talmente grande che non ho più parole per descriverla e valutarla. Non mi sarei aspettata un simile comportamento da parte di Dan! Se vorrà, sarà lui a venire a Holland Island! Mai più affronterò un viaggio con tutte queste incognite!”.
Era immersa nei suoi pensieri, quando sentì un bussare deciso e una voce che diceva «Miss Fairbanks! La sveglia. Sono le nove!».
Era talmente intorpidita dal freddo che le parole rimasero dentro di lei. Mangiò le ultime porzioni di cibo rimaste, si sistemò alla belle meglio, poi discese nella reception per chiedere un aiuto nel trasporto dei bagagli.
Alle dieci e mezza il postale si staccò dal molo per prendere la direzione verso Holland Island.
La giornata minacciava nuova neve e l’aria era tagliente come una lama del coltello.
“Mi è sufficiente arrivare a casa e poi può scendere tutta la neve del mondo che non me ne interessa nulla”.
Osservava Chesapeake Bay e il grigiore delle acque gelide solcate da qualche lastra di ghiaccio.
Alle undici e trenta il postale scaricava il suo carico di essere umani e di derrate alimentari. Angie scese a terra alla ricerca di un facchino per i bagagli, ma scoprì la presenza di Dan che attendeva l’approdo dell’imbarcazione.
Non sapeva se essere contenta o mostrare il disappunto perché non era al molo di Wenona ad attenderla.
“Angie! Dov’eri? Sono arrivato ieri per venire a prenderti, ma non ti ho trovata. Ho saputo che eri partita per Deal Island e quindi ho atteso con impazienza il tuo arrivo. Finalmente posso stringerti!”.
Lei si abbandonò a un pianto liberatorio e disse «Troviamo un facchino per i bagagli e poi andiamo a casa. Non vedo l’ora di rifugiarmi tra le mura amiche!».

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