“Devi trovare l’equilibrio tra i doveri e la tua libertà. Devi dedicare un po’ del tuo tempo a quello che ti appaga, che e solo tu. Devi staccare la spina per un po’ … Sempre sotto tensione ti mette a rischio di un corto circuito. Finirai bruciata come si legge sui giornali”.
Camminavo a testa bassa, gli occhi fissi a terra, solo qualche sguardo buttato in avanti e subito ritratto, mentre ascoltavo queste parole. Rimasi in silenzio senza rispondere. Sapevo che aveva ragione
“Non puoi continuare a vivere la tua vita in funzione degli altri! Vuoi deciderti una buona volta a mettere in primo piano la tua persona. Per una volta assegnati il ruolo principale di questa commedia che chiamiamo vita. Guarda mi verrebbe proprio coglia di dire ‘unico protagonista’ e gli altri … ‘tutti affanculo‘”.
Ascoltavo Anna, senza interromperla, a tratti sorridevo, perfino, dentro di me. Diceva parole sante ma non facevano parte dei miei pensieri.
“Sei strano, sai, Andrea. Sei proprio un tipo singolare. Severo ed egoista con te stesso, disponibile e sempre possibilista con gli altri. Sei quasi maniacale e ossessivo in quanto a rispetto verso gli altri, nel significato più ampio che può essere attribuito al termine. Sei riflessivo ma anche istintivo, con impennate di imprevedibilità fuori dal comune.”
Eravamo quasi arrivati alla fine del viale alberato, a una decina di passi da un incrocio, dove, girando a sinistra dopo poche centinaia di metri, saremmo giunti in piazza Saturno, la piccola tonda, come la chiamo. E’ un cerchio perfetto, delimitato da colorate facciate di palazzi con balconi e finestre che sputano fiori, una serie di negozietti, perlopiù di artigiani, un paio di gallerie d’arte e un bar.
“Io sono preoccupata per te Andrea. Vorrei, per una volta, che tu mi garantissi che penserai seriamente al tuo stato fisico, alla tua ‘salute di vita’, perché…”
Presi la mano di Anna e la interruppi. Dovevo mettere fine a quella paternale.
“Vieni, vieni … ti faccio assaggiare una delizia, per la quale le tue papille gustative mi eleggeranno a loro guida spirituale, poi… vorrei farti vedere un quadro”.
Rise e scosse il capo. Aveva compreso tutto.
“Sei un eterno Peter Pan!” aggiunse, dandogli un buffetto sulla guancia.
“Perché?” le risposi sorridendo senza lasciarle la mano.
Anna cercò invano di divincolarsi dalla stretta di Andrea.
“Mi fai male” disse con tono piagnucoloso, senza che in effetti lo volesse fare.
“Ma no! Tu mi vuoi scappare!”
“Magari! Ti conosco da una vita e, anche volendo, non potrei! Ma dimmi cosa vuoi farmi gustare e vedere?” domandò curiosa. Sapeva che ero imprevedibilmente originale in certe occasione e questa sera lo ero.
“Vieni con me e potrai giudicare”.
Anna conosceva Andrea da quando i ricordi erano diventati nitidi. Avevano percorso insieme tutte le tappe scolastiche dall’asilo nido al Liceo. Sempre insieme come fratello e sorella. La ragazza ricordava come all’asilo lui la difendeva dalle prepotenze degli altri bambini, perché piangeva sempre e voleva la mamma. Avevano stretto un sodalizio fatto di complicità senza parole. Era sufficiente uno sguardo per stabilire il contatto, trasmettersi il messaggio o di aiuto o di approvazione. La madre di Anna non aveva visto di buon occhio l’amicizia di questo bambino più robusto rispetto i coetanei, un po’ manesco e pronto alla baruffa. Poi vedendolo come coccolava la figlia e con quanta delicatezza la trattava, cambiò idea anche se le rimaneva qualche dubbio sul fatto che i due bambini vivessero in simbiosi. Con gli anni si rassegnò vedendo che era una vera amicizia.
“Dove mi stai portando?” gli chiese la ragazza un po’ spazientita dalle arie di cospiratore di Andrea.
“Ancora qualche passo e poi tutto sarà chiaro” risposi sicuro.
Eravamo usciti dalla piazza tonda, infilando un vicolo stretto e perennemente in penombra, anche quando il sole era alto a mezzogiorno. Lo chiamavano via ma per noi era il Vicoletto. Il vero nome lo ignoravamo come tanti altri della nostra piccola città. Ogni via, ogni angolo aveva il proprio nick. Così come c’era la piazza tonda, esistevano il vicoletto, l’angolo dei quattro gatti, la via degli spiriti, il viale del tramonto e il vicolo degli innamorati. Li avevamo battezzati così, quando ancora bambini giravamo curiosi per la città e non ci importava conoscere i loro veri nomi.
“Dove stiamo andando” gli chiese curiosa e stanca di questa misteriosa destinazione.
Si fermò decisa a non muoversi dal Vicoletto, finché non avesse rivelato l’obiettivo di quella camminata. Andrea strattonò invano la sua mano ma resistette anche se aveva provato un dolore lancinante al polso. Lo avevo compreso dalla smorfia dolorosa del suo viso. Mi ero spaventato, perché non era da me essere violento, soprattutto con lei.
“Anna, non fare la bambina” l’ammonì bonario. “Fidati e seguimi. Vedrai la sorpresa”.
“Lo sai, Andrea che le sorprese non mi piacciono molto” rispose piccata.
“Sei unica e per questo mi affascini!” replicai divertito, mentre tentai di farla spostare da dove si era fermata.
“Non riesci a commuovermi”.
“C’è solo una donna al mondo che non ama le sorprese” dissi col tono più serio che serbavo per le occasioni speciali.
Una breve risata interruppe quel divertente dialogo.
“E va bene, ti seguo” concluse scuotendo la chioma riccioluta.
“Dobbiamo arrivare alla piazza quadra. Contenta ora?” le risposi.
Anna gli scoccò un bacio di ringraziamento. Riprese a camminare al mio fianco. Non dovevo più trascinarla con la forza.
“Perché cosa c’è di interessante nella piazza quadra?” domandò Anna.
“C’è il sette”.
“Il sette? Ma lì c’è il nulla. Nemmeno un albero. Solo asfalto” replicò dubbiosa.
“Fidati. C’è il sette!”
La ragazza scosse la testa, mentre giravano per via del ragno.
“Ma non è la direzione giusta” protestò energicamente, fermandosi nuovamente.
“Dobbiamo vedere il sette!” risposi infastidito.
“Ma lo hai detto tu. Nella piazza quadra non c’è” disse, riprendendo il cammino.
“Abbi fede. Lo vedrai il sette”.
Arrivati nella piazzetta dei pantaloni, le mostrai uno strano oggetto che assomigliava vagamente a un sette rovesciato.
“Ecco!” le dissi.
“Mi prendi per il culo?” replicò, guardandomi fisso negli occhi.
“No. Non me lo permetterei mai” risposi con calma, ridendo perché aveva compreso che non era il sette che cercavamo.
Le presi la mano e cominciai a correre. Avevo poco tempo. Appena due ore.
“Perché corriamo come due ragazzini?” mi domandò con fiato grosso.
“Risparmia le parole. Ti spiegherò tutto, quando siamo arrivati”.
Sbucati finalmente in piazza quadra, stanchi, accaldati e sudati per la folle corsa, la condussi al civico 6. Una bella targa in ottone ‘Osteria delle sette chiese‘.
“Vedi ancora il sette. E’ un numero magico come le pleiadi e tanto altro” le dissi soddisfatto.
“Tutto qui?” replicò delusa.
“No. Ora diamo la caccia al sei”.
“Ma è qui, davanti a noi” rispose basita.
“No. Quello è un semplice numero”.
La ragazza non mi capiva.
«Cosa stiamo cercando?» mi domandò, mentre rifiatava.
Infilato il vicolo delle miserie, sbucarono nuovamente nella piazza tonda.
“Ma siamo al punto partenza!” esclamò sorpresa.
“Abbiamo in pugno il sei!” replicai.
“Non sono scema!” replicò infastidita.
“Nessuno lo può affermare. Anzi hai un’intelligenza superiore alla media” aggiunsi, baciandola.
“Lasciami, traditore!”
“E no! Non ti baratterei nemmeno per il sei!”
“E perché?” mi domandò con gli occhi che brillavano.
“Per la smorfia il sei è l’organo genitale femminile …”.
“Sei uno screanzato!” mi disse interrompendomi.
“Non ci credi? Consulta la Smorfia e vedrai”.
“E va bene ma mi hai detto che non mi baratteresti col sei …”
“Appunto. Ti ritengo superiore” ribattei sorridente. “Per la cabala, per un gioco di numeri, bereshit corrisponde alla parola Dio. E’ una specie di scioglilingua che ti risparmio”.
Anna mi guardava come se fossi improvvisamente impazzito. Prima una corsa perdifiato, poi questa affermazione su una parola misteriosa aveva avuto il potere di destabilizzarla.
Si sedettero su una panchina sotto un olmo secolare.
“Per la numerologia il sei è il cammino della vita”.
“Interessante è tutto questo. Ma continuo a rimanere ottusa” disse con un sorriso poco convinto..
“Il tuo nome è palindromo …”.
“Calma, calma. Cosa significa questo?” chiese curiosa e interessata.
“Può essere letto in entrambi i sensi” risposi con un bel sorriso, mentre le tenevo la mano con delicatezza.
“Non ci avevo mai fatto caso” replicò mortificata. “Ma non ci arrivo lo stesso”.
“Usando l’alfabeto numerico Anna corrisponde a 1+5=6 due volte”.
“Ma quante cose sai” mi disse ammirata.
“Però. Ora viene il difficile” affermai con una punta di apprensione.
“Perché?” mi domandò.
“Dobbiamo andare in cerca del quattro”.
“Non ho capito questa ricerca, che mi sta facendo girare in tondo come questa piazza” replicò indispettita.
“L’osteria delle sette chiese ti hanno permesso di gustare qualcosa fuori del comune. La piazza tonda ci ha fatto stare bene, in pace con noi stessi. Ma è il quadro, il famoso quattro che manca all’appello” aggiunsi con tono mortificato.
“Quale quadro?”
“Quello che ti ho promesso all’inizio di questa avventura sconclusionata. Non ricordi?”
“Ma sì, che me l’hai detto ma sono passate quattro ore da quando giriamo in tondo per le vie e le piazze di questa città”.
“Quattro ore?” le chiese recuperando la speranza di concludere il tour.
“Non vedi cosa segna l’orologio tondo? Sono le 18 e siamo partiti alle 14. Quindi quattro ore tonde tonde”.
“Sei un tesoro, Anna” le disse stampandole un bacio sulle labbra.
“Però non mi sposi, Andrea”.
“Che importa! Ci vogliamo bene come fratello e sorella”.
“Beh! Io preferirei che fosse di altro tipo … L’incesto non mi va” concluse amaramente.
“Ci sono!” gridai alzandomi. “Torniamo alla piazza quadra. 4 lati uguali”.