Konnie – parte trentunesima

Puzzone e il sottomura

10 ottobre 2144 Città del Sole.

I due ragazzi non hanno parlato del loro progetto con qualcuno, a parte Arturo a cui hanno chiesto consulenza su due aspetti: la stanza di decontaminazione e la serra. Per il resto tutti i giorni con qualsiasi tempo hanno tenuto compagnia a Cucciolo passeggiando nel bosco e si sono dedicati a registrare su dischi olografici fotografie e video catturati durante il loro viaggio.

Il Consiglio dei Saggi li ha convocati nella giornata odierna per avere un resoconto delle quattro settimane trascorse nel mondo esterno. Vogliono capire se sarà possibile tornare a vivere nel mondo dei loro bisnonni. I Savi hanno posto molte domande a cui i due ragazzi hanno risposto in modo esauriente con franchezza e nessun timore reverenziale.

«Fuori è tutta una rovina, un rudere. L’assenza degli umani ha favorito la natura che si è riappropriata di ogni spazio. In cent’anni gli edifici e qualsiasi manufatto costruito dall’uomo è caduto a pezzi o restano macerie ricoperte di muschio ed erica. Bozen è una città fantasma» spiega Matteo seduto davanti al tavolo dei Savi disposti a ferro di cavallo.

«Ma strade e ponti sono agibili?»

Alba sorride. Matteo con lo sguardo l’ha incoraggiata a rispondere. Descrive in modo sommario senza entrare in troppi dettagli le difficoltà incontrate. Un moto di delusione compare sui visi dei quindici Savi, perché la situazione non è incoraggiante.

«Avete fatto qualche misurazione?» Chiede uno dei Savi, che è stanco di quella vita dorata ma insipida nella Città del Sole. Spera che le indicazioni permettano di tornare a respirare liberamente.

«Sì,» replica Alba proiettando con uno strumento laser una slide su una parete virtuale. «Gli ultimi dati non sono confortanti. Oscillano tra un sievert e venti e uno e cinquanta. Valori ancora troppo alti per affrontarli senza l’equipaggiamento adatto. Konnie, l’unico abitante di Bozen, c’ha provato ma è morto».

La ragazza mostra il diario e il pc su cui sono segnate la serie delle misure. Illustra chi era e cosa faceva. Matteo interviene per spiegare come Alba non abbia enfatizzato nella sua narrazione ma abbia usato un tono stringato.

«Avete raccolto un cucciolo di cane…» inizia un Savio subito interrotto da Alba.

«La correggo. È un cucciolo di lupo. Ignoriamo se qualche cane è sopravvissuto e si è inselvatichito. Branchi di lupi ne abbiamo incontrati…».

«Ma vi hanno attaccato?»

Alba scuote la testa con un sorriso ironico sulle labbra. «Tutti gli animali selvatici incontrati ci hanno evitato. Sarebbe meglio precisare che ci hanno ignorato. Abbiamo avuto più paura noi di loro».

«Ma quel cucciolo è diventato domestico se è stato con voi».

«Mi dispiace contraddirla» interviene Matteo con l’intonazione della voce decisa per bloccare quella precisazione sul nascere. «È e rimane selvatico. Il cibo se lo procura cacciando e non dipende da noi. Ha una zampa malformata dovuta, ipotizziamo ma non siamo degli esperti, alle radiazioni a cui è stato sottoposto. Per questo motivo è stato allontanato dal branco».

Il silenzio cala nella sala, interrotto dalla voce stridula di un Savio. «Potrebbe essere un caso di studio per capire gli effetti…».

«Il cucciolo non è disponibile per essere sottoposto a studi o altre torture da parte nostra. È un animale libero che ci è riconoscente per averlo accolto con la sua infermità e per avergli curato una ferita». La voce di Matteo si è alzata di un’ottava per quella proposta inopportuna.

«Però avete chiesto il permesso di portarlo all’interno della nostra comunità» replica con tono acido un Savio.

«Certo, ha ragione. Però facciamo ammenda, perché abbiamo capito che è stata una richiesta frettolosa e fuori luogo. Ha bisogno di spazi aperti e non chiusi come la nostra comunità» ribatte Alba secca.

Nella sala cala il gelo. Questo battibecco ha creato una situazione di disagio. Alba per rompere il clima di diffidenza e nervosismo lancia la proposta di mostrare a tutta la comunità quello che loro hanno raccolto durante il viaggio.

«Però prima lo vogliamo visionare in anticipo…» afferma un Savio con voce dubbiosa.

«Come volete» ribatte Matteo con tono ironico. «Sono semplici immagini e video del viaggio. Nulla di sovversivo».

«Mostra una realtà che nessuno di noi ha mai visto o toccato con mano» prosegue Alba col sorriso sulle labbra.

«Se a voi va bene, possiamo darci appuntamento domani mattina alle nove. Il resto della comunità, sempre che siate d’accordo, assisterà alla proiezione alla sera alle nove» conclude Matteo con l’intonazione della voce sarcastica, facendo un mezzo inchino.

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Konnie – parte trentesima

Un giallo Puzzone

20 settembre 2144 Città del Sole

I due ragazzi sono rimasti fuori, finché le scorte di viveri l’hanno consentito ma adesso devono rientrare. Hanno impiegato il loro tempo per filmare, progettare e visionare luoghi e possibili postazioni utili al progetto che hanno in mente. La loro idea è quella di creare una prima colonia fuori dalla Città del Sole.

L’ambiente è ancora ostile ma la Città del Sole è al limite della sua capienza. Il centinaio di persone all’inizio sono lievitate a oltre mille e ogni spazio è saturato e non solo quello. È tempo che si espanda all’esterno per non incrinare il clima di pacifica convivenza che i suoi abitanti hanno instaurato.

«Il bunker di Konnie in teoria potrebbe ospitare sei od otto persone. È abbastanza attrezzato per consentire una vita comoda» spiega Matteo con tono serio durante una perlustrazione dei dintorni.

«Beh! Bisogna verificare che sia possibile costruire una stanza di decontaminazione e una serra per coltivare dei vegetali in maniera sicura» controreplica Alba con tono dubbioso di chi non crede che sia una strada in discesa vivere là. «E poi dobbiamo diventare vegani!»

La battuta li fa ridere, perché in effetti non sarà possibile mangiare carne o pesce in tutta sicurezza. La contaminazione ambientale ha colpito tutto. L’umanità è sparita salvo quelli previdenti come la Città del Sole o Konnie e i suoi genitori. Gli animali si sono adattati, almeno quelli di taglia medio-grande. Altri sono spariti. L’acqua, la terra e le piante non si sa con precisione quanto siano contaminate dopo cent’anni ma di certo lo sono ancora.

«L’acqua non è usabile direttamente» afferma Alba avvilita ripensando alle misurazioni dei giorni precedenti nel rio che scorre a valle della Città del Sole.

«Però è un problema minore o risolto nel bunker di Konnie. Mi preoccupa in realtà la terra che deve essere tolta senza gli strumenti adeguati ma solo con la forza dei muscoli e forse non sarà sufficiente» replica Matteo con voce affranta. «Ignoriamo quanto sarà faticoso eliminare lo strato superficiale per costruire la serra. Qui» e con il braccio indica la radura intorno a loro, «non fa molto testo perché le misurazioni possono ingannare».

Però il tramonto è vicino e le ombre si allungano. È arrivato il momento di dare l’arrivederci a Cucciolo, perché loro devono rientrare. Non è più possibile restare fuori.

In queste cinque settimane il lupetto è cresciuto, si è irrobustito. È diventato un abile cacciatore in grado di provvedere a se stesso senza dipendere dai due ragazzi. Ha trovato in loro il nuovo branco. L’istinto della sua specie non si è affievolito. Non si è addomesticato. La sua natura selvatica è rimasta intatta. Neppure loro hanno provato a modificarla.

Sistemano l’anfratto per fargli capire che la loro lontananza è solo provvisoria. «Cucciolo noi dobbiamo tornare dentro ma tu devi rimanere qua fuori. Non puoi entrare» sussurra Alba con tono dolce accarezzandogli la testa. «Domani ci vediamo e ci facciamo una bella passeggiata insieme».

Matteo gli dà una grattatina nel sottogola a mo’ di saluto.

Cucciolo ha gli occhi mogi quasi acquosi vedendo quelle due persone che l’hanno salvato e si sono presi cura di lui, mentre sono inghiottite da quella parete lucida. Però ha sentito sincerità nelle loro parole. Gli hanno lasciato del cibo ma sa che deve procurarselo da solo e che la sua tana è quella tenda incastrata tra le rocce.

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Konnie – parte ventottesima

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventottesima parte del mio racconto Konnie. La potete leggere di seguito.

12 settembre 2144 Città del Sole

La notte per i ragazzi e Cucciolo non è trascorsa tranquilla. Era da poche ore tramontato il sole quando il cielo si è coperto di nuvoloni minacciosi con una sarabanda di tuoni e lampi. Poi si è levato un vento da nord gelido con violenti scrosci d’acqua.

Il riparo ha assolto in modo egregio la sua funzione di proteggerli anche se le raffiche più violente hanno portato all’interno della pioggia.

Però quello che li ha tenuti maggiormente in apprensione è stato ascoltare il crepitio di abeti e larici colpiti dalle saette con lampi così vividi da illuminare l’area circostante.

All’alba la furia degli elementi si è placata lasciando il posto a una pioggia leggera. Nubi bianche basse hanno creato l’effetto nebbia.

«È stata una notte movimentata» afferma Alba con la voce impastata dal mancato sonno. «Avevo osservato dei video che mostravano temporali ma esserci in mezzo è molto più spaventoso».

Matteo annuisce mentre si stiracchia per rimettere in circolazione gli arti intorpiditi. «In effetti fenomeni così estremi non li abbiamo vissuti durante il nostro viaggio».

Fatta la colazione, sperano che la risposta al loro quesito arrivi sollecita. Anche se la pioggia è cessata, il cielo resta coperto da nubi compatte e cariche di acqua. Ritengono inutile e pericoloso avventurarsi all’esterno. Solo Cucciolo lo fa in modo frettoloso.

La luce all’interno dell’anfratto è piuttosto scarsa. Quindi accendono le due torce trovate nel bunker per illuminare la tenda e consentire un’agevole lettura.

25 dicembre 2099

Oggi è Natale ma sono quindici anni che lo trascorro in solitudine. Fino al 2083 c’era mia madre a tenermi compagnia, anzi a tenerci compagnia. In quel giorno preparava i canederli e lo stinco di maiale coi crauti. Per dolce una crostata ai mirtilli. È stato sempre così il nostro Natale da quando ricordo.

Poi il primo anno senza di lei ho provato a ripetere quel menù. Un disastro. L’impasto non era nemmeno lontano parente rispetto a quello che preparava Marie. Duro e immangiabile. Il brodo insipido e sapeva di acqua sporca. Li ho mangiati lo stesso perché non volevo sprecare delle risorse.

Lo stinco e i crauti erano mangiabili. Per forza! Prelevati dal freezer e scongelati erano ottimi. Alla torta ho rinunciato in partenza per non combinare altri disastri.

Per i Natali successivi ho usati stinco e crauti finché non si è esaurita la scorta congelata.

17 gennaio 2101

Le mie giornate sono monotone scandite dai tempi della noia. Se penso alla mia infanzia e adolescenza scopro il vuoto. La mia fantasia è morta al momento della nascita. Non ho mai avuto un gioco e Kurt e Marie ignoravano come farmi giocare. Anche le letture non sono state adatte alle mia età. La biblioteca conteneva solo i romanzi che piacevano ai miei genitori. La mia nascita ha stravolto i loro ritmi. Questo mi ha dato la percezione di essere un intruso.

Quindi adesso che sono solo mi annoio da morire. Leggere? Ho i libri che galleggiano a livello degli occhi. I video? Si sono consumati a forza di vederli. Scrivere? Non saprei cosa scrivere perché le mie esperienze sono confinate in queste quattro stanze. C’ho provato ma il risultato è stato pessimo.

Quindi passo ore a registrare dei podcast leggendo i romanzi in biblioteca. Poi li riascolto mille volte. Lo faccio anche perché l’orecchio non si deve atrofizzare ascoltando i pochissimi rumori che si percepiscono qui dentro.

L’altra attività per tenere il corpo in esercizio è la palestra. Non meno di un paio d’ore al giorno le passo a fare esercizio fisico.

Il nonno Marko è stato lungimirante nel prevedere una palestra attrezzata, quando ha fatto progettare questo bunker.

«Mi si è seccata la lingua a leggere» ridacchia Alba con tono ironico. «Maledetto casco!»

Matteo sorride. Casco e tuta sono una barriera che li divide fisicamente ma le loro anime sono in sintonia.

«Se ci costringono a lasciare fuori Cucciolo, tutti i giorni esco per controllare se lui è ancora qui» mormora la ragazza con l’intonazione affranta della voce.

Il ragazzo le stringe la mano con forza per dimostrare che anche lui è d’accordo. Nel mentre gli balena un’idea ma rimane incerto se esporla. Decide che la deve presentare nel modo adeguato e per il momento la tiene per sé.

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Konnie parte ventitreesima

Krimhilde e le fanciulle scomparse

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventitreesima parte del romanzo distopico Konnie, che potete leggere anche qui.

6 settembre 2144 ore 9

Durante l’avvicinamento al passo del Pordoi hanno dovuto fermarsi più volte per la pioggia battente o violenti temporali che hanno rallentato la loro marcia. Hanno impiegato una settimana per arrivare all’inizio della salita.

Quando il giorno comincia a rischiarare, i due ragazzi osservano perplessi le montagne intorno a loro avvolte in nubi basse e nere che lasciano presagire maltempo salendo in quota.

«Dobbiamo decidere cosa fare» suggerisce Matteo con l’intonazione della voce preoccupata e controlla le provviste rimaste. «Facendo economie ne abbiamo per meno di una settimana. Per arrivare alla Città del Sole abbiamo quattro giorni di cammino. Però…».

«Però dobbiamo tener presente la variabile tempo che non promette nulla di buono» completa il pensiero Alba che sbircia il cielo grigio carico di pioggia. «Rischiamo di trovare neve salendo in quota. Tuttavia bisogna provare».

Matteo scuote il capo perplesso, perché se trovano vento e neve non sarà facile procedere. «D’accordo. Mettiamoci in marcia a passo spedito. A metà salita facciamo una sosta e il punto della situazione».

Le precipitazioni di agosto hanno ulteriormente martoriato la strada con nuove frane e smottamenti delle pareti rocciose. La salita appare più difficoltosa rispetto ai loro ricordi. Senza bisogno di consultarsi non fanno soste nemmeno per rifiatare. Vogliono raggiungere la cima del passo prima che cali l’oscurità. Salendo trovano neve e sono immersi in nubi basse che riducono la visibilità a pochi metri. Un freddo pungente penetra dentro la tuta di protezione e il casco si appanna nonostante tentino di tenerlo pulito.

Il buio cala all’improvviso ma non li ferma, perché sono determinati a raggiungere la sommità del passo. La strada spiana. Tra le ombre riconoscono il monumento vicino al quale hanno sostato l’altra volta.

«Siamo arrivati» annuncia Matteo con tono sollevato, mentre con la torcia illumina lo spiazzo. Il fascio di luce mostra impronte recenti di animali. Un brivido lo scuote. Non ha bisogno di comunicarlo ad Alba, perché sente la sua mano cercarlo.

«Finora ci è sempre andata bene» mormora la ragazza con la voce incrinata dalla paura. «Cucciolo in queste settimane si è irrobustito ma è troppo giovane e inesperto per competere con altri animali».

«Sì» afferma in modo laconico il ragazzo che cerca di capire a chi appartengono le tracce chinandosi. «Potrebbe essere un piccolo branco» illustra con tono dubbioso. Poi prova a rassicurarla. «Cucciolo non ha dato segni di nervosismo o di paura. Si è limitato ad annusarle».

«Ok. Però non resto tranquilla. Fino a questo momento gli incontri sono stati sporadici e loro hanno preferito sempre non attaccarci. Ma ho la sensazione che questa volta sia diverso» conclude Alba.

Matteo estrae dalla sacca del bunker una seconda torcia e la consegna ad Alba. Poi iniziano a perlustrare l’area alla ricerca di un posto con la duplice funzione di offrire riparo dal vento e consentire un’agevole difesa. Alla fine trovano un rudere posto un paio di metri sopra il piano stradale con due pareti ancora in piedi in buono stato.

Matteo sposta dei blocchi di pietra in modo da avere tre lati protetti e all’interno sistemano la tenda. Consumata una frugale cena, lasciano le torce accese a illuminare l’area davanti.

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Konnie – parte ventunesima

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventunesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico.

La potete leggere anche qui.

28 agosto 2144 ore 10

Alba tiene in mano la rudimentale piantina che descrive il bunker antiatomico posto verso l’imbocco della Sarntal. È segnata anche una strada, che cerca subito sulla mappa di Bozen.

«È qui!» e con l’indice mostra a Matteo il punto. «Potremmo andarci e vedere di persona la struttura. Per la lettura del diario abbiamo tempo nel viaggio di ritorno».

«In effetti un posto vale l’altro. Non credo che troveremo nulla d’interessante qui e neppure altrove. Sembra che il bosco abbia colonizzato la città. Che percorso suggerisci? Tu sei il mio navigatore»

I due ragazzi scoppiano a ridere mentre Cucciolo li osserva curioso non capendo la loro ilarità.

Dispiegata la mappa della città sulle ginocchia segnano col dito il tragitto da percorrere. Non appare lontanissimo ma ignorano cosa incontreranno sulla loro strada.

«Ci conviene raggiungere la passeggiata lungo il torrente Talvera e da lì seguire il corso d’acqua fino all’incrocio con …» spiega Alba segnando con l’indice il tragitto.

«Pensi che troveremo i cartelli stradali?» La interrompe Matteo con tono ilare. «Comunque è giusta la tua indicazione del percorso, perché non rischiamo di perderci su strade che non conosciamo».

Raggiunto il Talvera seguono il corso d’acqua non senza qualche difficoltà a causa del ricca e folta vegetazione che in modo spontaneo è cresciuta su quella che cent’anni prima era la passeggiata.

Cucciolo è felice di correre a destra e a manca con la grande tentazione di raggiungere il greto del torrente per dissetarsi. Però ha capito che rischia di rimanere intrappolato senza possibilità di essere raggiunto dai ragazzi. Durante le sue scorribande cattura un leprottino che porta come omaggio a quelli che ritiene essere i capibranco. Inoltre mette in fuga un paio di serpenti e tiene lontani un gruppo di gatti selvatici che hanno incontrato nella boscaglia.

Fatta una sosta in una radura, dopo un paio d’ore di cammino, raggiungono il punto dove secondo Alba devono prendere la strada per raggiungere la villa di Konnie. Passati i ruderi di una chiesetta scorgono tra i filari di un vigneto inselvatichito e un bosco assai fitto una montagnola ricoperta di muschio e robinie.

«Quella dovrebbe essere la villa di Konnie» esclama Alba indicando quello che un tempo era una casa.

«Dirai quello che resta della villa» afferma Matteo con l’intonazione della voce ilare.

I ragazzi ridono, perché definire villa il disfacimento di quello che una volta era un’abitazione ci vuole molta fantasia.

Arrancando sulla salita raggiungono la sommità del poggetto dove vedono nel terreno l’ingresso d’acciaio del bunker.

«Cosa facciamo? Entriamo oppure riprendiamo la strada del ritorno?» Chiede Alba con l’intonazione della voce che suggerisce la prima ipotesi.

«Facciamo una breve visita. Forse possiamo riempire le tanichette con acqua potabile» suggerisce Matteo armeggiando con le chiavi per aprire l’ingresso.

Chiusa la porta alle loro spalle accendono una potente torcia per illuminare i gradini che portano verso il basso.

«Fai attenzione! Sono piuttosto scivolosi» suggerisce Matteo che fa da apripista, mentre Cucciolo ruzzola in basso tra guaiti e ululati di dolore.

Ai ragazzi verrebbe da ridere assistendo al capitombolo del lupetto che con troppa foga si è precipitato verso il fondo. «Speriamo che non si sia fatto nulla» esclama con tono preoccupato Alba.

Si rimette sulle quattro zampe dopo una leggera scrollata nel tentativo di togliere quel velo di muffa verdastra che ha impiastricciato il suo pelo.

Entrati nel bunker lo visitano passando in rassegna tutte le stanze compreso le due celle frigorifere.

«L’acqua è potabile. Quindi ne possiamo fare una piccola scorta che ci sarà utile nei prossimi giorni» dichiara Alba che ha misurato i valori. «È un peccato non poter prender quel pc e il contatore geiger. Sarebbe utile alla Città del Sole».

Matteo annuisce, mentre armeggia col computer che si sfila senza problemi. Poi tira con dolcezza il cavo che sembra libero. «Risalgo in superficie e libero l’altra estremità. Poi ti avverto e lo estrai con decisione senza strappi: Se tutto procede come penso possiamo portarlo con noi».

Completata l’operazione, i ragazzi mettono in una sacca di iuta trovata in un angolo pc, contatore geiger, un paio di torce, l’orologio atomico e qualche altro utensile che hanno trovato all’interno.

«E ora in marcia finché c’è luce sufficiente per attraversare il bosco cresciuto sulla riva del torrente» annuncia Matteo mentre risalgono il superficie dopo aver chiuso le due porte.

Cucciolo affronta i gradini di risalita con più prudenza. Ha fatto tesoro della caduta precedente.

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Konnie – parte ventesima

L’ultima avventura di Puzzone

Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicato la ventesima puntata di Konnie, il mio romanzo distopico. Potete leggerlo là ma anche qui.

28 agosto 2144 ore 9

Tenendosi per mano come due innamorati che passeggiano per le vie della città, Matteo e Alba si dirigono verso il punto da dove proviene la voce di Cucciolo. Clarissa e Marcello sono stati cancellati dalle loro menti.

Arrivano in quella che secondo la mappa dovrebbe essere Piazza Walther, riconoscibile dalla statua ricoperta di muschio e parzialmente sgretolata che si erge nel centro.

«Cucciolo, dove sei?» Fa sentire la sua voce Alba con una leggera intonazione preoccupata, perché non lo sente più ululare. «Che sia capitato qualcosa?» Esterna stringendo la mano a Matteo.

«No. Forse ci ha sentito arrivare e ha smesso» prova a rassicurarla con tonalità dubbiosa. «Qui pare una mini foresta» Poi trascina sulla sua sinistra Alba, perché ha visto una costruzione in apparenza ancora integra. È tutta scrostata e con molte tracce di ruggine. In qualche punto è rimasta l’antica vernice verde ma il colore rossastro indica che la struttura è di materiale ferroso.

«Ecco, dov’è Cucciolo!» Esclama Matteo indicando con il braccio il punto dove si trova il lupetto, che seduto sulle zampe posteriori li sta aspettando.

«Cosa avrà trovato?» Alba socchiude gli occhi per mettere a fuoco il punto.

Cucciolo sta accanto all’ingresso di quello che un tempo poteva essere un chioschetto, aspettando i due ragazzi, che si fanno strada tra le erbacce cresciute nelle fessure della pavimentazione.

Un forte fetore di un corpo in decomposizione mescolato al puzzo di stantio e acqua stagnante li accoglie nonostante il filtro del casco.

Alba arriccia il naso e rimane all’esterno insieme al lupetto, mentre Matteo illumina con la torcia l’interno. La vista è una desolazione. Solo le parti metalliche hanno resistito e sono in condizioni precarie. Per terra uno strato di polvere mescolate a escrementi animali che la pioggia ha reso scivolosi e putrescenti. Nella stanza più interna su un tavolo giace un corpo umano in parte deturpato dai morsi di qualche animale e in forte decomposizione. Di fianco sta una custodia in pelle che un braccio scarnificato sembra voler proteggere. Matteo con delicatezza lo sfila e lo prende con sé. “Forse dentro ci sono le informazioni su questo corpo”.

All’esterno Matteo tenta di ripulire le calzature dal lordume raccolto all’interno. Cercano un posto lontano dal chioschetto per ragionare sul da farsi.

«C’è un corpo là dentro» spiega il ragazzo. «Secondo me morto da qualche giorno, viste le condizioni del corpo. Vicino ho trovato questo» e mostra ad Alba la cartella in cuoio. «Credo che dentro contenga le spiegazioni di questo ritrovamento. Meriterebbe una degna sepoltura invece di essere lasciato in balia degli animali. Però non abbiamo i mezzi né sappiamo dove metterlo».

Alba dopo aver stretto la mano a Matteo lo abbraccia in silenzio. Anche lei ha avuto il medesimo pensiero di seppellirlo come si usa per un morto.

«Ma allora ci sono degli umani sopravvissuti al grande disastro» inizia la ragazza con l’inflessione della voce speranzosa.

Subito Matteo scuote il capo in segno di diniego interrompendola. «Dubito che sia un superstite del grande olocausto nucleare viste le condizioni della città».

«Ma allora da dove spunta visto che affermi che il decesso è recente?»

Il ragazzo stringe gli occhi come per concentrarsi prima di rispondere. «Potrebbe essere qualcuno che come noi ha costruito un rifugio sottoterra e sia uscito all’aria aperta ma la radioattività l’ha stroncato».

Ritornano davanti al Duomo dove hanno pernottato durante la notte. Si sistemano all’ombra di una quercia per controllare il contenuto della cartella. Cucciolo si sistema tra loro come se volesse ascoltare i loro discorsi.

All’interno trovano una piantina, due mazzi di chiavi e un grosso quaderno dalla copertina rossa. La mappa non suggerisce nulla ai due ragazzi e l’accantonano insieme alle chiavi. Il blocco è tenuto chiuso da un grosso elastico che rimuovono per sfogliarlo. Sulla prima pagine leggono con bella calligrafia “Diario di Konnie” e appena sotto “anno 2084”.

«Dunque il morto si chiama Konnie e questo è il suo diario».

Matteo annuisce, mentre inizia a sfogliarlo in maniera distratta.

Mi chiamo Konnie Freschthaler e sono nato nel bunker situato in via San Pietro il 21 luglio del 2064.

Ho messo a riposare mia madre, Marie, accanto a mio padre, Kurt, nella cella frigorifera 2, quella più piccola. Riposi in pace.

Da oggi agosto 2084 sono solo e resterò così fino alla fine dei miei giorni.

Il perché sono qui riporto i racconti di Kurt e di Marie, i miei genitori. Quindi potrebbero essere inesatti o inficiati da cattivi ricordi.

Correva l’anno 2024 e le turbolenze mondiali minacciavano guerre atomiche. Così il nonno Marko in quell’anno ha venduto tutto tranne la villa che sta sopra le nostre teste e il parco che la circonda. Con il ricavato ha costruito questo bunker che è stato la casa dei miei genitori prima e poi nel tempo anche la mia. Quando nel 2044 è successo l’irreparabile, sono stati costretti a rifugiarsi qui. Nonno Marko se ne era già andato qualche anno prima.

Mi sento sperduto mentre mi aggiro tra la cucina, il salotto e la mia camera. Devo parlare da solo per non impazzire e imparare tutto quello che Marie faceva prima.

Matteo dopo aver letto questa pagina, chiude con l’elastico rosso questo blocco di carta che contiene la vita di quella persona che hanno trovato nel chioschetto. Lo ripone con deferenza nella cartella e prende quel foglio dove è disegnata la piantina del bunker.

«Via San Pietro» legge con tono sicuro. Poi fa tintinnare le chiavi.

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Konnie – parte diciottesima

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la parte diciottesima del racconto Konnie.

La potete leggere anche qui.

20 agosto 2144 Bozen

Per tre giorni nubi nere basse hanno avvolto le montagne intorno a Bozen e hanno scaricato acqua sulla città.

Konnie è rimasto in uno stato di sonnolenza nell’unica stanza asciutta del chioschetto, ascoltando la litania cacofonica delle gocce sul tetto metallico. Avverte debolezza nelle gambe e respira a fatica. Sente che la morte si sta avvicinando e non reagisce. Brividi di freddo contrastano la fronte calda. Per lui sono sensazioni nuove, mai provate prima.

La mattina del venti agosto lo accoglie in tutta la sua luminosità. Il cielo pulito sgombro di nuvole.

Konnie si avventura fuori ma i brividi non cessano anzi crescono. Osserva le montagne e nota un qualcosa d’insolito. Di solito ha visto le cime grigie e sotto il verde dei boschi. Adesso sono più luccicanti e bianche. Come se qualcuno le avesse spolverate con lo zucchero. Uno spettacolo che lo lascia a bocca aperta per la sorpresa, tanto che si dimentica della sua condizione fisica. Muove qualche passo incerto, barcolla, sente le gambe piegarsi sotto il suo peso. Si appoggia alla struttura esterna del suo rifugio per non cadere a terra.

La mente gli comanda di tornare dentro ma l’istinto gli consiglia di restare fuori a godersi la bellezza del panorama. Vuole gustarsi ogni istante di quello che la natura gli offre. Intuisce che non avrà ancora molti giorni davanti da lui. Avverte una sensazione di piacevolezza, respirando l’aria frizzante del mattino. Non sa spiegarselo ma è così. Scivola lentamente con la schiena lungo la parete senza avvertire dolore come se fosse anestetizzato. Si sente euforico per quello che lo circonda. Si siede sul terreno e allunga le gambe, anche se sa che non riuscirà ad alzarsi. «Troppo meraviglioso lo spettacolo offerto dalla natura» sussurra con un filo di voce.

Una lacrima scende sulla guancia. È l’emozione per quello che lo circonda. Rimpiange non essere uscito prima dal bunker ma è consapevole che avrebbe resistito meno al contatto con un ambiente contaminato dalla radioattività.

La borsa di pelle con il suo diario e le chiavi del rifugio antiatomico sono al sicuro dentro il chioschetto. «Chissà se qualche umano è ancora in vita!» Scuote la testa, anche se in queste notti ha sognato due persone vestite con una foggia strana accompagnate da un cane che zoppica. Percorrevano strade a lui sconosciute, dirette verso una località ignota. È stato il sogno ricorrente ogni volta che assopiva. Al risveglio si poneva la domanda se fossero persone oppure extraterrestri provenienti dallo spazio. Però nonostante tutti gli sforzi non è riuscito a dare una risposta convincente alla sua curiosità. Nella notte appena passata li ha intravvisti vicino a un ponte della ferrovia ma poi l’immagine si è spezzata e ignora se siano riusciti a passarlo. Nessuna delle immagini ha rievocato in lui dei ricordi o di averle intravviste nei libri o video nel bunker. Nemmeno la visione delle montagne che circondano la città gli sono familiari. Gli occhi si muovono frenetici per cogliere questi ultimi scampoli di vita. Si sente in pace anche se sa che è qualcosa di effimero.

Il respiro si fa via via più affannoso e gli occhi si chiudono. Con lentezza scivola nel dormiveglia e poi alla fine si addormenta per sempre.

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Konnie – parte diciassettesima

La bambina senza nome

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la diciassettesima puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

27 agosto 2144

I due ragazzi hanno quasi terminato la discesa dal Karersee. Hanno impiegato più di quanto avevano programmato.

Nella giornata precedente al loro risveglio si sono persi. I sentieri erano stati cancellati dalla vegetazione che era cresciuta incontrollata. Le strade non erano messe molto meglio. Non ricordavano il percorso della sera precedente. Insomma un vagare in circolo col terrore di finire in un dirupo. Poi con calma hanno raccolto tutte le informazioni dalla carta e sono riusciti a imboccare la via che conduce a Bozen.

Però nemmeno la discesa è stato un viaggio di piacere, perché in più punti il costone di roccia era franato sulla carreggiata e da lì era finito nel corso d’acqua che scorre di fianco alla strada. Queste rocce hanno costretto il rio a cercare nuove strade per fluire a valle, erodendo le sponde su entrambi lati. Questo ha ridotto in diversi punti il percorso simile a strette cenge in bilico sul baratro.

Durante la sosta notturna Alba ha espresso le sue preoccupazioni per il viaggio di ritorno. «Matteo pensi che riusciremo a rifare questa strada?» Il tono della voce era serio e allarmato. A fatica ha trattenuto le lacrime e l’agitazione.

«Ci sono alternative?» Ha replicato Matteo cercando di infondere sicurezza alla compagna. «Questa via presenta due salite che conosciamo. La prima è quella che abbiamo percorso oggi. Se il tempo ci assiste, conosciamo le difficoltà e non dovremmo incontrare spiacevoli sorprese. La seconda è Passo Pordoi, faticosa ma tutto sommato più agevole perché i punti critici sono pochi e superabili. L’unica incognita è il meteo».

Alba non si sentiva rassicurata dalle parole di Matteo. Ha compreso che in montagna il tempo muta velocemente e in modo imprevedibile. Quindi contare sulla fortuna è come gettarsi nel vuoto con la speranza di atterrare sul morbido.

A mezzogiorno fatta una curva, si presenta dinnanzi ai loro occhi la piana di Bozen e il contorno delle montagne alla sua destra.

Quello che osservano li lascia di stucco. La natura ha ripreso possesso di quello che era suo, una volta che l’uomo ha smesso di antropizzare l’ambiente in cui vive. Questo si nota in dettaglio sulle pendici della montagna ricoperte da una fitta foresta ma anche nella piana e lungo l’asta del fiume che scorre dinnanzi a loro. Anche quel poco di autostrada che si vede è quasi sepolto sotto il verde. Questa rivincita sulle attività umane l’avevano già assaporata nel tratto pianeggiante tra passo Pordoi e il Karerpass. Però quello che si presenta ai loro occhi stupiti supera di gran lunga l’immaginazione.

«Rimettiamoci in marcia» suggerisce il ragazzo, prendendole la mano seguiti da Cucciolo. «Speriamo di trovare un ponte per passare il fiume ma anche questo». Con lo sguardo indica il rio che scorre alla loro destra.

Come ha supposto la strada si interrompe quando deve scavalcare il corso d’acqua. Seguono la sponda finché non trovano un sentiero che li conduce a quello che un tempo era l’autostrada. La passano e raggiungono una via in buone condizioni e si dirigono verso sinistra. Consultano la vecchia piantina di Bozen. «Tra non molto dovremmo incontrare un ponte che scavalca l’Isarco e arrivare in città» suggerisce Alba, alzando gli occhi dalla cartina.

Sentono il rumore dell’acqua che scorre sulla loro destra.

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Konnie – quattordicesima parte

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Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la quattordicesima parte del romanzo Konnie.

La potete leggere anche qui. Buona lettura

11 agosto 2144 Bozen

Dopo un peregrinare lento con le gambe, che faticano a obbedire ai suoi comandi, prova a centellinare in qualche modo le forze per cercare qualcosa che possa offrire riparo per la notte. Gli edifici ancora in piedi sembrano sbriciolarsi da un momento all’altro e hanno i tetti collassati all’interno. Il selciato è esploso in più punti sotto la spinta di alberi ed erbacce. Una statua corrosa dalle intemperie svetta tra tanto sfacelo. Solo un qualcosa assomigliante a un chioschetto, che mostra segni evidenti di ruggine, sembra offrire un solido riparo. I vetri sono ridotti in polvere, le parti di legno al tocco si disgregano. Le uniche parti che resistono sono quelle in ferro, intaccate e ricoperte da uno strato di polvere rugginosa. Il tetto, pur presentando qualche buco riesce a garantire un buon riparo. Il pavimento è ricoperto da un po’ di tutto. Cent’anni alle intemperie e all’abbandono mostrano il loro biglietto da visita.

Konnie spinge a fatica quella che un tempo è stata una porta che cigola strisciando sul fondo. A parte qualche sedia rovesciata c’è lo scheletro di un divanetto in ferro ampio a sufficienza per ospitare una persona sdraiata.

Per il momento si siede per riposare e bere un po’ d’acqua dalla borraccia. «La devo centellinare con parsimonia. Ignoro se potrò trovarne altra di potabile» borbotta appoggiando la schiena.

«È stato molto faticoso arrivare fin qui» aggiunge con un filo di voce, mentre si deterge la bocca bagnata. Si sente stremato, osserva delle piccole emorragie cutanee sulle braccia. Il respiro si fa affannoso. Prova sensazioni di nausea e vertigini. Prende qualcosa dallo zaino per placare quella che gli sembra fame ma poi la rimette via. Lo stomaco è chiuso e non vuol ricevere nulla. Rischia solo di vomitare. «È meglio conservare il cibo per un’altra occasione senza sprecarlo».

Si distende sul divanetto. Non è molto comodo ma la stanchezza prevale sul disagio. Chiude gli occhi e sogna.

Il suo è un sogno in bianco e nero. Vede due giovani con un cane che pare un cucciolo. Ignora di quale razza sia ma gli appare molto giovane. Sono vestiti in modo strano ma ben diverso da lui. Il sogno continua ma si sveglia. È tutto intorpidito e sente freddo ma non ha nulla con cui coprirsi. Nel bunker non ha mai provato queste sensazioni. La temperatura era mite e non variava mai. Quello è stato per tutta la sua vita la zona comfort, una calda cuccia che l’ha cullato per ottant’anni. Però ricorda il bianco candore e il freddo pungente di sei mesi prima.

Intuisce che ha commesso un errore lasciando il bunker ma la curiosità di conoscere il mondo esterno e il terrore che quello sigillasse la sua vita è stato il detonatore della sua uscita.

Con lentezza scivola nel dormiveglia e ricomincia a sognare.

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Konnie – parte tredicesima

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Su Caffè Letterario è pubblicato la nuova puntata di Konnie, che potete leggere anche qui.

22 agosto 2144

La notte non è stata semplice da superare, perché il vento ha imperversato con violenza: c’è stato il rischio concreto che la tenda fosse strappata e volasse via. Poi si è aggiunto una bufera di neve che per fortuna è durata poco ma accumulato altri centimetri sul suolo.

Matteo e Alba hanno dormito come i gatti: un occhio chiuso e uno aperto, pronti a far fronte alle intemperie. Da quando una settimana prima sono partiti dalla Città del Sole non sono stati fortunati col tempo. Hanno pensato che sarebbe stata una scampagnata raggiungere Bozen ma invece pare un miraggio. Però hanno conosciuto aspetti del mondo esterno di cui ignoravano l’esistenza come la neve e il vento. Hanno compreso che non assomigliano per nulla alla calma piatta della Città del Sole e nemmeno ai video che hanno visionato più volte. La realtà è assai differente.

La mattina li accoglie splendida con un cielo di un azzurro intenso senza un alito di vento, mentre il sole fa scintillare la neve caduta nella notte che crocchia sotto di loro. La temperatura è rigida, mentre il respiro tende a condensare all’interno del casco. Devono azionare più volte un piccolo interruttore per disappannare l’interno.

«Riusciremo a tornare indietro tra qualche settimana?» Domanda Alba con tono preoccupato, quando al mattino si rimettono in marcia per scendere a valle. Ha lo sguardo allarmato con una profonda ruga che le solca la fronte.

«In estate non nevica» prova a rassicurarla Matteo, procedendo in discesa con passo guardingo, mentre Cucciolo rimane accanto a loro senza correre avanti e indietro come nei giorni precedenti. Sa d’aver pronunciato un’eresia, perché è evidente che non è vero.

Alba sorride perché tra qualche settimana l’autunno sarà alle porte. Quindi per quelle che sono le sue conoscenze il tempo dovrebbe virare al brutto, ma come lo ignora. Però un primo assaggio l’ha avuto. Matteo non l’ha convinta per nulla ma tace.

Scendono con cautela sulla strada ricoperta di neve. A malapena riconoscono sotto il velo bianco pietre e altri ostacoli. Lasciano alle spalle le orme dei loro piedi.

«Hai visto come è ingrossato Cucciolo? E come è morbido il suo pelo?» esterna Matteo osservando il lupetto che trotterella accanto a loro.

Alba lo scruta e sorride. Annuisce perché anche lei ha notato questo cambiamento. Però non è in grado di giustificarlo. Nella Città del Sole non ci sono cani e nemmeno gatti. Qualche altro animale è presente ma sono mucche e pecore. Si domanda se al loro ritorno sarà permesso di introdurlo ma rimanda la questione a più avanti.

La discesa sembra meno disastrata rispetto alla salita ma comunque impegna i due ragazzi a non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che si è formato durante la notte. Notano che sui costoni che contornano la strada il bosco presenta delle cicatrici che non si sono ancora chiuse per bene.

Man mano che scendono la neve si trasforma in acqua e piccole cascatelle scivolano da un tornante su quello più in basso. Camminano in silenzio facendo attenzione a dove posano i piedi. Cucciolo si avventura ogni tanto nel bosco che ha guadagnato spazio sulla strada, ridotta a stretto sentiero. Però ritorna in fretta al loro fianco.

Sono stanchi e le ombre della sera cominciano a calare. Lungo il tragitto non hanno trovato ruderi o altro e non sono arrivati a valle. Finalmente arrivano in uno spazio in piano con i resti di una costruzione, che accanto presenta una fossa rettangolare. Adesso è una buca colma di acqua scura maleodorante. Ignorano cosa poteva essere in origine.

«Non mi piace questa zona. C’è un odore malsano» afferma con tono categorico Alba. «Cerchiamo un altro posto».

Matteo annuisce con decisione. L’ubicazione, dove pernottare, non lo convince.

Si muovono, perlustrano, saggiano la solidità delle pareti rimaste in piedi, finché non decidono di sistemare la tenda in un luogo vicino a una struttura che contiene dei macchinari corrosi dalla ruggine.

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