All’inizio ho scritto poesie perché non ero in grado di scrivere altro.
Il motivo sta nel fatto che attraverso le parole esprimi ed esterni quello che senti dentro di te. Diciamo rappresenti le tue sensazioni. Un modo per mostrare uno spicchio di te stesso.
Nel romanzo, nei racconti il personale non esiste ma solo la fantasia e l’immaginazione. Le mie storie non sono mai autobiografiche, non parlano di mie esperienze. Solo il contesto, e non sempre, risente di qualcosa in cui ho vissuto. Inventarsi luoghi o descrivere altri reali ma mai conosciuti è sempre una bella impresa col rischio di scrivere scemenze.
Premetto di non considerarmi un poeta, anche se averi avuto il desiderio di diventarlo. Le ho scritte tra i diciassette e trent’anni poi mi sono inaridito. Forse l’impegno della famiglia, del lavoro, gli spostamenti e i viaggi mi hanno tolto la voglia di scrivere. E per fortuna direte. Sono d’accordo con chi mi leggerà.
Tutte sono raccolte in un quaderno ad anelli con la copertina rossa, dove le ho trascritte più volte.
Le due che leggete dopo questa logorroica premessa fanno parte di un gruppo di otto dedicata a una ragazza scritte quando avevo diciassette anni.
Chi è? Oppure chi era? Andiamolo a scoprire.
Frequentavo il Liceo Scientifico. Ero in terza. Al pomeriggio o correvo sulle mura cittadine oppure stavo al campo scuola di atletica. Questa frequentazioni mi hanno fatto stringere amicizia con un ragazzo di due anni più vecchio. Entrambi avevamo la passione della bicicletta. Quindi terminate le scuole tutti i pomeriggi facevano un bel po’ di chilometri. Lui viveva in una villa nella zona più bella della città, almeno allora era così. Questa aveva un’enorme terrazza. Per me che vivevo in appartamento era un bellissimo sogno. Franco, così si chiamava, aveva due sorelle: Maria Elena e Doriana. Maria Elena era coetanea. Doriana più piccola di tre anni.
Tre fratelli diversi per aspetto e personalità. Franco alto, muscoloso e dal carattere tutt’altro che facile, pronto al litigio.
Maria Elena dai tratti regolari e raffinati, dolce e tranquilla. Non molto alta.
Doriana non si poteva definire una grande bellezza. Il naso leggermente storto, il viso affilato come una lama, secca come il chiodo ma ci poteva stare. Carattere ruvido, scorbutica. Per nulla accomodante.
Franco quasi tutte le sere mi invitava a casa sua e passavamo le serate in terrazzo a ballare.
Io sbavavo per Maria Elena ma lei manco mi degnava di un sorriso. In compenso Doriana mi era sempre appiccicata e me la dovevo sorbire.
Finita l’estate Franco si iscrisse all’università a Milano e la famiglia cambiò città.
Fine della storia. Di loro non ho saputo mai più nulla. È rimasto solo il ricordo di quei tre mesi estivi.
A Doriana
Poesia n.ro 1
Tu sei selvaggia e spinosa,
tu sei indomita e fiera:
non t’appassire ora,
perché bella è per te la vita ora.
Fiore di serra incolto,
fiore di campo disadorno
rifiorisci alla dolce aria
della fresca e odorosa Primavera.
Poesia n.ro 2
Quando tu graffi,
quando tu fai le fusa,
sei come una gatta,
che incanta.
Quando tieni il broncio,
quando sorridi,
sei come il sole
che gioca lassù fra le nubi.
Queste due composizioni, non oso chiamarle poesie, sono assai diverse per stile e contenuti dal quelle attuali dove spesso le parole sono mescolate a caso nella speranza di dare un senso ai versi.
Eletta senso propone come gioco di oggi un lipogramma con la O in tema natalizio. Bell’impresa trovare parole senza la O. Angelo? No 😀 Albero? No! Senza tediarvi troppo vi propongo il mio.
Ragazzi oggi è lunedì, anche se festa e si dovrebbe riposare ma Elettasenso propone implacabile il suo gioco del lunedì. Mica semplice trovare parole che usino una sola vocale. Io ho scelto la E e questa è la mia poesia un po’ scemotta.
Tanti anni fa, quando giovane virgulto pensavo, ahimè, di emulare i grandi poeti ho scritto delle poesie. Niente di speciale, semplici sgorbi giovanili.
Questa è dedicata a Doriana, amore altrettanto giovanile, non corrisposto da me. Di solito è vero il contrario, ma a me piaceva la sorella Maria Elena, che invece non mi considerava per nulla. Insomma avete capito un flop in tutte le direzioni.
Ve la propongo come l’ho scritta allora, anzi col senno del poi, perché di lei ho perso le tracce dopo l’effimera estate e molti anni più tardi.
Tu sei selvaggia e spinosa, tu sei indomita e fiera: non t’appassire ora, perché bella è per la vita ora. Fiore di serra incolto, fiore di campo disadorno rifiorisci alla dolce aria della fresca e odoroso Primavera.
Sempre dal libro mai pubblicato estraggo questo mini racconto.
“Fu di sera, già di buio; era ottobre. Il cielo era coperto. Il giorno avevamo vendemmiato e attraverso i filari vedevamo nel mare grigio avvicinarsi le vele d’una nave che batteva bandiera imperiale.” (Italo Calvino, Il visconte dimezzato. I meridiani – Arnaldo Mondadori Editore)
Marco aveva dieci anni, quando una sera vide la nave sull’orizzonte. Era snella e andava a vela come i vecchi vascelli. Sembrava che volasse tra cielo e acqua, perché lì l’orizzonte si confonde. Nel vederla accese la fantasia.
Stava sul ponte di comando a guidare quella ciurma indisciplinata, mentre il timoniere teneva la barra a dritta.
Si sgolava e imprecava ad alta voce.
«Alzate la vela maestra! Mollate il fiocco! C’è troppo vento, virate a manca col vento contro!»
La voce roca e tagliente dava ordini secchi come schioppettate che arrivano diritti al cuore dei marinai.
Il veliero cavalcava agile l’onda bianca, pronta a scendere nell’incavo del mare e poi salire su quella successiva.
Marco era ritto come un fuso sulla plancia sferzato da vento e salsedine, pronto a odorare il suo profumo e dirigersi dove questo vola dritto.
La prua sottile taglia il verde marino come la lama nel burro, mentre dietro una danza di salti e tuffi l’accompagna.
Ormai cinquantenne sogna ancora il mare, mentre osserva corrucciato il brulicare di uomini indaffarati e spenti che si agitano nella vita cittadina.
È un cittadino, che ama l’aria, la salsedine e i velieri senza essere ricambiato.
È marzo, ma il tempo per rifugiarsi nella vecchia casa in riva al mare tra filari di vite e noci dalle larghe chiome non è ancora arrivato.
Si strugge dalla malinconia e dal ricordo, perché non è potuto diventare un marinaio. I suoi vecchi non hanno voluto, doveva diventare Dottore, avere una casa in città, una moglie e dei figli belli come lui.
«Papà» disse un giorno di trent’anni prima, «anche all’Accademia divento Dottore».
Suo padre fu irremovibile. Doveva andare in città all’università per diventare Dottore.
Marco si rassegnò esternamente, ma dentro coltivava l’idea del mare, ma la coltivò solo, perché trovò Mara e la sposò.
Anche a Mara il mare non piaceva, diceva che le incuteva paura e poi non sapeva nuotare.
Si rassegnò a malincuore a vivere fra cemento, auto, rumori e polvere in una casa che molti dicevano essere confortevole, ma che a lui stava stretta.
A questi pensieri gli viene un groppo in gola. Lui ha soddisfatto i suoi vecchi ma dentro di sé si sente infelice. La casa in città l’ha comprata tanti anni prima. La moglie c’è come pure i due figli belli come lui.
Marco per vedere il mare deve andare da solo nella vecchia casa paterna. È spoglia e vuota dopo che i suoi vecchi uno alla volta in punta di piedi se ne sono andati nel piccolo cimitero in fondo alla strada.
Quella casa non la ha voluta mai vendere, come le quindici pertiche di vigna ormai inselvatichitasi, ma tenuta ordinata da Giuseppe, il vecchio fattore.
Mara e i due ragazzi non l’hanno mai voluto vedere sperando che la vendesse.
Marco si mette là dove a dieci anni aveva visto la nave con la bandiera imperiale. In quel punto l’orizzonte si confonde con l’acqua. Là il sole si inabissa colorando di rosso terra, acqua e cielo. Lui stava lì a bocca aperta per aspirare il gusto del sale che arrivava da dietro le dune.
Ancora qualche settimana di supplizio a respirare cemento, poi da solo avrebbe preso quel viottolo polveroso che conduce alla casa paterna senza luce e senza acqua. Con gli scuri incrostati di sale e le pietre rosse che sono imbiancate. È un casale troppo grande per lui ma avrebbe vissuto nelle stanze al pianoterra.
L’ampia cucina col camino di pietra che guarda l’orizzonte. Un tavolo rustico inscurito dal tempo. Qui sarebbe stato di vedetta, mentre mangia osservando il mare. La vecchia sala da pranzo col divano di cretonne liso e dai colori indefiniti. Questo è il suo letto. Avrebbe riattivato il camino per cuocere e riscaldare l’ambiente.
Sul fratino in cucina avrebbe scritto il suo amore per il mare alla luce della lampada a olio. Qui i ricordi di quaranta anni fa lo conducono per mano.
sentì l’impulso di scrivere poesie, che in qualche modo riecheggiavano gli stinovisti. Di quelle prime poesie rozze e non troppo originali non sono rimaste tracce, perché, quando nel 1970 ho ricopiato tutte le poesie in un quaderno ad anelli, sono state cancellate.
In quei lontani anni, ero uno studente del liceo scientifico, cercavo l’ispirazione coi sensi: vista e udito, emozioni e sentimenti. Oggi con la maturità volo con la fantasia accarezzando tutto quello che sta intorno a me alla ricerca e alla scoperta del senso della vita.
Questa raccolta non viaggia per terre lontane, ma osserva e viaggia con la fantasia spaziando tra sentimenti ed emozioni.
Chi le leggerà, viaggerà con me nel mondo fantastico dei sensi lungo un cammino fatto di sensazioni e immagini.
Per te
Per Te,
che sai vivere le sensazioni
migliori della vita
e ti agiti e sei in continuo divenire,
per Te,
che assapori la terra e la tocchi
e senti il vento
che ti fa socchiudere gli occhi,
per Te,
che sai guardare il cielo,
è questa vita
in tutta la sua forza.
Scrivere creativo propone una stuzzicante sfida. Un esercizio di scrittura creativa
Scrivi un testo di 41 parole. Genere poetico. In rima. Tema: l’ombra. Deve iniziare con la seguente parola: orecchie.
E così mi sono lasciato coinvolgere. Ecco il mio componimento
Orecchie, aperte
tienile coperte.
Il vento fischia
e noi si rischia.
Ah, che bello il motivo
dello scrivere creativo.
Mi diverto un mondo
a inventare un finimondo
di parole astruse
che appaiono confuse.
Contento saltello
con le rime sul più bello. Sciocco direi !
Eccomi con altri due acrostici, pubblicati su twitter.
Forse sono gli ultimi che userò per ingannare l’attesa di avviare il nuovo progetto, che sta muovendo i primi timidi passi.
Il primo è GAIA senza D
Gioia nel cuore è Amore verso una nuova vita che cresce, Intenso si sviluppa il sentimento Anche nel web
Il secondo è COLPA senza I Coloro, che contemplano e Osservano la luna, Lontano gettano lo sguardo Per catturare Aura e sogno.
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