Non passava giorno – Cap. 2

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La torre stava scoccando i sei rintocchi delle diciotto, quando Sofia, puntuale come un orologio svizzero, suonava alla porta.

«Sofia, sali» dissi allegra, aprendola. «Mi devo infilare solo collant e scarpe e sono pronta! Non aspetterai più di un minuto!»

L’amica entrò con fare deciso. La squadrò dalla testa ai piedi, che poggiavano nudi sul pavimento. L’abbracciò e la baciò sulle guance.

«Ehi! non lamentarti se tardiamo a uscire! Non riesco indossare i collant, se mi tieni le braccia!» brontolò Laura, mentre in equilibrio instabile su una gamba tentava di infilarli.

«Aspetta, ti aiuto!» rispose Sofia allegra. «Sei uno splendore!» Il buonumore risuonava nella stanza. Laura sembrava tornata quella, che tutti conoscevano, festosa e sorridente.

Le due ragazze uscirono abbracciate e si avviarono verso il centro. Parlavano fitto, come se fossero state anni senza vedersi. Laura e Sofia erano cresciute insieme nella grande corte di un palazzo alla periferia di Milano. Avevano frequentato le medesime scuole, finché i genitori di Laura non si erano trasferiti in una bella casa antica nel centro città.

Quante lacrime avevano versate le due bambine al momento del trasloco! La grande amicizia, che le univa, non si era spenta o spezzata. Col tempo si era cementata e avevano continuato a frequentarsi pur abitando lontane.

Si erano ritrovate al liceo. All’università frequentavano corsi di laurea differenti, pur facendo parte dello stesso gruppo di giovani chiassosi e allegri.

Fisicamente erano diverse come nel carattere. Laura aveva dei capelli appena ramati, che ricadevano morbidi e ondulati fin quasi sulle spalle, incorniciando un viso pallido e splendente. Due occhi verdi mobili brillavano come luminosi smeraldi a bilanciare il candore della pelle. Nonostante l’altezza, inusuale in una ragazza, aveva un corpo snello e flessuoso, che le conferiva una carica sensuale, non ignorata dagli uomini.

Sofia era più bassa dell’amica. Sul viso delicato, sul quale brillavano degli occhi grigio-azzurri, avevano come corona capelli lisci e scuri. Il corpo era stato modellato dal nuoto senza stravolgerne le forme. Passava più inosservata rispetto all’amica, perché era meno appariscente., Insieme formavano una coppia che suscitava gli sguardi e le parole piccanti degli uomini.

Sofia. laureatasi in matematica, era riuscita a rendersi autosufficiente, affrancandosi dai genitori. Aveva trovato un buon lavoro, che le permise di acquistare una casa al limite est della città. Viveva da sola da diversi mesi.

Laura invece abitava coi genitori nella spaziosa casa del centro storico. Dopo la laurea cercava un lavoro, che potesse soddisfare le sue aspettative. Lei era stata corteggiata senza successo da molti uomini. Non era difficile nelle scelte, né aveva la puzza sotto il naso. Semplicemente non scattava quel qualcosa che poteva scatenare in lei l’innamoramento. Solo la relazione con Marco era risultata importante, perché aveva trovato il giusto equilibrio tra l’ansia dell’amore e il calore della persona. Si erano conosciuti all’università e fin dai primi giorni c’era stata tra loro una forte attrazione fisica e psichica, che si era tradotto in un affiatamento mai interrotto da screzi o litigi. Laura si era sentita sicura e protetta vicino a Marco. Per la sua calma e serenità nell’affrontare i problemi, per il suo modo pacato nell’esposizione dei pensieri lui aveva avuto un effetto benefico. Le aveva tolto quel senso di ansia e insicurezza che dalla pubertà portava dentro di sé.

Meno fortunata era stata Sofia, dal carattere spigoloso e deciso. Non aveva avuto amori travolgenti e neppure aveva conosciuto dei ragazzi, capaci di accettarla. Tutti parevano girarle al largo.

Si fermarono alla Caffetteria del Corso, un locale raffinato ed elegante, frequentato da giovani e meno giovani, come punto di ritrovo per aperitivi e colazioni. Era il caffè più gettonato di Milano per la qualità del servizio e delle bevande. Nelle ore di punta era sempre molto affollato. Non era infrequente che i clienti aspettassero con pazienza il turno per essere serviti.

Anche quella sera il locale era pieno di gente, vestita elegantemente. Diverse persone erano in attesa di un posto libero. Laura e Sofia, che avevano visto liberarsi un tavolino nell’angolo più lontano, si precipitarono e bruciarono sul tempo due uomini, appoggiati al bancone. Loro abbozzarono solamente un sorriso amaro per lo sgarbo. Sofia pensò che, se invece di due simpatici giovanotti ci fossero state due donne, sarebbe nato un furioso battibecco. Più di una volta loro l’avevano fatto.

«Siamo state insolenti e prepotenti con quei due uomini!» sussurrò divertita l’amica a Laura. «Possiamo invitarli a sedersi accanto a noi». Si sentiva allegra e trasgressiva.

Era intenzione di Sofia di distrarre l’amica per l’addio di Marco. Aveva lanciato quella proposta estemporanea e provocante per raggiungere lo scopo.

Laura accennò a un sorriso forzato, dicendosi d’accordo. In realtà aveva immaginato una serata diversa da quella di stare al tavolo con due sconosciuti. Voleva parlare con Sofia di Marco, del suo futuro e di altro.

«Pazienza!» si lasciò sfuggire, «Sarà per la prossima volta».

Sofia, che era single da sempre, sorrise. «Mi sembrano due ragazzi educati, nonostante lo scherzetto».

Spinse Laura per chiedere loro, se accettavano la compagnia.

Lei di malavoglia con il sorriso sulle labbra si alzò. Si avvicinò ai due uomini che aspettavano la liberazione di un altro tavolo.

«Io e la mia amica siamo mortificate» disse con tono sensuale «Vi abbiamo soffiato il posto che vi spettava. Per riparare vi invitiamo a sedervi al loro tavolo».

I due si guardarono stupiti. «Grazie!» dissero con un mezzo inchino, raccogliendo l’invito «Ci fa piacere condividere il tavolo con due splendide ragazze. L’aperitivo lo offriamo noi».

Sofia aspettava impaziente e scalpitante.

«Paolo» disse quello più alto. «Matteo vi dà la buona sera!» aggiunse l’altro.

«Sofia è qui seduta» disse allegra e spiritosa. «Laura vi fa accomodare!»

La presentazione un po’ insolita suscitò qualche timida risata. Tuttavia servì per rompere il ghiaccio e avviare la conversazione.

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Non passava giorno – cap. 1

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Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro allegro e spensierato per il bosco con la sua grande coda imponente, della quale era molto orgoglioso. Era un tipetto strano e pieno di risorse ma totalmente imprevedibile. Al mattino capitava sovente di lasciarsi cadere sul morbido muschio ai piedi dell’abete preferito, rimbalzando per la gioia con una grande capriola. Se era ispirato dalla natura, volava dalla punta di un ramo per finire nel torrente, che scorreva allegro nel bosco. Qualche volta non cadeva nell’acqua ma sul dorso di una libellula, che passava casualmente di lì e che lo traghettava sull’altra riva. Quando incontrava una strada, prendeva sempre la prima, che vedeva, senza pensarci su due volte. Se poi incrociava un sentiero laterale lo infilava, e se aveva dei progetti per la giornata, se li scordava regolarmente. Ma nulla poteva modificare il suo carattere allegro e giovale, pronto a dare il suo aiuto senza secondi fini nascosti. Questa mattina, di buon’ora, stava andando dall’orso bruno, che traslocava dalla sua tana. Aveva chiesto aiuto alla comunità del bosco per farsi aiutare. Percorreva spensierato il sentiero, quando vide un tratturo umido per la rugiada della notte, che serpeggiava tra abeti e faggi, e naturalmente lo prese senza esitazioni. All’imbocco c’era un cartello un po’ scolorito che diceva «STRADA VERSO….» e niente altro. ‘É lì che devo andare!’ pensò lo scoiattolo tutto allegro. Con grande rammarico dopo pochi saltelli incontrò un’altra deviazione…

Laura stava leggendo l’inizio della fiaba, che aveva scritto tanti anni prima, quando era sedicenne. In realtà quella mattina, fredda e serena di marzo, era salita nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso, dismesso da tempo. Non sapeva nemmeno lei, perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita. In realtà voleva semplicemente ingannare se stessa, perché ne conosceva perfettamente il motivo.

Il giorno precedente aveva trovato una fotografia, che era scivolata fuori maliziosamente da una scatola piena di ricordi. Subito il cuore aveva preso a pulsare come un metronomo impazzito.

«Accidenti!» esclamò eccitata, mentre la raccoglieva da terra «Come ero bella! Ero la più bella del gruppo».

Aveva osservato quella vecchia istantanea a colori, che la ritraeva con uno splendido vestito rosso, abbracciata a Marco. Non era riuscita a calmare il senso di ansia per il groppo alla gola, che le impediva di respirare.

Era una fotografia, quando lei con altri compagni di università costituivano un gruppo affiatato, unito, spensierato e allegro. Le ricordava un momento felice e importante della sua esistenza.

La vista di Marco, del vestito rosso riaccese dentro di lei un fuoco mai spento, che covava sornione da mesi sotto le ceneri. Sapeva che la ricerca di quel abito avrebbe riaperto una ferita mai sanata, che avrebbe ripreso a sanguinare dolorosamente. I ricordi di quegli anni erano troppo freschi per poterli cancellare con un semplice tratto di penna o più banalmente chiudendo gli occhi e fingendo che non fossero mai esistiti. Aveva deciso che sarebbe salita nel sottotetto a cercarlo e non sarebbe scesa, finché non l’avesse trovato.

Rovistando nei cassetti di un vecchio cassettone, aveva trovato dei fogli un po’ ingialliti, stropicciati e scritti a mano, dei quali aveva perso la memoria. Si era fermata a leggerli, dimenticando per un momento il motivo per il quale era lì. Era ritornata l’adolescente che aveva sperato di diventare un giorno una scrittrice di successo mondiale.

Aveva sognato di scrivere romanzi, racconti da trasformare in best seller, giovane emula di J.K. Rowling o celebre come Virginia Woolf, che erano i suoi miti giovanili. Alla sua età si fantasticava gloria e luci della ribalta. Laura si era cullata nell’illusione di ottenere fama e prosperità attraverso la scrittura. Ben presto abbandonò ogni velleità letteraria, perché aveva capito che non aveva imboccata la strada giusta. Chiusi gli scritti in una cartellina gialla a copertina rigida, li mandò in soffitta come sogni accarezzati e inseguiti vanamente. Tuttavia per magia erano ricomparsi.

Per un connubio tra passato remoto e quello recente la mente cominciò a divagare, ripercorrendo gli eventi degli ultimi otto mesi, che l’avevano segnata profondamente nello spirito e nel corpo.

Il primo pensiero fu per Marco, che aveva sperato di dimenticare e rimuovere per sempre. In realtà non era così, perché era tornato a galla con prepotenza. Con amarezza ricordò il suo “ADDIO”, che le era apparso tanto angosciante quanto misterioso e incomprensibile. Poi ripercorse le penose settimane che seguirono. Gli sembrarono una muro di tenebre, dalle quali riemerse a fatica e con lentezza. Per fortuna aveva trovato un lavoro che le stava dando molte soddisfazioni sia materiali che professionali. Rifletté sulla corte assidua e discreta di Paolo, su Sofia, la fedele amica, che aveva trovato l’amore in maniera del tutto casuale.

Marco era stato il suo ragazzo durante quei cinque meravigliosi anni di università. Un giorno le disse, senza lasciarle scampo: «Laura, sei una ragazza stupenda, con la quale sono stato felice in questi anni. Il tempo ha spento il fuoco dentro di me e non voglio ingannarti. Siamo cresciuti e maturati, ci siamo laureati con ottime votazioni, stiamo cercando lavoro per dare un senso al nostro futuro. Tuttavia le nostre strade si devono per forza separare. Sono certo che troverai l’uomo dei tuoi sogni, con il quale potrai condividere le gioie e i dolori della tua vita. E’ arrivato il momento di dirci addio».

A quelle parole le era parso che il mondo le fosse caduto addosso. Era rimasta in silenzio e ammutolita da non riuscire nemmeno a piangere.

Ricordò che stava per aprire bocca, quando Marco le pose un dito sulla bocca. «Non dire nulla. Non serve. Diciamoci solo addio e poi ognuno segua la propria strada». Si era girato, allontanandosi deciso senza aggiungere nient’altro. Lei aveva continuato a rimanere muta e pietrificata, come se una misteriosa mano le avesse reciso le corde vocali. Era stata incapace di reagire, di inseguirlo per avere delle spiegazioni che non aveva udito e che lui non aveva mai pronunciato.

Era rimasta ferma sulla panchina all’ombra del grande cedro del Libano, che aveva visto e ascoltato tante storie simili alla sua. Laura era rimasta seduta per un tempo non quantificabile, perché aveva indugiato a lungo prima di alzarsi. Pareva che le lancette si fossero fermate.

I ricordi continuarono a scorrere fluidi. Tornata a casa, aveva aperto l’armadio e aveva tolto il vestito rosso, che conservava gelosamente. Le ricordava un episodio felice e importante di cinque anni prima, quando Marco aveva dichiarato con dolcezza: “Laura, ti amo!”. Suggellò la dichiarazione con un bacio appassionato. Dopo averlo impacchettato in una custodia trasparente, era salita nel sottotetto per nasconderlo alla vista, perché era impregnato dell’amore che provava per lui.

Del vestito rosso se ne dimenticò ma Marco no. Lui era sempre presente giorno e notte nei suoi pensieri, nei suoi sogni, che assomigliavano a incubi.

Non era riuscita a darsi pace, né a capacitarsi delle ragioni per le quali le aveva detto “addio”, perché non aveva spiegato nulla con un discorso banale e generico. Tutto sembrava filare liscio, senza intoppi, né litigi o motivi di attrito, sempre felici di stare insieme.

Quel giorno le era sembrato che fosse scoppiato un temporale senza nessuno preavviso, all’improvviso, gettandola nella depressione.

I ricordi di quei giorni tornavano a galla, come gli avvenimenti che avrebbero segnato i mesi successivi.

Per giorni non aveva voluto vedere nessuno, nemmeno Sofia, la più cara amica, la confidente con la quale condivideva tutti i segreti più riposti. Si era negata al telefono, senza rispondere né a SMS, né a messaggi di posta. Pareva sparita dalla terra, inghiottita da un buco nero con grande disperazione dei genitori, che inutilmente avevano cercato di consolarla e sostenerla psicologicamente. Si era rinchiusa nella sua stanza, rifiutando di uscire o di mangiare. Era una sepolta viva.

Lentamente nei giorni successivi era uscita dal limbo, in cui era precipitata, una caduta senza fine, riprendendo a vivere e mangiare.

Aveva risposto al telefono, il cui suono le aveva trafitto la testa. Era Sofia, preoccupata per il lungo e prolungato silenzio.

«Laura! Finalmente!» iniziò. Proseguì senza darle tempo di rispondere che avrebbero passata insieme la serata e che si sarebbe fermata a dormire da lei, «Hai capito? Niente se, niente ma!». Sofia, prima di tacere, aveva parlato sempre lei senza dare scampo a Laura, che non era riuscita a emettere un solo lamento.

«Sofia» era stata l’unica parola che era riuscita a pronunciare, prima di scoppiare in un pianto a dirotto.

«Laura!» aveva esclamato irata «Non piangere! Non riesco a sentire quello che dici! Non sopporto le donne che piangono per nulla! Alle sei in punto suono e fatti trovare pronta! Non tollero aspettare! Ciao. A dopo».

La comunicazione si era interrotta bruscamente, mentre lei con il telefono in mano e con grosse lacrime, che rigavano il viso, stava seduta inebetita sulla poltrona.

Si era riscossa, aveva guardato l’ora ed era trasalita. Erano le cinque passate. Se voleva essere puntuale, aveva pochissimo tempo a disposizione. Doveva sbrigarsi, perché Sofia avrebbe fatto una sfuriata delle sue, se non era già sull’uscio alle sei in punto.

Alzatasi, si era fiondata come una freccia nella sua stanza alla ricerca di qualcosa di carino da indossare e a preparare la borsa per la notte. Quella telefonata l’aveva fatta rinascere. Non voleva sprecare l’occasione. Doveva dimenticare le pene dell’anima l’addio di Marco.

Quello era stato un pianto liberatorio, perché si sentiva meglio, più sollevata.

Non aveva tempo di riflettere ulteriormente.

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