Sofia era distratta da un pensiero che non comprendeva nella sua pienezza. ‘Perché Laura ha telefonato a Marco?’ si chiese perplessa. ‘Perché lui si è precipitato immediatamente? Vogliono ricucire lo strappo?’
Non riusciva a concentrarsi in quello che stava facendo. La mente vagava tra dubbi e curiosità, mentre lei guardava in continuazione l’orologio, che pareva fermo tanto lentamente sembrava scorrere il tempo.
‘Basta!’ si disse, cercando di scacciare quei pensieri. ‘Basta con queste fantasie! Devo terminare la relazione entro stasera! Non ho scritto un rigo da quando sono rientrata. Penso sempre a loro. Accidenti! Quasi fossero i miei amanti che mi hanno abbandonata per strada’.
Si alzò dal tavolo con movimenti concitati, andando alla finestra per guardare fuori. Non doveva controllare nulla ma voleva ritrovare la concentrazione perduta. Era la domanda sul motivo del riavvicinamento tra Laura e Marco, che continuava a monopolizzare la sua mente. Sentì la suoneria del telefono. “Anche questo congiura contro di me!” sbottò ad alta voce, mentre leggeva sul display il chiamante. ‘Uffa!’ sbuffò innervosita. ‘Che vuole Matteo? Lo sa che non amo essere disturbata in orario di lavoro’.
“Ciao“ esordì Sofia con voce acida.
“Ciao” le rispose Matteo, che avvertì freddezza nella risposta. “Paolo è in crisi per Laura. Non so cosa fare. Posso chiederti un consiglio?”
“Porca miseria!” esclamò Sofia e poi tacque. Valutò la situazione, che si presentava ingarbugliata e imponeva un’attenta riflessione. ‘Laura e Marco insieme, almeno fino a stasera’ pensò. ‘Paolo in crisi come un ragazzino ai primi innamoramenti che chiede per interposta persona aiuto a me. Io in pieno marasma esistenziale per colpa loro’. Tutto le appariva interconnesso senza trovare il filo che legava ogni aspetto del rebus. Cercò di decifrare la situazione senza successo. La testa sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro. Aveva un’importante relazione da terminare entro poche ore ma non riusciva a concentrarsi. Doveva dare una risposta a Matteo.
‘Non posso rimanere in silenzio in eterno’ pensò, mentre era alla ricerca delle parole giuste per la risposta al quesito. ‘Cosa ho fatto di male per trovarmi coinvolta in questa intricata storia d’amore?’
“Scusa” disse, mentendo spudoratamente “Stavo riflettendo su quello che hai detto. La risposta è troppo articolata per dartela su due piedi. Rischierei nella fretta di passarti informazioni fuorvianti”.
Tacque un attimo prima di riprendere a parlare. “In questo momento sono impegnata con una grossa grana professionale” aggiunse, facendo una nuova pausa. “Lo sai che non voglio essere disturbata sul lavoro”.
Matteo era rimasto in silenzio per ascoltare quello che Sofia aveva da comunicargli. Non era una novità per lui che Sofia non desiderava essere disturbata durante la giornata su questioni private. Questo, ricordava bene, la innervosiva non poco ma aveva sperato che gli desse una risposta volante.
“Scusami” rispose Matteo, “lo so di avere infranto una regola che ci siamo dati. Ma Paolo è troppo in crisi per attendere che tu esca”.
Sofia cercò di moderare il tono della risposta, perché d’istinto avrebbe voluto dirgli ‘E chi se ne frega se è rincoglionito!’. “Matteo” fece la ragazza, “non riesco a liberarmi prima delle sette per darti una risposta. Alle otto, come sai, sono da Laura per cena”.
Sofia lo sentì sbuffare. “Che ne diresti se vieni a dormire da me, così ne possiamo parlare con calma?” gli disse, anticipando le sue rimostranze. “Ti telefono, quando mi libero da Laura, e mi raggiungi a casa”.
“Va bene“ sospirò Matteo, ritenendo inutile insistere, “anzi non va bene un bel niente”. Sono troppo amico di Paolo per abbandonarlo in questo momento, pensò Matteo.
“Hai ancora qualcosa da dirmi?” fece Sofia, che voleva chiudere la conversazione.
“No” rispose seccato. “Se non puoi ora, ne parleremo sotto le lenzuola. Ciao a stasera”.
“Ciao” replicò Sofia, che pareva una tigre in gabbia, muovendosi nervosamente nella stanza.
‘Al diavolo!’ imprecò sotto voce per i pensieri che non smettevano di disturbarla. ‘Al diavolo anche questa relazione!’ si disse Sofia, chiudendo la cartellina sulla sua scrivania. ‘Neanche se mi legassero alla sedia riuscirei a finirla! Vado da Bob e gli dico che per oggi smetto. Non è giornata! L’avrà domattina o il giorno dopo, quando sarò riuscita a controllare le mie azioni e i miei pensieri’.
Uscì dall’ufficio con largo anticipo rispetto al solito per riflettere. Doveva raccogliere le idee, doveva capire, se il riavvicinamento tra Laura e Marco era definitivo oppure no. Doveva comprendere troppe cose, che non la riguardavano e nemmeno la sfioravano e si incamminò verso piazza Cordusio. Era coinvolta controvoglia in una storia intricata dalla quale non sapeva come uscirne.
Mentre camminava, sperò di analizzare con più lucidità la storia che coinvolgeva Paolo, Marco e Laura. Tuttavia più pensava agli avvenimenti delle ultime ore, più si rendeva conto che c’erano troppi punti oscuri, di cui non conosceva i contorni. Un profondo senso di frustrazioni l’assalì, mentre la curiosità lasciava il posto ai dubbi e alle domande insolute.
Erano le quindici e trenta, quando Marco suonò il campanello con lo stesso tremore che aveva provato il primo giorno di scuola a sei anni, al momento di varcare l’ingresso della scuola elementare Montessori. La casa di Laura era una via nei pressi di piazza Missori. Un vecchio edificio, inscurito dal tempo. ‘Riuscirò a mascherare quello che provo internamente?’ si chiese, pensando alle sue reazioni alla vista della ragazza, mentre avvertiva rumori di passi, che si avvicinavano al portone. L’ansia montava dentro di lui. ‘Riuscirò a trattenere l’emozione?’ si disse per rincuorarsi e darsi un contegno dignitoso. Agnese per il momento era ancora una conoscenza lontana, quasi una scommessa al buio senza nessuna sicurezza che potesse sostituire Laura nel cuore. Aveva portato nel borsone la busta bianca con fotografie e lettere, senza avere la certezza che le avrebbe mostrate.
Il portone si spalancò. La vide.
Il tempo retrocedette di cinque anni. Lasciò cadere a terra, quanto teneva i mano, e l’afferrò tra le braccia, stringendola al petto. Quasi la sollevò. Le loro labbra si cercarono con passione tra gli sguardi divertiti dei passanti. Sembrava che non dovessero staccarsi più. Laura era in punta di piedi, mentre lui la faceva dondolare in qua e in là come una foglia sul ramo.
“Ah, l’amore cosa fa fare!” commentò un’anziana signora ad alta voce, mentre li osservava a baciarsi.
“I giovani hanno i bollenti spiriti!” aggiunse un’altra, osservando come era vestita la ragazza.
La fresca giornata di aprile soleggiata e ventilata non giustificava il vestito leggero indossato da Laura, più adatto all’assolato luglio. Era l’abito rosso ritrovato in soffitta.
Laura non pareva avvertire il freddo della giornata, abbracciata a Marco. Il ragazzo raccolse la borsa abbandonata sul marciapiede e, stringendola, entrò in casa. Il portone si chiuse silenzioso alle loro spalle.
Marco non si aspettava questa reazione da parte sua, mentre Laura aveva sognato a lungo che si fosse avverato il sogno di riabbracciarlo. Il bacio interminabile aveva fatto palpitare i loro cuori, tanto che gli otto mesi di distacco parevano una parentesi provvisoria, durata un battito di ciglia.
Si sistemarono sul divano, tenendosi per mano come se avessero paura di perdersi di nuovo.
“Mi sei mancato.” disse la ragazza, guardandolo negli occhi. “Mi sei mancato terribilmente. Da otto mesi aspettavo questo momento. Di rivederti, di parlarti, di assaporare le tue labbra. L’occasione è arrivata finalmente”. Il suo viso traspirava di una gioia repressa per troppo tempo.
Marco la fissò per via di quel vestito, che gli appariva magico. L’aveva stregato una seconda volta. Taceva e osservava, non aveva parole per esprimere i pensieri, mentre le labbra rimanevano chiuse. Calmò il tumulto che Laura gli aveva provocato. I sentimenti, che provava, avevano avuto il sopravvento sulla parte razionale. che gli consigliava prudenza e di trovare una scusa per non venire. Si domandò, se non fosse stata una mossa imprudente quella di precipitarsi qui. ‘Troverò la forza di restare fedele alla determinazione che mi vuole lontano da Milano e da lei?’ si disse, mentre era destabilizzato dalla vista di Laura. Era seduto con gli occhi che divoravano la figura adagiata vicino a lui, ammirandola, come se stesse osservando la Primavera del Botticelli.
Laura, intuiti i suoi pensieri, si alzò per mostrare civettuola la sua bellezza.
Marco a quella vista percepì di essere confuso e indeciso tra sentimenti di amore e razionalità della mente. Qualunque decisione avesse preso, sarebbe stata difficile e dolorosa per entrambi. Scacciò per il momento questi pensieri e si concentrò sulla sua figura.
“Sei splendida” le disse, mentre la contemplava. “Lo sei sempre stata. Vieni vicino e raccontami tutto”. Marco rimase in attesa che parlasse, mentre la ragazza si rannicchiò sicura fra le sue braccia protettive.
“Marco“ iniziò Laura, “non so da dove cominciare quanto vorrei dirti. Mi ero preparata ma ora sono confusa e frastornata nel realizzare che sei qui, accanto a me. I pensieri si accavallano senza un ordine preciso”.
Si fermò per riprendere fiato e proseguì con un discorso senza capo né coda, saltando da un argomento all’altro per la concitazione del momento. Distratta dalla vista di Marco, non resisteva dal posare lo sguardo su di lui, sulle sue mani, sul suo viso. Parlava confusamente. “Sono otto mesi che aspettavo questo momento” disse con occhi sognanti. “Non mi sono mai sentita sicura, come in questo istante”. Il tumulto interno stava scemando, lasciando il posto alla calma. “Capisci quello che voglio trasmetterti?”
Marco la baciò con dolcezza, mentre le sue mani accarezzavano i capelli rossi della ragazza. Le labbra di Laura, appena socchiuse, erano ansiose di afferrarne il sapore. Lui percepì il profumo di una donna, che lo inebriava. Non un’essenza artificiale ma qualcosa di vero e genuino. Era il medesimo odore che cinque anni prima aveva fatto scattare la molla dell’innamoramento. Adesso era diverso. Capiva che sarebbe stato difficile rinunciarvi per sempre, perché l’affetto non si era affievolito ma era maturato con la lontananza. Quel bacio aveva fatto venire i brividi a Laura, che si aspettava una risposta, che tardava ad arrivare.
‘Mi vuole trasmettere che mi ama ancora, anche se le ho detto addio?’ pensò incerto Marco, mentre soppesava il pensiero che altrimenti sarebbe uscito prepotente senza freni dalla bocca. Le parole rimasero confinate nelle mente. Percepì confusione dentro di sé, dopo averla ammirata col vestito rosso, che gli ricordò il 20 giugno di cinque anni prima, quando l’aveva vista per la prima volta. La reazione era stata la medesima. Disorientamento e attrazione.
Entrambi, insicuri per l’emozione di essersi rivisti, non avevano la lucidità di pensiero. “Stiamo in silenzio” suggerì Marco. “Plachiamo l’ansia. Facciamo rallentare i battiti dei nostri cuori”.
Si guardarono. Poi Laura si rifugiò sul petto di Marco, mentre l’abbracciava con vigore. I rumori del cuore si dissolsero nell’aria, i respiri si chetarono, mentre il trambusto interno si trasformava in placida quiete.
Laura, sentendosi protetta dalle braccia e dal calore di Marco, si appisolò serenamente. Lui rifletté sui motivi per i quali era a Milano. ‘Non ho avuto il coraggio e la forza di rifiutare con cortesia l’invito’ si disse. ‘Tutto diventa più difficile’. Strinse con forza la ragazza addormentata. ‘Tutto si complica. L’amore si è risvegliato, come un vulcano dormiente, senza che riesca a tenerlo a bada. Quel vestito mi ha fatto impazzire cinque anni fa. La magia si è ripetuta anche oggi’.
L’affetto verso Laura tornava limpido come otto mesi prima ma comprese che per lui un ritorno a Milano era impossibile. Sentiva la città matrigna ed estranea alla sua visione della vita. Non era pensabile che Laura potesse vivere a Ferrara, perché aveva la necessità di vivere le novità istante per istante, di sentire l’adrenalina salire nelle vene, come la frenesia della città. Questi pensieri mettevano ansia a Marco, che comprendeva l’inutilità della venuta a Milano. Si era mostrato debole verso di sé. Non era stato in grado di frapporre un argine robusto al desiderio di rivedere Laura. Aveva compreso che ne era innamorato. Questo gli provocava dolore.
Rifletteva e guardava la ragazza che dormiva fra le sue braccia, percependo che al risveglio sarebbe stato difficile resistere al suo fascino.
Laura aprì gli occhi, sgranandoli, come se fosse stupita di essere lì fra le braccia di Marco. “Ho dormito,” disse soavemente. “Era tempo che non dormivo con tanta serenità. Avevi ragione, quando hai detto che il silenzio avrebbe rimesso a posto le idee”. Si stiracchiò come una gatta dopo essere stata al caldo sul calorifero, sbadigliando.
“Ti preparo un tè e poi parliamo” disse, alzandosi. ”Abbiamo molto da raccontarci. Devo aprire la mia anima, perché solo tu conosci la soluzione del problema”.
Lui annuì, anche se non capiva quale fosse la questione da risolvere.
Paolo telefonò a Matteo per parlare di Laura dopo l’ultima telefonata deludente. Lei gli appariva come una persona sfuggente e misteriosa, la mitica sfinge. Non riusciva a venirne a capo. Gli piaceva, lo intrigava ma rimaneva avvolta in un bozzolo di seta, inaccessibile e imperforabile.
La telefonata, ammetteva Paolo, era stato un autentico disastro. Si era mosso con l’impaccio e la disinvoltura da elefante in un negozio di cristalleria senza avere il coraggio di parlare con chiarezza e decisione.
Si rimproverava che doveva prendere l’iniziativa già alcuni mesi prima, dopo l’incontro a Cernobbio. Aveva ragionato come se Laura lo dovesse corteggiare, cercare, mettersi prona ai suoi piedi. In realtà era lui che la cercava e la desiderava. Una visione distorta della realtà.
“Ciao” disse al pronto di Matteo “Affronto subito l’argomento: Laura”.
“Dimmi, ti ascolto…” rispose l’amico, rassegnato all’ennesimo sfogo, cercando di dissimulare il fastidio di discutere ancora di lei. ‘Paolo non lo capisco’ pensò Matteo. ‘Non ha compreso che Laura non lo vuole’. Era sicuro che dopo Cernobbio avesse smesso di pensarla e i sei mesi di silenzio gli aveva dato la certezza ma l’argomento era ancora lei. Dunque, rifletté, nonostante tutti i proclami, sbandierati ai quattro venti, lui continuava a farci un pensiero. Immaginava già il tenore della telefonata.
“Oggi, dopo quasi sei mesi, l’ho contattata” riprese Paolo “per invitarla a cena. E’ finita che mi ha messo giù il telefono. Sono deluso di me stesso”.
Matteo sentì un grosso sospiro dall’altra parte, mentre la voce di Paolo aveva ripreso a parlare. ‘Stento a riconoscerlo’ si disse rassegnato. Laura l’aveva stregato a tal punto che Paolo non riusciva a staccare il pensiero. “Non dirmi” disse Matteo, tentando di non ironizzare troppo, “che hai preso una sbandata tale da uscire di strada con la testa? Ci conosciamo da una vita. Non parlavi così nemmeno a quindici anni! Non sei più un ragazzino, ma un professionista affermato!”
“Matteo, non scherzare!” lo interruppe Paolo con voce affranta, che non comprendeva quale particolare della ragazza l’avesse colpito: l’aspetto, i capelli rossi, la personalità ma forse era un mix di tutto questo. Matteo non poteva percepire il suo tormento. ‘É vero che una certa pigrizia mentale mi hanno impedito di contattarla in questi mesi’ si disse, ‘ma l’approccio è sempre fallimentare da qualunque parte lo si voglia osservare’.
Paolo provò a spiegare all’amico quali sensazioni la ragazza gli avevano stimolato e avvertiva che Matteo si tratteneva nel rispondergli per non esacerbare le sue pene amorose.
La telefonata proseguì per diverso tempo, finché Matteo non gli propose di incontrarsi a casa sua per discutere di Laura. Sperava di riuscire a farlo ragionare. Questa sera era libero, perché Sofia con un messaggio l’aveva avvertito che trascorreva la serata con Laura. ‘Senza di lei mi sento perduto’ rifletté. ‘Se dipendesse da me, l’avrei sposata l’altro ieri’.
“Alle otto. Una pizza e una birra, buona musica e tante parole. Ciao” disse Matteo, chiudendo la telefonata.
Paolo pensò che, se l’amico aveva avuto il potere di calmarlo, dentro gli bruciava il rifiuto di Laura. Aveva sperato che in questi sei mesi avesse cambiato opinione, che il ricordo dell’ex fosse stato cancellato. Evidentemente aveva commesso un errore di valutazione nel progettare il loro futuro. Doveva pensare a una nuova strategia nell’assalto a Laura senza coinvolgere Matteo e Sofia, come intermediari o guardaspalle, doveva fare tutto da solo. Stasera ne avrebbe parlato con Matteo ma doveva diventare più aggressivo, trovare la chiave giusta per aprire il cuore della ragazza. Stentava a riconoscersi, perché nella professione era determinato e implacabile negli affondi, mentre con lei era irresoluto e indeciso.
Sofia nella pausa pranzo stava nel bar sotto l’ufficio, circondata dal frastuono delle voci di impiegati e funzionari, che consumavano il loro pasto con la voracità. Avrebbe desiderato invece pace e silenzio.
‘Oggi’ pensò, osservando attorno le persone, ‘vorrei essere servita da un cameriere per assaporare la lentezza del cibo. Invece sono qui a sgomitare per un posto. Sento gomiti che premono senza delicatezza. Percepisco che, come un avvoltoio appollaiato sulla mia spalla, qualcuno speri che gli lasci in fretta il posto. Ammetto, si disse sconsolata, che aveva ragione Marco, quando affermava che non si sarebbe mai adattato alla vita di Milano, troppo anonima e frenetica. É tornato nella sua tranquilla città di provincia a condurre una vita meno di corsa e più rilassata. Stasera gli chiederò come si vive in provincia. Chissà se un giorno non decida di abbandonare questa metropoli di stressati ed esagitati per una delle città che le fanno corona’.
Avrebbe desiderato rivedere Laura e Marco, riuniti di nuovo insieme. Sperava che, risolte le loro incomprensioni, sarebbero tornati come ai tempi felici dell’università. Giorni che le sembravano lontani e sbiaditi come un cencio lavato troppe volte. Rifletté che erano una bella coppia, mentre aspettava il tramezzino caldo ordinato, urlando per farsi capire.
‘Lui, alto e atletico, lei dalla figura snella e slanciata. Si amavano, come non avevo mai visto in altre coppie’ rievocò quei momenti felici e sereni.
Rammentava che Marco era rispettoso e non le faceva mai uno sgarbo. Non le diceva mai nulla di scortese, non alzava mai la voce, nemmeno quando nella concitazione del dialogo cercava di spiegare il suo punto di vista. Lei era single in quegli anni ma si era sentita sempre benvenuta tra loro, anche se a volte percepiva una punta di insofferenza da parte di Laura per la sua presenza come terzo incomodo. L’amica non le aveva mai voluto dire il motivo per il quale Marco se ne era andato all’improvviso ma forse non lo sapeva nemmeno lei con precisione. ‘Chissà’ rifletté Sofia, ‘se stasera conoscerò le motivazioni della loro rottura’. Era immersa in questi pensieri, quando il tramezzino le apparve dinnanzi fumante e vischioso.
‘Diamine, ero talmente concentrata a pensare a Laura e Marco’ pensò, ‘che non mi sono accorta che il mio pasto è servito!’ Sofia iniziò a mangiarlo ma ritornò con la mente ai pensieri che gli affollavano la mente.
‘Credo’ si disse, ‘senza sbagliarmi, che Marco volesse vivere una vita scandita da piccoli piaceri e da ritmi diversi. Laura si sarebbe adattata? Non lo so. Conoscendola, penso di no. Inizialmente avrebbe accettato per amore di Marco un lavoro di serie B, vivere in una piccola città dove i piedi e le biciclette sono il mezzo di trasporto più usato. Ma poi?’. Non terminò il ragionamento, perché avvertì un gomito piantato nella schiena. Ne aveva mangiato solo qualche boccone. Presa la bottiglietta dell’acqua quasi piena, depose il resto del cibo sul piatto, uscendo.
‘Meglio!’ pensò. ‘Digiunare mi farà bene’. Appena fuori dal bar respirò una bella boccata di smog, che la fece tossire. ‘Questa è una camera a gas! Come invidio Marco! Stasera chiedo asilo politico nella sua città. Ma come si chiama ‘sta città da favola dove l’aria è limpida e le persone camminano tenendosi per mano?’ Ridendo si avviò verso l’ufficio.
Le quindici erano passate da poco, quando Marco si diresse verso il garage in centro a Milano per parcheggiare la macchina. Sperava che ci fosse un posticino per lui e disponibile fino a domani sera. Sapeva che sarebbe stato difficile trovarne uno libero, perché era il più vicino a Piazza Duomo.
Ebbe fortuna e si avviò verso la casa di Laura, mentre rifletteva sull’impatto che avrebbe avuto su di lui, rivedendola dopo tanto tempo. Non era in grado di determinare quali sensazioni gli avrebbe provocato la sua vista. Si pose la domanda, se sarebbe stato in grado di ricacciare indietro il sentimento che provava per lei. In questi mesi gli aveva fatto compagnia di giorno e di notte, discreto e riservato.
Adesso con apprensione e qualche titubanza stava andando da lei per ascoltare i suoi problemi, senza immaginare l’argomento. Non intuiva quale segreto avesse custodito durante gli anni trascorsi insieme. Doveva pazientare qualche minuto, perché presto l’avrebbe scoperto.
Avvertì che dentro di lui affioravano delle sensazioni, mai scomparse, nei confronti di Laura.
“Di che genere?” chiese Agnese con apprensione. Immediatamente pensò a una pessima notizia.
Marco modulò la voce alle circostanze, prima di riprendere a parlare. “Vorrei spiegare, raccontare ma rischio di essere frainteso” fece, cercando le giuste parole, unite al tono della voce. “Credo di non essere in grado di esprimermi adeguatamente, senza ingenerare confusione e malintesi”. Fece una pausa in attesa delle reazioni di Agnese. “Ma ti assicuro che sono sincero, come lo sono stato in precedenza” concluse Marco.
“Ti ascolto” disse la ragazza freddamente. “Parla senza troppi giri di parole, andando direttamente al sodo”.
“Ti propongo di spostare la pedalata progettata per domani a mercoledì.” replicò Marco senza esitazioni e con tono franco e deciso. “Di per sé la richiesta non sarebbe problematica. Ma ti pregò. Ascolta con attenzione quello che ho da dirti. Poi prenderai la decisione che ritieni opportuno”.
Fece una breve pausa, sperando di udire la voce della ragazza, che rimase in silenzio. “Se la risposta fosse negativa” aggiunse, “ne sarei rammaricato. Però capirei il tuo rifiuto, perché sarebbe logico”.
Agnese si chiese dove volesse arrivare con quel discorso fumoso. Se era solo lo spostamento della data, non comprendeva il resto delle parole. Le sembravano spiegazioni inutili, perché la loro era una semplice conoscenza casuale. Tuttavia decise di dargli credito e di ascoltarlo.
“Dimmi” replicò recisa ma col tono di chi era rassegnata di al peggio.
Marco si rinfrancò, perché Agnese non aveva chiuso il dialogo ed era disponibile a sentire le sue spiegazioni. La informò della telefonata di Laura. “Ho ricevuto mezz’ora fa una chiamata del tutto inaspettata, che mi ha colto di sorpresa” cominciò con tono calmo il ragazzo. “É la mia ex con la quale ho rotto otto mesi fa bruscamente senza troppe spiegazioni. Da quel momento non ci siamo più sentiti, né visti come se fossimo due estranei”.
Una breve pausa per riprendere fiato prima di aggiungere: “Avrei potuto dirti un’amica, ma sarebbe stata una pietosa bugia”.
Il tono delle ultime parole era sincero ma Agnese rimase in silenzio, ascoltando quello che aveva da dirle. Marco, rassicurato dalla mancanza di risposte sgradevoli, proseguì nel discorso. Gli aveva chiesto di raggiungerla a Milano con urgenza per parlare di un problema non ben specificato. Non era riuscito a sapere nulla di più di quello che le stava dicendo. Aveva percepito, che fosse preda di una crisi nervosa. Non aveva potuto rispondere negativamente alla sua richiesta, perché i cinque anni passati con lei non si potevano dimenticare con facilità. Per Marco veniva la parte più complicata della telefonata, perché doveva convincere Agnese della sincerità delle sue parole.
“Se mercoledì ci vediamo, come spero” le disse, “ti spiegherò le motivazioni per le quali le ho detto addio. Sono leale con te e non nascondo nulla dietro veli o cortine di fumo”.
Tacque in attesa che Agnese parlasse. Non sentendo altro che il respiro tutt’altro che silenzioso, capì che non doveva metterle fretta. Avrebbe aspettato la risposta con pazienza. Marco era combattuto tra il pensiero di rivedere Laura e la voglia di conoscere di più Agnese.
Lei rimase zitta, incerta tra dirgli ‘No, grazie. Corri dalla ex e addio’ o ‘Si, va bene. Vediamoci alle nove al bivio dell’altra volta’. Non rispondere aveva poco senso perché le possibili risposte erano solo due. Si chiese se era meglio riflettere o affidarsi all’istinto per la risposta. Il fatto che lui rivedesse la sua ex ragazza le dava da pensare, che stava perdendo tempo ma percepiva un filo di sincerità nelle sue parole.
Marco intuì il disagio di Agnese dal prolungato silenzio e comprese pure le perplessità, perché avrebbe trascorso due giorni e una notte con Laura. Una risposta negativa gli sarebbe dispiaciuta, perché voleva conoscerla meglio dopo quella prima volta. Pensò che sarebbe stata una buona opportunità trascorrere la giornata con lei. Marco ribadì con forza che esprimeva quello che pensava senza nascondere nulla.
Agnese trasse un profondo sospiro. “Ti sento sincero. Meriti la fiducia che chiedi” gli rispose con la voce roca, spezzata dall’ansia e dalla paura, che i sogni sperati andassero in frantumi. “Va bene per mercoledì”.
“Grazie“ rispose Marco rilassato, “spero di non deludere le tue attese”.
Ci credeva fermamente alle sensazioni che percepiva, perché nei prossimi giorni finalmente avrebbe eliminato dall’armadio gli scheletri, sgombrando il campo da equivoci o segreti, che avrebbero potuto diventare imbarazzanti e ingombranti in seguito. ”Alle nove di mercoledì” le disse.
“Alle nove. Sii prudente, vorrei vederti” replicò Agnese, che si era ripresa dal momento di smarrimento. Le era sembrato di essersi persa in un bosco sconosciuto e folto dal quale adesso ne era uscita.
Marco riempì un borsone e partì per Milano.
Sofia lesse un nuovo SMS. ‘Alle tre vedo Marco. E’ con noi a cena. Laura’ e si chiese il motivo senza trovare una risposta logica.
Laura scese dalla soffitta coi fogli, il vestito rosso, che aveva trovato in una scatola di cartone. Dopo una doccia veloce, provò l’abito decidendo di indossarlo, perché si sentiva, come se avesse avuto addosso una corazza.
Seduta sul divano aspettò con impazienza l’arrivo di Marco.
Marco aveva a disposizione due giorni prima di prendere servizio e voleva dedicarli alle passeggiate e al relax. Voleva arrivare all’appuntamento con il nuovo lavoro rilassato e sereno. La telefonata di Agnese veniva a puntino per riempire la giornata di martedì, per il giorno successivo avrebbe trovato qualcosa di interessante da fare.
Incontrare nuovamente Agnese gli faceva piacere, perché la prima impressione era stata positiva. Gli era sembrata una ragazza matura e consapevole degli obiettivi, che voleva raggiungere, senza tanti grilli per la testa,
Dopo otto mesi di quasi clausura percepiva la necessità psicologica di incontrare persone nuove. In particolare di sesso femminile. Doveva cancellare Laura, che, nonostante tutti i suoi tentativi, era sempre fisicamente presente nella mente. Sembrava la sua ombra, che lo seguiva senza abbandonarlo mai. Dalla partenza da Milano non era riuscito a scacciare l’immagine della ragazza, né a lenire il dolore per l’addio frettoloso e senza spiegazioni. L’aveva amata con sincerità. I cinque anni, trascorsi insieme quasi tutti i giorni non potevano essere cancellati da una parola ‘ADDIO’. Però in quel momento capiva che la sua esistenza cambiava direzione, virava verso un orizzonte che gli appariva più roseo dei giorni passati. Era sicuro di dimenticare il passato, che sarebbe rimasto un piacevole gradevole ricordo.
Gli era tornato il buon umore dopo aver sentito la voce di Agnese. Le fotografie e le lettere non lo spaventavano più, le osservava con occhio distaccato e sereno. Sapeva che avrebbe trovato il coraggio di chiamare Laura per spiegare tutto senza remore o paure. Era immerso in queste riflessioni, quando la suoneria del telefono gli annunciò l’arrivo di una chiamata. Guardò il display.
Sobbalzò, deglutì vistosamente, ebbe un tremore alla mano.
“Non può essere!” esclamò stupefatto. “Non può essere lei!”
Il telefono continuò la sua melodia incessante, mentre era incerto se rispondere.
“L’ho pensata e lei mi telefona. Perché?” urlò a squarciagola.
“Ciao, sono Laura”. Udì la sua voce uscire chiara e distinta come se fosse fisicamente di fronte a lui. “Ci sei? Sento l’urgenza di parlarti! Rispondimi”.
“Ciao“ fece lui di rimando. “Ti stavo pensando e mi hai chiamato. Telepatia o magia del pensiero? Quale urgenza ha vinto le nostre paure? Sono passati otto mesi. Nessuno dei due ha trovato la forza di alzare il telefono fino a questo momento”.
“Marco” riprese Laura, ignorando le parole appena ascoltate, “oggi ho trovato una vecchia istantanea. Indossavo il vestito rosso. Te lo ricordi?”
“Si, come se fosse oggi. Capelli rossi e vestito rosso. Sembravi l’angelo vendicatore, ma eri meravigliosa. Mi avevi talmente stregato che baciandoti ti ho detto ‘Ti amo’. Ti ho amato veramente e ti amo tuttora” disse tutto d’un fiato per esorcizzare i timori che la telefonata aveva risvegliati.
Laura stava per replicare ma un groppo le chiuse la gola impedendole di dire una sola parola. Marco percepì il senso di disagio che le aveva provocato con le sue parole. Era stato crudele nel pronunciarle ma il suo era stato un sentimento autentico, non effimero. Aveva parlato con parole rotte dall’emozione nell’ascoltare la sua voce.
“Marco“ riprese la ragazza col tono impastato dal pianto, “ti devo parlare con urgenza. Voglio sentire il tuo pensiero su un segreto, che mi porto dentro da troppo tempo. Solo tu mi puoi capire e solo tu puoi rompere la barriera che mi impedisce di essere donna”.
“Laura, dove sei?” chiese Marco, deciso e padrone delle proprie emozioni “Se vuoi tra due ore posso essere da te”.
“Sono a casa” fece con tono accorato, stemperato dal pianto, che copioso sgorgava dagli occhi. “ Sono da sola. I miei sono in vacanza fino a sabato. Ti aspetto. Vorrei che tu rimanessi accanto a me fino a domani. Sono confusa e incerta per affrontare la notte da sola. Posso contare su di te?”
“Cinque anni non posso dimenticarli” rispose Marco. “Questi otto mesi sono stati un inferno per me”.
“Ti aspetto sulla porta” esclamò Laura con le lacrime di gioia. “Non ho mai smesso di amarti, anche se esteriormente è sembrato il contrario”.
Marco rimase perplesso, guardando il telefono muto. Rifletté sul senso del discorso, che non era ancora svanito nella sua mente. Non avevano parlato dell’addio ma avevano esternato solo parole d’amore. ‘Sono stato crudele’ si disse, ‘o ho parlato col cuore?’ Un altro pensiero si affacciò prepotente nella sua testa. S’interrogò sui motivi di questa necessità urgente di parlargli. Era stata enigmatica: gli aveva chiesto con insistenza di fermarsi per la notte. ‘Perché?’ si chiese, mentre si alzava per prepararsi a partire. ‘Quale segreto custodiva tanto gelosamente che lui in cinque anni non era riuscito a percepire?’ Per lui Laura era stato un libro aperto da leggere senza occhiali o filtri, perché era genuina e trasparente come le acque dei torrenti di montagna. Scopriva che non era come aveva sempre immaginato. Un aspetto della sua personalità era rimasto occultato con cura.
Con tutte queste domande, che frullavano nella testa, doveva pensare cosa dire ad Agnese senza che lei si offendesse.
La suoneria continuò imperterrita. Marco sorpreso e incuriosito sobbalzò per un nome che rappresentava il passato remoto. Si domandò il motivo di quella telefonata ma doveva rispondere per saperlo.
“Sei uscito dal letargo invernale?” disse una voce femminile. Era squillante e allegra, non completamente nota. “Ti va, domani, di fare una pedalata insieme?” Non sentendo risposta, riprese: “Forse non ti ricordi chi sono. Io sono…”.
Marco la interruppe. “Agnese” esclamò felice di aver rotto quel loop di riflessioni, che lo stavano inchiodando da un paio d’ore. “Ti ho riconosciuto subito, anche se sono passati diversi mesi”.
Lui si sentì in colpa che da quel lontano settembre non si era più fatto vivo. Non si era dimenticato di lei. Semplicemente il pensiero di Laura continuava a dominare i suoi pensieri. “Non ti ho cercato, perché non ero sicuro che tu avessi piacere di incontrarmi di nuovo”. Il tono non avrebbe convinto nessuno, perché le parole parevano più di circostanza che una sincera motivazione.
“No, no!” affermò Agnese, che non aveva colto il reale senso delle sue parole. “Sono io che ti devo le scuse. Non ti ho ringraziato per l’aiuto che mi hai dato!” La ragazza passò dal tono allegro iniziale a uno mortificato. “In quei giorni attraversavo un momento difficile. Dovevo riflettere sul senso e sugli obiettivi della mia vita”. La sua voce riacquistò sicurezza e determinazione. “Ora so quello che voglio con precisione. Sto riappropriandomi del mio corpo, del mio spirito e della mia esistenza” affermò decisa. “Domani sei libero?” lo incalzò.
Marco e Agnese si accordarono per il giorno successivo. Si diedero appuntamento nel punto esatto in cui si erano lasciati otto mesi prima, come se volessero riannodare un filo strappato dal tempo e riprendere un discorso interrotto qualche minuto prima.
Laura, posati i fogli della favola sulle gambe, rifletté su Paolo, sul lavoro iniziato da diversi mesi, su Sofia, su Matteo, sulla sua vita in generale.
Era assolutamente convinta di avere fatto la scelta giusta nella professione. Il lavoro era interessante e prometteva soddisfazioni. Si era ben inserita nell’ambiente ed era benvista sia dai colleghi che dal capo. Percepì dopo qualche settimana che lui l’avesse stimata fin dal primo istante. Questa sensazione nasceva dal fatto che le aveva affidato incarichi delicati quasi immediatamente dopo l’assunzione. Si fidava di lei e le aveva assegnato il compito di tenere le relazioni con le linee operative dei prodotti sotto la loro gestione. Poi successivamente cominciò la scrittura dei report settimanali per l’alta Direzione sullo stato di avanzamento della produzione e il raggiungimento degli obiettivi. Ricordò con piacere misto a sorpresa che a fine anno le aveva fatto ottenere un piccolo e simbolico premio in denaro. ‘Eppure avevo solo un paio di mesi di lavoro alle spalle’ si disse. Teneva un profilo basso con tutti i colleghi per non suscitare le loro invidie, mostrandosi cortese e cordiale. Piero, il suo capo, la tempestava di inviti a cena o di offerte per trascorrere con lui qualche fine settimana. ‘Lui aveva una compagna’ rifletteva, ‘ma non passava settimana che non ci provasse. Naturalmente ho sempre rifiutato, adducendo motivazioni ineccepibili. Non era mia intenzione ferirlo’.
Ripensando a quel corteggiamento discreto e insistente, Laura ragionò sulla situazione equivoca che stava vivendo. ‘Non capisco, se lui abbia una compagna o una moglie’ si disse. ‘Tuttavia ho voluto evitare un rapporto privato ingombrante. In particolare diventare la sua amante Privato e professione devono stare nettamente separati, come mi ha sempre consigliato Sofia’.
Si interrogò, se sarebbe riuscita nel suo scopo anche nel futuro. Da un lato non voleva mettere a repentaglio la sua carriera professionale, dall’altro non gradiva diventare l’amante di Piero. Non era questo il suo obiettivo. Era sua intenzione avere una relazione da mostrare alla luce del sole e non nasconderla in alberghi a ore. Scacciò questi pensieri e riprese i fogli per continuare la lettura. Non fece in tempo a posare gli occhi, quando il telefono si illuminò col numero di Paolo.
‘Che vuole?’ pensò irritata e incuriosita. ‘Sono mesi che non ci sentiamo’.
“Ciao” rispose Laura, aprendo la conversazione. “Come stai?”
“Bene” rispose Paolo un po’ impacciato con una banalità. Il tono freddo di Laura aveva smontato i suoi entusiasmi. “Il lavoro mi ha tenuto impegnato più del dovuto” aggiunse come per scusare il lungo silenzio. “Così ho trascurato i rapporti interpersonali”.
“Oh, mi dispiace” disse la ragazza mentendo. Non nutriva alcun rincrescimento su questo punto. “Ecco il motivo per il quale non ti ho più sentito” proseguì con voce neutra. Laura non era affatto dispiaciuta, se lui non si era fatto vivo per mesi. Infatti dover combattere su due fronti, quello di Piero e quello di Paolo, l’avrebbe stressata e distolta dagli impegni di lavoro. Inventare bugie plausibili per sfuggire alle loro avance non sarebbe stato semplice.
“Ora riesco respirare un po’ e posso dedicarmi alla mia persona” affermò Paolo sollevato, ignorando la sensazione di distacco della ragazza. “Hai degli impegni per i prossimi giorni?”
Laura trattenne il respiro e contò fino a dieci prima di rispondere. ‘Dove vuole parare?’ pensò irritata. ‘Si fa vivo dopo mesi e lancia un’esca, sperando che abbocchi’.
Non sentendo risposta, Paolo riprese a parlare. “Mi farebbe piacere la tua presenza in una cena dopodomani”.
Laura stava per replicare duramente, quando si impose di restare calma. Voleva comprendere, dove voleva arrivare.
“Fammi pensare“ disse, “oggi è lunedì, quindi sarebbe per mercoledì. Dico bene?”.
“Si” fu la laconica risposta di Paolo.
Questa la irritò maggiormente ma volle stare al gioco. “Direi che la serata sarebbe libera” fece con tono neutro, “non ricordo impegni particolari”. Laura di sera non amava avere vincoli mondani, Quella non faceva eccezione.
“Bene” disse Paolo. “Allora posso contare su di te?”
“Ma che cena sarebbe?” domandò la ragazza, decisa ad approfondire l’argomento. Era stato troppo evasivo per rispondere o con sì o con no. Lei non amava richieste generiche, alle quale fosse obbligata a rispondere sempre positivamente. In più dopo la rottura con Marco preferiva una vita defilata senza impegni con l’unica eccezione rappresentata da Sofia.
Non sentendo risposta ma un borbottio indistinto, lo incalzò con una nuova domanda. “A cena? Dove e con chi?”
Paolo capì che non aveva abboccato al suo invito, né che non si sarebbe lasciata incantare tanto facilmente. Lui aveva gettato l’esca ma Laura aveva finto di abboccare. L’aveva sottovalutata, perché già nei precedenti incontri aveva saputo districarsi con molta perizia. Doveva cambiare strategia per presentare la proposta in modo interessante e seducente. Era consapevole che sarebbe stata adesso più guardinga nell’ascoltare le sue parole.
“Sei diventato muto?” lo sollecitò, decisa a metterlo nell’angolo. “Oppure speravi che dicessi un sì senza troppe domande?”
“No, no!” si affrettò a dire Paolo. “Nessun tentativo di manipolarti”. Poi aggiunse qualcosa che peggiorò la situazione “Hai ragione, sono stato troppo generico. Però…”.
“Però cosa?” replicò Laura con una tono poco amichevole. Doveva chiudere quella telefonata inutile e ambigua.
“Sono diversi mesi che non si sentiamo” riprese a parlare Paolo, che cercava di uscire dal vicolo cieco in cui s’era ficcato. “Mi è sembrato indelicato chiederti brutalmente di uscire con me”.
Laura comprese che Paolo stava girando intorno al vero nocciolo della telefonata, senza spiegare il reale motivo dell’invito. Giudicò che era giunto il momento di interrompere la conversazione. ‘Non mi pare che sia una persona timida’ rifletté velocemente.
“Ho capito” disse la ragazza. “Sarà per un’altra occasione. Ciao”.
Se da un lato la telefonata le aveva fatto piacere, da un altro punto di vista si sentiva presa in giro. In sei mesi, dopo il fine settimana a Cernobbio, era sparito. Né un tentativo di chiamarla, né l’invio di un messaggio. Nemmeno in occasione delle feste di Natale. A lei pareva che fosse scomparso. Eppure aveva dato chiari segni di interessamento. Ammise con sincerità che il suo atteggiamento era stato freddo e distaccato. Era Paolo che doveva corteggiarla e non viceversa. ‘Non ha fatto nulla?’ rifletté Laura che meditava sulle motivazioni del suo silenzio, durato troppo. ‘Allora vuol dire che non ero poi tanto importante per te. Telefoni per un invito a cena e non dici né dove, né per quale motivo? Per chi mi ha preso?’
Quella telefonata aveva rotto l’incanto della giornata fatta di ricordi, riflessioni, scoperte e coincidenze causali, come se il destino si fosse divertito a prendersi gioco di lei.
Aveva preso un paio di giorni di ferie perché aveva intenzione di fare alcuni acquisti, che erano stati rimandati da molti mesi. C’era anche un altro motivo: voleva godere la solitudine della casa, perché i genitori erano lontani chilometri in vacanza. Loro, da quando si era iscritta all’università, avevano allentato la morsa. Avevano smesso di trattarla come una bambina e le avevano lasciato più libertà di prima. Il dialogo con loro era rimasto inalterato: carente e privo di quella complicità e confidenza, che sarebbe stato necessario. Non avevano opposto obiezioni, quando decideva di rimanere fuori casa alla notte. Sapevano che frequentava Marco, che avevano giudicato un bravo ragazzo con la testa sulle spalle.
Il silenzio e la solitudine le facevano sentire la necessità di uscire da questa casa, confortevole e sicura, che non percepiva più come sua.
“Sofia“ disse ad alta voce, perché nessuno poteva sentirla, “si è resa indipendente non appena ha trovato un’occupazione stabile. Credo che sia giunto il momento anche per me di fare altrettanto”.
Rifletteva che doveva compiere il gran passo senza urtare la sensibilità dei genitori, che avrebbero potuto aiutarla nella scelta.
Da diverse settimane non sentiva Sofia, che, coinvolta da Matteo, non aveva più tempo di parlare o confidarsi con lei. Guardò l’ora: era il momento della pausa pranzo. Probabilmente era disponibile a rispondere al suo messaggio. ‘Sofia, sento la necessità di parlarti. Che ne diresti stasera a casa mia? Laura’.
Riprese i fogli in mano. Pensò come una ragazzina di sedici anni avesse potuto scrivere una fiaba di quel genere e da quale fonte avesse tratto l’ispirazione sul fantasma Aloisa della quale ignorava tutto fino alla gita di Grazzano Visconti.
‘Su un libro di scuola?’ si disse, scuotendo il capo. ‘No! Forse sul Corriere per pubblicizzare la giostra del Biscione. Certo è stata una casualità incredibile’.
Provò a leggere qualche altra riga della fiaba. Un altro pensiero la infastidì. La sessualità inespressa, che galleggiava dentro di lei come un vascello fantasma. Ogni volta che provava a esplorarne i motivi, lo ricacciava dentro. Era un ospite indesiderato da tenere fuori dalla porta. ‘Sì’ rifletté con amarezza e sincerità, ‘è un ospite indesiderato’.
Era il rapporto col suo corpo che non funzionava e non riusciva a donarlo al compagno per condividere con lui il piacere.
‘Ho venticinque anni o meglio tra non molto sono ventisei’ sospirò, ‘ma ho avuto solo due relazioni: quella con Roberto e con Marco”.
Erano poche? Erano molte? Non riusciva capirlo. Di sicuro le riteneva insufficienti per comprendere se stessa e gli uomini. Dentro di sé avvertiva freddezza, senza essere in grado di manifestare i sentimenti che provava. Si domandò le motivazioni di questo atteggiamento. Se non era capace di capire e di superare questa barriera artificiosa, che aveva creato, non sarebbe in grado di amare un uomo. Credeva di essere innamorata di Marco. ‘Era amore autentico?’ si chiese scettica.
Il trillo speciale del telefono annunciò l’arrivo di due messaggi. Uno era di Sofia ‘Ok. A che ora?’, l’altro di Paolo ‘Scusami, sono stato arrogante’.
Una lacrima scese sul suo viso, bagnando il display.
Adesso tutto le appariva più chiaro. Quale strada affrontare e come. Comprese che doveva parlare con qualcuno. Con Marco, del quale doveva sentire la voce, ascoltare le parole, avvalersi del buon senso che trasmetteva. Era con lui che si poteva confidare senza problemi. Era con lui che doveva condividere il segreto sulla sua sessualità per sentire il suo parere e seguire i suoi consigli.
Aveva aspettato troppo a fare questo passo. Era tempo che componesse il suo numero.
Marco rifletteva sul rapporto avuto con Laura: era stato assai stimolante sul piano intellettuale, perché gli aveva permesso di crescere e maturare ma lo aveva deluso su un aspetto.
‘Non ho mai capito’ borbottò nel ricordare i giorni trascorsi insieme, ‘perché fosse così terrorizzata nel fare all’amore. La prima volta mi disse di non essere più vergine. In realtà lo era o almeno lo era parzialmente. Cosa sarà successo, quando lei credette di averla persa?’ Era una domanda del tutto inutile, perché non ne conosceva le risposte. L’unica, che la conosceva, si era rifiutata di fornirla.
I flashback, che andava a ricomporre, assomigliavano a una rete, strappata in più punti, che doveva essere rammendata con pazienza e precisione.
‘Laura non se ne è nemmeno accorta di essere stata finalmente deflorata. É stato un momento bellissimo per l’intensità della passione che ha raggiunto. In quei momenti ha scalato la montagna del piacere fino ad arrivare in cima, il diapason più alto. Successivamente non è stato altrettanto appagante, perché è sempre rimasta tesa senza abbandonarsi al piacere’. Ricordò che non aveva mai forzato i tempi, lasciando decidere a Laura, quando avere un rapporto e come averlo.
Rammentò un altro particolare, che l’aveva lasciato perplesso, anche se non l’aveva mai manifestato apertamente. ‘Aveva un’autentica fobia di spogliarsi davanti a me’ si disse, ‘doveva farlo senza la mia presenza’.
‘Quando finalmente potevo infilarmi nel letto’ ricordò, ‘scoprivo che aveva le mutandine, che adorava farsele sfilare con delicatezza da me. Le teneva fino all’ultimo istante per indossarle subito dopo, al termine del rapporto’.
Marco era convinto che non avesse avuto un buon rapporto col suo corpo e con la sua sessualità. Aveva provato ad approfondire l’argomento senza grande successo. O taceva o cambiava tema della conversazione: mutava di umore, che diventava scuro come il cielo per un improvviso temporale.
Rifletté che era stato un vero peccato che fosse mancato il piacere pieno del sesso. Fatta una breve pausa tornò a ragionare su questo punto.
Si domandò come sarebbe stata una futura relazione coniugale dal punto di vista sessuale. ‘Sarebbe rimasta conflittuale’ si chiese, ‘oppure Laura avrebbe aperto le porte del segreto che ha custodito con tanta decisione?’
Si chiese, se avrebbe avuto la stessa pazienza oppure il rapporto avrebbe risentito delle fobie sessuali di Laura, e giunse alla conclusione che non sarebbe mai stato ottimale o soddisfacente. ‘Credo’ rifletté, ‘che non riuscirei in un rapporto stabile ad assecondarla con uguale calma e pazienza. In questi cinque anni è stato un fatto occasionale’.
Ragionando con freddezza, adesso comprese che l’approccio al sesso non era stato costruito su basi valide, perché lui avrebbe dovuto insistere per chiarire ogni punto, senza lasciare punti oscuri.
Questo aspetto zoppicante e opaco della loro relazione aveva aggiunto un altro tassello alle motivazioni di chiudere. Si rendeva conto che non avrebbe funzionato in assenza di un chiarimento franco e chiaro.
A parte questo aspetto c’era sempre stato un rapporto leale tra loro senza sbavature o incomprensioni. Marco riconosceva a Laura che possedeva un carattere dolce e una personalità ben pronunciata. Rammentò le lunghe e pacate discussioni sul loro futuro. ‘Aveva chiare le idee’ si disse, ‘su come avrebbe sviluppato la professione al termine degli studi’. Aveva sempre sostenuto che non avrebbe mai accettato un’offerta di lavoro, anche economicamente allettante, se non l’avesse soddisfatta dal punto di vista umano e professionale. “Devo trovare empatia nelle persone” aveva detto una delle ultime volte che si erano visti. “Non riesco a lavorare con serenità se avverto dell’ostilità nell’ambiente di lavoro. Piuttosto faccio la donna di casa”. Lui aveva annuito più per compiacerla che per essere convinto della bontà del ragionamento. ‘Si fa presto a parlare così, avendo alle spalle una famiglia facoltosa’ pensò con amarezza Marco, facendo un parallelo con la sua.
Ricordò gli sguardi invidiosi dei compagni di corso per aver costruito con lei un sodalizio stabile mai incrinato da litigi o tradimenti.
‘Non per vantarmi’ si disse, ‘ma formavamo una bella coppia. Entrambi più alti della norma facevamo sembrare dei pigmei la maggioranza dei nostri amici. I suoi capelli di un bel colore rosso attirava l’attenzione dei ragazzi e non solo di loro’.
Si alzò dalla sedia, lasciando le immagini di Grazzano Visconti sparpagliate sulla scrivania. ‘Non ho saputo dare una spiegazione chiara a Laura’ rifletté, scuotendo la testa. ‘Né allora, né in seguito. Non ho avuto il coraggio di affrontare la questione con decisione. L’incapacità di assumermi le mie responsabilità non depone a mio favore. Pareggia il conto con le fobie sessuali di Laura’. Non aveva ancora finito le riflessioni sulla relazione e sui motivi che l’avevano portato a chiudere, quando udì la suoneria del telefono.
Non aspettava nessuna telefonata. Non voleva interrompere le sue meditazioni, che lo stavano portando, sulle onde del ricordo, a chiarire verso se stesso le motivazioni della rottura per poterle esporre in un ipotetico futuro anche a Laura.
Guardò il display. Inarcò una sopracciglia e rimase a bocca aperta per la meraviglia.
Laura, abbandonata la lettura della fiaba, tornò indietro negli anni, quando andava scoprendo la propria sessualità e il rapporto non troppo felice col proprio corpo. Non l’aveva sentito propriamente suo né allora né adesso. Erano i momenti, in cui aveva ai primi approcci sessuali, sofferti e complicati da paure e desideri.
‘Col sesso ho avuto un confronto conflittuale fin da subito. Mi era sembrata una pratica da evitare’ pensò amaramente. Anche adesso col viso in fiamme provava lo stesso imbarazzo di quegli anni, quando rifletteva su questo tema. Non comprendeva i motivi del disagio psicologico né di allora né di adesso. ‘Il problema è stato originato dall’educazione ricevuta in famiglia troppo rigida e bigotta?’ si chiese.
I suoi genitori, educati secondo una severa dottrina cattolica, non si erano adeguati ai mutamenti nei comportamenti della società. In particolare trattavano il sesso secondo valori e ideali anacronistici, evitando e bandendo ogni accenno di questo dalle loro discussioni. Con la madre era mancato un qualsiasi approccio sincero e sereno sulla trasformazione da bambina a donna, perché, secondo la sua mentalità, non se ne doveva parlare esplicitamente. Lei aveva trascurato l’argomento o l’aveva trattato senza approfondirlo o con considerazioni evasive e imprecise tali da creare più dubbi che certezze. Non era stata in grado di esporre con parole adeguate i cambiamenti che stavano avvenendo nel corpo di Laura durante la pubertà, non rispondendo alle domande che la figlia poneva.
‘Percepivo il sesso come una punizione’ si disse amaramente Laura, ‘per essere cresciuta troppo e troppo in fretta’.
Si soffermò a meditare su queste ultime parole, prima di riprendere il filo dei ricordi che si andavano srotolando tra voglia di seppellirli e desiderio di estrarli. Aveva presente le compagne di scuola che a dodici anni avevano avuto le prime mestruazioni, mentre lei cresceva solo in altezza avvolta in un corpo da bambina. Loro si sentivano già donne per il ciclo, per il seno che richiedeva una terza, per il sedere rotondo e sodo. Lei pativa una condizione di inferiorità nei loro confronti: era considerata ancora una bambina, perché non aveva il ciclo, i seni erano inesistenti ed era tutta pelle e ossa.
Quando diversi mesi dopo, quasi a tredici anni, arrivò il primo mestruo, la madre visibilmente infastidita liquidò l’argomento, dicendo che era una cosa naturale, come se ne ignorasse il significato. Si rifiutò di parlarne, di spiegarne le cause, come se fosse un argomento sporco da ignorare, da non nominare. Questo atteggiamento di chiusura aveva lasciato un profondo segno nel suo carattere, tanto che accusava complessi di inferiorità.
Sospirò per quei lontani ricordi. ‘Le mie compagne erano circondate da nugoli di ragazzini brufolosi dalla voce ormai grossa come il loro membro ben visibile attraverso i pantaloni’ ricordò. ‘Subivano un vero assalto. Si lasciavano strusciare dai compagni, che infilavano le mani ovunque. Sulle tette floride, negli slip minuscoli alla ricerca del sesso. E ridevano compiaciute’.
Laura assisteva allo spettacolo in disparte senza che nessuno la degnasse di una parola, di una attenzione. Era come se fosse diafana e trasparente agli occhi dei compagni. Non capiva quale piacere loro provassero e malediva di avere un corpo magro e alto con un seno minuscolo appena abbozzato. Arrivata al liceo aveva cominciato a sentire storie straordinarie di sesso, autentiche orge a base di alcol e spinelli. La invitavano alle feste solo per fare numero, tanto che poteva tranquillamente essere scambiata per un soprammobile della casa. Faceva da tappezzeria, nessuno la invitava a ballare. La musica era solo una scusa per fare baccano e coprire altri rumori. Nessuno ballava. Stava seduta sul divano e osservava il via vai delle compagne e dei ragazzi nelle stanze da letto. Non riusciva a comprendere il motivo di quelle feste.
Ricordò un episodio che allora l’aveva molto colpita. Solo più tardi lo inquadrò nella giusta dimensione. Rita, una ragazza molto spigliata, disinibita e procace, si avviò una domenica di inizio giugno verso la stanza da letto appena arrivata e ritornò tra loro solo, quando quasi tutti se ne erano andati. Seduta sul divano Laura osservò incuriosita la strana processione di ragazzi che sparivano nella zona notte e dopo una decina minuti tornavano rossi, ansanti coi pantaloni semiaperti e un po’ bagnati. Le altre ragazze parlottavano tra loro visibilmente infastidite. Qualcuna litigò col proprio ragazzo e se ne andò, altre non accettarono i tentativi di pace. Quando Rita tornò, aveva gli occhi arrossati dal pianto, lo sguardo perso nel vuoto. Camminava in modo strano, almeno era questa l’impressione che ebbe. Non parlò, né salutò i pochi rimasti, andandosene con le lacrime sul viso. Terminato l’anno scolastico qualche giorno dopo, sparì. Nessuno seppe mai dove fosse finita.
Questo amore e odio verso il suo corpo rimase palese e immutato nel corso del tempo. Non cambiò mai, perché, come in quegli anni, aveva paura nel guardarsi nuda allo specchio, ritenendo che fosse un qualcosa di disdicevole. Mentre si lavava, faticava a sfiorarsi il sesso o quei minuscoli seni timorosa di prendere una scossa elettrica.
Laura, mentre rammentava questi particolari, intravide la propria immagine riflessa in un specchio polveroso appoggiato sul pavimento.
Marco guardò la busta sulla scrivania tra il curioso e l’atterrito. Non osava aprirla: voleva impedire ai ricordi di uscire. Era ancora vivo il pensiero verso Laura. Questo poteva permettersi di presentargli il conto. Altre donne stavano tentando la conquista del suo cuore, che era ben chiuso a chiave e non era facile da aprire.
Vinto il primo attimo di timore, lentamente e con cautela aprì la busta, sparpagliò le foto sullo scrittoio, accantonò i fogli, vergati da una mano femminile. Conosceva fin troppo bene e nei minimi dettagli tutto quello che rappresentavano. Tuttavia volle fingere di non sapere a quali circostanze si riferissero.
Erano le fotografie della gita a Grazzano Visconti di un anno prima quelle che Marco aveva sotto gli occhi. Le esaminò con circospezione, come se fossero infette o pericolose. Tuttavia aveva presente le sfumature di quella giornata particolare, l’ultima escursione compiuta assieme a Laura.
Le osservò, le passò con calma. Le riguardò con attenzione, mentre il fiume dei ricordi sgorgò prepotente dall’anfratto, dove l’aveva confinato.
Marco amava frequentare le feste in costume, le giostre e tutto quello che ricordava il passato. Brisighella con la sua festa medioevale, la notte incantata per San Giovanni con streghe e cartomanti a San Giovanni a Marignano, le quintane, le giostre, i cortei storici che popolano ogni borgo dell’Emilia Romagna, della Toscana, dell’Umbria, delle Marche. Per lui erano una gioia, un tuffo nel mare del tempo andato, che gli ricordavano libri letti con avidità, quando era ragazzo.
Dal momento in cui si era trasferito a Milano, non aveva avuto più le occasioni giuste per frequentare i luoghi che conservavano il folclore di ieri da tramandare alle future generazioni. L’impossibilità di assistere a queste feste in costume era un altro tassello che non si era sistemato al posto giusto e stonava nell’impianto generale della sua visione della vita.
Alla festa dell’ultima domenica di maggio a Grazzano Visconti non aveva mai partecipato. Rappresentava una stimolante occasione per conoscere questo borgo, che, dopo il restauro durato molti decenni, si stava riaprendo all’invasione dei turisti.
Per Laura era una novità assoluta, perché non conosceva questo mondo fatato e incantato; dunque rappresentava l’opportunità per immergersi nelle storie che affondavano le radici nel passato.
Si era documentata tramite il web sul borgo, sul castello, sul parco e sulla Giostra del Biscione. “Devi sapere che il castello di Grazzano ha il suo fantasma” disse, mentre rise divertita. “E’ una donna e si chiama Aloisa. Chissà se riusciamo a vederla”.
“C’è poco da scherzare” fece Marco serio. “Ogni castello, ogni palazzo antico ha il suo fantasma. Se manca, non è antico”.
Laura rise per la credulità di Marco, perché era convinta che i fantasmi fossero il frutto dell’ignoranza e dell’irrazionale per inquadrare eventi sopranaturali o non spiegabili razionalmente.
Partiti di buon ora da Milano, si inerpicarono fino a Grazzano.
Il borgo già di prima mattina brulicava di turisti armati di flash e zainetti che sciamavano festosi e rumorosi tra le case e il parco.
Il castello non era visitabile normalmente. Tuttavia in via eccezionale in quel giorno erano state predisposte diverse visite guidate su prenotazione con un obolo di dieci euro a testa.
Marco mandò Laura alla Pro Loco per il ticket d’ingresso, perché la visita alla sala delle armi, al castello in generale, meritavano i dieci euro richiesti.
Laura non amava ascoltare la guida che spiegava e illustrava, perché si annoiava. Tuttavia quel giorno si lasciò contagiare dal gioioso entusiasmo di Marco.
Con la macchina digitale, regalata da Marco, Laura scattò innumerevoli fotografie, mentre lui con la vecchia e fidata Leica con otturatore fisso fece poche istantanee, quelle che erano meritevoli di essere impresse sulla pellicola. Per la ragazza quella macchina fotografica era un relitto fossile del paleozoico tanto era vecchia e obsoleta. Lei preferiva quegli scatolini digitali, dove era facile eliminare le istantanee più brutte.
A mezzogiorno andarono a mangiare all’Hostaria de la Giostra con un menù che più o meno recitava cosi:
Pasta della passione
Pasta dell’incanto
Polpa rovente
I nascosti
Straccetti opulenti
Fette di latte lavorato
Schegge d’or
Polvere di mandorle
Prugne in crosta
Acqua
Nettare rosso
In un clima festoso e sereno si divertirono a commentare la LISTA De La CIBARIA, un pasto molto piacevole e intrigante, profondamente diverso dai soliti che erano abituati a consumare in città.
Stanchi e felici sciamarono nel pomeriggio nel parco, un’enorme polmone verde, che li accolse con lo stupendo giardino all’italiana, dove al centro stava la fontana con la statua di Orfeo. L’aria profumava per le rose che coronavano il bosco di tassi, pioppi e tigli. Il rumore dell’acqua corrente accompagnava la passeggiata tra un tripudio di fontane e gorgoglii di ruscelli.
Arrivati nel labirinto verde, Marco decise di scuotere le certezze di Laura sui fantasmi e in particolare sul fantasma Aloisa. Si lasciò sfilare con la scusa di fotografare un gruppo di piante e si appostò non visto più avanti dietro l’alta siepe di carpino che delimitava il percorso.
“Ehi! Si, proprio tu, ragazza dal rosso capello!” diceva Marco con la voce alterata da donna “Perché non hai lasciato un ricordino alla mia statua nella piazza del Biscione?”
Laura si fermò divertita e spaventata, guardandosi intorno senza vedere nessuno. Stava riprendendo il cammino, quando senti qualcosa che si muoveva nello zainetto sulla schiena, e si fermò di nuovo.
“Ehi, tu! Parlo con te. Torna indietro e lascia il tuo braccialetto di stoffa come ricordo” udì distintamente, mentre ancora una volta qualcosa di inquietante si muoveva nello zainetto.
“Marco!” gridò con un tono rotto dallo spavento “Dove sei?”
“Ehi, tu! Non gridare, disturbi il mio sonno!” proseguì imperterrita la voce femminile. “Lascia il ricordino. Così posso tornare a dormire”.
Laura sentiva qualcosa muoversi e dei rumori non perfettamente decifrabili provenienti dalla siepe o da qualche altro punto del giardino. L’angoscia stava avendo il sopravvento, mentre era sul punto di piangere per lo spavento e di avere una crisi di nervi. Era ferma nel vialetto senza decidersi di spostarsi né avanti né indietro. Era paralizzata e incapace di muovere un passo.
Marco a stento si tratteneva dal ridere, quando decise che era giunto il momento di ricomparire: la commedia aveva raggiunto lo scopo previsto. Apparve innanzi a lei come un fantasma.
“Oh!” urlò piena di terrore con un piccolo balzo di lato. “Dov’eri? Ancora un secondo e avrei avuto una crisi isterica!” e corse ad abbracciarlo.
Lui la baciò accarezzandole i capelli, la prese sotto il braccio e chiese con fare ingenuo: “Perché? Hai visto per caso il fantasma Aloisa?”
“Non scherzare” disse la ragazza tremante per la paura. “Mi ha ordinato di mettere questo braccialetto di stoffa sulla statua in piazza del Biscione”.
“Hai avuto paura? Non avevi detto che i fantasmi non esistono?” proseguì Marco calmo e sornione.
“Beh!” affermò lei con voce tremula. “Mi sto ricredendo. Pensavo che fosse un’invenzione per attirare turisti. Ho sentito una voce che pareva provenire dall’oltretomba!”
Laura, rassicurata dalla presenza del suo uomo, disse, che il parco ormai l’avevano visitato, e lo supplicò di tornare indietro per lasciare il braccialetto sulla statua, prima di tornare a Milano.
“Come vuoi” rispose Marco, trattenendo a stento l’ilarità che sentiva crescere dentro.
Laura depositò il braccialetto e ripresero la strada del ritorno.
Lui non ebbe mai il coraggio di svelarle il segreto che l’aveva terrorizzata.
Marco rifletté sulla storia del fantasma, che si tramandò di padre in figlio, intatta fino ai nostri tempi.
La gente del borgo aveva sempre rispettato e trattato con deferenza la figura di Aloisa, una donna del tutto simile a tante altre, che aveva avuto il torto di amare. Era morta per il dolore del tradimento del marito e non ebbe più pace, aggirandosi per il castello e il parco.
“Di solito i fantasmi femmina sono fanciulle bellissime, uccise dal marito geloso o dall’amante abbandonato. Questa era bruttina, se guardiamo le statue disseminate nel borgo e nel parco”.
La leggenda narrava che le statue fossero state disegnate da un medium, il conte Giuseppe, la cui mano era impugnata da Aloisa. Sotto una di queste è riportata la scritta:
«Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti».
‘Quel giorno’ Marco pensò, appoggiandosi allo schienale della sedia, ‘ho capito che tra noi c’era una visione totalmente diversa della vita. Lei, cittadina del mondo, attiva e razionale, sempre in movimento come Milano. Io, romantico e sognatore, che ama le piccole cose, le storie buffe di altri tempi. Il ritmo lento della vita è il sottofondo musicale che accompagna le mie giornate. Slow Food, trattorie di campagna, la bicicletta, le passeggiate: ecco cosa cerco’.
Da quel giorno cominciò a maturare l’idea di lasciare Laura e un mondo, che non gli apparteneva. Lei non avrebbe mai accettato l’idea di vivere questo stile di vita. Quindi prima di compiere una scelta errata, che li avrebbe portati vivere insieme in mondi differenti, era meglio chiudere. Gli era costato sofferenza e l’avrebbe fatta soffrire ma era la decisione corretta.
‘Ora’ rifletté ‘un’altra donna bussa alla porta. Non so se sia quella giusta ma condivide la medesima visione di quello che ci aspettiamo dal domani’.
Agnese si era fatta viva dopo mesi di silenzio, come il fantasma di Aloisa si presentava ai turisti invadenti che rompevano la sua tranquillità.
Laura si stava riscuotendo dalle fantasie in cui quel racconto adolescenziale l’aveva gettata tra ricordi passati e quelli recenti con le ferite che minacciavano di riaprirsi dolorosamente. Si stiracchiò come una gatta annoiata e intorpidita dalla posizione scomoda. Cercò con lo sguardo qualcosa di più confortevole per continuare la lettura.
Da un angolo prese una vecchia sedia di legno impagliata, la portò vicina al cassettone aperto, dove facevano capolino altri pezzi della sua gioventù. Le vecchie Barbie, il sacchetto dei Puffi azzurri un po’ sbiaditi, una casa delle bambole scrostata dal tempo e altri oggetti gettati alla rinfusa.
Si sistemò comoda a continuare la lettura di quello scritto, che aveva sette od otto o nove anni. ‘Che importanza ha’ pensò ‘di conoscere quanto è vecchio!’
Era curiosa di leggere quello che scriveva quando aveva grandiose di idee come scrittrice di successo.
“….la prese e continuò a saltellare per il sentiero. Vide un cartello appeso al ramo più alto e prese l’ascensore per la cima sulle spalle di una farfalla gialla. ‘Ultimo piano, prego’ disse lo scoiattolo alla farfalla e volò su dinnanzi al cartello, che lesse ad alta voce.
Noi Signore di Milano e Conte di Virtù, Vicario Generale Imperiale, volendo compiacere per speciale grazia i nostri egregi e diletti Signori Giovanni Anguissola e Beatrice Visconti sua consorte, concediamo che nella loro proprietà di Grazzano, nel nostro distretto di Piacenza, possano far costruire liberamente e impunemente una fortificazione quale loro aggradi, nonostante alcuni decreti o nostri ordini emessi in contrario.
I mandanti osservino e facciano inviolabilmente osservare questo nostro scritto. In testimonianza della qualcosa abbiamo disposto che la presente sia compilata registrata e convalidata con il nostro sigillo.
Pavia, 18 febbraio 1395
‘Oh, perbacco – esclamò lo scoiattolo – dove sto andando? Questo cartello è interessante’. Chiese alla farfalla dai colori sgargianti un passaggio fino al sentiero. Leggera e svolazzante depose lo scoiattolo sulla strada. Lui non sapeva decidersi se a destra o sinistra. ‘Non fa niente’ pensò lo scoiattolo ‘tutte le strade portano a Roma’ e infilò quello di sinistra.
Ormai aveva scordato tutti i progetti della giornata ma lui viveva alla giornata. Squittendo e saltellando da un ramo all’altro se ne andò allegro, sperando di non trovare altre deviazioni, ma il rumore di acqua lo distrasse e deviò di nuovo dal cammino.
Vide un bel torrentello dalle acque limpide e fresche. Pensò che sarebbe stato una buona idea se avesse fatto un bel bagno.
Così si scordò del cartello appena letto e fece un tuffo da una piccola sporgenza nell’acqua gorgogliante.
Che meraviglia! Che bellezza fare un bagno in un torrente. Tre piroette in avanti, quattro salti all’indietro, un tuffo sbilenco di traverso e lo scoiattolo si divertiva come mai si era divertito prima. Scosse l’acqua dalla coda, si stropicciò gli occhi e vide uno spicchio di sole sul prato. Stanco e un po’ infreddolito si distese nell’unico punto, dove i raggi penetravano il bosco per asciugare la pelliccia. Aveva fame ma si era dimenticato di portare con sé noccioline e ghiande. Allora riprese il cammino verso… Se era dimenticato verso dove e quindi prese la prima deviazione, come al solito, e vide un altro cartello. Si avvicinò incuriosito, ma non distingueva bene le lettere. C’era una figura appesa al cartello.
Sembrava una donna ma non poteva essere una donna. Pazienza, avrebbe letto il prossimo, se ce ne era un altro. Alla deviazione successiva si fermò, era stanco di camminare e aveva fame. ‘Come risolvere il problema?’ si domandò un po’ immusonito lo scoiattolo ‘Non vedo cibo adatto. Proviamo a prendere la deviazione, chissà se mi porta da qualche parte’.
Arrivato a un muro alto cinquanta passi o forse meno, non era un ostacolo per lo scoiattolo perché sarebbe saltato in groppa a un’ape, che non gli avrebbe di certo rifiutato un passaggio. Così fece e si trovò traghettato di là. E vide la statua, alla cui base stava scritto, stavolta in chiaro
Non v’è Castello senza fantasma: quello di Grazzano è di sesso femminile.
Allora lo scoiattolo pensò ‘Sono in un castello! Lì troverò certamente qualcosa da mangiare’..”
Laura interruppe la lettura dei fogli ingialliti. “Sembrano segni del destino” disse sorridente. “Prima la vecchia foto di gruppo col vestito rosso e Marco, poi il manoscritto con la storia di Aloisa, il simpatico fantasma di Grazzano Visconti. Il prossimo cosa sarà?”
La mente tornò all’ultima domenica di maggio dell’anno precedente, quando lei e Marco decisero di andare a Grazzano Visconti. Era un paesino di 180 anime, arrampicato in val Nure sopra Piacenza, ricostruito in stile medioevale. Volevano interrompere la monotonia delle giornate tutte uguali per l’impegno della scrittura della tesi. Il Castello e il Parco erano finalmente visitabili. In quei giorni si poteva assistere alle giostre, al corteo storico e ad altre manifestazioni. Non aveva mai assistito a spettacoli del genere, mentre Marco, quando poteva, non ne mancava uno. Per lui non era una novità ma semplicemente aggiungeva un nuovo borgo con relative manifestazioni alle sue conoscenze. Nel depliant della Pro Loco, allegato ai fogli, c’era la curiosa storia di un fantasma che recitava così.
Il fantasma
Risponde al nome di Aloisa. Piccoletta, ben in carne, le braccia al sen conserte, dal suo basamento sito vicino alla piazza del Biscione occhieggia oggi verso i turisti. Le sembianze della statua che la raffigura sono fedeli al ritratto che fece di sé, guidando la mano di un medium nel corso di una seduta spiritica.
Narrò naturalmente la propria storia, che gli abitanti del borgo si tramandano:Sposa ad un Capitano di Milizia, perì di gelosia in seguito al tradimento del marito, e da allora vaga per il Castello e il parco:
“Io sono Aloisa e porto Amore e profumo alle Belle che donano il loro sorriso a Grazzano Visconti”
Di notte – così dice la storia che viene tramandata di padre in figlio – si rifugia tra la mura del castello e si comporta in maniera assai manesca, tirando i piedi e schiaffeggiando gli ospiti, a meno che questi le facciano dei doni, appendendo alla statua, posta in una stanza, collane e monili, che ne appaghino la vanità di spettro femminile.
Ecco dunque che la statua della Aloisa castellana sfoggia, con fare civettuolo i doni dei previdenti ospiti che – credere o non credere – hanno comunque preferito ingraziarsi lo spettro.
La storia della Aloisa, è stata al centro di una Mostra allestita al teatro del castello dedicata alle testimonianze e alle tradizioni del Borgo. Tra i giornali che si occuparono della manifestazione, la Stampa di Torino, il cui testo fu ripreso da una agenzia inglese e diffuso su diversi giornali. Successivamente il Sunday Express – quattro milioni di copie – ha incaricato il corrispondente in Italia di un servizio in chiave parapsicologica. Assistito da esperti del settore, il giornalista ha sottoposo le statue a diversi esami e alla famosa prova del “pendolino” alla fine il responso: “L’Aloisa risulta sorprendentemente viva. Si tratta di una donna che amò e sofferse molto”.
Molti altri sono i sorprendenti incontri con l’Aloisa.
Tra i più recenti quelli occorsi, in tempi diversi, ad un reporter di una stazione televisiva e al corrispondente di un quotidiano locale. Entrambi affrontarono l’argomento con manifesta incredulità.
Il primo riuscì a fotografare l’effige della statua solo dopo aver fatto opera di conversione – nel frattempo aveva però inceppato la fotocamera e avuto ripetuti guai con il lampeggiatore.
Il secondo raccoglieva, servendosi di un registratore, impressioni sullo spettro; alla fine delle interviste sulla pista magnetica risultarono le sole voci favorevoli alla Aloisa.
In questi ultimi anni l’Aloisa è assurta agli onori della cronaca anche come protettrice degli innamorati, una specie di San Valentino in gonnella.
Messaggi riconoscenti e omaggi floreali giungono infatti con frequenza all’effigie di Aloisa, da diverse parti d’Italia
Laura ricordò di aver lasciato una traccia del suo passaggio a Grazzano: un piccolo braccialetto di stoffa con inciso il suo nome. Marco l’aveva guardata corrucciato, perché riteneva la questione una superstizione del passato. Non aveva detto nulla.
La giornata era splendida, il posto era incantevole con quell’immenso parco pieno di alberi, di siepi e fiori, dove uno rischiava di perdersi nel labirinto verde. L’atmosfera del villaggio riportava le persone indietro nel passato, come una prodigiosa macchina del tempo. In un clima rilassato avevano trascorso la giornata. Era stato un toccasana, perché rompeva la tensione della preparazione della tesi. La macchina digitale, che Marco le aveva regalato per il compleanno, fece molte fotografie.
Si riscosse dai ricordi di quel giorno. ‘Quelle fotografie dove le ho messe?’ si chiese. ‘Rammento di averle stampate col computer. Le avrà Marco di certo. Lui amava osservarle sulla carta. Chissà se le ha conservate”.
Di quella giornata aveva conservato pochi ricordi, annacquati e sfumati. Non si pose il problema di ricordare le esatte sequenze della gita, perché gli eventi spiacevoli erano stati rimossi dalla memoria.
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