Matteo irritato e nervoso attendeva la telefonata di Sofia, che non arrivava mai. Questo ritardo lo destabilizzava. Con lei si era sintonizzato subito nel rispetto degli orari, perché Sofia era la puntualità in persona. Stasera, no, pensò Matteo, aggrottando la fronte. Aveva congedato Paolo in modo frettoloso per essere libero da impegni ma adesso stava aspettando da troppo tempo. Quando l’orologio segnò mezzanotte e mezza, arrivò la sospirata chiamata.
“Ciao” esordì Sofia con naturalezza, senza scusarsi per il ritardo. “Tra quindici minuti sotto casa”.
Sofia non gli diede il tempo di formulare un qualsiasi pensiero, perché aveva già chiuso la conversazione.
Matteo, in fibrillazione per l’attesa prolungata, si innervosì ulteriormente per il comportamento dispotico di Sofia. ‘Se crede che sia il suo zerbino’ si disse furibondo, ‘si sbaglia di grosso. Se non fosse stato per Paolo, a quest’ora sarei nel mio letto a dormire’.
Meditò di mandare all’aria l’incontro programmato. Una sfuriata, una fiammata d’orgoglio l’assalì. ‘Avrei anche potuto accettare la telefonata oltre l’orario concordato’ pensò. ‘Quello, che non ho gradito, è stato il tono sbrigativo e arrogante della conversazione’. Poi prevalse l’idea di trascorrere con lei la notte e lasciò cadere l’idea di tornare a casa. Era seccato, perché da tempo Sofia non assomigliava a quella conosciuta inizialmente. Questa sera era il momento adatto per chiarire, perché la relazione stava prendendo una piega che non gli piaceva.
Sofia intravide tra luci fugaci e precarie ombre il viso di Matteo che parcheggiava. Col tono di comando l’obbligò a salire sulla sua macchina. Sarebbero entrati in casa direttamente dal box. Matteo continuò a ribollire come mosto nel tino, mentre Sofia rifletteva sulla serata appena trascorsa. Sembrava essersi dimenticata della presenza di Matteo che aspettava l’apertura della portiera.
‘Non so che cosa mi ha preso stasera’ si disse Sofia assorta, dimenticandosi di Matteo fuori dell’auto. ‘Prima quel bacio appassionato con Marco, poi quello con Laura’. Avvertiva ancora il sapore delle labbra di Marco. Senza l’arrivo provvidenziale di Laura si sarebbe spogliata e avrebbe fatto all’amore con lui. Ridendo, pensò che non c’era molto da togliere, perché sarebbe stata sufficiente alzare la mini e i giochi sarebbero stati fatti. L’aspetto più inquietante e inaspettato era stato il bacio con Laura e le relative carezze intime. Per la prima volta le capitava di baciare una donna sulle labbra ma la sensazione provata era stata fortissima. La vampata di calore, che aveva avvolto il suo corpo, era stata del tutto incontrollata, percependo la necessità di ricambiare le attenzioni.
L’insistente e impaziente picchiettare di Matteo, sempre più stizzito, sul vetro della portiera interruppe il flusso dei pensieri.
Sofia si riscosse, scacciò dalla mente quanto stava pensando. Si concentrò su Matteo. Doveva farsi perdonare il comportamento tenuto. In questo ultimo periodo si identificava troppo con le sue idee e le sue opinioni. Inoltre era incline alla lite. Un parere contrario al suo diventava un affronto personale. Era tenere sotto controllo questo aspetto della sua personalità, che aveva manifestato più volte con Matteo in precedenza e anche stasera.
Sapeva che non sarebbe stato facile rabbonirlo, perché era stata prepotente, sfrontata e poco disponibile al dialogo. Percepiva di essere stata indisponente oltre misura. Questo lato della sua personalità aveva sopraffatto quello che la vedeva innamorata e affettuosa. In preda all’ansia una sensazione di turbamento la prese all’improvviso in modo incontrollato.
Doveva tenere sotto controllo le sue emozioni, senza reprimerle, perché sarebbero come tappare un vulcano pronto all’esplosione. Doveva avere uno sguardo più equilibrato e realistico sulla sua vita di relazione.
Al di là del vetro il viso contratto di un Matteo mostrava irritazione, mentre chiedeva di salire in macchina. Con un sorriso, per nulla forzato, lo fece accomodare nell’auto. Matteo non ricambiò e si sistemò sul sedile senza dire una parola. Il suo umore peggiorava e non era disponibile a ulteriori sgarbi.
I due amanti erano finalmente vicini, mentre la notte prometteva scintille, come una barra di ferro fresata.
Mangiarono senza troppe chiacchiere come se avessero paura di ripescare i fantasmi che con tanta difficoltà avevano confinato altrove.
Liberata la tavola, si sistemarono comodamente sul divano pronti ad affrontare argomenti e racconti, domande e risposte, quesiti e interrogativi in un clima pacificato.
Marco, sistemato in mezzo a Laura e Sofia, le teneva abbracciate. Aveva percepito che il bacio di conciliazione era stato qualcosa di più. Come se avessero trasmesso l’un l’altra un messaggio saffico. Era rimasto imbarazzato, perché non avrebbe immaginato di vivere una simile situazione. Nel contempo si era stupito. Non tanto per il gesto che visti i tempi potrebbe apparire normale ma perché non aveva mai ravvisato queste tendenze nelle due ragazze.
Mentre lui era impegnato a decifrare il loro comportamento, Sofia chiese senza troppe perifrasi a Marco le motivazioni per le quali aveva lasciato Laura.
“Non capisco” disse la ragazza, guardandolo in viso, “i motivi per i quali hai rotto con Laura. Percepisco che esiste tuttora un grande e sincero amore tra voi”.
Laura conosceva le risposte, perché ne avevano parlato a lungo nel pomeriggio. Non diede segnali d’irritazione, mentre si preparava ad ascoltare le spiegazioni. Il suo viso era disteso, senza una ruga.
Marco rimase in silenzio, mentre osservò prima Sofia, poi Laura. Voleva essere chiaro nell’esposizione per non creare dei nuovi equivoci.
“Ho vissuto fino a venti anni a Ferrara, una piccola città di provincia, dove i piedi e la bicicletta sono il mezzo di trasporto più usato” scandì con lentezza Marco. “È una città sonnolenta e pigra dai ritmi lenti. Qui ci si muove senza frenesia”.
Il ragazzo fece una pausa. Laura non mutò espressione. Nessuna ruga le increspò la fronte.
‘Di sicuro’ riconobbe Sofia, ‘questo ha modellato il tuo carattere, come un vestito cucito su misura’.
Marco sorrise alla battuta della ragazza. In effetti era proprio vero che questi ritmi di vita erano nel suo patrimonio genetico.
“Giunto a Milano, mi sono sentito fuori posto. Ma allo stesso tempo stimolato dalle novità dell’ambiente” proseguì Marco. “Ero proiettato in un’altra dimensione esistenziale. Un mondo differente che si muoveva frenetico, di corsa. Nei primi momenti la curiosità di esplorare un ambito diverso dall’abituale, la ricchezza di offerte e di svaghi mi hanno colpito e in qualche misura attratto. I cambiamenti mi hanno fornito la spinta ad analizzare con attenzione un ambiente differente rispetto ai primi vent’anni della mia vita. La crescita e la maturazione del mio carattere avrebbe potuto essere, nel bene e nel male, positiva”.
Le due ragazze lo ascoltavano con attenzione, annuendo ai vari passaggi. Marco si fermò per qualche secondo. Doveva cercare di formulare il proprio pensiero con maggiore precisione.
“Superato il primo impatto, tutto sommato stimolante, mi si è presentato un problema. La difficoltà di accettare i cambiamenti” disse Marco, riprendendo il filo del discorso. ”Sono entrato in crisi. Sono mancati quelle piccole certezze alle quali ero abituato. I punti di riferimento, ai quali ero avvezzo. Mi sentivo fuori posto, incapace di seguire ritmi così incalzanti e frenetici. Sarei sicuramente tornato a casa, se non avessi incontrato Laura e quel gruppo di persone eccezionali, che la frequentavano. Per me avrebbe rappresentato una sconfitta, se non ci fosse stato lo stimolo della laurea da conseguire in fretta”.
Si interruppe per osservare Laura, che si sistemava più vicino, mentre percepiva chiaramente il calore che trasmetteva.
“Laura è stata in cima alla piramide per il sostegno, per l’amore che mi ha dato con sincerità” aggiunse, volgendo lo sguardo verso di lei. “Un gradino immediatamente più in basso è stato il gruppo, che mi ha aiutato e sostenuto a vincere la malinconia delle radici”.
Ricordava con piacere quanto fosse stata disinteressata la loro amicizia.
“Senza di loro” concluse Marco, “non ho un’idea di cosa sarebbe successo”.
Nella stanza si udivano solo i loro respiri. La voce di Marco era incrinata dall’emozione nel ripercorrere quegli anni.
“Si, Laura è stata la mia scialuppa di salvataggio, il mio faro di riferimento” disse Marco, abbracciandola. “Non so come ringraziarla. L’ho amata allora, l’amo tuttora e l’amerò domani, anche se saremo lontani”.
Percepì che le doveva molto di più di quanto non riusciva a trasmettere con le parole.
“Però di una cosa sono conscio. I miei interessi e i miei desideri possono essere in contrasto coi suoi” affermò Marco. “Questo condurrà al disaccordo tra noi”.
Laura sussultò a queste parole, mentre Sofia sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Avrei dovuto mantenere distacco senza coinvolgerla. Ma non ci sono riuscito” proseguì. “La verità è che sono incapace di adattarmi a una vita diversa da quella immaginata. Nessuna intenzione d’imporre a Laura la mia volontà ma mi sarei opposto, se ella avesse tentato di fermarmi in ciò che desideravo fare. Dopo la laurea avevo tre possibili scenari: Laura si trasferiva a Ferrara, io restavo a Milano oppure tornavo a Ferrara, rinunciando a lei”.
Marco si fermò in attesa di obiezioni che non arrivarono.
“Nessuna delle tre opzioni presenta dei pro che bilancino i contro. La prima non è percorribile, perché significa per Laura seppellirsi in un ambiente lontano anni luce da quello nel quale ha vissuto da sempre. Con in più altre problematiche, come la difficoltà di trovare un lavoro soddisfacente. Con grande fatica ho trovato un posto dopo otto mesi di ricerche a Bologna. Quale futuro avrei potuto riservarle, a parte il mio amore? La seconda mi avrebbe consentito di starle accanto, come la prima. Non avremmo avuto difficoltà a trovare ottimi posti di lavoro per entrambi”.
Marco, per rimarcare l’ultima affermazione, accennò al posto sicuro e interessante, che era disponibile il giorno seguente la laurea.
“Ma aspiravo a quello che ho sempre desiderato” disse. “Tornare a Ferrara. Vivere a Milano per me sarebbe stato un inferno, un supplizio, al quale sarei sopravvissuto solo qualche mese. Rimaneva percorribile solo la terza soluzione, che avrebbe causato dolore a entrambi. Il tempo, le attività quotidiane sarebbero state in grado di lenire prima e guarire poi le ferite. Non avevo altra scelta” disse a conclusione del lungo monologo. “Quella dell’addio”.
Sofia, rimasta silenziosa durante il suo racconto, l’osservò stupita, vedendolo accanto a Laura.
“Hai forse cambiato idea?” gli chiese.
Marco la guardò sorpreso e infastidito.
“Se non l’amassi, ora sarei con Agnese anziché con Laura”.
“Agnese?” esclamò Sofia basita, sentendo un nome sconosciuto della cui esistenza ignorava tutto. “Chi è?”
Marco riassunse in breve la storia di Agnese. “Ora sono qui a godere della vostra compagnia. Domani sarà un altro giorno. Al momento vivo alla giornata”.
Sofia stava replicando ma lui la interruppe.
“Ho sentito di un audace domatore” disse Marco con un sorriso ironico. “A lui è riuscita l’impresa di domare la tigre. E’ vero?”
“Veramente la tigre ha ingabbiato il domatore” affermò Sofia, ridendo di gusto. “Appeso alle mie labbra, lo faccio saltare attraverso il cerchio di fuoco allo schiocco delle dita”.
L’atmosfera era mutata. Le due ragazze non mostravano più segni d’interesse tra loro. Guardavano Marco, che polarizzava la loro attenzione. La conversazione proseguì su altri argomenti, finché Sofia non lesse l’ora. Si alzò di scatto dal divano.
“Accidenti!” esclamò contrita ma allegra. “Ho promesso a Matteo di vederci alle undici. E’ mezzanotte passata. Non l’ho ancora chiamato! Sarà furibondo, perché non ama aspettare, come me. Ciao!”
“Si” disse Laura con un tono algido, “è meglio che tu divida il tuo letto con Matteo, mentre io mi occuperò di Marco”.
Salutata Sofia, le augurarono una felice nottata.
Finalmente erano soli. Si abbracciarono teneramente.
Iniziarono i preparativi per la notte che li aspettava.
Marco pretese che la preparazione venisse eseguita insieme, nonostante le proteste di Laura.
Marco decise di parlare per stemperare l’irritazione di Laura, delusa, amareggiata e offesa dal suo atteggiamento. Doveva chiarire la posa fin troppo esplicita di Sofia per togliere elettricità alla serata. ‘Ma ci riuscirò?’ pensò col dubbio nella mente.
“La colpa è mia” iniziò Marco con tono risoluto, mentre Sofia stava seduta sul divano col viso imbronciato. “Non avrei dovuto baciarla! Al massimo un bacio sulla guancia”
Laura non disse nulla con gli occhi ridotti a una fessura per la collera manifesta. Scosse il capo e non accennò a credere alle sue parole, a comprendere e perdonare. ‘È facile adesso dire che non dovevi baciarla’ si disse Laura, stringendo nervosamente la mascella. ‘Dovevi pensarci prima’.
“Devi credermi” affermò Marco in piedi davanti a loro.
Laura strinse le labbra come a sigillarle per impedire alle parole di uscire. Le spiegazioni di Marco non la convincevano, anzi la innervosivano. Gli occhi, che si aprivano e si chiudevano in rapida successione, le mani che si muovevano nervosamente, la mascella rigida mostravano il suo malumore in modo palese.
Sofia, rintanata sul divano, era irritata con se stessa per essersi lasciata trasportare dalla spinta erotica. Era indispettita verso l’amica, che l’aveva invitata in modo improvvido. ‘Doveva capire’ si disse arrabbiata, ‘che alla fine sarei risultata di troppo. Ingombrante e imbarazzante come la corda in casa dell’impiccato’. Si domandò, perché Laura si fosse lasciata scappare Marco. Calmo, deciso, sempre in grado di dire la parola giusta nel momento giusto e così sensuale e passionale. ‘Quel bacio è stata una scarica di adrenalina pura’ pensò Sofia. ‘Non ho capito più nulla. D’istinto l’ho ricambiato con furore. È stato talmente elettrizzante che mi sono inumidita in un attimo!’
Laura era risentita con Sofia, perché il suo comportamento aveva rappresentato per lei un autentico choc. Di Sofia si era sempre fidata. Avrebbe messo la mano sul fuoco sulla sua lealtà. Da questo momento non più. Aveva la certezza che non avrebbe avuto esitazioni nel fare all’amore con Marco, se avesse tardato qualche minuto. ‘Sofia si sarebbe arrapata su Marco’ pensò una Laura delusa, ‘fregandosene della mia presenza’. Non trovava una spiegazione credibile a quel bacio. Pure Marco si era comportato da vigliacco. Pochi istanti prima era stato verso di lei dolce e romantico per trasformarsi poi in una serpe infida.
Marco non si sentiva esente da colpe, perché, dopo le ore trascorse con Laura, l’aveva delusa in modo plateale. Marco avvertì la tempesta avvicinarsi minacciosa con tuoni e fulmini ma non rinunciò al tentativo di riportare la calma tra loro. Riprese a parlare per provare a ricomporre la frattura. Capì che era lui la causa della tensione esistente nella stanza. Laura aveva avuto uno scatto di comprensibile gelosia, mentre Sofia era stata indotta dal suo atteggiamento equivoco. ‘Devo porgere le mie scuse e togliere il disturbo?’ si chiese. ‘Oppure devo tentare di disinnescare la bomba pronta a deflagrare?’ Prese la decisione di calmare le acque.
“Dovevamo trascorrere qualche ora in serenità parlando di noi” disse con il tono più distensivo possibile.
Le sue parole caddero nel vuoto. Né Laura, né Sofia dissero una parola. Un atmosfera gelida aleggiava nella stanza.
“Facciamo un brindisi” proseguì Marco, che percepiva il gelo. “È l’occasione giusta per salutare il nostro incontro dopo tanti mesi”.
S’avviò in cucina per prendere lo spumante in frigo. I bicchieri era già sul tavolo. Queste semplici parole riuscirono a dissolvere l’atmosfera negativa in mille frammenti, che rimasero sospesi nella stanza, pronti a ricompattarsi nel muro di tensione. Laura e Sofia si abbracciarono senza slancio in un silenzio carico di nervosismo. Marco non era certo di essere riuscito a rimediare la gaffe. L’eccitazione era rimasta palpabile, nonostante i suoi sforzi. Il brindisi fu fiacco senza l’entusiasmo che l’occasione richiedeva. La sensazione di tensione non si era decantata e gli animi rasserenati.
Marco, accortosi che tutti i tentativi di riconciliazione non erano riusciti nell’opera di spegnimento del fuoco della gelosia che bruciava Laura, riprese a parlare.
“Col mio comportamento, non giustificabile, ho rovinato la cena, che doveva essere un momento di gioia e serenità” disse Marco con gli occhi bassi. “Quello che è stato, rimane” fece, sapendo accettare la sconfitta.
Si avviò verso la porta per uscire dalla stanza.
”No, Marco” affermò Sofia, alzandosi. “Quella in sovrappiù sono io. Ho rovinato la vostra intimità, intralciato i vostri piani. Mi sono comportata come una donna alla ricerca di un’avventura”.
Marco e Sofia lentamente stavano uscendo, mentre Laura, rimasta in silenzio, era combattuta tra fermali e lasciarli andare via.
“Mi sono sentita molto offesa per il vostro comportamento” disse Laura con voce fredda.
Stava prevalendo In Laura lo spirito di riconciliazione, anche se la visione di Marco e Sofia, avvinghiati, non sarebbe stata facile da eliminare.
“Sedetevi” ordinò Laura. “Da persone mature i contrasti e gli equivoci si risolvono con le spiegazioni”.
Nessuno aprì bocca. Questo irritò Laura, che aveva gettato un ramoscello di ulivo in segno di pace con un grosso sforzo di volontà. Sarebbe esplosa come un vulcano in eruzione, quando contò fino a dieci per acquistare lucidità e controllo delle proprie azioni.
“Tutti si scusano” disse, dopo avere raccolto le sue forze per non sbottare. “Ma non spiegano nulla. Io sono in subbuglio e fatico a trattenere la rabbia che porto nel cuore. Risolviamo dunque questo spiacevole contrasto. Mi sono lasciata trasportare dalla gelosia come una ragazzina. E sono uscite parole di troppo”.
Marco e Sofia tornarono sui loro passi. Avevano compreso che non dovevano fare gli offesi, perché il loro comportamento era senza giustificazioni. Cominciarono a parlare insieme, “Io ero…”, “Il suo bacio…”, “Non era mia intenzione…”. Nessuno capì quello che intendevano dire.
“Ragazzi,“ disse Laura con il sorriso amaro sulle labbra, “parlate uno alla volta, altrimenti non si capisce nulla”.
Ammise che era stata sopraffatta dall’emozione e dalla gelosia, perché una donna innamorata non poteva accettare delle effusioni così esplicite senza manifestare minimamente la rabbia provata.
Una grossa lacrima scivolò dalle ciglia sul piatto, mentre Sofia si avvicinò. l’amica la baciò con ardore sulle labbra per rimediare al comportamento non proprio ortodosso e adamantino di prima.
Sofia percepì che doveva dire qualcosa anche se banale. “Non avrei dovuto ricambiare il bacio di Marco in quel modo” ammise la ragazza. “Ho perso la testa, trascinata dalla parte irrazionale, che ha rotto i miei freni inibitori. Hai ragione, Laura. Se non fossi arrivata, ignoro cosa avrei combinato”.
Sofia le teneva le mani, mentre faceva questo discorso.
“Hai dimostrato una grande generosità nei miei confronti. Io sarei stata una tigre pronta a sbranare chiunque al tuo posto. Le scuse sono sincere” affermò Sofia, guardandola in viso. “Mi sono comportata scioccamente”. Pose poi le sue labbra su quelle di Laura, che rabbrividì per il piacere.
Marco ascoltava in silenzio, mentre osservava le due amiche scambiarsi il bacio della pace, che pareva infinito e passionale quanto il suo. “Niente baci per me?”
Chiuse gli occhi, aspettando le loro labbra. Avvertì che quelle di Laura si posavano sulle sue con la lingua che cercava di entrare. Lui la lasciò fare. Una mano di Sofia si insinuò dolcemente sull’incavo del collo. ‘Dov’è l’altra?’ pensò istintivamente, perché percepiva fremiti di desiderio nelle due donne.
Riaprì gli occhi e le strinse a sé. Spiegò con calma il bacio a Sofia. “Mi è venuto d’istinto senza malizia, perché l’ho vista scura in viso per il ritardo con cui l’abbiamo accolta”. Parlò con il sorriso sulle labbra, mentre scrutava prima l’una poi l’altra. Gli pareva strano che ci fosse voluto così poco a rappacificarle, mentre pochi istanti prima sembrava impossibile.
Qualcosa di strano e insolito c’era nell’aria. Marco osservò che le due donne incuranti della sua presenza si guardavano con troppa tenerezza per essere stato solo un bacio pacificatore.
Laura e Marco, stanchi e appagati da quel rapporto un po’ sofferto all’inizio, decollato nella giusta misura, erano abbracciati con tenerezza, mentre le loro menti vagavano leggere.
Lei percepì che qualcosa stava cambiando dentro di sé. Avrebbe voluto proseguire il discorso sulle fobie nei confronti del suo corpo per completare l’opera. Però aveva inopinatamente invitato Sofia. Adesso era pentita, perché il discorso iniziato si sarebbe interrotto. Rischiava di diventare monco e frammentario col pericolo di perdere dei pezzi importanti. I pensieri turbinavano nella sua testa come una tempesta di neve con fiocchi che volavano da tutte le parti senza un disegno preciso. Ammirò Marco, che aveva a un fisico da ammirare e una sensibilità fuori daI comune. Mentre osservava Marco, avrebbe voluto che il tempo fosse retrocesso di otto mesi. ‘Ammesso che sia possibile, sarei stato in grado di trasformare il suo addio in un arrivederci?’ pensò Laura, scuotendo la testa in modo impercettibile. ‘Io lo amo e lui mi ama ma i nostri mondi sono distanti’ concluse sconsolata.
Accostata a Marco, fece scivolare le mani cautamente fino al suo inguine, massaggiandosi con dolcezza. Percepì un calore denso e sensuale che saliva tra le gambe verso la testa. Sentì montare irrefrenabile il desiderio di ricevere nuovamente piacere, quando notò l’orologio appeso al muro.
“Accidenti, perché ho invitato Sofia?” esclamò contrariata.
Irritata e indispettita, aveva compreso che fra dieci minuti la presenza dell’amica avrebbe rovinato l’atmosfera, che s’era creata nella stanza. Laura aveva trovato un punto di equilibrio tra le sue fobie e il desiderio di stare con Marco.
“Marco, ho voglia di te!” disse Laura nervosa, perché senza dubbio Sofia si sarebbe presentata puntualissima all’orario stabilito. “Non vorrei vestirmi ma lo dobbiamo fare. Tra poco Sofia sarà qui”.
Laura era rassegnata a rimandare quello che desiderava in questo momento a più tardi. Era certa che non si sarebbe ricreata l’atmosfera che c’era nella stanza. Tutto sembrava congiurare contro di lei. Si alzò per indossare gli indumenti. Marco tuttavia l’afferrò in silenzio con delicata decisione, la sdraiò sul letto. La sua lingua cercò l’altra con passione.
“Se non siamo pronti” sussurrò con dolcezza, “aspetterà!”
Tenne premuto il suo corpo su di lei, che si abbandonò senza resistenza.
Udirono in lontananza il suono del campanello, ovattato dai sensi, insistente e indisponente per la mente. Riluttanti si alzarono per aprire l’ospite indesiderato, si guardarono e risero per come erano. Di certo non potevano accoglierla in questo stato.
“Sofia!” disse Laura allegra, dopo aver aperto il portone. “Non sono pronta. Conosci la strada. Mettiti comoda in salotto. Arriviamo subito”.
Una veloce puntata in bagno, poi nella stanza si infilarono i vestiti, mentre Sofia si accomodava sul divano.
Capì dal tono della voce e dalle parole di Laura, che li aveva sorpresi nella loro intimità. Immaginò con la mente, come un film a luci rosse, amplessi e gemiti, piacere e passione. Era sul divano tutta infoiata nelle sue fantasie erotiche di sesso sfrenato, quando entrò Marco. Ebbe la visione di un guerriero antico da amare senza pentimenti piuttosto dell’amico che non rivedeva da mesi. Però quasi immediatamente nel vederlo si rabbuiò.
“Sofia, che piacere rivederti!” disse galante per stemperare il suo broncio. “Non fare quella faccia da offesa! Hai aspettato qualche secondo!”. E sorridente la salutò con un bacio, pieno di passione sulle labbra stringendola con vigore quasi fosse l’amante ritrovata.
Sofia, nera come la pece per l’attesa ma in calore per le fantasie erotiche, stava per dire qualcosa di piccante, quando quel bacio improvviso e inaspettato le fece cambiare umore. Ricambiò abbraccio e bacio. Anzi andò oltre, insinuando la sua lingua tra le labbra a cercare quella di Marco, che rispose con insospettato ardore.
Erano abbracciati con le bocche unite, quando Laura entrò e li vide.
Un moto di stizza passò sul viso, che da sorridente diventò scuro e imbronciato. Il suo era un cielo che preannunciava tempesta e grandine.
“Avete finito?” disse con voce stizzita e aspra. “Sono arrivata! Sofia!”
Marco si staccò con prontezza e l’abbracciò con passione, non lasciandole terminare la frase. Sperò invano di porre riparo alla situazione equivoca, nel quale si erano venuti a trovare. Sofia, rossa in viso per l’eccitazione, guardò Laura con occhi acquosi, che chiedevano perdono.
“Volevo dare il bentornato a Marco!” disse mortificata. “Forse ho…”. Si sedette sul divano indispettita per essere stata colta, mentre si stringeva con foga Marco.
“Non sarai gelosa?” replicò Marco, trascinando Laura maldisposta accanto a lui.
Si sentì in dovere di spiegare le effusioni troppo manifeste, ben sapendo che c’era poco da chiarire, perché l’abbraccio con Sofia non si prestava a interpretazioni diverse dall’evidenza degli eventi. Tacendo, rischiava di peggiorare la situazione ma parlando, correva il rischio di accrescere i malumori. Da qualsiasi parte avesse valutato il fatto, avrebbe gettato nuova benzina sulla gelosia di Laura e sull’irritazione di Sofia.
Marco si trovava nella posizione delicata e imbarazzante di essere preso tra fuochi. Da un lato Laura si sentiva ingannata dopo le ore di intimità e di gioia, delle quali non si era spento ancora l’eco. Dall’altro Sofia gli addebitava un bacio passionale e galeotto, che aveva avuto il potere di eccitarla oltre misura, mandandola fuori giri.
L’atmosfera da gioiosa era diventata pesante come una cappa di smog.
Paolo, seduto alla Caffetteria del Corso, mentre sorseggiava il secondo caffè di quel lungo e interminabile pomeriggio, rifletteva in quale errore era incorso nel corteggiare Laura. Era come se fosse in un grande giardino fiorito senza avere l’opportunità di cogliere un fiore. Doveva solo osservare.
‘Eppure la prima volta che l’ho incontrata ho visto nei suoi occhi un guizzo di interesse’ si disse sfiduciato. ‘Poi è stato solo buio, incomprensioni. Fredda e indifferente a qualsiasi argomento si è richiusa su se stessa’.
Aveva sperato che Matteo, attraverso Sofia, potesse fornirgli qualche utile indicazione per trovare la chiave d’accesso al cuore di Laura. Erano state cartucce caricate a salve. ‘Era single di certo, quando l’ho conosciuta’ pensò. ‘La relazione, che durava da cinque anni, si era interrotta in maniera repentina e senza preavvisi pochi giorni prima di incontrarla, senza un motivo valido’.
C’era nel comportamento di Laura qualcosa, che lui non riusciva ad afferrare con pienezza. Un atteggiamento ambiguo come se dicesse ‘vorrei ma non posso’. ‘Può una persona continuare a desiderare colui, che ha chiuso con te senza spiegarti il perché?’ si disse Paolo incredulo. ‘Se è uscito dalla tua vita, non c’è più’. Per lui era ovvio e razionale ma per Laura evidentemente no. Erano passati otto mesi dalla rottura, eppure Laura in apparenza si comportava con la speranza che il rapporto si ricomponesse da un momento all’altro. Questo per Paolo non aveva senso. ‘Deve esistere un’altra chiave di lettura, che non riesco a individuare’ concluse, scuotendo il capo.
Il tempo scorreva lento. Paolo continuava a sbirciare il cronometro d’acciaio che portava al polso destro. Gli sembrava di essere da una vita nella Caffetteria. Aveva bevuto due caffè e una bottiglia d’acqua, aveva tentato di leggere il giornale per far scorrere più velocemente i minuti. Il tutto inutilmente. ‘Mi farò un aperitivo per fare venire le sette’ si disse, sbuffando e imprecando contro le donne, che fanno le preziose.
Di nuovo confrontò le due donne che in qualche modo avevano segnato la sua vita nell’ultimo anno. Roberta e Laura avevano due personalità differenti, pur con alcuni punti in comune. ‘Sono diverse sia per età che per mentalità’ rifletté Paolo mentre sorseggiava l’aperitivo che gli pareva sciapo. Roberta era una donna seducente per il fascino, che emanava, per l’intensità dei suoi quarant’anni. ‘Non aveva nessuno modello valido di cosa volesse dire forza femminile’ si disse, mentre prendeva dal piatto una patatina. ‘Viveva in un microcosmo ristretto e limitato. Credeva di essere una donna forte ma in realtà era debole. Quello che mostrava all’esterno non era confermato dalle qualità interiori. Era psicologicamente fragile. Bastava un nonnulla per metterla in crisi’. La proiezione del mondo maschile era negativa perché cercava, senza occultarla, che l’uomo la proteggesse e l’accudisse. ‘Questo bisogno l’ho scoperto a mie spese un anno dopo averla conosciuta’ si disse. All’inizio aveva trasmesso una vitalità che lo aveva sedotto e soggiogato. ‘La maturità dei suoi quarant’anni’ pensò, ‘mi ha fatto capire quanto fossi ancora immaturo’. Passata la buriana iniziale di erotismo per dimostrare che era una grande seduttrice nel letto, aveva perso per strada grinta e decisione. ‘Ha preteso’ si disse con amarezza, ‘che io fossi la guida sia in casa che fuori e in particolare nella crescita dei due figli’.
Psicologicamente Paolo era giunto impreparato a questo ruolo così delicato da gestire. Erano cominciati quasi subito gli screzi e le incomprensioni, che hanno avuto una logica conclusione: la separazione delle loro strade.
Di Laura, che era altrettanto affascinante quanto Roberta, conosceva poco o nulla. Il fascino era l’unico punto di contatto tra le due donne. Laura però era molto più fresca e naturale negli atteggiamenti. Aveva le idee chiare di quello che si aspettava dal futuro e aveva manifestato apertamente come intendeva raggiungere gli obiettivi fissati. Gli aveva fatto capire che non avrebbe cercato una guida ma un uomo alla pari con il quale voleva costruire la relazione a due e il percorso comune. ‘Che sia questo il motivo per il quale non siamo entrati in sintonia?’ si domandò. ‘Trasmettevo forse il messaggio che Roberta mi aveva lasciato in eredità: o gregario o guida?’
Erano le sette passate quando salì sul metrò per raggiungere la casa di Matteo. Arrivato alla fermata, con la lentezza, di chi vorrebbe arrivare per ultimo, preferì camminare per un po’ intorno all’isolato. Voleva schiarirsi le idee. Il tempo non gli mancava.
Quando suonò il campanello, Matteo stava aspettando lui e Pizza Express che avrebbe consegnato due margherite e un paio di birre.
Paolo non aveva fame. Sazio com’era, di amore e di delusioni, disse che andavano benissimo. Cominciarono a parlare di Laura e dei fallimenti a catena nell’approccio sentimentale, mentre in sottofondo le note di Mozart inondavano la stanza, creando un’atmosfera rilassata e ovattata.
“Laura mi piace. Mi sono innamorato” disse Paolo che sorrise. Era una precisazione inutile, un insignificante eufemismo. “Laura è diversa da Roberta sia per carattere che per aspetto. Mi ha conquistato con la sua personalità forte. Ma devo capire dove l’approccio non ha funzionato”.
Paolo si era reso conto che era incapace di trovare una soluzione in via autonoma. Quindi cercava l’aiuto dell’amico, perché i suoi occhi e la sua mente erano neutrali, sgravati dal peso dell’innamoramento.
Paolo esternava quello che percepiva, sperando in ricette miracolose che avrebbero risolto i dilemmi e le angosce. In questo momento della sua vita si sentiva libero di esprimere le sensazioni, che sgorgavano dall’interno, e di essere se stesso in modo trasparente. Tuttavia non era in grado di trasmetterlo a Laura, che restava algida e distaccata.
Matteo aveva intuito dove l’amico voleva andare a parare. Glielo aveva fatto comprendere l’espressione del suo viso. L’occhio malinconico, la fronte aggrottata, le labbra stirate, la mascella che si muoveva nervosa. Raccolse le idee, perché non amava dispensare consigli, che assimilava a certe pillole miracolose che promettevano prodigi ma non valevano nulla. Iniziò con cautela. Fece notare a Paolo che non era riuscito a stabilire un contatto empatico con Laura, perché non trasmetteva il messaggio giusto.
“Quale messaggio?” domandò Paolo, spalancando gli occhi.
“Lo veicoli in maniera inconscia, senza rendertene conto” rispose Matteo. “Per te certi atteggiamenti sono consuetudine. Non te ne accorgi”.
“Ma quali atteggiamenti?” lo incalzò Paolo.
“Prova a riflettere come ti proponi” gli disse Matteo. “Il tono della voce, che fatichi a controllare. Le parole dei tuoi pensieri, spesso in libertà. L’aggressività, che usi nella professione. Messaggi negativi”.
Paolo rifletté su queste parole e intuì che gli stava offrendo una chiave di lettura degli insuccessi. Era la sua incapacità di proiettare su di lei i sentimenti che provava. Forse il tono era quello di affermare ‘io sono il tuo padrone, la tua guida. Tu mi seguirai docile senza protestare’. Rammentò l’ultimo invito. Iniziato come se dovesse essere accettato senza battere ciglio, senza domande. Non aveva dato spiegazioni, perché aveva preteso che lui non fosse in obbligo di darne. La trattava come si comportava con i clienti, che dovevano ascoltare le sue proposte senza obiezioni. Un atto di fede, un dogma da accettare senza fiatare. Nelle relazioni interpersonali teneva un atteggiamento, come se loro fossero il palcoscenico su cui poteva recitare a suo piacimento.
“É questo messaggio che sto trasmettendo verso Laura?” disse Paolo.
Matteo, ascoltate in silenzio le parole di Paolo, gli comunicò che Sofia gli aveva dato appuntamento dopo la serata in compagnia di Laura e aggiunse sornione. “Dormirò da lei”.
Non si accorse di aver ferito l’amico che avrebbe desiderato pure lui trascorrere la notte con Laura.
Matteo dalla chiacchierata sotto le lenzuola sperava di ricavare qualche altra utile indicazione per Paolo.
“Spero di avere delle buone notizie, domani” gli disse con una punta di ottimismo.
La serata proseguì in attesa della chiamata di Sofia, che tardò ad arrivare.
Il tè era ormai freddo, dimenticato da Laura e Marco, che parlavano di loro, delle sensazioni che avevano provato e superato durante la separazione. Sembravano due vecchi amanti, che si ritrovavano dopo una lunga lontananza con la speranza di riannodare i fili dei ricordi e dei sensi.
Marco, tra una pausa e un discorso interrotto da un bacio furtivo, rimuginava sui motivi che l’avevano spinto a correre da Laura. Lei aveva chiesto aiuto per risolvere un problema che l’assillava da tempo. Tuttavia l’argomento non era stato nemmeno sfiorato. Attese paziente che Laura lo introducesse, mentre la lasciava parlare senza interruzione.
Laura, come una folata di vento scompigliava pensieri e chiome in un turbinio di polveri e cartacce, all’improvviso cambiò il tema della conversazione.
Ricordò il primo rapporto avuto con lui.
“Non era la prima volta che dormivamo insieme” disse Laura, mentre Marco faceva un cenno affermativo con la testa. “Ma solamente un anno dopo esserci conosciuti abbiamo fatto all’amore, mentre in precedenza mi avevi solo sfiorato con le mani”.
Marco aveva un ricordo nitido di quella volta e di come l’aveva assecondata, affinché accantonasse ansie e timori. Fece solo un sorriso senza interromperla. Preferiva ascoltarla e capire il motivo della richiesta di aiuto. Di sicuro, pensò, non è per ricordare quegli episodi ma devo essere paziente.
“Non volevo stare nuda o spogliarmi in tua presenza” gli disse, arrossendo. “Lo facevo, mentre tu non c’eri oppure al buio accettavo che lo facessi tu”.
Marco annuì. Rammentava bene quelle manie, che le prime volte lo avevano infastidito. Col tempo le accettò come un gioco erotico.
“Provavo vergogna a guardarti spogliato” aggiunse Laura, che abbassò lo sguardo con le guance rosse per la vergogna. “Quante piccole manie è stato costellato il nostro rapporto, senza che tu avessi mai dato un segno di insofferenza”.
Marco sorrise, perché sapeva che non era vero che lui avesse accettato senza fastidi quelle fisime. Tuttavia non le volle togliere l’illusione che fosse la verità.
“Volevo il buio completo per fare all’amore. Al termine dovevo lavarmi per eliminare i segni del rapporto. Non riuscivo ad assaporare il gusto del piacere” gli disse con sincerità. “Mi rimaneva un senso di colpa che non ero in grado di gestire. Durava molte ore”.
Marco inarcò un sopracciglio per la sorpresa. ‘Questa confessione’ pensò, ‘mi coglie impreparato. Ero convinto del contrario’.
Laura proseguì nell’esternare altri dettagli, che Marco ignorava o non aveva compreso la natura.
“Quando mi lavo le parti intime” disse senza guardarlo negli occhi, “provo un senso di vergogna. Le mani veloci passano sul corpo, mentre con la mente dovo pensare ad altro”.
Nella testa di Marco cominciava a prendere forma il motivo della misteriosa telefonata che l’aveva fatto accorrere da lei. Anche in questo momento, rifletté, non riesce esprimere con chiarezza il problema che la assilla. Deve fare un lungo giro di parole. Deve affrontare la questione, prendendola alla lontana, perché si vergogna delle sue paure.
Laura osservò il viso di Marco, che aveva il viso disteso, come se avesse già capito dove voleva arrivare con le sue parole. ‘Dunque ha intuito quello che gli voglio dire’ si disse rinfrancata. Trasse un profondo respiro prima di trovare la forza di aggiungere un altro tassello alle sue ammissioni.
“É questo il tema sul quale voglio confrontarmi con te” fece Laura, facendo una pausa, prima di riprendere la confessione.
“Tu non mi hai messa a disagio. perché hai compreso il mio stato d’animo confuso e incerto. Non hai mai forzato oppure imposto la tua volontà ma mi hai assecondata con discrezione nelle mie fobie”.
Marco annuì senza dire nulla. Non voleva interromperla o bloccare quello che stava ammettendo.
“Col tuo atteggiamento sono riuscita” proseguì Laura, che adesso lo guardava senza remore negli occhi, “a vincere la mia personale guerra. Sempre in bilico tra la voglia di amare e le paure inconsce, che non riuscivo a dominare. Ero soggiogata dai mille tabù, ascoltati per molto tempo in famiglia”.
Laura fece una pausa nella speranza di sentire la voce di Marco.
“Prosegui” la incitò. “Non voglio interrompere il tuo discorso. Parlerò alla fine”.
Questo incitamento le diede la forza di aprirsi ancora.
“Con te mi sono sentita, sia pure in maniera effimera e passeggera, una donna piena di passione. Pronta ad amare ed essere riamata. Avvertivo forte il bisogno di sesso” proseguì Laura. “anche se ogni volta dovevo vincere il tumulto dei tabù che si agitavano dentro di me”.
“Eppure dopo quella prima volta” disse Marco, “percepivo la tensione iniziale che si scioglieva, mentre facevamo all’amore”.
Laura sorrise ma doveva ancora confessare qualcosa, aprire la propria anima, sperando di non ferirlo con quanto avrebbe aggiunto.
“In questi otto mesi” cominciò con cautela, “più di un uomo mi ha corteggiata ma li ho respinti tutti. Li ho allontanati, perché pensavo a te. Ma non solo per questo. Le paure sono riemerse prepotenti dal subconscio. Mi si è bloccata la psiche, rifiutando qualsiasi approccio maschile”.
Laura si fermò timorosa della reazione di Marco a questa rivelazione. Lui le fece un cenno di proseguire.
“Il timore di non riuscire a superare l’impatto del letto” disse la ragazza rinfrancata, “è stato talmente intenso da annullare qualsiasi altra istanza”.
“Dunque è questo l’argomento al quale dobbiamo trovare una soluzione?” chiese Marco. “É come vincere le tue paure?”
“Sì. Vorrei parlarne con te, perché mi hai sempre capita” disse Laura rincuorata. Era riuscita a esporre il problema che l’assillava da tempo senza perdersi in giri di parole inutili. “Vorrei capirne il motivo, vorrei essere come tutte le altre donne”.
Marco aggrottò la fronte per il disappunto che l’argomento non verteva sui loro rapporti o su una richiesta di ricucire lo strappo. Però la distese quasi subito, perché la questione non intaccava la sua decisione di troncare la loro relazione.
“Sono disponibile ad aiutarti per trovare una soluzione alle tue fobie” disse Marco visibilmente sollevato, “ma ne parliamo, quando Sofia se ne sarà andata”.
Il ragazzo fece una pausa prima di giustificare le sue parole.
“Ora potremo avviare un discorso delicato, che è troppo lungo da completare, prima dall’arrivo di Sofia” fece Marco. “Stanotte lo affronteremo con calma trovando le giuste risposte“.
“D’accordo” rispose Laura. “Adesso però desidero fare l’amore con te. É da mesi ci penso”.
“Si” disse Marco, “ma alle mie condizioni”.
“Va bene” acconsentì Laura senza riflettere, “anche se non le conosco”.
Marco chiuse porta e imposte, accese tutte le luci e la invitò a spogliarsi insieme a lui.
Laura rimase impietrita senza riuscire a dire nulla, mentre lo osservava a togliersi giacca, camicia, pantaloni, scarpe rimanendo con gli slip. Lui la guardò con durezza, stringendo i muscoli della mascella.
“Avevo capito che volevi fare all’amore” fece Marco con tono ironico. “Visto che sei rimasta vestita, forse ho equivocato sulle parole, fraintendendoti”.
Detto questo, cominciò a rivestirsi.
“Devo ammettere di avere commesso un errore venendo a Milano” disse Marco, stringendo gli occhi per il nervosismo. “É opportuno che riprenda la strada per Ferrara, prima che faccia buio”.
Laura lo osservò ipnotizzata e bloccata anche nelle parole, rimanendo in silenzio, mentre gli mancava solo la giacca da indossare. In quel preciso istante Laura si scosse dal torpore che l’aveva avvolta e cominciò a togliersi il vestito rosso ma lo fece come se facesse uno spogliarello.
Marco la guardò sconcertato.
“Sembri l’emula di Kim Bassinger” esclamò, sgranando gli occhi. Quasi non la riconosceva in queste movenze sensuali.
Laura, rimasta con reggiseno e mutandine, scoppiò a piangere senza apparente motivo con le braccia, che cadevano flosce sui fianchi. Marco si avvicinò, la prese per mano mettendola a sedere sul letto.
“Chiedi il mio aiuto, ma poi lo rifiuti” le disse. “C’è un segreto che non vuoi rivelare?”.
Senza aspettare la risposta di Laura, con delicatezza le tolse il reggiseno e la baciò con passione. La distese dolcemente sul letto, mentre i due corpi diventarono uno solo. Le lingue si cercarono, le mani accarezzarono la pelle e i capelli, mentre i gemiti preannunciavano la passione.
Marco disse sussurrando: “Sfilami gli slip, come farò con te”.
Laura bisbigliando rispose: “No, prima spegni le luci. Non riesco a vedermi nuda”.
Lui si staccò e la guardò serio. “Gli accordi erano che l’avremmo fatto alle mie condizioni. Le luci restano accese. Se hai cambiato idea, dillo che me ne vado”.
Laura si sentì perduta, in trappola. “Farò come vuoi”.
Adesso erano nudi con le luci accese. Lui cercò la sua bocca, poi scivolò dietro all’orecchio per scendere sui capezzoli e sempre più giù. La lingua esplorava, bagnava, la bocca succhiava e donava piacere. Lei sembrava passiva nel ricevere la passione che Marco trasmetteva.
Prese la sua mano con decisione, mentre la guidava senza esitazioni alla ricerca del monte di venere. Laura allargò istintivamente le gambe, mentre quelle di Marco cercavano i capezzoli.
Lentamente anche Laura divenne attiva, cercando il suo corpo. Tutte le paure sembravano svanire, come il buio sfuma al sorgere dell’alba.
“Ti amo” sussurrò Laura.
“Anch’io” fu la risposta di Marco, che si staccò da lei per spegnere le luci.
Un’ora di passione trascorse in un baleno. Fu indimenticabile per entrambi prima di giacere esausti nel letto a guardare le loro nudità.
Laura sorrise soddisfatta perché aveva compiuto un primo piccolo e timido passo per superare le sue paure.
Lo stress per la storia finita male con Giulio a settembre dell’anno precedente aveva trascinato Agnese a sfiorare il disastro emotivo e fisico e aveva monopolizzato la sua mente nei mesi successivi. Risolto il problema, che l’aveva torturata per troppo tempo, in cima ai suoi pensieri c’era adesso Marco. ‘É vero che lo conosco in maniera troppo sommaria per sognare a occhi aperti’ si disse, pensando al prossimo incontro di mercoledì. In quel momento avrebbe saputo, se il suo intuito femminile aveva colto nel segno oppure aveva acceso solo fantasie inutili e pericolose. Con questi dubbi si addormentò sul divano.
Era già sera, quando aprì gli occhi, impastati di lacrime e rimmel. ‘Ho dormito’ pensò, fregando le mani intorpidite. Al buio cercò l’interruttore della luce, che l’accecò per una frazione di secondo. Si ricordò dell’appuntamento alle sette con gli amici. Guardò l’ora. ‘Sono già quasi le sette’ si disse. ‘Troppo tardi per raggiungerli’. E rinunciò a uscire.
Non aveva fame ma la tensione la indusse a mettere sotto i denti una mela rossa. Si sentiva sola e malinconica, non voleva cadere di nuovo preda della depressione. Nell’estate scorsa aveva rischiato di finire nel gorgo oscuro del male sottile, dal quale era uscita con fatica e molti sforzi. Rifletté che doveva fare attenzione a non ripiombare nella crisi.
Diede con rabbia un altro morso alla mela, mentre pensava che da oltre otto mesi non aveva avuto un rapporto sessuale. Da diverse settimane con grande fatica reprimeva gli stimoli, che si facevano sempre più insistenti. Quando la voglia cresceva, si parava dinnanzi ai suoi occhi il viso di Marco. ‘Non lo conosco. Non so chi sia. Eppure è sempre lui, che vedo’.
Percepì, mentre affondava con furia i denti nella mela, un desiderio prepotente di stare tra le braccia di un uomo. Non uno qualsiasi. Lo associava alle sembianze di Marco, mentre avvertì che il sesso si era inumidito. Le labbra si ridussero a fessura con un brivido a percorrerle la schiena, mentre ricordò uno degli ultimi travagliati rapporti sessuali con Giulio nell’agosto dello scorso anno. Ormai la loro relazione si era deteriorata in modo irreversibile e stava giungendo alla fine.
Era una calda serata, quando Agnese andò a letto con le sole mutandine, mentre Giulio era fuori con gli amici. Aveva il corpo caldo dentro e fuori per l’intenso desiderio di fare all’amore. Rimase sveglia in attesa del suo rientro. Quando lo udì, se le tolse e rimase nuda ad aspettarlo. Si pentì subito di questo gesto, perché aveva capito dalla voce che era alticcio e violento. Era troppo tardi per cambiare idea, quindi si rassegnò a subire passiva. Sperò che la sbronza gli avesse annebbiato la mente e la lasciasse tranquilla. Però quando Giulio la vide nuda, la prese senza troppe tenerezze. Non provò alcun piacere, mentre lui dopo il rapporto si addormentò, russando con l’alito pesante, impastato di alcol e fumo.
‘Piansi’ ricordò Agnese con gli occhi lucidi di lacrime in piedi vicino al bancone della cucina. ‘Non ebbi la forza di alzarmi per eliminare il seme, che lentamente era scivolato verso il lenzuolo, macchiandolo’. Mentre era sveglia, aveva riflettuto sulla sua vita che stava andando a rotoli per colpa di Giulio. Non era stata capace di darle una svolta definitiva e di trovare la forza di chiudere con lui. Il sonno tardava, perché la voglia era latente, come un mostro in agguato della preda. Quando sentì la mano di Giulio posarsi morbida sul monte di venere, un guizzo di piacere, che lui percepì chiaramente, la percorse fino alla testa. D’istinto divaricò le gambe, affinché potesse scivolare tra le cosce. Aveva sentito la sua mano frugare impertinente il sesso umido. Era pronta all’amplesso. Giulio senza nessuna delicatezza si introdusse dentro di lei. In pochi istanti lei raggiunse il culmine del piacere e avrebbe voluto interrompere il rapporto. Lui continuò rozzamente, finché altro liquido non le bagnò corpo e lenzuolo.
Nel ricordare quegli istanti Agnese provò adesso il medesimo desiderio di allora e cominciò a piangere in silenzio. Mentre le lacrime le bagnavano il viso, nella sua mente la scena mutò d’improvviso come se una magia avesse operato un miracolo. Corse nella camera da letto per infilarsi sotto le lenzuola, perché voleva proseguire nella sua fantasia erotica.
Era con Marco e Angela, così aveva battezzato l’ex, che la invitavano in un posto sconosciuto. “Vieni” le dissero, prendendola per mano.
“Dove mi portate?” chiese con timidezza, mentre attraversavano porte e saloni, stanze e cortili. Nessuna risposta ma solo il loro sorriso a condurla attraverso un palazzo enorme e luminoso. Stava perdendo la cognizione di tempo e di spazio. Le sembrò di fluttuare nell’aria, come se il suo corpo fosse diventato immateriale. Mentre le fattezze di Marco erano nette e concrete, Angela sembrava eterea, diafana, senza volto.
‘Quale viso ha?’ si disse nel dormiveglia ‘Com’è? Dove sono?’
Non capiva in quale posto fosse. Si ritrovò in una grande stanza dalle pareti bianche e dal pavimento di lucido tek. Nel centro stava un letto a baldacchino, addobbato con fini lenzuola di lino ricamate. Spiccavano due cifre M e A sul risvolto di pizzo. Loro si spogliarono, depositando i vestiti su una poltrona di raso rosso. Agnese stava in piedi con indosso solo una camicia e gli slip. Percepiva imbarazzo a vedere quei corpi nudi che si infilavano nel letto.
‘Cosa sto a fare qui?’ si domandò confusa. ‘A scrutare l’intreccio dei loro corpi, a sentire i loro gemiti d’amore, a rubare attimi d’intimità a due persone sconosciute?’
L’immagine sfocò, mentre adesso era lei a godere i piaceri di Marco.
Laura tornò con teiera e tazzine. Riempì le tazze e si sistemò su di lui come una gattina sulle gambe del padrone.
Marco restò in silenzio a osservarla, mentre con grazia versava il tè e si accoccolava su di lui. Era sempre più convinto che non fosse stata una buona idea quella di partire per Milano. Ormai c’era e non poteva sparire.
“Sono passati otto mesi” cominciò Laura, “da quel giorno in cui mi hai detto quelle parole che mi hanno fatto male”. Non voleva ricordare quella data, che avrebbe voluto cancellare dal calendario.
Marco la guardò. Inspirò aria e cominciò a raccontare come aveva trascorso le sue giornate tra momenti di malinconia e ritorni al passato. Era stato un periodo travagliato, perché doveva ritrovare dentro di sé la serenità che aveva smarrito per strada. Aveva scoperto lentamente le radici e il mondo che aveva perso e dimenticato con gli anni di università. Con lentezza era uscito dalla nebbia, che gli aveva offuscato la vista. Aveva rimesso ordine ai pensieri, focalizzando gli obiettivi, che intendeva raggiungere. Adesso conosceva quali priorità doveva seguire.
Il processo era stato lungo e difficoltoso, perché troppi segnali discordanti giungevano tutti insieme nella sua testa. L’avevano confuso ma anche stimolato a proseguire. Non poteva rimanere prigioniero di qualcosa che non c’era più.
L’obiettivo primario era stato quello di cercare un lavoro vicino a casa, perché non voleva allontanarsi dal mondo, che stava ritrovando con fatica e incertezze.
Alla fine era riuscito nel suo scopo, perché da poco dopo mesi di ricerche, vissuti tra delusioni ed entusiasmi, tra speranze e frustrazioni, aveva trovato un buon posto a Bologna. Tra tre giorni cominciava per lui la nuova vita composta di treno e bus, di alzarsi presto alla mattina e coricarsi non troppo tardi alla sera.
“Una vita semplice senza frenesie” disse a conclusione del lungo racconto “Sono stato casto, niente donne, niente alcol”.
Tacque per un istante per decidere se doveva parlare oppure no di Agnese. Scelse di raccontare, perché non voleva nasconderle nulla. D’altra parte con lei c’era più fantasia e immaginazione che circostanze concrete. Non comprendeva i motivi per i quali doveva tacere.
“Una ragazza in effetti l’ho conosciuta nel frattempo” disse, facendo una brevissima pausa. Aveva percepito l’irrigidimento di Laura. “E’ strano che parli di lei, ma non voglio lasciare degli scheletri nell’armadio”.
Qualche giorno dopo il ritorno a Ferrara aveva preso la bicicletta per fare un giro. Aveva incontrato una ragazza ferma sul ciglio della strada con una gomma sgonfia. L’aveva aiutata a riparare il danno e poi si erano salutati scambiandosi i numeri di telefono. Era stata più che una meteora la reciproca conoscenza.
Si fermò un istante a prendere fiato, prima di proseguire con gli avvenimenti più recenti. A parte il nome, Agnese, non conosceva null’altro di lei, né dove abitava, né cosa faceva, né il suo status, né il cognome. Non l’aveva più rivista, né sentita, fino a questa mattina quando gli aveva proposto una uscita in bicicletta per il giorno seguente.
“Ora sono qui” disse, “e non ho niente da aggiungere”. A questo punto tacque, aspettando in silenzio che Laura parlasse.
Lei appoggiò il capo sul suo petto rimanendo muta.
“E’ il tuo turno” la incalzò Marco serio e deciso, mentre le baciava i capelli.
Laura alzò il viso e cominciò a parlare con voce roca e bassa per l’emozione.
In questi lunghi mesi Marco le era mancato moltissimo. Le erano mancati i consigli, il farla sentire sicura. In particolare aveva patito l’addio, perché era stato tanto frettoloso. quanto incomprensibile come lampi a cielo sereno. Sarebbe sparita, sprofondata in fondo al mare dello sconforto e della depressione, se Sofia l’avesse aiutata a tornare a galla, a respirare, a riprendersi la vita. La ricerca del lavoro l’aveva aiutata a dimenticare, a non pensare con assiduità a Marco. Si era guardata in giro, accettando alla fine di diventare assistente del product manager della linea montagna della società Grow&Co.
“Tutto qui, niente di eccitante” disse concludendo il discorso.
Marco la guardò fissa negli occhi. “Sento” disse, “che hai qualche segreto che non vuoi rivelare”.
Lui aveva intuito che il racconto era monco, perché era stato troppo conciso sul come era ritornata alla vita.
‘Che importanza’ pensò, ‘poteva avere un segreto che temeva di rendere noto, quando c’erano altri argomenti da trattare, più frivoli e meno impegnativi?’ Marco giunse alla conclusione che era meglio concentrarsi sull’intimità attuale, senza pensare troppo al passato. Giudicò che fosse prematuro il momento per parlarne. Lo avrebbe estratto più avanti nel corso della giornata, se si fosse presentata l’occasione.
Laura a queste parole provò più senso di colpa che di dispiacere, perché Marco era riuscito a leggere dentro di lei l’incompletezza del racconto. Lui aveva parlato di Agnese in modo naturale senza nascondere nulla, pur essendo una conoscenza appena accennata e con un futuro incerto. Lei non era riuscita a trovare le parole e il coraggio per descrivere il corteggiamento discreto ma assiduo di Paolo e aveva taciuto. Combattuta tra il tacere e il dire, alla fine si convinse che ne doveva parlare. Raccolse tutte le forze per descrivere gli avvenimenti che la coinvolgevano con Paolo, perché era stato un qualcosa di più rispetto ad Agnese.
“Come al solito hai ragione, non ti ho detto tutto“ disse mentre abbassava lo sguardo per non incrociare il suo, timorosa di non riuscirci.
“Non sei obbligata a parlarne, qualunque sia l’argomento.” replicò Marco guardandola fissa negli occhi per indurla a aprirsi.
Laura a questo punto fu risoluta ad aprire l’anima come un libro aperto. “Non c’è nulla di disdicevole in quello che andrò raccontando”.
Dopo essersi chiusa in casa per una settimana come se fosse entrata in un convento di clausura, aveva trovato la forza di uscire con Sofia. Mentre erano alla Caffetteria del Corso avevano conosciuto due uomini, due amici, coi quali avevano trascorso la serata. Paolo l’aveva corteggiata senza che succedesse nulla, perché non percepiva alcunché verso di lui. Successivamente l’aveva rivisto a un pranzo organizzato dall’amico. Il risultato non era stato migliore della prima volta.
“Ah” soggiunse Laura con un pizzico di malizia e ironia, “devi sapere che Sofia non è più single. Ha una relazione con l’amico di Paolo da quella famosa sera”.
“Sofia ha un compagno? Quasi da non credere!” disse Marco ilare e sorpreso, interrompendo il racconto di Laura. “Avrei scommesso che sarebbe rimasta zitella a vita! Dunque ho perso la scommessa”.
Laura riprese il racconto, come se l’interruzione non fosse intervenuta. “Oggi prima che ti telefonassi, lui mi ha invitata a cena. Ma ho risposto seccamente di no. Come vedi niente da nascondere. Sono stata veramente sciocca a non parlarne subito”.
Poi si abbandonò sul petto di Marco singhiozzando silenziosamente.
Agnese aveva appena chiuso la seconda telefonata con Marco, quando si sedette sul divano, sentendo una lacrima scendere sul viso come la goccia di rugiada scivola leggera sul petalo di una rosa.
Dopo quel fortuito incontro con Marco nel settembre dell’anno precedente, aveva chiuso con Giulio, con il quale aveva convissuto quattro anni. Era stato un periodo più burrascoso di un mare a forza nove: litigi, rotture, riconciliazioni, tradimenti. Adesso che il rapporto tra loro era finito in maniera definitiva, per lei sarebbe stato difficile cancellare quel periodo dalla mente ma ci doveva provare, se non voleva impazzire.
I genitori non avevano mai visto di buon occhio quella relazione difficile e conflittuale, perché non ritenevano che fosse l’uomo adatto a lei. Però con la testardaggine tipica, di chi vuole rendersi indipendente e dimostrarsi capace di reggersi con le proprie gambe, era uscita di casa per avviare la convivenza con Giulio in un’abitazione che avevano acquistato insieme.
Agnese aveva un buon posto di lavoro, sicuro e vicino a casa. Lavorava nell’area marketing di un grosso centro commerciale ormai da oltre cinque anni dopo avere conseguito la laurea in economia. La sua grande passione era la bicicletta, che inforcava ogni volta che trovava del tempo libero. A lui non interessava perché non capiva la fatica di pedalare, quando in macchina stava comodo e arrivava prima.
Il giorno dell’incontro con Marco era stato terribile per lei: una litigata furibonda aveva sancito la fine di quell’unione tormentata e complicata, che era stata più spine che rose.
Agnese aveva preso la bicicletta per stemperare la tensione accumulata, forando in aperta campagna con il telefono inutilizzabile. Nel frattempo Giulio aveva caricato la macchina con le sue cose, andandosene per sempre. Al rientro aveva trovato la casa silenziosa, gli armadi svuotati dai vestiti come se fossero passati dei ladri.
Pianse per la rabbia e per l’affetto che provava per lui nonostante le difficoltà e le incomprensioni, che avevano tenuto compagnia alla loro relazione. Telefonò alla madre per informarla che Giulio se ne era andato.
“Vieni immediatamente da noi” le disse col tono imperioso di chi non ammetteva repliche.
“No, mamma” rispose con le lacrime che colavano copiose. “Questa è casa mia e resto qui. Stasera sarò da voi per parlare del futuro, del mutuo e di tutto quello che ruota intorno a me e a questa abitazione”.
Dopo avere tentato nei mesi successivi di ricomporre per l’ennesima volta la frattura tra loro e di trovare un accordo amichevole con Giulio, Agnese si accorse che stava sbattendo pericolosamente contro un muro invalicabile. Si rassegnò a considerare finita in modo irrevocabile quella relazione. Era del tutto inutile sognare la riconciliazione.
C’era il problema della casa da risolvere. Non fu facile raggiungere con Giulio un compromesso che potesse essere onorevole e soddisfacente per entrambi. Dopo strappi e ripicche lui rinunciò alla casa in cambio di un risarcimento economico, lasciando il mutuo a carico di Agnese.
Da due settimane avevano sancito l’intesa in modo ufficiale con scritture private, depositate presso un notaio. Agnese si era sentita finalmente libera di disporre della sua esistenza come meglio credeva senza vincoli e cappi. Così aveva riallacciato i contatti con gli amici, interrotti da tempo, assaporando una sensazione di libertà che aveva il gusto del gelato fresco in estate. Nella sua mente faceva capolino anche qualcosa d’altro. Dopo la chiusura definitiva con Giulio si sentiva pronta a ricominciare una nuova vita di coppia, perché grattacapi e contrattempi erano ormai alle sue spalle.
Quindi decise che era venuto il momento di approfondire la conoscenza con quel uomo alto e muscoloso, che era stato il suo angelo salvatore in quel lontano giorno di settembre, quando aveva forato in aperta campagna. Il suo istinto di donna unito a delle sensazioni positive le diceva che lui avrebbe potuto essere l’uomo giusto per lei.
Le giornate soleggiate e le ferie l’avevano spinta quel lunedì a telefonargli. Dopo la prima telefonata era euforica e allegra, fantasticava altri incontri e uscite insieme, mentre quella successiva l’aveva gettata nello sconforto.
Non aveva avuto il coraggio di dire ‘No, grazie, ma mercoledì non posso’ perché aveva percepito nelle parole della sincerità mai conosciuta finora. Il dubbio, che lui potesse riallacciare con l’ex ragazza, era troppo forte e tangibile per non essere preparata al peggio.
Si interrogava sui motivi per i quali Marco era stato reticente sui rapporti passati, rimandando ogni chiarimento a mercoledì. Rimaneva il tormento di una successiva telefonata, che annullasse il loro incontro in modo definitivo, perché era consapevole che cinque anni erano un periodo molto importante per essere cancellati con un tratto di penna. Di questo ne era ben conscia, perché la storia con Giulio, durata quattro anni, aveva lasciato tracce amare molto profonde dentro di lei. Anche se la storia era finita in maniera burrascosa, non era stata mai sicura che avrebbe saputo opporre una valida resistenza, qualora lui avesse tentato la riconciliazione. Lo aveva amato con tutti i suoi pregi e difetti.
‘Con gli uomini’ si disse, ‘non ho mai avuto fortuna. Forse è colpa mia, se li scelgo sbagliati’.
Paolo dopo la telefonata era inquieto, non riusciva a stare fermo, continuava a pensare e muoversi nello studio senza costrutto con la mente che mulinava a vuoto. Aveva le stesse sensazioni di chi aveva visto il proprio negozio saccheggiato e distrutto da una folla inferocita: desolazione e rabbia.
‘Sono troppo nervoso oggi’ si disse, mentre si dirigeva verso la porta.
Percepiva la necessità di uscire e camminare a piedi. Doveva scaricare la tensione, accumulata nella giornata, perché Laura l’aveva stregato, avvolgendolo nelle spire della pazzia amorosa. Se si guardava allo specchio, non poteva che dire ‘Hai portato il cervello all’ammasso’.
Si fermò alla reception, comunicando che non sarebbe tornato fino a domani. Diede istruzioni, che lo potevano contattarlo, solo se avessero urgenza di comunicargli qualcosa. “Dev’essere qualcosa di terribilmente urgente” precisò, uscendo con l’impermeabile sul braccio e la borsa in mano. Dopo aver salutato, sparì giù per le scale.
“Oggi“ disse una delle ragazze, strizzando l’occhio alla collega, “l’architetto è un po’ strano”. Un’altra replicò che era da diversi giorni che non sembrava lui. “Pare la controfigura di una persona totalmente differente dal solito”.
Tutte dicevano la loro opinione, perché avevano notato che ultimamente era irascibile e irritabile per un nonnulla. “Forse è innamorato!” dissero in coro, ridendo.
“Ma dai! L’architetto innamorato?” replicò una di loro incredula. Provava gelosia, perché covava un innamoramento segreto non corrisposto. Non l’aveva mai visto con una donna fissa, anzi non l’aveva mai visto con una donna qualsiasi. Quindi non poteva essere innamorato. Dedusse silenziosamente.
Lui fece i cinque piani a piedi con passo svelto senza prendere l’ascensore, come era solito fare, e ben presto si ritrovò in Corso Vittorio Emanuele. Si guardò intorno per stabilire la direzione da prendere: Piazza Duomo o San Babila. Volse lo sguardo ora a destra ora a sinistra. D’istinto prese la decisione di procedere verso Piazza Duomo, perché non aveva chiare le idee su come trascorrere il tempo nell’attesa.
Il pensiero era fisso su Laura, che l’aveva colpito fin dal primo istante. Gli sembrava di percorrere un labirinto senza trovare la via d’uscita. Era uscito da poco più di un anno da una storia, che gli aveva fornito diversi insegnamenti. Aveva compreso che tra lui e la compagna non dovevano esserci più di quattro o cinque anni di differenza. Paolo aveva solo ventisette anni, quando aveva iniziato la relazione con Roberta, che ne aveva trentotto. Un bel differenziale che si era tramutato ben presto in un macigno. Lui ancora acerbo e inesperto, lei più smaliziata e matura. Inoltre aveva capito, e come lo aveva capito, che una storia con una donna separata oppure divorziata difficilmente poteva andare a buon fine, se lei aveva figli maschi. Roberta era divorziata con due figli già grandi. Uno di dieci e l’altro di dodici. Troppi ostacoli e troppe difficoltà si erano frapposte tra loro: la differenza di età, la maturità del carattere, i figli da gestire, incomprensioni e litigi.
‘Roberta è stata un incubo’ rifletteva con una punta di astio, mentre camminava lentamente. Ricordava che la novità di una donna matura nel pieno della fioritura sessuale era stata una rivelazione appagante. Se a questo dettaglio si aggiungeva la voglia di Roberta di dimenticare il divorzio, la relazione all’inizio era stata stimolante sia sessualmente, che psicologicamente. Aveva scoperto solo a posteriori l’inquietudine amara di dedicarsi a figli non suoi. Loro l’avevano considerato un intruso, perché non avevano accettato che Paolo si fosse sostituito o tentasse di sostituirsi al padre naturale. Lui, senza la minima esperienza in questo campo, aveva fatto una prolungata sequela di errori tanto lunga che il rapporto con loro si era tramutato in un conflitto permanente. Inoltre, pur riconoscendo in Roberta una donna dal carattere forte e deciso, si era accorto troppo tardi che lei pretendeva di essere accudita e protetta dal compagno. Lo shock di essere stata scaricata da marito per essere sostituita da una donna più giovane era stato un evento troppo traumatico da superare con le sue sole forze. Infine la grande responsabilità di crescere due figli in un momento delicato della loro esistenza l’avevano indotta a cercare in Paolo il surrogato del marito. Il nuovo compagno doveva accudirla e proteggerla, liberandola dalle incombenze del quotidiano. Questo tuttavia non era preventivato da Paolo, che non ambiva essere il sostituto di un’altra figura maschile o la sua fotocopia. Paolo voleva essere accettato per quello che era con i pregi e i difetti che portava in dote. Intuiti gli errori, che stava commettendo e prima che fosse troppo tardi, con una grande dose di cinismo aveva troncato la relazione, ignorando il dramma esistenziale di Roberta. Si disse che donne prive di storie di convivenze o di matrimoni in frantumi erano merce rara e pregiata da corteggiare senza indugi.
Guardò sconsolato l’ora: erano solo le quattro e ne mancavano altrettante prima dell’incontro con Matteo. ‘Cosa faccio?’ si domandò preoccupato e smarrito. Dopo una breve riflessione decise di puntare alla Caffetteria del Corso, dove sperava di trovare un tavolo appartato per ragionare su di sé, su Laura, sulla sua vita presente e futura.
Doveva fermarsi a riflettere, se non voleva finire in tilt.
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