“...’Che buffo cartello’ disse lo scoiattolo ad alta voce mentre si dirigeva nella deviazione di sinistra ma poi andò verso destra all’ultimo momento.
Indeciso su quale deviazione prendere al prossimo sentiero, quando vide…
‘Uh! che delizioso pranzetto vedo davanti a me!’ e si diresse verso il nocciolo carico di frutti. Non fece tre passi, anzi tre saltelli, che si sentì tirare prima la coda, poi la pelliccia.
Si voltò corrucciato e arrabbiato ma non scorse nulla. Pensava che forse gli era sembrato che qualcuno avesse acchiappato la sua maestosa coda e riprese a saltellare.
Qualcuno voleva rovinargli la colazione. Così meditava lo scoiattolo, quando vide un essere indefinito tra le foglie del nocciolo.
‘Chi sei?’ borbottò l’affamato scoiattolo ‘Perché mi disturbi?’ Sembrava un bambino o un nanetto che stava per gioco a cavalcioni di un ramo o meglio di esile ramo che non pareva affatto sentirne il peso.
Lo scoiattolo vide un moscone e saltò sul dorso per farsi traghettare verso l’intruso. Provò a cogliere una nocciola, ma si sentì bacchettare la zampa. ‘Ohibo’! Come ti permetti?’ esclamò ancor più irritato tutto dolorante.
Non era un bambino o un nanetto ma una singolare figura femminile piccola e grassottella tuttavia leggera ed eterea. Un po’ bruttina, invero. ‘Che fai nelle mie terre senza pagare il pedaggio?’ chiese di malagrazia.
‘Non ho letto nessun cartello che vieta l’ingresso agli scoiattoli!’ rispose scortese ‘E poi perché dovrei pagare qualcosa!’
Lo scoiattolo sempre a cavalcioni del moscone, che dava segni d’insofferenza, aspettava che l’intrusa se ne andasse dall’albero. Però dopo un’attesa infinita tornò sul viottolo per cercare qualche altro albero non presidiato.
Alla biforcazione si chiese come al solito quale direzione prendere, tanto una valeva l’altra.
Seguì l’istinto e andò a sinistra ma il sentiero era sbarrato ancora dalla figura femminile che aveva appena lasciato sul nocciolo.
‘Io sono il fantasma Aloisa, che presidia questo parco. Tutti mi devono rendere omaggio!’ sussurrò non propriamente amica la figura femminile.
Lo scoiattolo la osservò di sbieco e pensava che quel simulacro di donna volesse intimidirlo per impedirgli di fare una scorpacciata di noccioline.
E poi omaggiare per che cosa? Perché era un fantasma femmina? Però lei rimaneva lì a sbarrargli il passo in attesa di qualcosa. Lui se era già dimenticato e poi non aveva nulla con sé.
Aloisa lo apostrofò in maniera poco cortese perché lo scoiattolo non voleva lasciare un piccolo ricordo di sé alla base della statua.
Lo scoiattolo si girò e rigirò ma il fantasma era sempre più irritato davanti a lui. Sbuffò perché trovava la situazione comica e sgradevole allo stesso tempo, senza trovare un sistema per uscire dall’impasse. Veramente non ci aveva pensato minimamente perché la memoria non era troppo ferrea.
Sbottò con ‘Uffa!’ e si guardo intorno per cercare un passaggio senza vedere niente. Si sedette sulla coda reggendo il capo mentre lo stomaco reclamava qualcosa brontolando minacciosamente.
La figura femminile, anzi il fantasma femmina, era sempre lì a braccia conserte in attesa.
Lo scoiattolo non sapendo cosa fare le domandò di raccontare la storia della sua vita.
Aloisa mossa a compassione permise allo scoiattolo di mangiare un paio di nocciole e tre ghiande prima di cominciare.
Era una storia triste di abbandoni e tradimenti da parte del marito. Poveretto lui, pensava lo scoiattolo, con una moglie così bisbetica non poteva certo starle accanto.
Il racconto annoiava lo scoiattolo che si guardava intorno per cercare un passaggio per tornare da dove era venuto.
Finalmente una bella farfalla bianca passò accanto a lui per raccoglierlo e depositarlo oltre il muro di cinta.
Lo scoiattolo ritrovò il buon umore perché non ricordava nulla di quello che aveva fatto oppure udito. Si sentiva felice e canticchiava mentre tornava al suo albero o almeno quello che credeva fosse il suo albero.
Che buffa storia era questa dello scoiattolo, che viveva con la testa tra le nuvole e scordava impegni e promesse come se fossero noccioline. Fortunatamente uno così farfallone vive solo nel mondo della fantasia.”
“Scrivi bene” aggiunse Marco “ ed è veramente strano che tu abbia scritto qualcosa su quel fantasma, che poi abbiamo visitato insieme dopo tanto tempo. Sembra che Aloisa abbia guidato le nostre mani e i nostri pensieri”.
Il sole era già alto sull’orizzonte quando Laura e Marco aprirono gli occhi dopo il sonno mattutino.
La luce era rimasta sempre accesa ma non aveva impedito loro di dormire diverse ore di un sonno profondo e senza visioni oniriche particolari.
Laura si era svegliata qualche minuto prima di Marco e ne osservava le nudità mentre inalava gli odori senza provare quel senso di vergogna e di colpa che aveva accusato in precedenza. Per lei era tutto naturale adesso, esattamente come bere un bicchiere d’acqua. Non sentiva la spinta irrefrenabile a correre in bagno a togliersi gli umori del rapporto sessuale ma ne provava piacere.
Si domandava quanto a lungo poteva assaporare la vista di Marco, le carezze, i baci. Sapeva che da domani o anche da questa sera forse apparteneva a un’altra, che avrebbe goduto delle sue attenzioni, della sua sensibilità e delicatezza. Laura invece sarebbe stata sola nel letto a rimpiangere le mani, le parole che aveva assaporato in queste lunghe ore trascorse insieme.
Laura cercò di pensare, se esisteva una strada per tenerlo vicino a lei, per potere goderlo nei fine settimana ma dovette desistere, perché non c’erano soluzioni all’altezza dei desideri.
‘Accontentiamoci di quello che ho avuto in queste ventiquattro ore’ si disse, chiudendo le palpebre che si erano riempite di lacrime. ‘Poi vedremo cosa succederà’.
Marco, aprendo gli occhi, la vide e la strinse con vigore a sé senza dire nulla. Sapeva che le parole non sarebbero uscite oppure non avrebbero avuto la naturale chiarezza di sempre. Quindi era meglio tacere.
Avvertì dentro di sé un vuoto, un senso d’impotenza, domandandosi, perché era venuto. Averla rivista aveva riacceso la fiamma, mai sopita, di un amore tra due anime differenti. Aveva coscienza del conflitto lacerante che gli aveva macerato i pensieri, le azioni negli ultimi mesi della permanenza a Milano. Aveva sperato di chiudere per sempre quel capitolo ma qualcuno era riuscito a fargli riaprire l’armadio dei ricordi. Adesso il fantasma del passato riemergeva dal profondo e gli riproponeva la solita domanda: ‘Cosa fare, dove andare, come agire, chi amare’.
Marco, attento ai pensieri, ai gesti, adesso intuiva le difficoltà nella gestione dei suoi sentimenti verso Laura. Si sentiva come una volpe intrappolata nella tana senza trovare una via di uscita sicura.
Qualsiasi strada presentava aspetti positivi e negativi in ugual misura ma non poteva perdere tempo nel cercare una soluzione, che in otto mesi non aveva rintracciato. Entro poche ore doveva prendere la decisione, se rinunciare a Laura oppure al mondo familiare di Ferrara.
Questi pensieri stavano a indicare che era giunto a un bivio per scegliere il percorso da fare nel futuro. Doveva decidersi se affidarsi ai sentimenti che provava oppure alla sua razionalità. Doveva evitare di contraddirsi, modificando i punti di vista ogni qualvolta qualcuno non era d’accordo.
Laura ricambiava la stretta, perché era combattuta tra il sentimento verso Marco e inseguire i propri sogni professionali. Aveva capito che l’uomo, che stava abbracciando con tanto amore, l’avrebbe resa felice dal punto di vista sentimentale ma era altrettanto conscia che si sarebbe sentita insoddisfatta nel giornaliero.
‘Il mio è amore puramente fisico oppure esiste quella affinità, che permette la convivenza tra un uomo e una donna?’ si domandò Laura, socchiudendo gli occhi.
Con Marco si sentiva sicura e protetta tanto che riusciva rilassarsi fino a perdere la nozione del tempo e dello spazio. I cinque anni con lui erano stati felici e sereni ma aveva avvertito nel tempo un distacco incerto tra loro, un qualcosa d’indistinto, che non rendeva piena la simbiosi d’intenti e di obiettivi. Aveva percepito come se un muro sottile li dividesse senza capire cosa fosse. Adesso aveva compreso: era la percezione di due mondi paralleli posti su piani non intersecanti. Mondi a cui nessuno dei due avrebbe voluto rinunciare senza ripudiare le proprie intime convinzioni. Volersi bene era anche abdicare da una parte di sé da donare come pegno d’amore all’altro. Tuttavia avvertiva quel pizzico di egoismo che le impediva questo sacrificio.
‘Sarei capace’ si domandò Laura, ‘di offrire questo dono a Marco? Marco avrebbe capito il senso delle mie rinunce? A parti invertite sarei in grado di fare di comprendere i suoi disagi?’
Domande, ancora domande. Dubbi e incertezze. Laura non trovava una risposta convincente, né percepiva che Marco potesse risolvere gli affanni che la tormentavano.
Marco messosi a sedere con la schiena appoggiata alla spalliera del letto la sistemò appoggiandola al petto e le cinse le spalle. Aveva letto nel pensiero di Laura tutti i crucci e i tormenti che l’assillavano da quando si era svegliata. Dubbi che erano anche suoi. Dunque era venuto il momento di parlarsi con chiarezza sul loro futuro.
Marco non aveva idea né da dove cominciare il discorso, né sul come si sarebbe snodato, ma percepiva la necessità di parlare, di spiegare, di chiarire.
“Laura” cominciò Marco cercando le parole adatte, “penso che dobbiamo fare chiarezza nel nostro rapporto”.
Deglutì più volte, cercò di calmare la mente, perché faticava a trovare le frasi giuste. Da quando era arrivato, era successo tutto in fretta, perché si erano abbandonati ai loro sensi, come naufraghi sulla spiaggia deserta, senza pensare ad altro. Le ore passate insieme erano state molto intense e appaganti, senza che rimpiangesse di quanto era avvenuto. Si concentrò sul suo viso.
“Quando sono arrivato ieri pomeriggio” esordì Marco, fissando un punto della faccia di Laura, “ho provato la sensazione di un ritorno in un ambiente familiare. La tua presenza, il tuo calore, il tuo volermi bene, la tua gelosia sono state sensazioni tangibili e importanti per me”.
Si fermò di nuovo. Doveva trasmetterle come fosse disorientato e incerto su cosa fare, perché non era certo delle sue intenzioni.
‘Ma ci riuscirò?’ si chiese Marco, socchiudendo gli occhi. Il cuore gli diceva ‘lascia tutto, torna qui, sta accanto a lei, sposala e sì felice’. Però si domandò, se ne fosse intimamente convinto oppure volesse convincere la parte razionale, che lo spingeva nella direzione opposta. Tuttavia qualcosa gli suggeriva che il suo posto era a Ferrara e non a Milano. ‘Chi dice il vero?’
Marco avvertiva il conflitto lacerante tra l’irrazionale e il razionale, mentre a fatica le parole uscivano dalle labbra.
Volle analizzare per l’ultima volta la questione, che non riusciva a risolvere, scomponendola in parti elementari. Marco disse che sentiva Milano come una città estranea alla sua natura, come la grande matrigna che lo sovrastava, lo schiacciava ed lo opprimeva. Il modo di vivere, di respirare in questa metropoli non gli era congeniale, perché percepiva tensione, stress, frenesia. Lui amava la campagna, ritmi di vita blandi, il contatto fisico con la natura e le persone.
“Percepisco” precisò Marco, aggrottando la fronte, “le stesse sensazioni di Narciso quando si specchia nell’acqua. Sicuramente da questo punto di vista mi sento egoista, perché penso in prima battuta soltanto a me stesso, come se gli altri non esistessero”.
Proseguì che avrebbe voluto vivere in un ambiente dai contorni limitati come quello dove era nato e vissuto fino a vent’anni. Si sentiva un provinciale con visioni ristrette, non gli sembrava di essere moderno, globalizzato o cittadino del mondo ma questa era l’essenza della sua natura.
“Qui, fra queste quattro mura e con la tua vicinanza fisica e psichica mi sento bene” disse Marco, stringendola ancora più forte. “Ma appena esco, provo disagio e vengo preso dall’ansia, dalla voglia di fuggire lontano”.
Con queste parole Marco interruppe il lungo monologo.
Qualcosa di strano stava ferma nell’aria, gelando l’atmosfera allegra e gaudente, mentre restavano immobili e muti. Il filo del discorso pareva interrotto senza che nessuno cercasse di riannodarlo con un nodo provvisorio e penzolava nel vuoto.
A Laura si inumidirono le ciglia con le lacrime, mentre il cuore batteva tumultuoso e la mente faticava a seguire il ragionamento.
Marco percepì che le sue parole erano state troppo crude, poiché avevano ferito Laura, che sperava di trovare una soluzione al loro problema. Lui sapeva, che, da quando era arrivato, non poteva alimentare speranze, perché il risveglio sarebbe stato rovinoso per entrambi. Sollecitò Laura a parlare ma un groppo alla gola le impedì di fare uscire dalla bocca dei suoni articolati. Marco aveva cognizione che il suo discorso era troppo improntato al proprio ego. Il paragone con Narciso, il senso di disagio a Milano erano troppo personali. Non aveva manifestato nessun afflato d’amore verso di lei, come se fosse stata un’estranea e non la compagna per cinque anni.
Laura aveva compreso che Marco stava indossando la corazza per superare la voglia di resistere con la forza al dolore che provava internamente.
Lei percepiva nelle sue parole l’esistenza di sola attrazione fisica e non la costruzione di legami duraturi per edificare la casa da condividere. Avvertiva la passione e non la decisione verso progetti comuni, un qualcosa che trascendeva il razionale. Però intuiva che la loro felicità dipendeva dalla direzione del loro amore e dalle risposte ai loro dubbi.
Cosa desiderava lei veramente. Seguire l’istinto o la ragione? Il nocciolo del problema continuava a ruotare intorno a queste domande.
Erano proprio le incongruenze tra le idee del giusto e dello sbagliato, sulla direzione da intraprendere verso l’amore oppure verso il desiderio, che non corrispondevano alle sue scelte di vita. Lei sentiva una forte attrazione verso Marco, rendendosi disponibile sessualmente. Forse non era innamorata ma semplicemente attratta per una misteriosa combinazione che complottava contro la sua psiche. Laura taceva, mentre Marco la stringeva a sé con delicatezza e forza allo stesso tempo in attesa di sentire la sua voce.
Considerato il suo silenzio, Marco capì che adesso era proprio finito il loro amore, sepolto sotto le parole appena pronunciate. Si chiese, se dovesse aggiungere qualcosa ma l’istinto gli dettò di stare zitto.
Sbirciò l’orologio, che segnava già mezzogiorno, e ritenne che doveva alzarsi per preparare il ritorno a Ferrara. Il distacco definitivo si era consumato in modo irreparabile.
Laura continuò a piangere in silenzio, come per liberare tutto quello che aveva represso in questi otto mesi di lontananza. Si rendeva conto che quello che aveva desiderato durante il periodo della loro separazione non funzionava. Era giunto il momento di ritornare alla normalità, a rapportarsi con il mondo intorno a lei, a essere se stessa per non cadere in un’altra crisi. Laura aveva compreso che Marco non poteva essere l’uomo, che cercava o desiderava. Marco non era disponibile a condividere gli anni futuri con lei. Era stato piacevole trascorrere con lui questa giornata, perché Marco le aveva estratto dal subconscio tutte le frustrazioni e le problematiche dell’adolescenza, che aveva pensato ingenuamente di seppellire nell’oblio. Non si sentiva ancora guarita del tutto ma la strada era stata tracciata e bastava seguirla per uscire dalle secche in cui si era impigliata per troppi anni.
Da queste consapevolezze traeva l’insegnamento che sarebbe stata male nei prossimi giorni ma le avrebbe dato la forza per superare le paure interne. Avrebbe chiuso un periodo della sua vita, bello e inebriante, e avrebbe ricominciato a cercare l’uomo che idealmente vagheggiava.
Laura doveva iniziare da subito a dare una svolta alla sua vita, gettando dietro di sé fantasmi e paure, gioie passate e desideri inespressi senza rimpianti. Doveva pensare da questo momento a Marco non più come un amico a cui poteva confidare le sue preoccupazioni o da cui poteva ascoltare osservazioni e riflessioni ma un estraneo da dimenticare definitivamente.
“Marco” sussurrò Laura con la voce rotta dall’emozione e dal pianto, “quando ti ho chiamato ieri stavo leggendo un vecchio testo, una specie di fiaba, scritta tanti anni fa. Parlava di uno scoiattolo che incontrava il fantasma Aloisa. Ti ricordi l’ultima gita a Grazzano Visconti?”
Marco sollevò la testa e sorrise. “Credo che il destino non sia cieco. Mentre tu leggevi la fiaba, io guardavo le istantanee fatte quel giorno. Le ho con me. La fiaba possiamo leggerla insieme?”
“Si” rispose Laura e allungò una mano per prendere i fogli stropicciati e logori, prima di risistemarsi su di lui.
Un qualcosa d’insistente e modulato proveniva da lontano. Matteo, che stava sognando mondi incantati, tenendo abbracciata Sofia, sembrò infastidito da quel suono che non riusciva a decifrare. Si girò ma non aveva pace, perché quella melodia continuava. Aveva ancora sonno dopo le fatiche della notte. Ignorò il disturbo sonoro e riprese a dormire.
La tranquillità della stanza riprese il sopravvento, quando quel rumore smise. Il silenzio era pronto a essere interrotto ancora una volta, perché quel suono cacofonico non voleva rispettare la volontà di Matteo.
Riprese più ossessionante di prima senza che Matteo riuscisse a localizzarlo in un punto preciso della casa. Matteo aprì un occhio, mentre l’altro ostinatamente non volle obbedire al comando del pensiero e restò chiuso. Cercò di concentrare la mente o quel poco che si era svegliata per individuarne la provenienza e farlo smettere.
Nulla. Non riuscì a determinare la sorgente e imprecò a bassa voce, mentre Sofia continuava tranquilla il sogno senza ascoltare quella litania di note che invadevano la stanza.
Matteo cominciò a innervosirsi perché metà corpo desiderava restare in pace senza avere alcuna intenzione di seguire l’altra.
“Da dove viene ‘sto cazzo di musica?” disse stizzito. Però la mente lentamente stava slegandosi dai lacci nei quali la stanchezza e il sonno l’avevano incatenata, e cominciava a fare due più due uguale a quattro.
“Cazzo!” imprecò Matteo, aprendo gli occhi arrabbiati. “È il mio telefono che suona! Chi è quello scimunito che mi chiama all’alba?”
Con delicatezza si sfilò dal corpo di Sofia, che mugugnò qualche frase sconnessa, mentre si sistemava al meglio, essendo venuto meno il sostegno di Matteo.
A piedi nudi e senza nulla, o quasi, indosso andò alla ricerca dei vestiti, mentre imprecava e malediva quel imbecille che ostinatamente voleva parlare con lui.
“Pronto” disse con voce neutra e contratta dalla stanchezza ma riconobbe quasi subito il timbro vocale di Paolo e l’aggredì furioso “Che ti salta in mente di svegliarmi nel cuore della notte? Chiama quando il sole si è levato” e chiuse la comunicazione.
Borbottando e imprecando, inciampò in un paio di scarpe non viste, mentre tentava di raggiungere il letto senza troppi rumori. Gli sfuggì un’imprecazione colorita, massaggiandosi l’alluce ammaccato.
‘Non poteva aspettare che mi fossi alzato?’ si disse irritato mentre si rannicchiava accanto a Sofia, che pacifica continuava a dormire.
Agnese si sentiva spossata, stanca per uscire in bicicletta ma non voleva rinunciarvi. Le serviva per scaricare le tossine accumulate durante il sonno, che aveva avuto effetti opposti a quelli sperati.
Era una bella giornata di aprile soleggiata ma fresca, l’ideale per una pedalata salutare. Se fosse stata in compagnia sudore e fatica, non si sarebbero fatte sentire ma non era così. Doveva pazientare fino a domani, almeno sperava, per avere un compagno di avventura. ‘Oggi mi accontenterò del Ipod e dei miei pensieri’ si disse uscendo di casa. ‘Quello sarà il mio doping psicologico’.
Si era imposta di tornare per mezzogiorno, perché nel pomeriggio voleva dedicarsi allo shopping più volte rimandato.
Indossata la tuta invernale da ciclista, perché sudore e freddo non andavano per niente d’accordo. Sapeva che tra non molto avrebbe iniziato a sudare.
Ascoltando la playlist, proposta dal Ipod, chiacchierava con un invisibile compagno, che pigiava sui pedali con uguale vigore accanto a lei.
Sentiva l’aria sferzarle il viso. Sembrava più fredda di quella che in realtà era ma contribuì a svegliarla completamente. Sotto la tuta il sudore appiccicava alla pelle gli indumenti. Era tentata di aprire la zip per dare refrigerio al corpo ma si trattene. In piena estate con la calura insopportabile, Agnese avrebbe potuto aprire la cerniera senza problemi ma oggi sarebbe stato un ottimo sistema per un colpo di freddo o una bronchite.
La playlist del Ipod sparava nelle orecchie delle canzoni di molti anni prima, quando lei non era ancora nata. Le aveva scoperte per caso in ufficio da una collega più anziana.
‘Non sono una signora’ della Bertè oppure ‘La bambola’ di Patty Pravo o ancora ‘La gatta’ di Gino Paoli erano in cima alle sue nuove preferenze. Fino a sei mesi prima ignorava la loro esistenza. Per lei c’erano solo le note dure dei Metallica o di certe band dal rock molto hard. Una mattina Gina, la collega, che veleggiava tranquilla verso la pensione, mise nel lettore un CD con le più belle canzoni degli anni settanta e ottanta. Scoprì che nel panorama musicale c’erano anche altre canzoni oltre a quelle che di solito ascoltava. Rimasta entusiasta, decise di caricare lo Ipod con quelle note ricche di melodie dolci.
Pedalando di buona lena, cominciò a discutere con l’ipotetico compagno di viaggio sugli acquisti del pomeriggio. Aveva intenzione di comprarsi un vestito, una gonna, un paio di jeans e una camicetta. Indecisa su tutto dal colore alla marca, il compagno le domandò, se poteva permettersi la spesa. “Sei impertinente” sbottò, anche se la domanda era corretta. Le sue finanze non godevano buona salute, adesso che il mutuo era tutto suo.
“Ti chiedo un consiglio sui colori” disse, guardandolo con occhi di fuoco. “Non dei dubbi sulle capacità finanziarie”.
Lui, trasparente come l’aria, non rispondeva come voleva Agnese. Questo la innervosì non poco.
“Non puoi suggerirmi il rosso!” fece stizzita “Lo sai che non lo sopporto”. Nuova risposta fuori tono.
“È meglio un colore pastello per il vestito oppure un blu?” gli domandò. Nuovi borbottii che Agnese non gradi.
“La gonna? Marrone” disse il compagno immaginario.
“No, non hai capito nulla” esclamò Agnese. “La voglio nera e liscia, lunga fino al ginocchio”.
“La camicetta come la preferisci?” continuò il compagno.
“Non ho molte preferenze” fece Agnese, distendendo il lineamenti del viso. “Su quella non ho ancora deciso. Jeans o pantaloni? Meglio i pantaloni. Ma ci penserò”.
Guardò l’orologio e imprecò, perché si era fatto tardi rispetto alla tabella di marcia. Salutato il compagno, che proseguì, e girata la bicicletta, si diresse verso casa.
Dopo una doccia calda per eliminare il sudore si preparò il pranzo, prima di recarsi in città.
Marco e Laura avevano parlato dal pomeriggio fino a notte inoltrata ma adesso dormivano tranquilli.
I fantasmi, che si erano aggirati intorno a loro, erano stati scacciati con le loro confessioni. Avevano discusso della scenata di gelosia e del bacio saffico con Sofia. Avevano concluso che non doveva preoccuparsi.
“Non deve creare un senso di colpa il bacio” aveva detto Marco, “perché è il frutto di un’esaltazione momentanea”.
“Ma la scenata di gelosia?” aveva chiesto Laura.
“È nella norma” aveva risposto Marco, “perché mi hai visto, mentre mi strusciavo con la tua migliore amica. Quale donna innamorata potrebbe accettare senza reazione un simile spettacolo? Nessuna”.
Più complesso era stato dipanare il senso del bacio e del toccarsi fra donne. La discussione era diventata animata tra un bacio, una carezza e un rapporto sessuale. Per Marco era stato un fatto occasionale legato all’emozione del loro incontro. “Sì” aveva detto. “Convengo che ti ha dato sensazioni intense e inaspettate”.
Laura non era convinta della casualità dell’effetto erotico e aveva manifestato con vigore le sue perplessità. “Qualcosa mi suggerisce” aveva affermato, ”che, se capita di nuovo, mi lascerò trasportare con maggiore passione”.
Marco aveva riso a queste sue affermazioni, senza che questo l’avesse rassicurata. Le chiese, se questo desiderio avesse guidato i suoi comportamenti, se lei si fosse sentita angosciata per l’atteggiamento tenuto, se avesse pensato di sperimentare questa parte della sua sessualità per ripetere l’esperienza.
Laura era rimasta senza parole, né aveva saputo come e cosa rispondere. Queste argomentazioni l’avevano indotta a riflettere sul modo di intendere il sesso. Aveva percepito in maniera confusa che esistesse un collegamento con le fobie, che loro avevano esplorato in precedenza.
Marco aveva intuito che altre paure in qualche modo la frenavano nel rapporto sessuale, anche se non riusciva a percepirne i contorni. Laura aveva capito che doveva costruire la propria sessualità, partendo dalle riflessioni sui sensi di colpa. Doveva scoprire quali contraddizioni agivano da freno al fine di trovare la soluzione ai suoi problemi.
Era mattina, quando la stanchezza cominciò a fare capolino nelle loro menti. I loro corpi decisero di concedersi un meritato riposo. Laura stava parzialmente su Marco, che la cingevano in atteggiamento protettivo.
Paolo era entrato in crisi, quando Matteo gli aveva chiuso la conversazione. Si era sentito tradito, perché l’amico aveva risposto in modo non cortese. Guardò sconsolato il telefono, prima di decidere di farsi una doccia calda per eliminare la tensione accumulata.
Doveva meditare su di lui, su Laura, sul suo futuro. Mille pensieri entravano con furia nella mente senza che riuscisse a coordinarli.
‘Perché mi sono ridotto in questo stato?’ si domandò scuro in volto, sorseggiando il caffè ‘Non mi riconosco. Sembro andato via di testa oppure essere regredito nell’età!’
Capì solo adesso, quanto fosse stato impaziente, sapendo che l’amico aveva passato la notte con Sofia. Di sicuro Matteo non aveva contato le pecore per addormentarsi.
Paolo provava invidia, perché Matteo aveva trovato subito feeling con Sofia, al contrario di lui. Guardò con malinconia mista a rabbia il telefono che rimaneva muto e silenzioso, preparandosi a uscire per recarsi in ufficio.
Quella mattina era in anticipo rispetto alle sue abitudini ma non aveva senso trattenersi ancora. Una folata di vento gelido e carico di smog lo accolse, mentre il corpo rabbrividiva per il freddo. Incerto se prendere un mezzo pubblico o l’auto, camminò insieme a una folla anonima e frettolosa ancora intorpidita dalla veglia mattutina.
Le gambe l’avevano condotto all’autorimessa. dove era parcheggiata l’auto. Si stupì ma forse i pensieri e i dubbi, che affollavano la mente, l’avevano distratto da non capacitarsi dove avesse girovagato da quando era uscito.
Cominciò a preoccuparsi della sua salute mentale, mentre avviava il motore. Al momento non era in grado di gestire i dettagli di un lavorio intellettuale complesso.
Agnese era stremata, quando riemerse dal sonno agitato, pieno d’incubi sgradevoli e di sogni piacevoli.
Apri gli occhi impastati dal lungo dormire, chiedendosi se il sole fosse già sorto o stesse sorgendo, poiché dalle imposte filtrava una timida lama di luce che fendeva le pareti.
Sperava che una bella giornata le avrebbe consentito di fare un giro in bicicletta col vento fresco in faccia. Ne avvertiva la necessità, dopo avere trascorso il giorno precedente in tensione per quello che le avrebbe riservato il futuro.
Lo stress per la lunga contesa con Giulio, risolta positivamente da poco, le faceva percepire tutta la stanchezza accumulata negli ultimi mesi. Poi c’era il timore di udire la voce di Marco, che le annunciava che rinunciava a uscire con lei. Sarebbe stato il colpo di grazia.
Questi pensieri la deprimeva ma riascoltando con la mente la telefonata del giorno prima, l’intuito femminile le suggeriva che Marco avrebbe mantenuto la promessa. Tuttavia non si sentiva tranquilla, perché aleggiava dentro di lei la paura di essere stata ingannata dall’intuizione.
I pensieri discordanti avrebbero potuto produrre effetti opposti, ai quali avrebbe dovuto prestare attenzione. Da un lato incoraggiavano un comportamento prudente e negativo, dall’altro le emozioni acquistavano un impeto al quale sarebbe stato difficile resistere col rischio di cocenti delusioni.
‘È meglio alzarsi e pensare ad altro’ si disse, mentre lo stomaco reclamava qualcosa per saziare la fame, ‘piuttosto che rimanere nel letto a rimuginare su timori e speranze’.
Si affacciò sulla finestra della cucina, osservando come il sole illuminava il giardino di sbieco. Sottili ombre, quasi fossero modelle in sfilata sulla passerella, si allungavano sul prato e sul muro. Respirò rumorosamente, mentre si stiracchiò e pensò: ‘Mi devo sbrigare, se voglio essere di ritorno per mezzogiorno, pronta per un pomeriggio di shopping’.
Aveva intenzione andare in città per un acquisto rimandato più volte ma diventato urgente come il desiderio d’incontrare Marco.
Lasciata la finestra aperta, preparò il caffè, che l’avrebbe svegliata completamente e poi via di corsa in bicicletta.
Paolo aprì gli occhi con le mani intorpidite e si domandò perché fosse sulla scrivania a dormire anziché nel letto. Era turbato, vedendo le luci accese e lo screensaver attivo. Non ricordava nulla della notte o meglio di come l’aveva passata. Osservava le immagini scorrere, dissolversi, salire e discendere in un caleidoscopio di forme che apparivano e sparivano.
‘La notte stellata’ gli comparve innanzi gli occhi ancora gonfi di sonno. Era il quadro di Van Gogh che gli piaceva di più in assoluto. Gli suscitava inquietudine e commozione vedere quelle pennellate di nero e di blu notte interrotte da macchie di colore giallo, che sembravano muoversi, animarsi sotto la spinta della fantasia. Ogni volta si ripeteva la magia: si fermava incantato a guardare.
Aveva dimenticato nel sonno mattutino le inquietudini della sera, Laura e i tormenti dell’amore.
‘Cosa faccio di fronte al computer?’ si disse, aggrottando la fronte. ‘Perché non sono a letto?’ Era simile al viandante che, dopo aver camminato tutta la notte, rimaneva abbagliato dal sorgere del sole.
Non ricordava quali attività avesse svolto prima di addormentarsi davanti al computer. Forse aveva letto la posta oppure no. Forse aveva navigato alla ricerca di qualcosa che non rammentava. Poi riemerse dalle nebbie del non ricordo, mentre uno alla volta gli tornarono alla mente tutti i pensieri che l’avevano accompagnato dal giorno precedente. Capì che doveva mantenere in equilibrio sogno e realtà. Il sogno era conquistare l’amore di Laura, la realtà era che lei si negava. Non reputava facile conciliare questi aspetti che erano in antitesi tra loro.
Guardò l’orologio e decise che era giunta l’ora di dare la sveglia a Matteo.
Sofia e Matteo stanchi ma appagati intuirono che tra loro c’era qualcosa che andava ben oltre il rapporto fisico.
“Sofia, dicevi che da Laura hai provato qualcosa d’inaspettato. Cosa è stato?” chiese Matteo con la voce leggermente in affanno.
“Non so da dove cominciare,” rispose stringendosi ancora di più a lui “mi sento confusa. Proverò a raccontare”.
Sofia iniziò il racconto della serata a casa di Laura. Marco, il suo ex, era comparso all’improvviso e inaspettatamente e l’aveva salutata con un bacio sulle labbra, che le aveva fatto perdere la testa.
“A dire il vero, non è stato il primo da quando l’ho conosciuto. Sei anni fa. Ma quello ha avuto il potere di scatenare dentro di me una libido del tutto imprevedibile e incontrollabile”.
Sofia cercò di spiegare il messaggio erotico, che aveva percepito. Una sensazione, che non riusciva a descrivere compiutamente.
“Non essere geloso, Matteo!” aggiunse seria, perché aveva notato che i suoi muscoli si erano contratti all’improvviso.
“Non essere geloso!” ripeté Sofia con vigore, prima di riprendere il discorso.
Non aveva mai provato nulla per Marco ma nemmeno lui aveva dimostrato interessamento nei suoi confronti.
“Per me è stata una reazione puramente ormonale” disse Sofia, mentre si stringeva a Matteo. “Che avessi gli ormoni in subbuglio, questo era pacifico. Infatti, quando Laura dopo una violenta scenata di gelosia mi ha dato un bacio pacificatore, ho percepito la necessità di toccarla, di baciarla. Ma quello che mi ha messo in apprensione, è stato il piacere intenso che ho provato nel fare questo”.
Sofia rivide la scena del contatto con Laura.
“Ho percepito” continuò la ragazza, avvertendo un brivido lungo la schiena, “che la presenza di Marco non aveva nessuna importanza. L’istante, durante il quale ho messo la mano sul suo sesso, è un ricordo nitido. Ancora adesso provo un piacere inaspettato e mai provato prima”.
Matteo si distaccò da Sofia nell’ascoltare le sue parole.
“In quel momento ho sentito la necessità di avere il contatto fisico con un’altra donna” proseguì Sofia nel rievocare quelle sensazioni, ignorando le reazioni di Matteo. “Marco ha intuito che l’atmosfera era diventata torbida ma è stato in grado con molta abilità di spezzarla”.
“Ma poi?” chiese Matteo, che si era rilassato dopo l’istintivo irrigidimento iniziale.
“Nulla” rispose Sofia. “Il resto della serata è filato liscio senza altri incidenti sessuali, in allegria. Ora ho un peso nella mente. Posso amare un’altra donna o desiderare avere con lei un rapporto?”
Matteo rimase in silenzio, come se non avesse argomenti da illustrare, mentre a Sofia il dubbio era rimasto. In una qualche misura gli avvenimenti della serata avevano lasciato un segno tangibile dentro di lei, anche se provava un senso di sollievo per essere riuscita a parlarne con Matteo.
Dopo un primo accenno di gelosia, Matteo si era rilassato nell’ascoltare quella confessione appassionata e sincera.
“L’ex di Laura è da lei?” domandò Matteo incredulo ma interessato. “Avevo capito che fosse scappato al suo paesello. Forse ci ha ripensato?”
“No” replicò Sofia, “nessun ripensamento. Glielo ho chiesto esplicitamente. Ti posso assicurare che oggi tornerà a Ferrara. Difficilmente lo vedremmo a Milano”.
Dopo una breve pausa per baciare Matteo, Sofia riprese il suo racconto.
“Marco” proseguì Sofia, “ama troppo il suo mondo provinciale e ristretto per adattarsi ai ritmi di Milano. Non riuscirebbe a reggere lo stress”.
“Ma Laura potrebbe trasferirsi a Ferrara” argomentò Matteo, che era deciso a conoscere a fondo tutta la situazione.
“Non ti preoccupare” replicò Sofia, che aveva intuito il motivo del suo interessamento. “Laura non si trasferirà mai a Ferrara. Per lei significherebbe una regressione sia professionale che personale. Non credo che Marco farà nulla per convincerla, perché ha troppo rispetto e affetto per insistere”.
“Pensi” le chiese Matteo, “che Laura dimenticherà Marco?”
“Non saprei” rispose Sofia. “Personalmente dubito che Laura riuscirà in futuro a sostituirlo con un altro uomo. Salvo che non abbia le stesse attenzioni e la sensibilità di Marco”.
Matteo stava per chiedere ancora qualcosa, quando Sofia lo gelò con lo sguardo.
“Ti ho posto una domanda inerente a me” disse un po’ scocciata Sofia da quella lunga divagazione fuori programma. “Non intendevo discutere su Laura e Marco”.
Matteo, che non aveva nessuna spiegazione psicologica sul comportamento di Sofia, liquidò in fretta l’argomento.
“Forse sei stata colta alla sprovvista da quel bacio, quando le tue difese erano più vulnerabili” le disse Matteo, soddisfatto per le informazioni ricevute. “Hai provato un piacere effimero, passeggero, visto il fuoco che hai!”
L’abbracciò ridendo.
Sofia non ritenne sufficiente la risposta ma preferì non insistere. Aveva compreso che con Matteo non sarebbe stato in grado di portare avanti la riflessione sul suo comportamento da Laura.
Si abbandonò tra le sue braccia
‘Ne parlerò con Laura o con Marco, se lo rivedo prima della partenza’ pensò Sofia, abbracciando con passione Matteo.
Marco si era addormentato con respiro regolare e cadenzato, mentre Laura percepiva il calore del suo corpo appoggiandosi su di lui.
Il sonno tardava per Laura, anzi proprio non ne voleva sapere. La sua mente era proiettata su quello che era successo nella giornata. Non le sembrava vero che Marco fosse accanto a lei. Si diede un pizzicotto su una guancia per capire se fosse un sogno o realtà. Allungò la mano, percependo il corpo di Marco. ‘No!’ si disse sorridendo nel buio della stanza. ‘Non è un sogno’.
La mente era leggera, come quella lanugine bianca che a marzo vola fastidiosa, sospinta dal vento. Marco era accanto a lei, che finalmente era riuscita a confidare quel malessere che da oltre nove anni portava dentro di sé. Le pareva di essere come una puerpera che, sgravatasi del piccolo che portava in grembo, si riappropriava del proprio corpo dopo che per lunghi nove mesi era rimasto prigioniero di un’indesiderata maternità.
‘È stato il destino’ si disse Laura, che al buio intravvedeva le forme di Marco che dormiva sereno, ‘che mi ha fatto trovare quella istantanea col vestito rosso. Se non l’avessi trovata, ora non sarebbe qui’.
Pensò allo scritto, che definiva fiaba, ambientata in una località, dove un anno prima erano stati anche loro. Un’altra prova del destino farle trovare quei fogli ingialliti, si chiese Laura con gli occhi spalancati, mentre si sforzava di ricordare i particolari di quella gita.
Quasi subito la sensazione di gioia si trasformò in un velo di malinconia, che le offuscò lo sguardo.
‘Si, ha ragione Marco’ pensò Laura con tristezza, perché aveva compreso che non ci sarebbe speranza di trattenerlo presso di sé. “Non so quale reazione avrei, abitando a Ferrara’.
Aveva trascorso tutta la sua vita a Milano. Qui c’era la sua famiglia, le sue amicizie. Un mondo, che le era famigliare con i suoi lati positivi e negativi, fin da quando aveva aperto gli occhi. Aveva trovato un lavoro che le piaceva e le dava soddisfazione professionale. Ogni giorno c’era la possibilità di conoscere e frequentare nuove persone, d’incontri stimolanti. ‘A Ferrara c’è l’ignoto, a parte Marco’ rifletté Laura spaventata da questa prospettiva. ‘Mentalità e usanze diverse. Dovrei cominciare da capo. Non mi sento pronta’.
L’incertezza di affrontare un ambiente del tutto sconosciuto le impediva di pensare a qualcosa di differente da quello nel quale viveva il quotidiano. ‘Non so, se riuscirei ad adattarmi’ si disse Laura, accostandosi al corpo di Marco. ‘Sarei felice?’ Il dubbio era più forte della certezza.
Non aveva lo spirito dell’avventura, di provare il passo insieme a Marco. ‘Ma ha un senso?’ si disse. ‘Oppure sarà un rischio più doloroso e dirompente dell’addio che si consumerà tra poche ore?’
Laura aveva percepito negli ultimi momenti della loro relazione, che Marco si dimostrava insofferente alla frenesia di Milano. Non era riuscita cogliere quel malessere, senza dare la giusta importanza, anche se Marco si stava ripiegando silenziosamente su se stesso. Aveva pensato alla tensione per l’imminente dottorato e non a una crisi d’identità. Solo adesso aveva compreso, quanto fosse stata cieca in tutto quel periodo. Però erano stati sufficienti quegli otto mesi di lontananza per rigenerarlo nel fisico e nello spirito. ‘Posso chiedergli’ pensò con gli occhi umidi di pianto, ‘di lasciarsi consumare dalla malinconia dei ricordi?’ Marco era rimasto sempre lo stesso. Non aveva perso quel intuito acuto e perspicace, pronto a cogliere le sfumature psicologiche di chi lo circonda. Anzi le sembrava che la lontananza avesse acuito queste doti.
Una lacrima scivolò leggera sul petto di Marco, che, svegliatosi, intuì le sensazioni di Laura. Era incapace di trovare una soluzione al problema.
La strinse, mentre la mano le scompigliava i capelli. ‘Sono un egoista, che pensa per sé’ rifletté Marco amaramente. Comprese che avrebbe sacrificato l’amore che provava pur di soddisfare il desiderio di vivere nel suo ambiente.
Il dubbio stava facendo capolino nei suoi pensieri ma lo scacciò immediatamente.
“C’è un secondo argomento di cui parlare” disse Marco. “È il momento giusto?”
Laura e Marco con la luce accesa stavano vicini nel letto, mentre le loro mani scivolavano leggere sulla pelle. Parlavano sottovoce, quasi timorosi che qualcuno potesse ghermire i loro pensieri, i loro sussurri.
La paura di bloccarsi dopo i progressi del pomeriggio la teneva in ansia. La vista di Marco arrapato su Sofia aveva suscitato in Laura una reazione violenta, temendo di perderlo una seconda volta. Si domandò se era normale reagire in modo sproporzionato alla reale natura del pericolo. Si spaventò di non essere in grado di governare le paure più nascoste, mentre comprendeva che stava superando quella barriera psicologica che le false percezioni dei suoi sensi l’avevano bloccata.
Adesso Laura dava ascolto al fisico e lo assecondava, sentiva il respiro regolare e rassicurante di Marco. Percepiva che stava autorizzando il proprio corpo a essere offerto in dono senza il disagio che l’aveva tenuta in ansia fino a qualche ora prima.
Osservava il suo ventre oscillare lieve e costante con un brivido di piacere. Comprendeva che finalmente con l’aiuto di Marco stava andando oltre le sue fobie. Le sembrò di essere una farfalla, che uscita dalla pupa cresce succhiando il nettare del fiore per volare libera nel campo di erba medica. Sentiva le sue mani che esploravano il corpo con pudore gentile senza provare fastidio.
Per fare all’amore c’era tempo senza fretta: un frutto da cogliere maturo sulla pianta e gustarlo con piacevole lentezza. Capì che poteva rubare qualche attimo al piacere per parlare di lei, di loro e di quello che era successo durante la giornata. ‘Proverò un vuoto non colmabile da un altro uomo’ si disse Laura con l’occhio lucido, ‘quando partirà definitivamente’.
Aveva sognato e sperato in questi otto mesi che Marco ritornasse da lei per sempre ma non era questa la realtà desiderata. Aveva compreso che non sarebbe stato così. Tralasciò le malinconie, perché avrebbe avuto tempo per piangere, e decise di aprire la propria anima a Marco per l’ultima volta.
“Marco” esordì Laura, “ti desidero come oggi pomeriggio e forse ancora di più ma prima voglio parlare con te delle mie paure”.
Laura parlò delle sue fobie sessuali, che l’avevano frenata, perché, come lui aveva già capito, il rapporto col suo corpo non era normale. Avvertiva malessere al solo pensiero che qualcuno la vedesse nuda, percepiva fastidio se la sua mano sfiorava il seno e avrebbe potuto continuare a lungo nell’elenco delle sensazioni sgradevoli che provava nei contatti col suo corpo.
Non aveva mai trovato il coraggio a confidare con qualcuno le sue paure, le sue angosce e la sua incapacità di essere donna, di donare il proprio corpo a uomo e soprattutto di ricevere piacere.
“Vorrei capire per superare il blocco, che mi impedisce di avere un rapporto sereno col sesso” disse Laura, stringendosi a lui. “Tu sei l’unico con il quale l’ho fatto”.
Laura rimase in attesa delle risposte di Marco, staccandosi da lui.
“Ti sei bloccata. Perché?” le chiese. “Posso parlare anche sentendo il calore del tuo corpo, le tue labbra sulla pelle, le tue mani che mi accarezzano”.
L’invitò a rilassarsi, perché potevano parlare senza interrompere le carezze d’amore, mentre la baciava sul collo, dietro l’orecchio, sulla bocca. L’effetto di queste parole sbloccò Laura, che si accoccolò sul corpo di Marco. Lui percepì che Laura si era tranquillizzata.
Senza smettere di accarezzarla e di baciarla, le ricordò come dormisse serena accanto a lui i primi tempi della loro relazione. Marco aveva notato questo blocco psicologico e aveva atteso con pazienza, senza forzare i tempi in un’inutile violenza, finché Laura non si era sentita pronta.
“Ho usato” proseguì Marco, “discrezione perché volevo evitare ansie immotivate, bloccando il lento approccio al primo rapporto completo”.
Laura gli aveva confidato di non essere più vergine quando alla fine decise di fare all’amore con lui. Marco si era comportato come se fosse vero.
“Posso dirti che in realtà lo eri ancora” le disse Marco, guardandola negli occhi. “Sono stato io a deflorarti, quando abbiamo avuto il primo amplesso. Ti ho sempre lasciato credere il contrario”.
Marco le spiegò che i suoi problemi sarebbero sorti, perché quel rapporto, avuto da ragazza, l’aveva traumatizzata. Se si associavano divieti e proibizioni, inculcati da bambina per la rigida educazione sessuale ricevuta, Laura aveva innalzato una barriera psicologica tra lei e il suo corpo. Questo l’aveva bloccata nel fare sesso con serenità e consapevolezza, prima che fosse stato lecito secondo quelle regole. Ovvero da sposata.
“Proibizioni e timori di peccare mortalmente’ fece Marco, mentre con la mano giocava col capezzolo di Laura, “ti hanno fatto sentire sporca. È il retaggio di una cultura non più avvertita e percepita, come peccato. Concetti morali, che hanno creato in te resistenza nella ricerca e nella costruzione dell’atto sessuale come piacere da assaporare e da gestire”.
Marco le disse che non aveva mai protestato, quando pretendeva di spogliarsi sotto le lenzuola al buio. Aveva accettato di buon grado, quando al termine dovevano subito lavarsi e rivestirsi, perché gli odori le provocavano un senso di disagio. Marco l’ha amata allora come adesso, evitando azioni forzose e violenti contro il suo volere.
“Riflettiamo su quel famoso rapporto. Cosa non è andato per il verso giusto?” le chiese bruscamente, affrontando direttamente il problema, poiché Laura era reticente nell’aprire l’armadio dei ricordi.
Laura rimase in silenzio, bloccandosi. L’aveva rimosso dalla mente.
“Visto che non ne vuoi parlare” concluse Marco, “non parliamone”.
Cominciò a baciarla sulla bocca, che rimase rigida e chiusa. Marco insistette con pazienza, finché le labbra non si dischiusero e la lingua penetrò nella cavità. Il corpo di Laura divenne flessuoso e morbido alla ricerca del contatto.
Dopo qualche minuto, quando i mugolii divennero più forti, Laura staccò le labbra da quelle di Marco e bisbigliò nell’orecchio. “Hai ragione. E’ venuto il tempo che ne parli apertamente. Devi sapere …”
Era giovane e inesperta in quel periodo. Si era lasciata cullare e affascinare da quel uomo. Era un fascino malsano, incerto, che ai suoi occhi rappresentavano il simbolo dell’emancipazione. Si sentiva brutta e insicura, mentre lui sembrava un dio, pronto a donare qualcosa, che invece le rubava. Il corpo abbronzato e muscoloso, l’aria dell’uomo vissuto e sicuro di sé erano forme più appariscenti che concrete. Laura vedeva in lui un messaggio errato, che trasmetteva erroneamente alla sua mente. Alla fine raccontò la vergogna, provata con quel primo rapporto, finito con un grottesco tentativo di penetrazione.
“Hai sempre ragione. Intuisci subito cosa non va nelle persone” disse Laura. “Da allora mi sono vergognata a guardarmi allo specchio, a toccarmi o solo sfiorarmi. Ho rimosso tutto per non ricordare”.
“Come ti senti in questo momento?” chiese Marco, mentre la stringeva forte a sé. “Parlare o ricordare episodi spiacevoli non è mai semplice ma ci sei riuscita!”
Laura sentiva il calore del corpo di Marco, che le donava sicurezza.
“Non so con sincerità cosa mi avesse colpita” affermò Laura. “Penso che fosse il primo uomo che mi guardava come donna e manifestava il desiderio di fare l’amore. Ma in effetti ero io che cullavo questa fantasia e la trasferivo in lui. Quello che mi ha fatto più male è stato l’essere trattata come oggetto da manipolare per soddisfare il proprio ego”.
Laura ammise di essere stata incapace di reagire, chiudendo dopo il primo incontro. Aveva sperato che quello successivo sarebbe stato migliore e più stimolante, per soddisfare le attese sognate. Tuttavia provò sempre più vergogna di sé, finché un sussulto di dignità le fece dire “Basta!”.
Il trauma era stato talmente forte che da quel momento fare sesso sarebbe stato un’azione disdicevole e sporca. Aveva creduto in una punizione divina, perché aveva desiderato un uomo, perché voleva andare a letto con lui.
Per contrappasso doveva punire il corpo, la mente per questa trasgressione agli insegnamenti che i genitori le avevano impartito fin da piccola. La mente non doveva più concedere l’autorizzazione a sentire il piacere nel toccarsi, nel toccare il corpo di un altro.
La ricerca del sesso la stava facendo sprofondare nella depressione, quindi per reazione negava a se stessa la sessualità e tutto quello che ruotava intorno a essa. Marco, che aveva avvertito il suo conflitto interiore, non le aveva mai forzato un rapporto, senza che Laura non l’avesse desiderato. Doveva comprendere che fare del buon sesso poteva essere una pratica gradevole.
Dopo la confessione, sofferta all’inizio e poi diventata sciolta e libera, Laura avvertì un senso di liberazione. Aveva trovato la via per rimuovere il conflitto tra ciò che la mente riteneva illecito e quello che reclamava il corpo.
“La tua pazienza è stato un toccasana per me, per farmi uscire dal tunnel buio della depressione” disse Laura, che trasse un forte sospiro.
Allontanò le lenzuola e, inginocchiatasi, guardò Marco nudo, mentre lui la osservava.
“Abbiamo parlato troppo! I sensi reclamano i nostri corpi!” disse Laura, mentre accarezzava il suo sesso. “Ti guardo e mi guardi. Provo piacere nel toccarmi, nel toccarti”
Marco disteso sul letto la guardò con passione.
“Mi fai girare la testa e…”. Allungò le braccia e la trasse a sé. “Ora basta con le chiacchiere!”
Sofia e Matteo divennero un unico corpo, groviglio di braccia e di gambe, mentre davano sfogo alla loro passione.
Erano sdraiati nel letto sotto le coperte, quando Sofia avvicinatosi a Matteo disse: “Vorrei parlarti, c’è qualcosa che ho provato stasera da Laura…”.
Lui rise, mettendo un dito sulle labbra. “Non rovinare questa atmosfera. C’è tempo per parlare. Abbiamo la notte e la mattina…”.
“Non posso” disse Sofia, “ho un appuntamento alle undici. Non lo posso rimandare”.
“Telefona e rimandalo. Anch’io farò la stessa cosa” rispose.
Sofia borbottò qualcosa e si rifugiò tra le braccia di Matteo come una nave, sorpresa dalla tempesta, entrava nell’approdo sicuro.
Agnese aveva fantasie erotiche sempre più intense che le impedivano di riprendere sonno.
“Devo calmarmi” disse ad alta voce per esorcizzare la fantasia. “Devi calmarti! Respira lentamente per rallentare i battiti del cuore”.
Lei non conosceva Marco e non poteva essersi innamorata di una persona di cui ignorava tutto, compreso il cognome. L’aveva visto un’unica volta. ‘Le mie sono solo fantasie, perché mi sento sola’ si disse Agnese in preda all’ansia. ‘Perché mi manca un compagno disposto ad ascoltarmi’. In particolare avvertiva la mancanza della passione del sesso, della gioia di sentire il calore di un uomo, di trasmettere le emozioni e le sensazioni che provava. Stava fantasticando e idealizzando una persona, che era più un fantasma che reale. Agnese tacque e aspettò una risposta che non poteva venire.
Le lacrime sgorgarono copiose e liberatorie, inumidendo il cuscino e le lenzuola. Il singhiozzo fu strozzato dal pensiero di ascoltare: ‘Agnese, mi dispiace d’averti illuso ma Angela ha riconquistato il mio cuore’. Pianse a lungo aspettando il sorgere del nuovo giorno. Si addormentò invece, sognando di essere in una casa sconosciuta, in un letto accogliente.
Paolo inquieto non riuscì a trasformare la notte in un sonno ristoratore. ‘È meglio che mi alzi’ si disse, accendendo la luce. “Stare nel letto è uno strazio”.
Nel corso della giornata precedente aveva incontrato una sfida alla struttura della sua vita quotidiana e domestica, alle relazioni intime, ai contatti quotidiani con gli altri. Aveva accumulato tensioni, che lo spingevano ad agire in modi che non comprendeva e che non riteneva propri. Sveglio si sentiva come se lo avessero bastonato a lungo e violentemente. Si aggirava per casa, sperando di sfogare l’ansia interna che non dava requie.
Accese il portatile quasi meccanicamente, perché la sua mente era ossessionata da Laura. Osservò in maniera opaca il monitor, che si illuminava. Il sistema lavorò freneticamente per caricare programmi, disporre le icone colorate sullo sfondo ed eseguire aggiornamenti. Poi l’attività scemò man mano che ogni tassello andava al suo posto. Alla fine tutto era tornato tranquillo. In misura analoga l’agitazione interna, l’ansia che lo aveva afferrato si andò placando per lasciare il posto alla razionalità che vantava di possedere. ‘È probabile che la sensazione di angoscia provatanasca da situazioni, che ho dato per scontato oppure dalle persone che ho sottovalutato‘ pensò Paolo. ‘Quindi devo trovare il rimedio ai problemi, che scaturiscono da queste false impressioni, e devo prestare maggiore attenzione ai passi falsi, che commetto in quei frangenti‘.
Lesse le ultime news da Repubblica.it. ‘Le solite liti nel governo, l’opposizione che urla solo per fare chiasso’ commentò silenziosamente. ‘Che tristezza! I delitti restano impuniti e manco per sbaglio si trova un colpevole! Vediamo se c’è qualche notizia più interessante e meno angosciante. Suocere, clown e colori tutte le fobie del mondo. Sembra che un sito inglese riesca a guarire tutti dalle fobie più strane senza medicine! Sarà vero?’ Mentre scettico scorreva l’articolo, mentalmente registrò il link per leggerlo successivamente con calma. Notò un altro articolo curioso nel quale si prometteva di svelare l’albero genealogico di chiunque dal DNA. Passò sul sito del Corriere e quello della CNN, dove pure lì le notizie scarseggiavano. Tutti dormivano tranne lui.
Aprì la cartella della posta ricevuta, perché Thunderbird ne aveva segnalato l’arrivo. La casella ne conteneva una dozzina. Separò mentalmente in due gruppi le mail. Esaminò il primo gruppo, quello più numeroso e meno importante. Erano sette. Mise nel cestino quei pochi messaggi sfuggiti al controllo dello spam oppure ritenuti non meritevoli di essere letti. ‘Ne sono rimasti un paio’ si disse. ‘Sono inviti a seminari inutili’. Li cestinò anche loro.
Consultò il secondo gruppo, stimato importante. ‘Scrive il dottor Mario. Cosa vuole?’ si chiese. ‘Dobbiamo vederci domani! Anche l’ingegner Ribeiro, che collabora nella ristrutturazione del palazzo in via Brera. Uffa! Cosa c’era di tanto urgente da scrivere? Mah, dopo le leggo. Toh! Mi scrive dopo un lungo silenzio il Sig. Beneditto, qualche altro lavoro in vista?’ Avrebbe letto gli ultimi due con calma. I mittenti gli erano sconosciuti.
Matteo e Sofia si preparavano per la notte tra un bacio e una carezza sempre più ardente. ‘Altro che raffreddarsi, è scatenata sempre di più!’ pensò Matteo stupito. ‘Cosa deve nascondere oppure farsi perdonare?’
Le performance sessuali di Sofia in passato non erano mai andate oltre la normalità di un bacio casto e qualche carezza un po’ più audace. Matteo era arrivato alla conclusione che fosse frigida, algida e asessuata. Adesso Sofia era scatenata, un vulcano pronto a esplodere come il Mount St. Helens nella catastrofica eruzione del 18 maggio 1980. Matteo aveva cambiato opinione. ‘Altro che pezzo di ghiaccio’ pensò sotto le carezze focose di Sofia. ‘Ghiaccio bollente! E chissà come sarà tra poco sotto le lenzuola’. Tornò con la mente a pochi minuti prima, quando l’aveva eccitato a tal punto che per poco non era diventato una fontana zampillante. L’eros non era scemato neppure nel bagno, mentre si preparavano per la notte. Si era trattenuto a stento dal metterla sul cristallo del lavabo e fare all’amore in quella posizione scomoda.
Mentre Matteo, sempre più infoiato, stentava a controllare le sue azioni, Sofia sentiva dentro un calore mai avvertito prima. Percepiva che la serata da Laura aveva scatenato un tempesta di ormoni che non riusciva a gestire.
Non riusciva a trattenere labbra, mani e corpo. I sensi la travolsero, mentre pensava che, se l’avesse messa sul cristallo, avrebbe goduto da impazzire.
“Vieni” sussurrò Matteo “Staremo più comodi nel letto”.
I loro corpi erano sempre uniti, come le labbra e le mani. Ogni passo era una sosta, un piacere, un sospiro.
Agnese si stava risvegliando dal sogno con Marco nella casa dei misteri, si sentiva tutta bagnata. I capezzoli erano duri come il marmo. L’odore dei suoi umori arrivava alle narici. Non le dispiaceva, anzi li trovava gradevoli.
La camicia era arrotolata sopra il seno, gli slip erano abbassati fino alle caviglie, come se una mano misteriosa avesse compiuto il gesto.
Mormorava in uno stato di semi incoscienza delle parole incongrue. Aprì gli occhi senza vedere nulla. Solo oscurità e qualche lampo di luce. Riemerse dal sonno, diventando vigile. Un languore allo stomaco la sollecitò per ricordarle che non aveva mangiato nulla da molto tempo. Rimase inerte a cullarsi nelle sensazioni che aveva provato in sogno.
‘È come se un uomo fosse passato nel mio letto’ pensò, mentre abbracciava con vigore il cuscino, scambiato per il misterioso amante.
‘Perché dovrei alzarmi?’ si disse, osservando le cifre fluorescenti della sveglia. ‘Mi piace sentire le carezze del lenzuolo di lino sul petto, sull’addome e più giù fra le cosce’.
Afferrò il cuscino, come se fosse l’amante, stringendolo forte sul petto.
“Se fosse qui!” sospirò. “Sarebbe lui a darmi piacere”.
Paolo si girava e si rigirava nel letto. Non aveva sonno per via del pensiero fisso per Laura. Doveva aspettare la mattina per conoscere le informazioni raccolte da Matteo, mentre l’alba non sembrava arrivare mai.
‘Saranno buone o cattive?’ pensò mentre si metteva sul fianco destro. ‘Saprà darmi il passe-partout per aprire il cuore di questa donna che ha rapito il mio? Quando la vedo o l’ascolto, sono incerto, confuso e incoerente. Balbetto. Sono la brutta copia dell’architetto brillante e sicuro che appare agli occhi della gente’.
Continuava a guardare le cifre rosse della radiosveglia che secondo dopo secondo scandivano il passare delle ore. Il telefono stava sul comodino nella speranza che Matteo avesse delle buone nuove da comunicargli. Però era rimasto muto. Guardò nuovamente l’ora. Era mezzanotte e tre quarti. ‘Matteo sarà a casa di Sofia?’ si chiese con un pizzico di ansia mista a timore. ‘Lo doveva chiamare alle undici. Alle undici e mezza non si era ancora fatta viva’. Lo sapeva, perché aveva chiamato Matteo a quell’ora. Non aveva resistito. L’attesa l’aveva logorato. Ricordò la voce dell’amico, che nervoso gli aveva detto di aspettare una sua telefonata.
L’agitazione prese il sopravvento, perché non era sicuro che Sofia avesse chiamato Matteo. Un dubbio lo assalì, perché aveva il timore che lei avesse scherzato. ‘Spero di no’ si disse per calmarsi. ‘Se fosse vero, si sarebbe burlato di me’. Pensò di mandargli un messaggio. “No” esclamò Paolo, che aveva nelle orecchie la voce dell’amico irata e incollerita. “No. Forse è già a letto con Sofia”.
Era meglio lasciare perdere l’idea di chiedere notizie. Avrebbe aspettato la mattina per ricevere le informazioni.
Nelle sue fantasie da innamorato non mancava la visione di Laura. Si interrogò cosa stesse facendo. Forse stava leggendo oppure sognava. Chi? Si chiese. Forse me. Oppure stava dormendo in un letto che avrebbe voluto condividere con lei.
Doveva calmare l’agitazione interna. Nonostante i suoi sforzi non ci riuscì.
Sofia, per farsi perdonare l’atteggiamento di possesso e di freddezza verso Matteo, lo baciò con passione prima di scendere dalla macchina. Voleva controllare l’effetto che faceva su di lei. Doveva scacciare il pensiero di Laura, che la tormentava da troppo.
L’esito non fu incoraggiante all’inizio, perché provava disagio verso se stessa. ‘Devo superarlo’ si disse, stringendosi a lui. ‘Devo eliminare gli stimoli verso Laura e concentrarmi su Matteo’.
La lingua di Sofia cercò quella di Matteo. Si insinuò maliziosa tra le labbra, scivolò sui denti alla ricerca di una fessura per entrare.
Matteo sorpreso era rimasto passivo ma conquistato dalla piacevole sensazione che lo pervadeva. Contraccambiò con uguale passione.
La mano sinistra di Sofia scivolò leggera sul suo corpo alla ricerca della cintura. Scese sulla cerniera. Si insinuò calda e passionale nei pantaloni aperti a frugare. Era una ricerca impertinente del piacere. Lo percepì impaziente in tutto il suo turgore.
Matteo non rimase inerte. Non faticò a trovare il sesso di Sofia che era caldo, bagnato e fremente di passione.
Sofia si staccò, gli sussurrò che avrebbe voluto essere già nel letto con lui. Rapidamente salirono in casa.
La ragazza respirò profondamente e rasserenata rimuginava che le piacevano troppo gli uomini per desiderare un amore saffico. Aveva perso tempo, prima di concedersi all’uomo che amava. Intendeva recuperarlo questa sera.
“Vieni Matteo” gli disse, “prepariamoci nel bagno prima di raffreddarci!”.
Laura era stata titubante e incerta all’inizio ma poi si era spogliata davanti a Marco senza accorgersene, mentre parlava dei suoi dubbi con lui.
Si specchiò nelle ante dell’armadio. Faticava a guardare il proprio corpo con naturalezza, mentre Marco le stava nudo accanto.
“Come vedi“ disse il ragazzo sorridente, “tu osservi me e il tuo corpo. Passa la mano sul seno senza distogliere lo sguardo dallo specchio”.
La prese alle spalle, abbracciandola. La baciò con dolcezza dietro la nuca, sul collo, succhiando il lobo dell’orecchio.
La mano di Laura rimase a mezz’aria, incerta se seguire la mente, che le diceva di non farlo, oppure l’ordine di Marco. Il bacio e la carezza spezzarono la barriera psicologica, mentre la mano scendeva leggera sul capezzolo che inturgidiva.
“Vieni“disse Marco, “andiamo sotto le coperte. È presto per girare nudi”.
Laura avrebbe voluto prepararsi per la notte lontano dagli sguardi di Marco. Li avvertiva su di sé feroci e determinati, mentre lui muto l’incitava a spogliarsi. Questa sensazione le dava un senso di capogiro, di vergogna. Doveva togliersi gli indumenti con la luce accesa davanti a un uomo. Doveva vedere riflessa la sua immagine nuda nelle ante a specchio del suo armadio. Si fermò, smise e incrociò le braccia. Era rimasta con mutandine e reggiseno.
Mentre Marco con gli occhi la invitava con decisione a proseguire, a Laura venne in mente quel bacio saffico e quelle carezze scambiate con Sofia. Un cambio di prospettiva, che le fece dimenticare il suo stato, la sua ferma intenzione di non togliersi anche quegli ultimi indumenti. ‘Pensavo a un semplice bacio’ si disse Laura, che tornava con la memoria a quegli istanti. ‘Invece ho ricevuto una scarica di ormoni che mi ha indotto a cercare la sua lingua, il suo corpo’. Laura percepì disorientamento, perché amava e desiderava Marco. Ma si scopriva bisex. Si era resa conto che baciare e toccare un’altra donna le dava sensazioni mai provate prima. Aveva sentito il battito del cuore accelerare a ogni carezza, aveva provato un caldo intenso nel viso e corpo. Aveva sperimentato in misura maggiore le stesse emozioni che le donava Marco, quando la baciava, quando la toccava. ‘Non era lui a baciarmi’ pensò, mentre sfilava gli slip meccanicamente. ‘Non era lui a toccarmi ma una donna’. Questo le stava dando disorientamento, una percezione da capogiro ma allo stesso tempo di consapevolezza della propria femminilità.
Marco si era accorto di questo trasporto e l’aveva detto con chiarezza. Non era riuscita tuttavia a distogliere i suoi pensieri da Sofia. Si domandò come avrebbe reagito a queste sensazioni nuove e inaspettate, qualora fossero state loro due sole. Sembrava di rivedere ‘Ho voglia di te‘ con lei al posto di Caterina Vertova ma non era in una fiction televisiva, perché era tutto vero.
“A cosa stai pensando?” le chiese Marco, che la stava osservando da qualche minuto, mentre con delicatezza sganciava il reggiseno.
Laura impallidì, rimanendo in silenzio. Si sentì perduta con l’angoscia nel cuore, perché Marco aveva letto una volta di più nel suo pensiero. ‘Non è possibile’ si disse. ‘Non è possibile che lui riesca scoprire quello che nascondo dentro di me’. Doveva operare una scelta. Fingere di non aver capito la domanda o decidere di affrontare con lui questo aspetto inaspettato e sconosciuto della sua sessualità.
“Stavo riflettendo sulla serata” esordì Laura. “Ammetto di avere fatto una scenata di gelosia, che a mente fredda giudico sproporzionata alla reale importanza del vostro bacio”.
Marco le prese la mano e la condusse verso il letto, annuendo alle sue parole.
“In effetti è probabile che Sofia non si sarebbe trattenuta, se tardavo ad arrivare” disse Laura, arrossendo. Aveva visto riflessi nello specchio i loro corpi nudi. “Adesso la valutazione è più serena e pacata”.
“No” la interruppe Marco, mentre con la mano le sfiorava l’incavo del collo. “La colpa non è di Sofia ma mia. Sono stato io la causa di tutto il trambusto. Tu hai avuto tutte le ragioni di questa terra nel fare la scenata. Il mio comportamento è stato indecoroso e inopportuno. Ne sono mortificato. Mi auguro che tu mi abbia perdonato”.
Laura non intendeva riaprire la questione che considerava risolta e sepolta sotto dieci metri di terra. Sorrise e gli diede un bacio a suggello delle sue ultime parole. Aveva deciso di affrontare l’altro episodio, quello tra lei e Sofia. Doveva e voleva far chiarezza dentro di sé per completare l’opera iniziata nel pomeriggio prima dell’arrivo di Sofia.
“Non questo episodio, che giudico risolto” disse Laura alla ricerca del tono giusto per affrontare la questione. “È il bacio dato a Sofia, che voglio discutere con te. Mi ha stimolato eroticamente. Ho provato desiderio di lei”.
Marco la guardò, sorridendo. ‘Non c’è necessità che tu lo ribadisca’ pensò, mentre con le labbra le sfiorava il collo.
“Ho notato tutto” disse Marco con calma. “Lo stimolo sessuale galleggiava nell’aria in maniera talmente percettibile che avrei potuto afferrarlo con questa mano”.
Fece scattare la mano, come dovesse acchiappare qualcosa d’inesistente nell’aria. Voleva smorzare i toni che stavano salendo d’intensità. Desiderava consentire a Laura di fare outing senza ansie o condizionamenti. Ricordò che il primo pensiero in quegli sitanti fu di sconcerto, perché l’aveva interpretato come un atto di ritorsione nei suoi confronti. Adesso Laura affermava di essere bisex, di avere provato una forte sensazione di stimolo sessuale. La teoria della ripicca non poteva reggere. Quel bacio aveva un’altra spiegazione.
“Sia tu che Sofia eravate eccitate e nervose per opposte ragioni” fece Marco dopo una breve pausa. “Le vostre emozioni erano giustificabili per l’atmosfera ambigua che si era generata per causa mia”.
Laura sorrise.
“Non capisco” disse la ragazza, “perché a tutti i costi vuoi affermare che è stata colpa tua”.
Marco la baciò con dolcezza dietro la nuca.
“Cosa provi?” le chiese.
Laura non rispose ma i suoi occhi brillavano per le sensazioni ricevute. Si strinse a lui, perché aveva compreso che forniva la giustificazione alla sua confessione. ‘Forse’ pensò, ‘ha ragione. È stato solo un momento di sbandamento’.
Marco intuì che le sue parole erano state convincenti.
“Allora” scandì Marco, “questo sarà il secondo argomento che affronteremo sotto le lenzuola”.
“Si” rispose Laura. “Lo desidero con tutta la forza dell’amore che provo per te”.
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