La notte di San Giovanni – parte venticinquesima

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Simone, dopo diversi tentativi infruttuosi di mettersi in contatto con Deborah, aveva desistito, perché aveva compreso che il taglio era stato drastico e non recuperabile. Deborah si inquietava, nervosa e irritata, ogni volta che vedeva comparire il viso di Simone sul display dello smartphone e chiudeva subito la chiamata, per fargli intendere che non desiderava per nulla sentire la sua voce. Miao approvava la determinazione della ragazza ed era la guardia armata contro qualsiasi intrusione nella sua vita. Decine di persone tutti i giorni la contattavano o tentavano di farlo ma lei ricordava il suggerimento di Sajana ‘lasciali perdere. Non farli entrare nella tua vita‘.

Alla sera, prima della ripresa degli allenamenti, con precisione svizzera alle ventuno Deborah lucidava la teca con cura certosina e accendeva una grossa candela colorata accanto alla custodia del teschio di cristallo. Sapeva con accuratezza la durata dell’accensione. Avrebbe potuto uscire e rientrare dopo tre ore per assistere agli ultimi guizzi della fiamma.

Il 10 luglio si ritrovò con le compagne in un centro sportivo nei dintorni di Milano. Era un posto rilassante, dotato di piscina e di molti spazi verdi intorno, oltre di una palestra funzionale e fresca. Dovevano affrontare la tournée sudamericana in una condizione atletica buona per non sfigurare contro squadre ben rodate dal loro campionato. Sostenevano due sedute quotidiane: una mattutina e una serale. Alla mattina si cominciava presto, quando la temperatura era ancora fresca, e si curava la preparazione atletica. Alla sera si lavorava col pallone nei tiri, nei gesti atletici, nei movimenti con o senza palla. Erano giornate impegnative sia mentalmente che fisicamente, perché dovevano recuperare uno stato di forma accettabile dopo la pausa estiva, eliminando tossine e ruggini. Dopo la ricca colazione di mezzogiorno, Deborah si rilassava ai bordi della piscina, ascoltando musica o leggendo qualche libro nell’attesa del turno serale. Molte delle sue compagne avevano deciso di fermarsi a dormire in un vicino residence piuttosto che rientrare in città. Lei aveva preferito rincasare. Non era un viaggio lungo, né stressante. E poi c’era la teca da custodire.

Deborah visse la prima serata di allenamento in uno stato di nervosismo incredibile. Non aveva chiaro come potesse rispettare il rito della candela alle ventuno. Sapeva che prima delle ventitré non si sarebbe potuto sganciare per correre a casa e non era detto che fosse veramente libera per quell’ora. Durante la sera continuava a osservare il tabellone luminoso segnatempo. Era talmente distratta che più di una volta il coach l’aveva ripresa. ‘Fa attenzione! La palla non è una saponetta viscida! Non vedi che stai intralciando le compagne!‘ erano i commenti più benevoli. Tuttavia la sua mente era altrove. Quelle parole scivolavano via sulla sua pelle come gocce d’acqua. Le sentiva e non le percepiva. Le ascoltava ma non rispondeva. Era in uno stato di catatonia, dove fisicamente stava sul parquet ma mentalmente era altrove. Era nel suo bilocale. Non sapeva come risolvere il problema della candela rossa, pronta per essere accesa.

Mancava un minuto alle ventuno, quando si recò ai servizi, interrompendo la seduta di allenamento.

“Di certo non posso volare fino a casa e tornare!” fece, bagnandosi il viso.

Alla ricerca di un suggerimento si rivolse al gatto che, come se fosse la sua ombra, la seguiva ovunque andasse. “Dico bene, Miao?”

Miaoouu” confermò il micio, agitando la coda.

“Cosa dici di fare?” gli chiese, guardandolo negli occhi.

Miouuoo!” le rispose.

“Concentrarmi?”

Miao scosse la testa da destra verso sinistra per confermare l’affermazione di Deborah. Lei convogliò tutte le sue energie psichiche su come raggiungere il teschio di cristallo e, come per incanto, si ritrovò nel suo bilocale. Accese la candela e ritornò da dove era partita.

“Stai bene?” Udì una voce che pareva venire da lontano. Si sentì strattonare bruscamente. Aprì gli occhi e vide Anna accanto a lei.

“Stai bene?” le domandò ancora una volta con voce accorata e ansiosa. “Hai una strana faccia, Sei bianca cadaverica come se avessi visto il diavolo in persona” aggiunse la compagna di squadra.

“Sì, sì. Solo un momento di stanchezza” fece Deborah, bagnandosi il viso con acqua fresca. “Oggi è stata dura riprendere gli allenamenti” disse e si avviò con lentezza verso il parquet.

Aveva capito, cosa avrebbe dovuto fare nelle prossime sere. Riprese gli esercizi con le compagne sollevata e serena. Adesso tutto le riusciva alla perfezione. Il coach non doveva più riprenderla.

Tornando a casa verso mezzanotte, accarezzò il gatto che fingeva di dormire beatamente sul sedile.

“Grazie, Miao! Ora so come fare. La lucidatura della teca la facciamo al nostro rientro” fece allegra Deborah.

Miaouuuu!” rispose sbuffando e sbadigliando.

“Ho capito! Nessun aiuto da parte tua. Tu assisti solamente, se non ti addormenti prima” replicò una Deborah sorridente.

Dopo una ventina di giorni di duri allenamenti e qualche partitella distensiva venne il gran giorno della partenza. Doveva trovarsi nel centro sportivo alle otto, dove avrebbe lasciato nel garage la sua classe A. Una leggera seduta di allenamento ginnico per sciogliere la muscolatura nella mattinata, il pranzo, un paio di ore di relax e infine il viaggio alla Malpensa per l’imbarco, una breve sosta a Francoforte prima del gran balzo verso Rio de Janeiro. Preparato un trolley leggero con poco bagaglio e messo in borsa il Sony Prs-T2 con un bel po’ di ebook da leggere tra voli e soste, Deborah, scortata dal fido Miao, si congedò dal teschio di Cristallo e iniziò la trasferta tra paure e curiosità.

Si domandò, mentre si stava recando alla Malpensa, come avrebbe potuto soddisfare il rito della candela e della lucidatura della teca. Se finora le era riuscito col prezzo di un grosso sforzo psichico, non era in grado di comprendere come sarebbe stata capace trasferirsi dalla cabina dell’aereo al bilocale e tornare indietro.

“Ma quando poi sarò in Sud America, come farò?” si disse osservando il panorama dal finestrino del pullman che la stava trasportando all’aeroporto. Mentalmente calcolò che sarebbe arrivata a Francoforte all’incirca tra le venti e le ventuno. “Forse posso farcela” si rincuorò, prima di chiudere gli occhi.

Gaia in quel mese di luglio si negò ripetutamente a Simone, che la tempestò di chiamate e sms. Era stata una brava pallavolista, convocata più volte in nazionale. Aveva vinto numerosi trofei con il suo club in Italia e in Europa. A trentacinque anni aveva detto che era meglio lasciare il posto ai giovani e aveva appeso le scarpette al classico chiodo. Chiusa la carriera sportiva, era rimasta nell’ambiente, sistemandosi dietro una scrivania, facendo valere la sua lucidità mentale e la sua capacità di gestione della squadra. Era alla ricerca di un partner affidabile e maturo. Simone l’aveva colpita sia perché era un bel ragazzo poco più alto di lei, che perché aveva dimostrato, nonostante gli oltre dieci anni di differenza, una maturità insospettabile per la sua età. Sapeva che frequentava da oltre due anni una giocatrice di basket ma questo dettaglio non aveva costituito per lei un intralcio, abituata a lottare sul campo e fuori. Infatti era riuscita nel suo intento: fargli rompere la relazione con Deborah e sostituirsi a lei. Tuttavia quello strano episodio notturno di fine giugno aveva lasciato un segno tangibile. Quella figura, che lei aveva riconosciuto come la ex di Simone, e quel gatto, del quale aveva intravvisto solo due enormi bottoni d’oro, l’avevano inquietata e non poco.

“Simone ha un bel da dire che è stata solo una forte suggestione, perché non era possibile che lei fosse lì. Non metto in dubbio che materialmente non poteva essere entrata in casa mia, senza che noi ce ne fossimo accorti. Ma quello sguardo penetrante e carico di odio mi ha marcato a fuoco la pelle, tanto che tuttora di notte sento la sua presenza” fece Gaia, chiudendo l’ennesima chiamata di Simone senza rispondergli.

Dopo quell’episodio cautamente aveva chiesto allo psicologo del club, se fosse possibile che una persona potesse trovarsi in due posti differenti allo stesso tempo, muovendosi come un fantasma. La risposta l’aveva spiazzata alquanto.

“Sì” le rispose, mettendola nel panico. “Ci sono persone che riescono a proiettare la propria immagine nella mente di un altro, facendogli percepire la sua presenza fisica. Naturalmente prove scientifiche non ci sono e dubito molto che se ne possano trovare. Sono fenomeni che sono catalogati sotto la parapsicologia e in particolare sulla psicocinesi o telecinesi a seconda dei gusti personali”.

Su questa chiacchierata informale rifletté a lungo. Fece qualche ricerca ma non riusciva a scrollarsi di dosso quello sguardo. Con Simone non avrebbe proseguito la relazione, se prima lei non fosse stata in grado di eliminare quella spiacevole sensazione. ‘É un vero peccato, perché lui è l’uomo migliore che abbia conosciuto finora sotto tutti gli aspetti’ si disse, chiudendo l’uscio di casa.

Deborah, seduta nella sala d’attesa dei VIP, era stremata per il grosso sforzo di rientrare in Italia nel suo bilocale e ritornare a Francoforte in attesa dell’aereo per Rio. Teneva gli occhi chiusi e cercava di regolarizzare il battito del cuore.

“Ce l’ho fatta anche stavolta. Ma è sempre più faticoso” fece la ragazza, masticando con lentezza una barretta di cioccolato fondente. Era pallida e cadaverica, come se da un momento all’altro dovesse svenire. Mentre le compagne erano sciamate al duty-free dell’aeroporto alla ricerca di qualcosa da comprare, lei era rimasta lì, decisa a rispettare l’impegno della candela. Ce l’aveva fatta, ancora una volta, pagando nel fisico un prezzo altissimo.

Si doveva ricomporre in modo presentabile, prima dell’arrivo delle altre. Mentre praticava esercizi di rilassamento, avvertì uno sguardo su di lei. Volutamente lo ignorò. Doveva riprendersi prima di poter scoprire a chi appartenesse. Miao era acciambellato ai suoi piedi e pareva dormire beatamente. Dedusse che non correva pericoli.

“Lui è un essere magico e questi viaggi nello spazio non gli danno noie. Diversamente da me” ragionò con gli occhi chiusi.

Percepì un movimento accanto a lei, come se una persona si fosse avvicinata. Tuttavia Miao non fece una piega. Continuò a ronfare pacificamente.

“Che strano! Di solito soffia minaccioso in queste circostanze”.

Socchiuse gli occhi in una minuscola fessura per osservare la poltrona accanto alla sua. Era vuota fino a pochi istanti prima ma adesso pareva occupata.

“É forse la persona che mi guardava intensamente pochi istanti fa?” fece, mentre li aprì completamente.

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La notte di San Giovanni – parte ventriquattresima

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Simone, dopo aver fatto colazione con Gaia in Galleria Vittorio Emanuele, la salutò.

Ci vediamo stasera?” le domandò incerto, se gradiva da lei una risposta positiva o negativa.

No. Ho degli impegni. Mi faccio viva io”. Gaia lo liquidò con freddezza, dandogli un casto bacio sulla guancia. Quelle sensazioni sgradevoli della notte non si erano ancora dissolte e voleva meditare bene prima di impegnarsi con lui. Però era innegabile che qualcosa di strano fosse avvenuto, mentre lei era sveglia. Strano e inspiegabile. Se avesse provato a raccontare l’episodio a qualcuno, questi l’avrebbe osservata in malo modo, come si fa quando si compatisce una povera demente. Nessuno le avrebbe creduto, quindi era preferibile mantenere il silenzio sulla vicenda.

Simone si avviò a piedi verso piazza Missori, avvertendo che tra lui e Gaia si era alzato un muro di freddo. Riaprì lo smartphone, certo di trovare un SMS di Deborah o un messaggio vocale in segreteria oppure una chiamata senza risposta. Tuttavia rimase deluso. Tra i molti ricevuti non c’era quello della sua ex-ragazza. Scorse il registro delle chiamate, sperando di trovare una chiamata persa. Neppure lì trovò tracce che lei si fosse fatta viva. La segreteria era vuota. Deluso rimise in tasca il telefono. Una pessima premonizione gli faceva intuire che qualcosa era andato storto nel suo piano. Di due rischiava di non averne neppure una. Alzò le spalle e accelerò il passo.

Era quasi mezzogiorno, quando Deborah parcheggiò la sua Classe A nel box sotto casa. Raccolse la teca che conteneva il teschio e salì nel suo bilocale. Era caldo con l’aria stantia per essere stato chiuso due settimane. Diversamente dal solito non aprì subito le finestre per arieggiare gli ambienti. Aveva un bisogno impellente: doveva trovare un posto per la teca. Le istruzioni era state categoriche e chiare ‘Il posto non deve ricevere il sole direttamente, né essere al buio. Inoltre non deve essere visibile a nessuno‘.

Per loro è facile!” esclamò la ragazza che si aggirava in quei due locali alla ricerca della collocazione giusta.

Nulla. Nessun segno. Dunque né nella sala da pranzo né nella camera da letto doveva collocarla. Rimanevano il bagno, che però era cieco, e la cucina che dava sul retro del palazzo, esposto a nordest, e prendeva luce dalla portafinestra della terrazza. Si diresse verso quel locale, dove di solito trascorreva la maggior parte del suo tempo, quando era in casa. Una sensazione. Si fermò, come per ascoltare la voce del teschio. Un’altra sensazione. ‘Sì! Siamo nel posto giusto! Aveva ragione Sajana nel dire che avrebbe trovato da solo la collocazione!’ si disse tutta allegra.

Si guardò in giro. ‘Ma dove?’ fece, sedendosi sulla sedia. Non vedeva posti utili. La teca stava sul tavolo ma era pulsante. Sembrava che volesse comunicare qualcosa. ‘Cosa?’ si domandò, mentre l’ansia saliva. Non vedeva qualcosa che facesse allo scopo. Si alzò e cominciò ad alzare le tapparelle con misurata lentezza. Si sforzava di riflettere senza approdare a nulla. Un fiotto di aria calda umida irruppe nella stanza. Le due piante, lasciate sul terrazzo nella speranza che sopravvivessero, erano ingiallite e seccate. Scosse la testa. Di loro se ne sarebbe occupata in seguito. Non poteva sperare che avessero potuto resistere al caldo afoso di Milano senza acqua per quindici giorni. Si girò e fu fulminata da una visione. La teca si era spostata ed era finita accanto alla cappa sopra il piano cottura in un ripiano che una volta ospitava barattoli. Non si curò di conoscere la loro sorte. Ovunque fossero finiti, non sarebbero più ritornati nel posto originale.

Simone rientrò nel suo appartamento, sicuramente sproporzionato alle sue esigenze. A lui piacevano le belle cose e non voleva intristirsi nel solito anonimo bilocale o nell’ancora più modesto monolocale. Quindi aveva scelto un bel trilocale, ampio e luminoso, in una traversa di via Torino. Un palazzo pretenzioso con tanto di portiere gallonato. Col primo ingaggio se l’era comprato. Era soddisfatto a metà, perché gli piaceva vivere in un ambiente confortevole ma allo stesso tempo reputava di essere stato forse troppo precipitoso nell’acquisto. Era quasi certo di averlo pagato troppo. Tuttavia non capiva perché Deborah avesse scelto quel bilocale caldo e angusto, che gli dava un senso di soffocamento ogni volta che si recava là. Lei aveva rinunciato alla sua proposta di andare a convivere con lui. Aveva preferito restarsene per conto suo. ‘Forse è stato meglio così’ si disse, spogliandosi per farsi una doccia. Se avesse accettato, adesso avrebbe costituito solo un problema da risolvere e sarebbe stata d’impiccio.

Consultò ancora una volta Iphone senza trovare traccia della ragazza. Lo depose sul cristallo, che sorreggeva i lavandini del bagno, a portata di mano, nel caso che avesse chiamato, mentre era sotto il getto della doccia. Ripensò allo strano episodio della mattina a casa di Gaia.

Dice di avere avuto la sensazione che Deborah fosse stata ai piedi del letto a osservarli. No, non è possibile” fece, scuotendo la testa, mentre l’acqua calda scivolava sulla pelle.

Non riusciva a immaginare come avesse potuto introdursi nell’appartamento, senza che loro se ne fossero accorti. Per questo motivo era certo che che non ci fosse stato nessuno nella stanza con loro. Tuttavia aveva compreso che Gaia aveva cambiato umore e predisposizione verso di lui dopo quell’episodio singolare. Non poteva esserci solo suggestione ma anche qualcosa di vero nel racconto. ‘Ma cosa?’ si domandò, perché non era verosimile che Deborah si fosse introdotta in casa senza essere notata e se ne fosse andata indisturbata. ‘Un fantasma? Ma esistono i fantasmi?’ si disse, mentre con cura si asciugava ogni centimetro di pelle. Scosse ancora il capo. Non poteva credere a queste fantasie. Di sicuro tra lui e Gaia qualcosa si era incrinato. Non aveva la percezione di quanto ma per riconquistare la sua fiducia avrebbe dovuto sudare non poco. Per rendersene conto compose il suo numero e la chiamò.

La ragazza vide sullo schermo il numero di Simone. ‘Cosa vuole ancora?’ si disse. Da un lato esisteva la curiosità di conoscere cosa volesse ma allo stesso tempo non desiderava parlargli. Nell’incertezza se dare sfogo alla curiosità o alla promessa di meditare sul loro rapporto, lasciò suonare a lungo il Galaxy 4, facendo scattare la segreteria.

Perché non rispondi?” si domandò Simone, chiudendo la chiamata sulla voce che lo invitava a lasciare un messaggio.

Miao si aggirava silenzioso nel nuovo possedimento. Era piccolo ma di suo gradimento. Studiò quale parte dell’appartamento si sarebbe riservato. Poi decise. Il divano o la poltrona sarebbero state sue, come suo sarebbe stato il terrazzo della cucina. Guardò male quelle due povere piante rinsecchite e convenne che non ci sarebbe stato posto per qualcosa d’altro lì. Al massimo avrebbe tollerato Deborah e una sedia. Il resto era solo e solamente suo. Marcò il territorio con soddisfazione.

Ti piace, Miao?” gli domandò Deborah che aveva osservato tutti i movimenti del gatto.

Miaooo” rispose soddisfatto, alzando la coda.

La ragazza aprì le altre finestre per cambiare l’aria viziata nei vari locali, sempre seguita dal gatto. Aveva aperto l’ultima finestra, quella della sua camera da letto, quando sentì le note aspre dei Coldplay.

Vaffanculo” esclamò, chiudendo stizzita la chiamata. Era comparso il viso di Simone.

Cominciamo bene il ritorno a casa!” fece Deborah, gettando lo smartphone sul letto. “Cosa spera? Crede forse chye mi stia strappando i capelli dalla disperazione?” si domandò, uscendo dalla stanza.

Vieni, Miao. Dobbiamo recuperare il resto del bagaglio”.

Si avviarono verso il box per prendere dalla macchina valigie e borse. Dopo un paio di viaggi, salirono per l’ultima volta nell’appartamento. Deborah sbuffava e stava sudando copiosamente.

Non sei stato di grande aiuto, Miao!” fece la ragazza, aprendo la porta d’ingresso. Il gatto non rispose ma in compenso udì la suoneria con la dolce melodia dei Platters.

Vediamo chi disturba ancora, Miao” disse Deborah, mentre depositava le borse per terra.

Guardò lo schermo e vide diverse chiamate perse.

Oggi pare di essere molto gettonata, Miao” fece la ragazza, rivolgendosi al gatto. “Guardiamo chi mi cerca”.

Scorreva i diversi numeri chiamanti e le sovvenne quanto aveva detto Sajana ‘sarai cercata da molte persone‘. A quanto pare leggeva bene il futuro.

Stava facendo queste riflessioni, quando comparve nuovamente il faccione di Simone.

Non hai capito che non ti voglio più parlare” esclamò infuriata, chiudendo la chiamata.

Simone però non aveva intenzione di demordere. Uscì di casa per raggiungere a piedi il bilocale di Deborah in una traversa di Corso Italia. Suonò ripetutamente ma nessuno gli aprì il portone. Imprecando tornò indietro. La giornata odierna non era cominciata sotto buoni auspici. Percepì che con Deborah sarebbe stato assai arduo vedersi de visu, mentre con Gaia la relazione era partita col piede sbagliato.

Mi domando” fece Simone, aprendo l’ingresso del suo appartamento. “Mi domando quale diavoleria ha usato per impaurire così tanto Gaia. Lei non lo ammette apertamente ma quella visione l’ha scioccata non poco. Suggestione o telepatia? Non mi pare che Debbie abbia mai dimostrato di avere dei poteri in grado di penetrare nella mente delle persone. Tutto questo non ci voleva”.

Sfiduciato si abbandonò sulla poltrona preferita.

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La notte di San Giovanni – parte ventitresima

dal web - locandina film
dal web – locandina film

In albergo Deborah lesse il messaggio di Simone, il suo ragazzo. Ebbe la conferma di quello che aveva ascoltato poco prima da Sajana. In poche parole l’aveva scaricata senza troppi complimenti. Piena di rabbia, nervosa si apprestava a digitare una risposta di fuoco, quando Miao si strisciò con dolcezza sulla sua schiena. Questo contatto la calmò quasi all’istante.

A lui penserò domani. Non merita una risposta immediata” fece, accarezzando il gatto, che ricambiò la gentilezza.

Simone era, come lei, un giocatore di basket e militava in una squadra lombarda di seconda fascia senza fama e senza gloria. Era stato un promettente giocatore nelle giovanili dell’Olimpia, le mitiche scarpette rosse, ma poi si era smarrito senza progredire e senza fare quel salto di qualità che gli allenatori gli avevano pronosticato. Era andato in varie formazioni delle leghe minori per fare esperienza, senza mai sbocciare, né migliorare. A venticinque anni viveva ai margini della pallacanestro che conta, diversamente da Deborah, che a ventidue anni voleva crescere e imporsi anche nella massima divisione. La vita da atleta lo infastidiva, perché preferiva divertirsi. Il suo futuro non era certamente roseo. Aveva preferito abbandonare gli studi in terza liceo. Di questo non era minimamente preoccupato e a chi glielo faceva notare, rispondeva che ci avrebbe pensato quando sarebbe venuto il momento. Deborah invece studiava al Politecnico per diventare informatica. Forse non le sarebbe stata utile la laurea ma a qualcosa poteva servire. Se non avesse sfondato nel basket, avrebbe usato quel titolo di studio per affrontare una nuova vita. Non ci stava a fare la perdente come Simone.

Devo imparare a controllare maggiormente le mie reazioni. Devo rimanere lucida anche quando le cose non procedono nel verso giusto. Mi serve nella vita e nello sport” si disse Deborah, mentre si preparava per la notte. Miao si era acciambellato sul fondo del letto e pareva già addormentato. Lei invece non aveva sonno. Le ultime vicende la tenevano sveglia e la facevano riflettere. Le parole di Sajana e della vecchia signora dai capelli bianchi continuavano a ronzarle nella testa. Si domandava nel buio della stanza come sarebbe riuscita a rispettare le istruzioni ricevute per il teschio. Non trovava una soluzione e preferì pensare ad altro.

Il comportamento di Simone l’aveva indispettita. Dovevano partire per la Svezia tra due giorni ma adesso era saltato tutto. Non le importava perdere la caparra dell’albergo e dei biglietti aerei, anche se questo le dava qualche pensiero. Era il modo con la quale l’aveva liquidata che bruciava.

Ora non pensarci più. Invece dei dieci giorni a Stoccolma te ne starai in relax a Milano con camminate mattutine e palestra alla sera per riprendere confidenza con pesi e altri strumenti ginnici. Devo essere tonica quando si farà sul serio” si disse, prima che il sonno la ghermisse.

Simone aspettava la risposta al suo messaggio ma questo tardava. Se non aveva sbagliato i suoi calcoli, Deborah si sarebbe attaccata la telefono per chiedere spiegazioni e urlare la sua rabbia.

Mi sono stancato di lei. Per Debbie esiste solo il basket. Guai questo. Quello non è adeguato a un atleta. Niente sesso, né alcolici. A letto presto. Insomma una lagna. Io voglio divertirmi ora che posso e non quando sarò vecchio” si disse, mentre osservava lo smartphone, che restava muto.

Si stava preparando per uscire con Gaia, la general manager di una squadra femminile di pallavolo. Davanti allo specchio si rasava con cura, sempre vigile a cogliere segnali di vita dal telefono, che invece rimaneva con lo schermo nero e silenzioso. Guardò l’ora.

Acc! Sono in ritardo. In dieci minuti devo attraversare Milano” fece, accelerando i preparativi. Uscì a precipizio e guidando sopra le righe, si fermò sotto casa di Gaia. Spense lo smartphone. Era inutile correre il rischio di una telefonata imbarazzante, mentre era con la nuova fiamma.

Ciao” le disse, accogliendola nell’auto. Una leggera sgommata e via verso un locale notturno nella Brianza. Di Deborah, della vacanza insieme a Stoccolma non c’era traccia nella sua mente. Adesso esisteva solo Gaia.

Deborah si muoveva in un parco che non conosceva. C’era una grande festa con bandiere a stelle e strisce in bella mostra. Si fermò. Qualcosa la colpì. Si avvicinò incuriosita. In una locandina era esposto un giornale, del quale ignorava l’esistenza. Cominciò a leggere la notizia in prima pagina. ‘Ancora un teschio di cristallo!’ esclamò mentalmente.

Independent Daily Newspaper– Duneland news and sports — Chesterton, Porter, Burns Harbor in Porter County, Indiana

Duneland Community Newspaper Since 1884
193 S. Calumet, Chesterton, IN 46304 219 926-1131

Mysterious robbery in the house that once belonged to Anne Mitchell-Hedges
Bill Homann, who married Anne Mitchell-Hedges in 2000, said he was the victim of a robbery, which tastes sensational. He was the keeper of the Crystal Skull, which had belonged to his wife, who died in April 2007. It is a controversial relic, because some speculate that it is a resounding fake, while others think that it dated Maya. As reported by the sheriff, McDonald, the man would have denounced the disappearance of the relic of Mayan origin. The skull was kept in a glass case, the opening of which is controlled electronically through fingerprints. In the night between 23 and 24 June has disappeared. Apparently the electronic lock has been forced, while the system of recording of the images did not show the presence of strangers. Yet, at 11 in the evening of June 23, we see clearly that the skull was inside the glass case. An hour after this appears empty. Images do not show how this could have happened. One particular oddity appears few minutes before the disappearance. It seems that there was a black cat who wandered nearby. The question is spontaneous. Is it possible that a cat can steal a skull that weighs many pounds?

The sheriff has opened investigations, which look difficult.1

La lettura la lasciò basita. Non era possibile, si disse, mentre si allontanava dalla bacheca, dopo avere letto la notizia. Riflettè sulle modalità di questo furto insolito, sugli orari, sulla presenza di un gatto nero. C’era in tutto questo qualcosa di familiare. Si agitò e si svegliò in un lago di sudore. Si alzò cercando di non svegliare Miao, che mostrò invece i due bottoni d’oro che aveva al posto degli occhi.

Dormi” fece Deborah, lisciando il pelo.

Da una bottiglia sul tavolo si versò un bicchiere d’acqua, che bevette con avidità. ‘Ancora un sogno strano’ si disse, tornando nel letto. Tuttavia il sonno se era andato. Notò che tra un po’ avrebbe albeggiato. Provò a chiudere gli occhi, ben consapevole che tra qualche ora si sarebbe messa al volante della sua auto per tornare a Milano. Questo le fece ricordare che Simone si era dimostrato un personaggio squallido. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo di persona, quando sarebbe ritornata.

Di sicuro starà nel letto con un’altra donna!”

E lo vide che dormiva nudo accanto a una bionda che non conosceva. Osservò meglio e notò che appariva sveglia, come se avesse percepito la sua presenza.

Simone” disse Gaia, scuotendolo.

Che c’è?” fece il ragazzo, intorpidito dal sonno. “É già ora di alzarsi?”

No. É ancora notte. Però ho avvertito una strana sensazione” affermò allarmata la ragazza.

E mi svegli per una sensazione? Ma che razza di sensazione hai avuto?” domandò con la voce impastata di sonno e di alcol.

Non ridere” fece Gaia.

Cercherò di essere serio” replicò con ironia Simone leggermente indispettito.

Tu frequentavi una ragazza, quando ci siamo conosciuti”.

Sì ma lei è a Cattolica in vacanza” sottolineò il ragazzo, che non afferrava il nesso della chiacchierata.

Sarà ma era in fondo al letto che ci osservava” disse la ragazza, coprendosi col lenzuolo.

Simone prese a ridere sommessamente, scuotendo la testa.

Mi avevi promesso di non ridere” affermò seccata Gaia.

Certo”. E finse di essere serio.

Ma è stato un lampo. Un flash. Ma la sensazione di essere osservata mi è rimasta” concluse la ragazza.

Forse. No! Sicuramente è stata solo una suggestione” disse Simone, rimettendosi a dormire.

Gaia rimase con gli occhi aperti e con la sensazione sulla pelle che la rivale la stesse osservando. Strinse le palpebre, perché le pareva di notare accanto alla figura femminile due bottoni dorati. ‘No! Non c’è nessuno nella mia camera. Ha ragione Simone. É stata solo suggestione’ si disse poco convinta. Provò a sdraiarsi nel vano tentativo di prendere sonno. Quei due sguardi le erano rimasti appiccati e non sarebbero svaniti molto in fretta.

Deborah li guardò e ascoltò il loro dialogo. Un brivido percorse la sua schiena. Non le pareva possibile che potesse trovarsi in due posti distanti centinaia di chilometri. ‘Il teschio mi ha fornito magici poteri?’ si chiese insicura. Tuttavia adesso sapeva chi era la donna con la quale Simone era a letto.

Ora ricordo chi è. É quella smorfiosa che gli ha fatto gli occhi dolci, quando a maggio siamo entrati in un locale della Brianza. Lui ha affermato di non conoscerla ma l’impressione è stata diversa. Quel porco mi stava già tradendo anche in quel momento!” esclamò a bassa voce.

Affermò risolutamente che non meritava una risposta. Miao aveva fatto bene a impedirle di rispondere. Si girò e riprese a dormire. Questa volta senza sogni.

1Rapina misteriosa nella casa che fu di Anne Mitchell-Hedges

Bill Homann, che ha sposato Anne Mitchell-Hedges nel 2000, ha detto di essere stato vittima di un furto, che ha il sapore di sensazionale. Egli era il custode del teschio di cristallo, che era appartenuto a sua moglie, morta nel mese di aprile 2007. Si tratta di un reperto controverso, perché alcuni ipotizzano che si tratta di un clamoroso falso, mentre altri pensano che fosse di epoca Maya. Come riportato dallo sceriffo, McDonald, l’uomo avrebbe denunciato la scomparsa della reliquia di origine maya. Il teschio è stato mantenuto in una teca di vetro, la cui apertura è controllata elettronicamente attraverso le impronte digitali. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno è scomparso. A quanto pare la serratura elettronica non è stata forzata, mentre l’impianto di registrazione delle immagini non ha mostrato la presenza di estranei. Eppure, alle 11 di sera del 23 giugno, si vede chiaramente che il teschio era dentro la teca. Un’ora dopo questa appare vuota. Le immagini non mostrano come questo sia potuto accadere. Una particolare stranezza appare pochi minuti prima della scomparsa. Sembra che ci fosse un gatto nero che si aggirava nelle vicinanze. La domanda è spontanea. E’ possibile, che un gatto possa rubare un teschio che pesa qualche chilo?

Lo sceriffo ha aperto le indagini, che si presentano difficili.

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La notte di San Giovanni – parte ventiduesima

foto personale
foto personale

Non posso crederci!” esclamò, vedendo le due figure, che si stagliavano sul cielo arrossato della sera.

Ritornò sui suoi passi e si trovò al loro cospetto. Il gatto si strisciò dapprima con la testa, poi col corpo e infine con la coda sulle gambe di Deborah per manifestare la propria soddisfazione.

Non credevo che vi avrei più riviste!” esclamò la ragazza visibilmente contenta.

Non abbiamo potuto salutarti la notte di San Giovanni, perché avevano bisogno di noi dall’altra parte del mondo, nell’emisfero australe. Lo facciamo stasera” disse la signora dai capelli bianchi.

Ma se non venivo?” domandò la ragazza tra l’incredulo e il soddisfatto.

Saresti venuta. Non potevi non raccogliere il nostro invito” fece Sajana, che era rimasta in disparte silenziosa.

Deborah era basita. Lei non aveva ascoltato nessun richiamo. L’unico pensiero era rivolto al mattino successivo, quando, chiuso il trolley e qualche borsa, avrebbe preso la strada del ritorno a Milano. ‘Miaouuu‘ le ricordò che c’era un gatto nero acciambellato ai suoi piedi. E comprese tutto.

Bene. Ora sistemiamoci su queste sedie intorno al tavolo” disse la signora dai capelli candidi.

E come per magia, comparvero tre comode sedie in legno e un tavolo di ferro. La ragazza osservò tutto questo con gli occhi sgranati per la sorpresa senza proferire una parola. Si sedettero, mentre rapidamente le prime ombre serale rendevano scuro il panorama.

Tu sei stata designata da Anna Mitchell Hedges a conservare il teschio di cristallo” cominciò la signora dai capelli candidi.

Deborah aprì la bocca ma la richiuse subito. Aveva compreso che non sarebbe uscito nulla. Un brivido stava percorrendo la sua schiena.

Conservarlo al sicuro e non mostrarlo a nessuno” continuò Sajana.

Ma l’hanno visto in tanti la notte di San Giovanni!” fece la ragazza con tono alterato della voce.

Un sorriso comparve sul volto delle due donne. L’espressione cupa e distaccata si trasformò per un attimo in una gioiosa e rilassata.

No. Nessuno l’ha notato” disse la signora dai capelli candidi, scuotendo la testa per rafforzare l’affermazione.

Ma Alex?” domandò Deborah.

Lui fa parte del progetto e non conta. Anzi è stato punito per essere uscito dalle righe. Non doveva baciarti né guardarti con occhi innamorati” affermò con forza Sajana.

La ragazza era sempre più frastornata. Stava comprendendo che quella serata era stata fin troppo magica e aveva trasceso la sua razionalità. Era inutile tentare di decifrarla. Sarebbe stato solo un rompicapo intricato, intrigante e inspiegabile. Però comprese il senso del primo sogno, quello dove per la prima volta aveva visto Mike. Quello, che a lei era sembrato un incubo senza senso, adesso acquistava una sua valenza. Era stato il prologo a tutta quell’avventura che aveva vissuto in poche ore nella notte di San Giovanni. Adesso doveva solo ascoltare quello che queste due donne avevano da raccontarle.

Riceverai una chiamata e dovrai obbedire al richiamo” fece la signora dai capelli bianchi, riprendendo il filo del discorso interrotto.

Come faccio a riconoscerla?” chiese Deborah, che avvertiva di essere imprigionata nella tela del ragno, dopo essere stata catturata.

Non ti preoccupare. Saprai distinguerlo tra mille avvisi falsi. Non abbandonare mai Belzeblù. Lui sarà scorta e guida allo stesso tempo” spiegò Sajana, mentre il gatto nero sbadigliò e emise un ‘Miaoo‘ di conferma. “Ma parliamo di cose frivole. Hai trovato i due bacili?”

Sì! E ho fatto come mi ha suggerito. Mi sono bagnata il viso con l’acqua coi fiori di iperico e ho osservato le figure di cera nell’altro” disse la ragazza.

Bene. Quella persona raffigurata con la cera la incontrerai in un momento inaspettato. L’attuale persona ti pianterà in asso. Non ti crucciare. Lui meditava da tempo l’abbandono. Ora i tempi sono maturi” concluse Sajana, mentre lo squillo di un sms ruppe il silenzio della notte.

Deborah sapeva che era arrivato per lei ma adesso non aveva tempo di consultare lo smartphone. L’avrebbe fatto con calma in hotel.

Ma in realtà non ho visto un volto ma dei simboli. Se li ho interpretati giusti, non conosco nessun giornalista di cronaca rosa. A dire il vero non ne conosco per nulla” disse con tono ansioso Deborah.

Non ha importanza. É irrilevante questo dettaglio. Se hai visto correttamente i segni, quando meno te lo aspetti, farai conoscenza con lui. Ma ora parliamo del teschio” fece Sajana, chiudendo questo argomento di conversazione.

Mettilo in una teca trasparente. Il posto non deve ricevere il sole direttamente, né essere al buio. Inoltre non deve essere visibile a nessuno” disse la signora dai capelli bianchi.

É facile per voi dirlo, perché per magia fatte comparire o scomparire sedie e tavoli. Io abito in un bilocale a Milano. Due misere stanza più i servizi. E luoghi come quelli che ha appena descritto non ce ne sono” fece Deborah amareggiata.

Lo sappiamo. Ma vedrai che il teschio troverà da solo la sua collocazione” dichiarò con tono piatto Sajana.

Ammettiamo che sia vero ma la teca dove la compro?” chiese la ragazza tra il curioso e lo scetticismo.

Ecco” fece la signora dai capelli bianchi, facendo comparire una custodia trasparente delle esatte dimensioni per ospitare il teschio. “É di cristallo. Va lucidato come tutti i cristalli” concluse la signora.

Deborah spalancò gli occhi e deglutì in fretta con un piccolo gorgoglio. Si pose la domanda come avrebbe fatto per trasportarlo alla macchina. Le pareva malagevole e ingombrante. Non sarebbe stato facile il trasporto.

Non ti preoccupare, perché vedo correre in te scetticismo e perplessità. É leggerissimo come una piuma. Per gli altri sarà pesante come un macigno” aggiunse la signora dai capelli bianchi.

La ragazza lo afferrò con due mani e notò immediatamente la leggerezza del manufatto. Tutti i dubbi svanirono. Si domandava come fosse possibile che per lei fosse leggero, mentre per gli altri sarebbe stato un peso non indifferente. Era immersa in queste riflessioni, quando udì la voce di Sajana.

Nessuno deve conoscere l’esistenza di questo teschio. Neppure il tuo nuovo compagno. Dovrai osservare questo riserbo almeno fino alla chiamata”.

Ma tra venticinque giorni sono di partenza per Rio de Janeiro e resterò assente per oltre un mese. Chi lo custodirà?” domandò preoccupata la ragazza.

Alex veglierà sul tuo bilocale, senza che possa vederti” rispose Sajana.

Deborah aveva un’altra domanda che la inquietava.

Ma chi accudirà a Miao?”

Viaggerà con te” disse seccamente la signora dai capelli bianchi.

La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa. ‘Viaggiare con me? Ma è impossibile!’ si disse, prima di essere preceduta nella risposta.

Nessuno lo noterà. Nemmeno quando chiederai del cibo per lui. Ma ora parliamo di come preparare il teschio per l’incontro programmato” fece la signora dai capelli bianchi.

La ragazza stava per intervenire, quando Sajana iniziò a spiegarle come si doveva comportare.

Ogni sera alle 21 dovrai estrarre il teschio dalla sua custodia e metterlo al centro del tavolo. Sul lato destro accenderai una candela rossa su quel portacandele che il vecchio ti ha donato, visto che tu sei stata generosa con lui. Non dimenticarti mai di questo rito”.

Deborah deglutì vistosamente. L’orario le pareva inconsueto, perché significava che per quell’ora doveva essere a casa. Cascasse il mondo.

Ma non so se posso essere in casa per quell’ora. Talvolta abbiamo allenamenti serali. Altre volte è in corso la partita. Non sarebbe meglio trovare un altro orario?”

No” la gelò Sajana.

La ragazza sospirò. Questa storia cominciava col piede sbagliato.

Quando la candela avrà fatto il suo corso, riponi il teschio nella sua custodia e il portacandele in un luogo sicuro”.

Quando tornerai a Milano, noterai che molte persone vorranno fare la tua conoscenza. Ne sarai felice, perché prima nessuno ti notava. Tuttavia non farle mai salire nel tuo appartamento. Belzeblù sa essere feroce all’occorrenza. I suoi canini sono più micidiali di mille pugnali. Trova una scusa ma non accoglierle nel bilocale” affermò con decisione la signora dai capelli bianchi.

Deborah si sentì smarrita, prigioniera di eventi che la usavano come arma. E non poteva sottrarsi.

Stava per replicare infastidita da tutti questi grattacapi, quando vide dissolversi tutto. Nel buio erano rimasti solo lei e il gatto nero, mentre ai suoi piedi scintillava la teca.

La raccolse e senza dire niente si avviò alla macchina, seguita da Miao con la coda eretta.

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La notte di San Giovanni – parte ventunesima

dal web
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I rimanenti giorni della vacanza passarono lenti e senza grossi sussulti. Tra poco sarebbe rientrata a Milano. Una settimana ancora di relax, poi avrebbe ripreso gli allenamenti con la sua squadra. Avrebbe effettuato una tournée in America meridionale a fine luglio. Non sarebbe stata uno svago, una passeggiata, perché avrebbero incontrato le squadre più forti di quel continente nel pieno svolgimento dei loro campionati. L’aspetto positivo era che avrebbe visitato posti sconosciuti. Aspettava con impazienza di partire per il Brasile, la prima tappa.

Adesso voleva godersi gli ultimi scampoli di villeggiatura senza pensare a nulla. La notte di San Giovanni era un ricordo ancora vivo. Deborah pensò che non fosse ripetibile. Più rifletteva, più trovava assurdi tutti gli eventi nel quale era stata coinvolta. Si domandò che razza di magia era avvenuta in quella nottata strana. Il teschio di cristallo, ancora impacchettato, stava tranquillo nel trolley. Il gatto nero pareva invisibile agli occhi tutti. Eppure quando ordinava qualcosa per lui, nessuno muoveva obiezioni. L’atmosfera stregata di quella notte continuava a far sentire il suo influsso su di lei.

In spiaggia Deborah, sdraiata al sole, osservava quello che succedeva intorno a lei. Il gatto nero arrivava quando era il momento del pranzo a reclamare la sua presenza a tavola. Gina arrivava dopo di lei col figlio, Giuseppe, esattamente come faceva prima del 24 giugno. Non smaniava più per nuove avventure trasgressive. ‘Forse si è data una calmata’ si disse, osservando il figlio giocare sulla battigia con gli altri bambini, mentre la madre si rosolava al sole. Non rivide più Monica, né sentì nominare il suo nome. Sembrava essersi volatilizzata.

Tutto procedeva nella stanca noiosità di una villeggiatura di giugno. ‘Ancora una notte e poi si torna nella convulsa e piena di vita Milano’ si disse, girandosi su un fianco.

Stava pisolando come di consueto, nonostante l’allegro e festoso chiasso dei bambini e l’incessante cicaleccio delle madri, quando avvertì il morbido pelo di Miao, che si strofinava sulle sue gambe.

Ciao. Già in azione?” gli domandò Deborah, rizzandosi a sedere sul lettino.

Miaoo” fece il gatto, spalancando le fauci in segno di gradimento.

Ma è ancora presto per la cena” disse la ragazza, accarezzandolo sulla schiena.

Miaoouo” fu la risposta.

Ho capito. Mi trasmetti un messaggio. Dobbiamo tornare in albergo”.

Deborah strinse il felino al petto, che gradì questa prova d’affetto. Lo depose delicatamente sulla sabbia e cominciò a raccogliere le sue cose che infilò nella capiente borsa che l’accompagnava ovunque andasse.

Vieni” gli disse, avviandosi verso l’hotel.

Arrivati nella stanza, Deborah sentì il teschio pulsare. ‘Ecco perché Miao ha sollecitato il mio rientro’ rifletté, mentre si spogliava per fare la doccia.

Il gatto si sistemò in fondo al letto e prese a sonnecchiare ma sempre vigile e attento a tutto quello che succedeva nella camera.

La ragazza aprì l’armadio per scegliere l’abbigliamento per l’ultima sera a Cattolica. Era indecisa tra un abito azzurro leggero e un completo pantalone bianco e camicetta gialla.

Uhm!” mugugnò incerta, prima di scegliere il secondo. Rimase stupita della scelta, perché le sembrava troppo elegante. Qualcosa di misterioso le aveva suggerito quel completo. Scosse la testa, perché sapeva che a guidarla era l’istinto.

Il gatto nero si stirò pigramente, come se avesse approvato la decisione.

Infilò ai piedi delle comode ballerine, anziché le solite espadrilles di Toni Pons con una piccola zeppa. Fece questa operazione meccanicamente, quasi senza accorgersene.

Vieni, Miao. Si va a cenare” disse Deborah, rivolgendosi al gatto, che rimase immobile diversamente dal solito.

Non hai fame?” gli domandò stupita. Era la prima volta, da quando si erano adottati a vicenda che non mostrava interesse a scendere in sala da pranzo.

La ragazza non capiva il motivo del disinteresse. Eppure era certa che l’aveva invitata a prepararsi per la serata. Sempre fermo sul letto, senza aprire gli occhi e con le orecchie abbassate, trasmetteva un messaggio chiaro: stasera non si cena in albergo. Aveva approvato come si era vestita in maniera inequivocabile. Su questo Deborah non aveva dubbi, perché l’abbigliamento scelto non era il solito della passeggiata serale.

Andiamo fuori Cattolica, stasera?” fece la ragazza, che risvegliò l’attenzione del gatto.

Bene! Alzati pigrone! Prendo le chiavi della macchina e si parte!”

Il felino balzò giù dal letto e con la coda alzata si avvicinò alla porta.

Sei un malandrino, Miao!” disse, aprendo la porta della stanza per uscire.

Presa la macchina, Deborah gli domandò dove doveva dirigersi.

Miao

E va bene! La metà è San Giovanni in Marignano” fece la ragazza.

Miaooo” fu la risposta affermativa.

C’era ancora luce, quando Deborah parcheggiò l’auto nella piazza principale.

Però io ho fame e tu no?”

Miaooo”.

Vieni che cerchiamo un chiosco di piadine”.

Erano le nove di sera e c’era ancora luce. Le giornate di fine giugno sembravano non terminare mai. Il borgo pareva rimpicciolito rispetto a qualche giorno prima e sonnecchiava stanco nella calura serale. Il frastuono della festa era cessato e solo poche persone passeggiavano per le vie del paese. Un contrasto netto rispetto al 23 giugno.

Dopo aver cenato, Deborah seguita come un’ombra dal gatto arrivò al luogo dove aveva acquistato il teschio e ascoltato le parole della cartomante. La panchina era vuota e il luogo deserto.

Perché siamo arrivati fin qui?” fece la ragazza, rivolgendosi al felino.

Miao

Non ti capisco. Qui c’è il vuoto e non passa nessuno. La panchina è deserta. E non sento nessuna aura” disse Deborah, accoccolata sui talloni, mentre il gatto pigramente dondolava la testa.

Però Miao non aveva nessuna intenzione di spostarsi da lì, nonostante tutte le sollecitazioni della ragazza, che cominciò a camminare in su e in giù senza dire nulla. Lei continuava a domandarsi perché dava ascolto a un animale anziché alla propria razionalità. ‘Non mi riconosco’ rifletté dopo l’ennesima passeggiata di qualche metro. Stava decidendosi di tornare alla macchina senza indugi e senza aspettare il gatto.

Se vuole venire, bene. Altrimenti resta qui” disse, dando concretezza alla sua decisione.

Aveva fatto qualche passo, quando si sentì chiamare. Si voltò e rimase a bocca aperta.

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La notte di San Giovanni – parte ventesima

tratto da fictionitaliane.com
tratto da fictionitaliane.com

“Vieni Miao. Torniamo a San Giovanni in Marignano. Ci siamo rifocillati e non abbiamo sonno” disse Deborah al gatto nero, che rispose con un Miauu di assenso.

Recuperata la macchina, la ragazza raggiunse il paese in breve tempo. Dopo aver parcheggiato nella piazza principale, cominciò ad aggirarsi alla ricerca del posto dove aveva lasciato i bacili. Lo sguardo vagava a destra e a sinistra nella speranza di trovare qualche appiglio per ricordare. Con la luce del sole tutto le sembrava diverso rispetto alla notte appena trascorsa. Si muoveva in maniera confusa, prima che il gatto non assumesse le redini della direzione da prendere. In un attimo li rintracciò, esattamente come li aveva lasciati qualche ora prima. Erano all’ombra di un grande albero, vicino alla panchina dove aveva chiacchierato con Alex.

Grazie, Miao” disse Deborah, accarezzando il micio, che rispose con uno sbadiglio di approvazione.

Intinse le mani nel recipiente coi fiori di iperico. Percepì la frescura dell’acqua, che portò al viso. Ripeté l’operazione due volte per essere sicura che operasse con i suoi benefici effetti. Non ci credeva molto ma in cuor suo ci sperava.

Vuoi essere bagnato, Miao. Rimarrai sempre giovane e bello come me” fece la ragazza ma un Miaoooo deciso le fece intendere che non accettava l’offerta. Rise, mentre lo lisciava sulla gola e sulla testa.

Ora diamo uno sguardo all’altro” disse, spostando la vista sul secondo, che conteneva la cera sciolta.

Osservò con cura l’immagine che dondolava lievemente sul pelo dell’acqua. A lei non diceva nulla. Erano solo grumi di cera rappresa. Strinse gli occhi nel tentativo di scorgere qualcosa. Provò a usare l’immaginazione ma nemmeno questa venne in suo soccorso. Stava per rinunciare, quando si spostò sull’altra gamba ed ebbe una folgorazione.

Sajana, l’indovina, mi aveva avvertita. Puoi notare il profilo di una persona ma anche gli strumenti del suo lavoro” fece, accoccolandosi sui talloni.

Il gatto si strusciò sulle sue gambe, come per confermare che l’intuizione era quella giusta.

Ci siamo, Miao!” disse Deborah, facendo scivolare la mano sul morbido pelo del micio.

Vedo la sagoma degli strumenti. Però non conosco nessuno che faccia quella professione” continuò a dialogare col gatto.

Miaou”.

Dici sul serio?”

Miaoo”.

Vieni che ti stringo a me!” fece la ragazza allungando le braccia per prenderlo. Il micio nero lasciò fare, mentre strofinava la testa sul collo della ragazza.

Torniamo a Cattolica” disse Deborah, rimettendolo a terra. Raccolti i due bacili, tornarono indietro.

Si pose il quesito, se l’hotel avrebbe accettato la presenza del gatto. Non era sicura ma molti alberghi non volevano animali come ospiti.

Se non gradiscono il micio, faccio i bagagli e me ne torno a Milano. Accorcerò di qualche giorno la vacanza ma a lui non rinuncio. Vero, Miao?” fece Deborah, mentre guidava. Un sonoro Miaooo di assenso, suggellò l’accordo.

Milano non è esattamente la stessa cosa. Qui puoi girare come vuoi e dove vuoi. Là sei molto più limitato nel muoverti”.

Un nuovo Miaooo confermò che aveva compreso il messaggio.

Vivo in un bilocale in posizione centrale, all’ultimo piano con un minuscolo terrazzo. Se ti va, sarai il benvenuto” proseguì la ragazza nel suo dialogo col gatto, che stava tranquillo acciambellato sul sedile davanti.

Miaou”.

Affare fatto! Sono felice di accoglierti nel mio appartamento!” fece allegra Deborah. Il micio spalancò le sue fauci e tornò a ronfare con un occhio aperto e le orecchie usate come antenne, pronte a captare le chiacchiere della ragazza.

Arrivati all’hotel, prese la chiave della stanza, seguita dal felino nero, che teneva dritta la coda e le orecchie. Nessuno obiettò qualcosa o forse non se ne erano accorti. Deborah, una volta che fu nella stanza, si spogliò e fece una doccia calda per sciogliere la stanchezza, che affiorava sulla pelle.

Miao si sistemò sul letto, apparentemente addormentato ma sempre vigile, pronto a seguire la ragazza.

Vieni in spiaggia con me?” fece Deborah, mentre indossava un bikini assai ridotto, che metteva in risalto la doratura della pelle.

Il gatto aprì un occhio, lo richiuse subito e non si sforzò di emettere un qualche miagolio né di assenso, né di dissenso. Restò immobile e in silenzio.

Ho capito. Preferisci poltrire qui” disse la ragazza, ridendo.

Giunta in spiaggia, quando ormai era quasi mezzogiorno e la sabbia era infuocata, si sistemò sul lettino al sole. Sbirciò alla sua destra ma Gina e Giuseppe non c’erano.

Forse sono già andati via” pensò, mentre chiuse gli occhi per la stanchezza accumulata durante la notte precedente. Fu un sonno senza sogni, nero e vuoto, che fu interrotto da un Miaooo, che ben conosceva.

Grazie, Miao! Mi sono addormentata!” fece Deborah, alzandosi dal lettino.

Sorrise per la battuta veramente sciocca. Guardò l’ora nel grande display del bagno e si accorse di aver dormito per tre ore.

Vieni” e fece un cenno al gatto, “andiamo al bar a prendere qualcosa”.

La sabbia scottava e il sole picchiava duro.

Una piadina al prosciutto e rucola. Un mezzo litro di acqua naturale fredda e una bella ciotola di latte tiepido per Miao” disse Deborah al barista, che osservò il gatto senza fiatare.

Rimasero all’ombra per un’ora prima di decidere il ritorno all’ombrellone. Miao non aveva nessuna intenzione di camminare sulla sabbia rovente e Deborah lo prese in braccio. Trovarono Gina, che si stava ungendo per bene. Aveva il viso corrucciato e un atteggiamento scontroso. Di Giuseppe non c’era traccia.

Che strano” si disse, mentre il gatto si sistemava all’ombra su un telo da spiaggia.

Ben presto si addormentò di nuovo. Stava tranquilla, perché sapeva che Miao avrebbe fatto buona guardia. Il pelo nero lucente, gli occhi arancioni tendenti al giallo lo facevano sembrare innocuo ma quando soffiava con le fauci aperte, metteva paura a chiunque. Quei denti aguzzi e quegli artigli affilati erano un buon motivo per girargli al largo.

Dormì senza sogni. Un sonno buio, pesante. La notte insonne presentava il conto. Rumori e voci famigliari la risvegliarono dall’abisso nero dove si era calata. Aprì un occhio e poi l’altro. Si volse verso la sorgente e vidi con sorpresa Giuseppe per mano a Monica. Si drizzò a sedere e si mise ad ascoltare. Entrambi erano bagnati come se fossero usciti dal mare. Forse avevano fatto il bagno. Si domandò il motivo per cui Gina aveva richiamato la ragazza.

Che domanda sciocca mi pongo” si disse, mentre Miao con un balzo si sistemò sul lettino.

Mamma, allora per stasera?” chiese il bambino senza lasciare la mano della ragazza.

Resti con me. Non possiamo importunare ancora Monica” fece la madre visibilmente scocciata.

Se vuole…” accennò Monica coi capelli a tagliatella che gocciolavano sulle spalle.

Sei molto carina nell’offrirti ma non puoi dedicare il tuo tempo a Giuseppe” replicò Gina senza molta convinzione.

Ma posso, se vuole. Stasera resto in casa. Non saprei dove andare” disse la ragazza.

Ma dai! Una bella ragazza come te resta in casa da sola?” fece la madre.

Gli amici sono via e tornano fra qualche giorno” concluse Monica.

Mammina, ieri sera mi sono divertito moltissimo” implorò Giuseppe.

Gina si trovò a corto di argomenti e acconsentì che il ragazzino passasse la sera con Monica. Lei avrebbe trovato il modo di passarsi il tempo. Raul era fuori discussione. Il film all’Arena Sole l’aspettava.

Però alle undici torni in albergo” dichiarò senza mezzi termini la donna.

Alle undici Giuseppe sarà all’hotel” promise Monica.

Deborah sorrise, ricordando il dialogo della mattina.

Vieni, Miao. Torniamo in albergo” e presolo in braccio si avviò.

Gina non era molto felice nell’esaudire il desiderio del figlio ma sospirò sconfitta. Monica doveva sparire dalla sua vista, perché gli ricordava troppo Raul.

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La notte di San Giovanni – parte dicianovesima

Dal web
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“Andiamo” disse Mazapègul, prendendola per un braccio.

“Dove?” domandò smarrita Deborah che avvertiva ancora la tensione del viaggio tra le due sponde dell’Atlantico.

“Da Sajana, la cartomante, e dalla Vecia d’e poz, che ti sta aspettando”.

La ragazza lo guardò stranita e stava per replicare ‘Chi sono queste due?’, quando le sovvenne il ricordo. Ormai era in totale confusione e faticava molto a dare un senso agli avvenimenti della notte. Era immersa in questi pensieri, mentre seguiva il folletto come un automa, quando udì un vociare familiare. Si volse e li vide. Erano i due amanti che abbracciati li stavano seguendo.

“Non è possibile!” si disse, tornando a guardare avanti. Aveva rischiato di inciampare più di una volta per osservarli.

“Ma chi sono quelli che ci seguono?” domandò Deborah a Mazapègul.

“Non li riconosci?” fece il folletto con un sorriso stirato sulle labbra.

“No!” rispose la ragazza.

“Cheicatrop, il mio compare, e Bartuleta, la strega stravagante!”

Quei due nomi non dissero nulla alla ragazza, che ne aveva memorizzati fin troppi nella serata per poterli ricordare. In un lampo furono la dove lei aveva lasciato il teschio, i bacili e il gatto nero, che faceva la guardia agli oggetti.

“Non vedo nessuno” fece Deborah, osservando il luogo del tutto sgombro.

Mazapègul si grattò la testa, perché gli accordi non erano questi. Loro dovevano aspettarli fino al ritorno ma apparentemente non era così. Provò a chiamarle ma i nomi si persero nel buio. Avanzò fino a dov’era il banchetto della signora dai capelli bianchi ma trovò il vuoto. Ritornò verso il gatto nero, che soffiò minaccioso al suo avvicinarsi.

“Buono, Belzeblù!” disse il folletto, senza ottenere un significativo successo.

Deborah rise. Il micio come animale da guardia era davvero formidabile. Si accostò per accarezzarlo.

“Fa attenzione! Non è un gatto qualsiasi!” la informò Mazapègul. “Ha degli artigli che straziano le carni e dei canini affilati come lame”.

“Non ti preoccuparti! So come ammansirlo” replicò la ragazza, che si piegò per lisciargli la testa.

Belzeblù non estrasse le unghie ma si lasciò accarezzare da Deborah con un ronfare tranquillo. “Per me sarai sempre Miao!” disse la ragazza, che ottenne in risposta un ‘Miaooo’ di soddisfazione.

Cheicatrop e Bartuleta continuarono a limonare come due ragazzini, fregandosene di tutti, finché la strega non sbottò. “Noi ce ne andiamo. Qui non c’è nessuno” e senza attendere risposta, sparirono nel buio. Si udì per un po’ solo le loro risate e qualche parola smozzicata. Poi calò il silenzio, rotto dal rumoroso ronfare di Belzeblù.

“Che facciamo?” domandò Deborah, che cominciava a spazientirsi.

“Nulla. Ognuno per la sua strada” fece serafico Mazapègul, che in un amen si dileguò, lasciandola.

La ragazza era ancora inginocchiata accanto al gatto nero, quando sussultò impaurita. Una mano si era posata sulla sua spalla, quando era convinta di essere rimasta sola. Si girò di scatto e trovò a pochi centimetri il viso di Alex, che la baciò sulle labbra. Belzeblù soffiò minaccioso in difesa della nuova padrona, che sembrava minacciata da qualcuno.

“Piaciuto?” domandò il ragazzo, sorridente.

La mano di Deborah scattò velocissima e si abbatté con furia sulla guancia di Alex.

“Non permetterti mai più!” gridò inferocita la ragazza.

“Non ti scaldare! Era un semplice bacio!” protestò il ragazzo, lisciandosi la guancia.

“Sarà come dici tu ma non ci provare una seconda volta!” ringhiò Deborah.

“Bé, visto che sei incavolata come quella bestiaccia nera, ti saluto”. Fece per andarsene indispettito, quando fu fermato dalla voce della ragazza.

“Mi daresti una mano per portare tutto questo alla macchina” disse, indicando gli oggetti distesi per terra.

Alex si mise a ridere. Sembrava non volersi più fermare.

“Che c’è da sghignazzare come uno sciocco?” fece Deborah, che non comprendeva l’ilarità del ragazzo.

“Quei due bacili fino all’auto ci arrivano. Ma l’acqua alla prima curva ti allaga l’abitacolo”.

“E come posso fare?” domandò, perché in realtà aveva ragione.

“Lasciali lì. Finiscono di prendere la guaza ad san Zuan e domani li torni a prendere”.

Cosa cambia domani? Il problema resta lo stesso” argomentò Deborah.

Nulla, in effetti. Però con l’acqua miracolosa ti puoi bagnare il viso e con l’altra vedere il futuro amore. Poi puoi versare il tutto nell’erba” spiegò Alex.

Ma domani li troverò?”

Certamente!”

Il ragazzo raccolse il candelabro e si avviò, seguito dalla ragazza, che stringeva il pacco col teschio, e dal gatto nero.

Deborah cercava di non perdere di vista Alex, che pareva conoscere dove aveva lasciato l’auto. Sentì battere le ore e si stupì nuovamente. Quattro rintocchi solo. ‘Il tempo sembra andare di fretta, stanotte’ pensò, mentre vide in lontananza la macchina, parcheggiata sotto un grande albero.

“Siamo arrivati” disse Alex.

“Grazie. Senza il tuo aiuto avrei girato a vuoto alla ricerca del punto dove l’avevo posteggiata” fece Deborah ringraziandolo.

Il ragazzo alzò le spalle senza rispondere e in breve sparì alla vista della ragazza. Il cielo cominciava a schiarirsi e tra non molto sarebbe sorto il sole.

Deborah, niente affatto stanca per la grande veglia notturna, si mise in cammino verso Cattolica. Lungo la strada osservò i primi esercizi aperti o che stavano sollevando le saracinesche. Si fermò all’ingresso in paese. Un bar stava aprendo.

“Un caffè e un bombolone alla crema caldo lo mangio volentieri” disse scendendo dall’auto col teschio ben stretto al petto e il gatto nero al seguito.

Si sedette a un tavolo appena dentro l’esercizio. L’unico che era agibile.

“Cosa vuole?” disse un uomo non più giovane.

“Un caffè forte e bollente, due bomboloni caldi e una ciotola di latte tiepido per il micio” fece Deborah indicando il gatto nero acciambellato ai suoi piedi.

Il barista sollevò un sopracciglio e si allontanò per soddisfare l’ordine.

Una nuova giornata si preannunciava calda e serena.

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La notte di San Giovanni – parte diciottesima

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Raul e Gina, dopo aver fatto colazione, fecero il breve tragitto che li separava da Cattolica in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La giornata si preannunciava calda e soleggiata col cielo terso e senza un alito di vento. Deborah, seduta sul sedile posteriore, osservava i due amanti. Pareva che fossero a corto di parole e la tensione era palpabile.

Lesse sul volto del ragazzo la preoccupazione di qualcosa che non riusciva ad afferrare pienamente. Si domandò cosa lo crucciava da mostrarlo con tanta chiarezza.

“É vero che Gina ha fatto avance esplicite. In modo diretto e senza tanti giri di parole gli ha detto che vuole uscire con lui. Però non credo che sia questo il motivo sufficiente a metterlo di cattivo umore. Cosa dunque?” si disse Deborah.

Erano appena entrati nell’abitato di Cattolica, quando Raul riacquistò l’uso della parola.

“Ti lascio a qualche isolato prima dell’albergo” fece il ragazzo, accostando al marciapiede.

“E Giuseppe?” disse Gina, amareggiata, perché la voleva scaricare senza tanti complimenti.

“Lo porta Monica. Anzi le telefono per avvertirla”.

“Dunque stasera non ci vediamo?” chiese la donna con la voce un po’ tremula.

Raul non rispose, mentre armeggiava col telefono.

“Monica?”

“…”

“Vesti Giuseppe e accompagnalo all’hotel Admiral. Sua madre lo aspetterà nella hall” e chiuse la comunicazione.

“Non hai risposto alla mia domanda” fece Gina, che immaginò il motivo. Non aveva nessuna intenzione a uscire con lei ma non rinunciò all’ultimo assalto disperato, prima di alzare la bandiera bianca.

“All’Arena Sole stasera danno un film, che ho perso, quando è uscito” fece la donna, osservando l’espressione del volto di Raul, che non tradiva il minimo interesse.

“Harrison Ford e l’ultimo episodio della saga di Indiana Jones. Il regno del teschio di cristallo” aggiunse, aspettando una risposta che non arrivò.

Deborah sussultò. Quel titolo risvegliò in lei qualche reminiscenza. Si parlava di Maya ma era ambientato nell’America del Sud. Aveva una trama incredibile al limite del surreale dove tutto ruotava attorno a un misterioso teschio di cristallo dai poteri sopranaturali. “É quella la chiave di volta che aggancia questi due amanti con la storia che sto vivendo?” si disse, prima di ascoltare la proposta per la parte finale della serata.

“Al termine della proiezione si spostiamo al Nuovo Fiore per gustarci uno di quegli splendidi gelati che offrono” concluse Gina nella speranza di smuoverlo dal diniego della frequentazione serale.

“Ho un impegno stasera” disse Raul rimanendo nel vago. “Poi Harrison Ford, proprio non riesco a sopportarlo” mentì per dare maggiore forza al suo rifiuto.

“Ho capito. Dovrò andarci da sola, se trovo una babysitter per Giuseppe” disse Gina, scendendo dall’auto, seguita da Deborah.

Non un bacio di commiato. Non una semplice carezza. Solo una sbattuta violenta della portiera lato passeggero. La donna si allontanò velocemente, mentre Raul sgommava con violenza.

Deborah stava dietro a Gina, quando vide un bambino che le correva incontro.

“Mammina! Mammina!” urlava pazzo di gioia, mentre poco discosta stava una ragazza minuta dai capelli stopposi per la salsedine. Sembrava quasi un’adolescente di quattordici o quindici anni, che stava trasformandosi in donna. In costume da bagno con il pareo variopinto, avvolto sui fianchi acerbi, stava immobile con uno zaino della Nike in mano. Il seno era appena accennato, come lo può essere nell’età della prima pubertà.

Gina lo prese in braccio, baciandolo. La ragazza si avvicinò senza fretta.

“Mamma, questa è Monica. É una gran…” cominciò Giuseppe senza riuscire a concludere la frase. La madre gli aveva chiuso la bocca con un bacio.

“Signora, questo è lo zainetto di Giuseppe. É un bambino dolcissimo” fece Monica, allungando la mano.

“Grazie, Monica. Mi dovrò sdebitare con te per aver accudito a Giuseppe”.

“Ma è stato un piacere. Non ha mai fatto un capriccio. Un bambino davvero delizioso” disse la ragazza, prima di allontanarsi.

“Mamma, vorrei andare da lei anche stasera! Dormire con lei nel suo letto. É stato molto divertente” fece il bambino, che camminava a fianco della madre.

“Non è possibile. Mi ha fatto un piacere, tenendoti per una sera. Se oggi fai il bravo, puoi venire nel letto con me” disse Gina con poca convinzione, alquanto infastidita dall’affermazione del figlio.

“Uffa! Non è la stessa cosa!”

Mentre loro si infilavano nella hall dell’hotel, Deborah si ritrovò al culmine della festa. Al suo fianco stava Alex, che non pareva essersi mai mosso da lì. La confusione regnava sovrana, mentre tutti si spostavano vocianti verso il centro del paese per assistere ai fuochi pirotecnici. La ragazza non disse nulla e seguì il flusso della folla.

“Hai parlato con la signora?” fece Alex, prendendola sottobraccio.

“No. A proposito di cosa?” disse Deborah colta in contropiede da quella domanda.

Una breve risata scandì il tempo prima della risposta.

“Ma come? Non volevi ascoltare la storia del teschio che hai comprato?”

“Sì ma”.

“Dunque non conosci il significato simbolico del teschio?”

“Direi di no. A dire il vero non comprendo nemmeno le connessioni con questa notte dove tutti pensano solo a far baldoria!”

Deborah si fermò e guardò dritta negli occhi Alex. Cominciavano a darle sui nervi tutti questi misteri. Da quando era arrivata a San Giovanni in Marignano si era trovata coinvolta in avvenimenti che sfuggivano al suo modo di essere razionale. Eppure in mezzo a tutti quegli eventi c’erano dei riscontri concreti: il teschio era reale, i bacili pure. Il resto invece no. Sembravano più il frutto di fantasie sfrenate che di una realtà solida e autentica. Percepiva la destabilizzazione della sua personalità, come se si fosse decomposta in molte anime differenti tra loro.

“Che ore sono?” chiese a Alex, riscuotendosi dalla sue riflessioni.

“Mancano pochi minuti a mezzanotte” fece il ragazzo, osservando l’orologio che aveva al polso.

“Non è possibile!” esclamò la ragazza.

“Perché?”

“Solo pochi istanti fa il campanile ha battuto dieci rintocchi”.

“Forse hai conteggiato male il segnare delle ore” disse Alex, diventando serio.

Deborah scosse il capo ma non voleva impegnarsi in un duello col ragazzo sul tempo. ‘Non è possibile che esso rallenti o acceleri seguendo il ritmo della festa’ si disse, fermandosi nel centro della piazza, appena in tempo per vedere l’apertura dei fuochi artificiali.

Alex le circondò le spalle con le sue braccia, mentre lei docilmente lasciò fare.

“Bum! Bam!” Le girandole scoppiettavano allegre nel cielo, rischiarandolo di verde, di rosso, di giallo e di bianco in un impressionante caduta di braci rossastre.

Deborah si perse nuovamente nel tempo e nello spazio.

La conferenza stampa di Dorland aveva chiuso la stagione delle analisi. Anna era pentita di aver ceduto al dio denaro, disobbedendo alle richieste di Mike.

“Però senza quel pacco di dollari non avrei saputo dove sbattere la testa per sbarcare il lunario” si disse la donna, comodamente seduta in prima classe sul Jumbo Jet della Pan-Am durante il viaggio da New York a Londra.

Deborah viaggiava accanto a lei e ascoltava il suo respiro e intuiva i suoi pensieri. Ancora una volta si stupiva di queste capacità, che non le sembrava di avere mai posseduto. ‘Se queste facoltà le avessi avute a disposizione prima, sarei una giocatrice di basket di primo livello. Invece’ si disse con un sorriso amaro. Intuire quello che l’avversaria avrebbe voluto fare, le avrebbe consentito di usare strategie differenti nel gioco. Sarebbe stata in grado di anticiparne le mosse e di rimanere un imprevedibile folletto per le avversarie. Sospirò e pensò che sarebbe stato bello se al suo ritorno a Milano avesse conservato queste capacità.

Anna si rilassò chiudendo gli occhi per un breve sonno. Avvertiva l’aura misteriosa del teschio nascosto tra i bagagli della stiva. Ripensava a questa esperienza americana, tanto diversa da quelle vissute molti anni prima nella foresta pluviale del Belize. Sognò il padre adottivo, alto e taciturno, che amava profondamente. Gli mancava. Era un vuoto che non era riuscita a colmare.

“Scusami, Mike ma stavo finendo i soldi che mi avevi lasciato. Da questo momento in poi il teschio rimarrà chiuso dentro la sua teca trasparente nel salotto e nessun’altra mano, fuorché la mia, lo toccherà”. Erano questi i pensieri che la donna, ormai avanti negli anni, faceva del dormiveglia, mentre sotto di lei c’era la distesa grigia dell’oceano Atlantico.

Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo entrando in un’area di turbolenze‘. Era la voce asettica di una hostess che comandava di assicurarsi al sedile. Dopo non molto Deborah percepì che l’aereo stava gemendo sotto la sferza di venti gelidi e impetuosi. Il cielo era diventato buio. L’apparecchio si muoveva come se una mano l’avesse afferrato per scuoterlo con vigore. La ragazza si guardò intorno smarrita, cogliendo negli sguardi degli altri passeggeri paura e angoscia. L’unica che continuava imperturbabile a dormire era Anna, che pareva rassicurata dalla protezione del teschio.

“É forse la maledizione del teschio che ha scatenato la furia degli elementi?” si domandò, sentendosi in pericolo.

Il comandante si scusa coi passeggeri ma siamo incappati in una vasta area di perturbazioni violente. Atterreremo a Gatwick con circa mezz’ora di ritardo‘.

La donna al suo fianco continuava a dormire placidamente senza avvertire la tensione che stagnava nella cabina.

Il tempo non passava mai, mentre i passeggeri erano sempre più impauriti.

“Ci scommetto che se sapessero che nella stiva dei bagagli c’è il teschio di cristallo uguale a quello del British Museum si sentirebbero ancora più inquieti” fece tra sé e sé Deborah.

Come la perturbazione era giunta senza alcun preavviso, così cessò di colpo, lasciando il posto a un cielo stellato privo di luna.

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La notte di san Giovanni – parte diciassettesima

dal web
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La confusione era grande tra voci e suoni inarticolati.

Deborah si volse verso Alex. “Dove ti eri cacciato? Quando ho bisogno di te, non ci sei mai!” Fece acida.

Sono sempre stato al tuo fianco” rispose serafico il ragazzo. “E poi non sono per nulla la tua ombra, che ti segue ovunque vai”.

La ragazza lo incenerì con occhiate di fuoco. Poi preferì tacere e raccogliere le idee. Ci sarebbe stato il tempo per chiarire tutto. ‘Ma c’è qualcosa da spiegare tra noi?” si disse silenziosamente, serrando con forza le labbra.

Hai perso la parola?” Fece ironico Alex.

No, ma non mi va di risponderti. Non amo fare polemiche inutili e sterili” rispose piccata Deborah.

Dove andiamo, padrona?” disse il ragazzo, sfottendola.

Non sono la tua padrona, per tua norma e regola. Non so nemmeno che cosa ci leghi. Non conosco nulla di te, né tu conosci nulla di me”.

La leggera risata del ragazzo la infastidì. Se lei era di cattivo umore, questa conversazione non l’aiutava di certo.

Eppure pochi istanti fa…” proseguì Alex, ignorando la volontà di mettere fine al battibecco della ragazza.

Alex cominciava a darle sui nervi. Deborah gli voltò le spalle indispettita e si immerse nella folla sempre più fitta, come se volesse fuggire da lui. Sentì una mano insinuarsi sotto il suo braccio. Si girò di scatto, pronta a mangiargli la faccia, quando vide con sorpresa il volto di Mazapègul.

Ti avevo perso nella calca” fece il folletto.

Ah!” disse la ragazza, che si era dimenticata della sua presenza e di conseguenza della sua assenza.

Vieni! Ho fame” disse con tono d’imperio.

Ma io no!” rispose Deborah.

Non importa. Mangerai qualcosa con me. Mi tieni compagnia. Non mi piace mangiare da solo”.

La ragazza si lasciò trascinare, fendendo la folla come fa il coltello nel burro. Si stupì che nessuno avesse protestato, quando, superati tutti quelli che erano in attesa di ordinare una piadina, loro si piazzarono davanti alla piadinara. Pareva quasi che fossero invisibili a tutti fuorché a chi li doveva servire.

Due piadine rucola e prosciutto. Abbiamo una fame da lupi! Due calici di Albana secco fredda e una bottiglia di acqua frizzante” disse con un tono autorevole, che non ammetteva repliche.

La donna fece un cenno d’assenso e in un battibaleno diede loro quanto ordinato. Tutti i tavolini erano occupati ma Mazapègul senza troppi complimenti fece sloggiare una coppia. “Avete già consumato. Ora via. Il tavolo è nostro” disse il folletto senza molta diplomazia. I due si alzarono in fretta, cedendo il posto senza fiatare, come se fossero stati intimoriti alla vista di Mazapègul.

La ragazza non comprendeva perché nessuno osasse rispondergli per le rime. Lo osservò e forse capì. ‘Ma no! Non può essere’ si disse scuotendo il capo. Senza dubbio quel corpo sgraziato e quel capellino rosso lo rendevano buffo e allo stesso tempo temibile. Tuttavia i motivi andavano ricercati altrove. Nelle credenze popolari sulla famiglia dei Mazapègul. Mentre Deborah rifletteva su queste stranezze, lui in un baleno divorò l’intera piadina e ingurgitò vino e acqua. Lei nel frattempo ne aveva appena assaggiato un pezzetto.

Non so come ma sei sparita. Sembravi volatilizzata. Non riuscivo a trovarti” fece Mazapègul apparentemente mortificato. “Non mi era mai capitato di perdere una ragazza bella come te”. Rise allegro alla sua esternazione.

Deborah sorrise, mentre un lieve cenno di rossore compariva sulle guance. Quel complimento era giunto del tutto inaspettato.

Non lo capisco nemmeno io. Camminavo, pensando che tu fossi dietro di me. Invece voltandomi, mi sono accorta che non c’eri più” disse la ragazza, dissimulando la bugia. In effetti non poteva confessargli che aveva attraversato la sua personale porta girevole ed era piombata in altro mondo. Non era in grado di prevedere come avrebbe accolto la sua confessione.

Ho provato a cercarti ma inutilmente” proseguì Deborah nel tentativo di dare consistenza alla sua affermazione.

Non importa! Quello che conta è che siamo di nuovo insieme”.

Sì!” affermò la ragazza con la bocca piena.

Svelta! Svelta! Finisci la tua piada. Non possiamo rimanere qui in eterno” esclamò, mettendole fretta.

Se vuoi, andiamo a pagare. Posso mangiarla tranquillamente, mentre camminiamo” disse la ragazza, accennando ad alzarsi.

Non serve. É tutto omaggio del chiosco La Piada” disse Mazapègul per nulla preoccupato.

Omaggio?” domandò incredula Deborah.

Che c’è di strano? Le ho reso tanti di quei servizi, che dovrebbe impiegare una vita per controbilanciare i vantaggi ottenuti”.

Tutto le sembrava irreale ma si domandò cosa non c’era stato di strano in queste poche ore. ‘Forse è il contagio della festa o forse sto facendo un sogno ingarbugliato, se sto vivendo emozioni e sensazioni incredibili’ disse fra sé, seguendo Mazapègul con la piadina in mano.

Dove andiamo?” domandò Deborah che stentava a tenere il passo del folletto.

Facciamo un giro alla balera”.

Ancora a ballare? Ma non hai visto che razza di frana sono?” disse la ragazza, che non aveva molte intenzioni di cimentarsi in balli dai nomi assurdi.

Mazapègul rise di gusto.

Osservami e vedrai che ci riuscirai”.

Deborah scosse la testa, muovendo i folti ricci ramati che incorniciavano il viso.

Posso guardarti un milione di volte ma se non sento la musica e non seguo il ritmo, i risultati sono quelli che hai già ammirato” replicò con decisione.

Non importa. Mi piace ballare e tu sarai la mia partner”. E la trascinò sulla pedana, dove l’orchestrina continuava a suonare per pochi intimi.

Cos’è la mazurka?” domandò Deborah, cercando di imitare i passi del folletto.

No! É una polka!” disse ridendo.

Una polacca?”

Non hai capito nulla! Ho detto polka!”

Sarà ma mi sembrano balli stravaganti che non ho mai sentito!”

Stavano discutendo nel centro della pedana, quando sentirono un voce imperiosa che gridava qualcosa. ‘Vai col liscio!‘ e a seguire delle note sincopate Zum-pa-ppa Zum-pa-ppa Zum.

Come per incanto la pista da ballo si riempì di ballerini che si misero in posa per scatenarsi al suono del clarinetto solista.

Che altro ballo è il liscio?” domandò Deborah.

Quello che stanno ballando” rispose Mazapègul, come se fosse un’ovvietà.

La ragazza si fermò, osservò quell’esercito di coppie che si muovevano agili al suono del resto degli strumenti. Il ritmo era travolgente e coinvolgeva tutti con quelle sonorità allegre e solari.

Deborah si trovò proiettata indietro nel tempo, quando alla fine dell’ottocento un violinista romagnolo Carlo Brighi detto Zaclèn (anatroccolo) a Gatteo all’interno di una struttura dirigeva una famosa orchestra da ballo. La pedana in terra battuta, coperta da un semplice tendone, era pieno di persone vecchie e giovani che strusciavano le suole delle scarpe, sollevando la polvere.

La ragazza osservava a bocca aperta i ballerini che si muovevano con agilità, seguendo quelle sonorità prorompenti. Non avrebbe mai creduto che un ballo fosse così amato e seguito da una moltitudine di persone di ogni età.

Qualcuno la prese per un braccio. Si ritrovò a guardare questi altri ballerini che facevano saltellare i piedi e volavano leggeri. ‘Punta e tacco‘ al ritmo della musica.

Non ci riuscirò mai!” esclamò Deborah.

Mazapègul rise a quell’esternazione. La prese per un braccio strattonandola fuori dalla mischia dei danzatori.

Ho voglia di un gelato. Questi balli mi hanno messo caldo” fece il folletto, guardandosi attorno alla ricerca di una gelateria.

Però pago io, questa volta” fece la ragazza.

Non puoi”

Perché?”

La piadina non l’ho pagata” rispose pronto Mazapègul.

Appunto! Visto che l’hai scroccata, questa volta offro io” disse Deborah con cipiglio determinato.

Come vuoi!”

E si diressero verso un locale stracolmo di gente.

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La notte di San Giovanni – parte sedicesima

dal web
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Deborah si guardò intorno. C’erano poche persone ad ascoltare quell’obbrobrio. Si allontanò e cominciò a girare fra i banchi. Aveva fame. Non aveva mangiato nulla da mezzogiorno. Si fermò presso un chiosco di piadine e ne ordinò una allo stracchino e rucola. Calmato lo stomaco, che smise di brontolare, riprese a girovagare un po’ annoiata per la piazza, dove maggiormente si stava accalcando la folla.

La ragazza era distratta. Pensava sempre alla storia del teschio di cristallo, perché aveva molti punti oscuri, che non riusciva a decifrare. Aveva vissuto diverse esperienze dal suo ritrovamento, la data non la ricordava, all’asta del 1943.

Ma ho solo sognato oppure sono stata una spettatrice autentica?” si domandava inquieta, mentre toccava un oggetto su un banco di vecchie cianfrusaglie in modo meccanico.

Questo era il dubbio che le frullava nella testa senza trovare una risposta soddisfacente. Adesso lei ne possedeva uno, ricevuto in maniera che non aveva una spiegazione logica.

Chi è in realtà quella signora dai capelli candidi che me lo ha venduto per cinquanta euro? Perché appare e poi scompare?” Domande alle quali Deborah faticava a trovare una risposta convincente.

Però gli aspetti più inquietanti, che la mettevano in apprensione, erano gli effetti che produceva la presenza del teschio. Erano eventi che avrebbe potuto catalogare come isterie o superstizioni, perché erano solo dei discorsi che aveva ascoltato, senza averli vissuti in prima persona. Si chiedeva se era corretto liquidarli sbrigativamente in questa maniera. Qualcosa di vero ci doveva essere, vista l’estrema cautela che usavano nel maneggiarlo.

Però era su un punto che rifletteva con attenzione. “Il mio teschio è autentico oppure una copia ben fatta?” Non si rendeva conto se avesse un grande valore oppure no. Considerato il prezzo di acquisto, era plausibile che fosse una semplice copia. Anche se lo fosse, sembrava un originale.

Ma il prezzo era solo simbolico oppure ero la reale destinataria del teschio?”

Era immersa in questi pensieri, quando si accorse che era finita in una casa, che già conosceva. Ebbe un sussulto, perché gli avvenimenti delle ultime ore erano come se lei varcasse una porta girevole, una sliding door, passando in un mondo parallelo che interagiva con quello presente.

Si trovava nuovamente a Londra in un epoca più recente rispetto l’ultima volta. Le tracce della guerra erano scomparse. La vita era caotica come il traffico in Bolton Street. Varcò la soglia dell’appartamento senza apprensioni. Sapeva cosa avrebbe trovato.

Mike era disteso sul letto, mentre Anna era al suo capezzale.

Chiama un notaio. Voglio fare testamento. Sbrigati!” disse con un filo di voce l’uomo.

Sì” gli rispose la donna.

Deborah osservò le due persone e notò come erano cambiate. Anna era sfiorita. Si era rinsecchita rispetto alla prima volta che l’aveva vista nella giungla americana. Non era in grado di attribuirle un’età ma sicuramente i capelli di un bianco ingiallito stopposo non contribuivano a migliorare l’immagine. Mike appariva sofferente. Sempre più magro e con un colorito del viso per nulla rassicurante. Il respiro affannoso era più un rantolo che un soffio di vento.

Deborah si sistemò sull’unica sedia libera e attese paziente il ritorno di Anna. Osservando il malato, si domandò se avrebbe resistito fino all’arrivo del notaio. Aveva forti dubbi, perché il respiro si era fatto più rantolante e gli occhi erano ridotti a una fessura. Sentì lo scalpiccio affrettato e il parlottare fitto di tre persone.

Mike. Ecco il notaio” disse Anna, entrando seguita da un signore austero e un giovanotto impomatato.

Mi dica signor Mitchell Hedges” fece compunto l’uomo, vestito con un tight nero, tenendo una tuba in mano. Sembrava più un personaggio delle pompe funebri che un notaio. Deborah guardava affascinata quel copricapo del tutto insolito ma si riscosse in fretta sentendo la voce del malato.

Vorrei fare testamento” fece Mike con un esile filo di voce.

L’uomo in nero, deposta la tuba sul tavolo coi guanti, fece un cenno al giovanotto che portava una borsa di cuoio. Estrasse dei fogli bianchi da una cartella chiusa con elastici. Si sedette su una sedia accanto al letto e cominciò col solito rito delle domande. Infine stillò il testamento, che fece firmare a Mike.

Io, Frederick Albert Mitchell-Hedges, detto Mike, nato il 22 ottobre 1892 a Londra, nel pieno delle mie facoltà mentali dispongo che tutti i miei beni siano conferiti alla signorina Anna Mitchell-Hedges, ovvero Marie Guillon, nata Ottawa Canada il 1 gennaio 1907, mia figlia adottiva. In particolare le affido in custodia il teschio di cristallo di mia proprietà. Lo dovrà conservare sempre con lei, senza consentire che qualcuno lo tocchi. Quando sarà il suo turno di lasciare questa terra, lei saprà individuare la persona che custodirà il teschio.

In fede

Frederick Albert Mitchell-Hedges

Testimone signor Mark Smith

Notaio dottor John John Ludmille

Londra 1 giugno 1959

Il documento, controfirmato dal testimone e sigillato in un busta gialla, venne riposto nella borsa che Mark Smith portava con sé.

Deborah provò un brivido e un rapido pensiero attraversò la sua mente. Seguì con lo sguardo l’uscita di quel signore, che pareva uscito da un album di fotografie ingiallite, tanto appariva fuori moda.

Anna rimase accanto al letto per assistere il padre adottivo. Non l’aveva mai chiamato ‘padre’ ma sempre e solamente Mike. Lilian Agnes, la madre adottiva, era morta da diverso tempo ma era col padre che aveva il sodalizio più vincolante. Per lui avrebbe attraversato una barriera di fuoco o camminato sui carboni ardenti. Adesso che la sua vita era appesa a un esile filo, avvertiva il vuoto che la sua morte avrebbe portato dentro di lei.

Il piccolo appartamento di Bolton Street, che occupavano da oltre vent’anni, le apparve un deserto immenso e arido. Il pensiero dei lunghi inverni londinesi pieni di smog e freddi la fecero rabbrividire. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare una strada lunga e solitaria.

Pochi giorni dopo la visita del notaio per il testamento, Mike se andò senza un lamento nella notte.

Anna, nominata erede universale, passò tutta l’estate a catalogare i cespiti dei quali era diventata la padrona.

Molti libri, diversi oggetti e un conto con qualche migliaia di sterline erano i beni che il padre adottivo le aveva lasciato. Non era molto ma le avrebbero consentito un’esistenza dignitosa per qualche anno. Poi col tempo avrebbe alienato qualcosa per sopravvivere alla povertà. Per fortuna l’appartamento era loro e non ci sarebbero stati problemi per avere un tetto sopra la testa. Si rendeva conto che i diversi libri che il padre adottivo aveva scritto gli avrebbero fruttato poche sterline l’anno come royalties. Tenne qualche conferenza sui maya, scrisse qualche articolo di giornale sui teschi di cristallo e sostenne qualche intervista. Però non accettò mai, come le aveva chiesto esplicitamente il padre, che qualcuno toccasse l’oggetto, che stava in una teca in salotto. Dunque l’oggetto rimase in possesso di Anna dopo la morte del padre adottivo e nessuno ne avrebbe contestata mai la proprietà.

Hewlett & Packard, nota azienda americana specializzata in strumentazioni elettroniche ed apparecchiature informatiche, riuscì a convincerla dopo una lunga trattativa a consentire che il teschio fosse trasportato presso i loro laboratori per essere sottoposto a una lunga serie di rigorosi esami, tesi a smantellare l’alone di mistero che lo accompagnava. In cambio riceveva un bel pacco di dollari, che le avrebbero permesso di vivere con minori angustie il resto della sua vita.

Il 27 Ottobre 1970 Anna e il prezioso oggetto arrivarono a Santa Clara, California, presso il laboratorio specializzato nell’analisi di quarzi e cristalli.

L’americano Frank Dorland, esperto di gemmologia, era stato artefice del miracolo e assistette a una serie di approfonditi esami, che furono pubblicati sulla rivista di HP. I risultati furono sconcertanti e lasciarono stupiti tutti quando l’esperto con accanto Anna tenne la conferenza stampa al termine delle analisi.

“Signore e signori. Buon giorno e grazie per essere intervenuti in modo massiccio a questa conferenza” esordì l’americano con la voce incrinata dall’emozione. “Con molto rispetto ringrazio Anna Mitchell-Hedges di aver consentito l’esame del teschio di cristallo di sua proprietà. Alla Hewlett & Packard, che ha fornito il supporto tecnico a questa indagine, va il mio più sincero ringraziamento. Senza di loro non potrei essere qui a illustrarvi gli esiti”.

Deborah era seduta in prima fila e ascoltava con attenzione quello che Dorland andava esponendo.

“Dal punto di vista tecnico il teschio è un oggetto impossibile, un manufatto che non avrebbe dovuto esistere”. Un mormorio di sorpresa si levò dalla sala. Erano affermazioni importanti e incredibili da udirsi.

“Anche con le strumentazioni odierne sarebbe estremamente difficile realizzarlo. Vi ricordo, ma credo che sia superfluo visto l’auditorio qualificato che ho di fronte, che l’indice di durezza del quarzo è di poco inferiore a quello del diamante. Pertanto costruire un qualcosa di così rifinito è cosa tutt’altro che agevole”.

Per illustrare la prima sorprendente conclusione del laboratorio Hewlett-Packard mostro una diapositiva a colori.

“Il teschio è stato inciso, procedendo in senso contrario rispetto all’asse naturale del cristallo, ovvero all’orientamento dei suoi piani di simmetria molecolari. Questo procedimento è molto rischioso, anche se consente una lavorazione più fine e la realizzazione dei piccoli particolari con molto più dettaglio, perché significa un costante pericolo. Un colpo non preciso dello strumento, usato per sbozzare l’oggetto, causerebbe la sua frammentazione. E non lo sfaldamento in lamelle”.

Gli astanti si guardarono stupiti e mormoravano la loro sorpresa nell’udire queste informazioni. Dorland, dopo una brevissima pausa, riprese il suo discorso.

“É per questo motivo che gli intagliatori attuali rispettano sempre i piani di simmetria dei cristalli. Appare ovvio ritenere che l’oggetto non sia stato scolpito di recente”.

“Ma se non è stato realizzato di recente, come i Maya avrebbero potuto crearlo con le scarse cognizioni della loro epoca?” domandò una studiosa seduta accanto a Deborah.

“Grazie, signore, per aver posto questa domanda, perché mi permette di accennare alle analisi dei tecnici della Hewlett-Packard. Questi hanno esaminato con accuratezza al microscopio la superficie del teschio senza che siano riusciti a trovare tracce di graffi, che comprovino l’uso di strumenti meccanici per la levigazione e lo sbozzo del blocco quarzifero. Questa circostanza mi meraviglia molto e mi incuriosisce. Non riesco a darmi spiegazione razionale quale tecnica di lavorazione sia stata utilizzata. Ricordo che i Maya era una popolazione che non conosceva l’uso del ferro. Ai giorni nostri questo sarebbe stato possibile con l’uso della tecnica laser, che sappiamo era del tutto sconosciuta a quel popolo”.

Nuovi mormori di incredulità si levarono dalla sala. Quello che Dorland stava dicendo rasentava la pazzia.

“Dunque lei afferma che non ci sono tracce di lavorazioni meccaniche, come se si fosse usata una tecnica laser, che solo da pochi anni è uscita dai laboratori sperimentali. Cosa ipotizza come procedimento di lavorazione?” domandò un signore grasso, qualche file più indietro di Deborah.

Lei si stupiva che era in grado di capire quel linguaggio tecnico, come se fosse un’esperta. Ancora una volta si ritrovava delle capacità del tutto sconosciute.

Dorland bevve un sorso d’acqua prima di rispondere.

“Sono giunto all’ipotesi che il blocco sia stato dapprima sgrossato con diamanti e che poi sia stato levigato pazientemente con della sabbia quarzifera bagnata”.

Il gelo calò su l’auditorio, finché un signore non prese la parola.

“Ma se davvero è andata come immagina lei, mister Dorland, allora scolpire questo teschio dovrebbe essere stata un’impresa titanica! Sarebbe dovuta durare svariati anni!”

“Sì, ha ragione perfettamente. Ho calcolato che l’operazione di taglio e rifinitura avrebbe richiesto fino a trecento anni di lavorazione continua!” Fece Dorland, sollevando un oh! di stupore da parte di tutti.

“Ma le sorprese, miei pazienti ascoltatori, non sono finite. Altro elemento incredibile è che l’oggetto sembra avere al suo interno una serie di lenti e prismi che gli consentono di riflettere la luce in modo particolare quando ne viene attraversato. Il quarzo allo stato naturale non riuscirebbe a produrre i giochi di luminosità che il teschio riesce a generare. Un lavoro enorme, quindi, che rivela una grandissima padronanza tecnica. Un lavoro che lascia senza parole quelli che lo hanno esaminato. Al termine di queste analisi non abbiamo compreso a pieno quali procedimenti siano stati utilizzati. Signore e signori vi ringrazio a nome della Hewlett&Packard per la paziente cortesia che avete usato per ascoltarmi”.

Dorland abbandonò il palco seguito da Anna, mentre Deborah rimaneva seduta al suo posto.

Stava pensando a tutto quello che aveva udito e alzandosi spinse la sua personale sliding door e si ritrovò in piazza nel pieno della festa, mentre camminava accanto a Alex.

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